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Autore: comfortinglies    01/04/2015    2 recensioni
“Ricordami per quale motivo non posso venire con te.”
[...]
I primi, pallidi raggi di sole trasformano il ghiaccio attorno ai loro piedi in rigagnoli d’acqua, mentre le labbra di Jon sfiorano prima la fronte di Arya – un gesto antico, collaudato, che sa di memorie d’infanzia e di duelli improvvisati nei cortili di Winterfell – e poi la linea serrata della sua bocca – e questo è nuovo, sebbene ormai quasi consueto, e seguito da un intervallo di giorno in giorno più breve in cui l’iniziale esitazione di lei si scioglie come la brina sotto i loro tacchi, e il suo respiro lieve gli scalda di rimando il viso.
[Jon/Arya][Implica R+L=J, headcanon vari e SPOILER sull'ultimo libro.]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Jon Snow
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Night has always pushed up day ~
(spring is coming, in the end)





Il sole non è ancora spuntato a est della Barriera, ma le striature d'azzurro nel cielo preannunciano un'altra giornata di sereno. È una di quelle mattinate gelide eppure incredibilmente terse a cui Jon ancora non è riuscito a fare l'abitudine.
“Ricordami per quale motivo non posso venire con te.”
Sorride, prima ancora di voltarsi, perché il mondo e le loro stesse vite potranno anche essere stati rivoluzionati così tante volte e in modi così infinitamente crudeli che il solo pensiero a volte rischia di sopraffarlo, eppure certe cose – come il passo felpato di lei, o quella venatura ostinata nella sua voce che d'un tratto la fa tornare la ragazzina di un tempo – non cambieranno mai. È a queste cose che Jon è immensamente grato, perché sono ciò che gli ricorda con costanza chi è veramente: ancore piccole ma stabili che gli permettono di rimanere saldo sui propri piedi anche quando ogni altro appiglio sembra venire a mancare – anche quando di notte, spesso, si sveglia con la familiare sensazione di pugnali di ghiaccio che gli penetrano la carne.
Abbandonando le redini e rinunciando in partenza a strigliare il cavallo, si volta a fronteggiarla.
“Potremmo aver affrontato l’argomento già un centinaio di volte” inizia, e una sola occhiata è sufficiente: lei ha già capito come la sua esasperazione sia solo una facciata. È unica anche per questo.
“E io potrei aver bisogno di affrontarlo per l’ennesima.”
Jon sospira, posandole le mani sulle spalle. “Perché” scandisce per quella che è effettivamente l'ultima di una lunga serie di occasioni in cui le ha ripetuto le stesse parole, “qui è infinitamente più sicuro. E perché sarò di ritorno molto prima che allenarti solo con le reclute inizi a darti noia.”
Perché la pena e l'angoscia che ho provato in questi anni sono qualcosa che forse non sarò mai in grado di spiegare, è ciò che le sta realmente dicendo tra le righe. Certe ferite impiegano più di altre a cicatrizzare, e Jon non ha ancora cuore di svelargliele, né di aggravare quell'ombra che vede attraversarle gli occhi più spesso di quanto gli faccia piacere ammettere. Perché non puoi sapere cosa abbia significato crederti perduta, e poi ritrovata, e poi perduta di nuovo e per sempre – passare dall'illusione alla disperazione in un attimo, e dubitare persino dei miei stessi occhi quando invece sei tornata veramente. Ho sacrificato troppo per riaverti, e mettere di nuovo a rischio questa piccola e strana quiete che abbiamo solo per il desiderio egoistico di averti accanto in questo viaggio è l'ultima cosa che farei.
Non lo dice, lo pensa soltanto – ma la guarda a lungo e spera che lei capisca, che riesca a leggere le sue motivazioni più profonde dietro quella spiegazione ridotta, seppur veritiera.
Ciò che ottiene di rimando sono una linea solitaria che le corruga la fronte e un silenzio breve e indecifrabile – poi un braccio che si infila sotto il suo e una sola parola, nitida nell'aria fredda dell'alba:
“Camminiamo.”
Oltrepassano le stalle e costeggiano l'armeria, per ritrovarsi alla base di quel sistema d'ascensione che tanto l'ha affascinata i primi giorni e che anche ora le fa rallentare il passo e torcere il collo per arrivare con lo sguardo fin lassù, dove ghiaccio e cielo diventano una cosa sola. Jon ricorda con esattezza, e il ricordo è uno dei più preziosi che possieda, la meraviglia dipinta sul suo volto e il bagliore nei suoi occhi nell'osservare per la prima volta il mondo dalla cima della Barriera – un attimo era lì, guardinga e taciturna, con le braccia allacciate davanti al petto in un istintivo gesto di protezione rispetto alla salita vertiginosa che stavano compiendo; e quello dopo era al suo fianco, di fronte alla fine e all'inizio di tutto, e nel rimodellarsi di quei lineamenti fino a poco prima di pietra Jon aveva scorto stupore, commozione, sollievo. Non una parola era uscita dalla sua bocca, ma Jon aveva capito che quello era tutto fuorché un silenzio doloroso – piuttosto, era lenitivo – e che entrambi avrebbero fatto tesoro di quegli istanti per sempre.
Di nuovo, gli sembra che tutto questo sia troppo – come se dopo aver visto la fine ed essere tornato indietro, aver perso più di quanto sia giusto ricordare e aver appreso la sconvolgente verità sulle proprie origini, qualcosa di così semplice come il camminare fianco a fianco e sentire la brina che scricchiola sotto le suole sia addirittura troppo semplice, troppo genuino per un mondo che è passato attraverso ogni possibile forma di rovina e corruzione.
“Jon.”
La sua voce lo strappa a quei pensieri, richiamandolo a se stesso. Solo allora si accorge che sono arrivati di fronte al cancello principale di Castle Black.
“Stai tentando di mandarmi via prima del tempo?” la interroga, leggero. Solo pochi mesi fa non avrebbe mai creduto che sarebbero venuti giorni in cui poter riutilizzare di nuovo certi toni – toni che gli lasciano in bocca il gusto agrodolce del passato, di un tempo in cui il freddo non uccideva e bastava camminare tra le foglie rosse del parco di Winterfell per tornare a sentirsi un tassello in armonia col disegno imperscrutabile del mondo.
Lei si ferma e gli scocca una di quelle sue occhiate enigmatiche, mentre si stringe di più nel mantello.
“Non è divertente. E per quanto lo odi, sai che ho un titolo che potrebbe costringerti a cambiare idea.”
Di nuovo, Jon è quasi preso alla sprovvista dalla sua caparbietà. Una di quelle cose che resisterebbero persino alla fine del mondo, probabilmente.
Scuote la testa, e percependola ancora sul piede di guerra, la precede.
“Arya.”
Il modo in cui la sua espressione cambia completamente ha dello stupefacente. Può vederla con chiarezza, mentre le sue labbra vanno a formare una piccola 'o' di sorpresa e la maschera di impassibile freddezza che indossa vacilla, frantumandosi infine in un sorriso minuscolo, quasi intimidito. Quasi non da lei.
“Che c'è, ora?”, non può fare a meno di chiederle. Un gesto impulsivo – in verità, non sono poi molte le cose che le ha chiesto da quando è tornata. Erano stati sempre troppo legati, troppo in sintonia, perché Jon non cogliesse da subito nei suoi occhi quell'ombra scura, in agitazione costante; e perché non capisse, dalla diffidenza quasi ferina con cui lei aveva esitato per settimane intere prima di permettergli anche solo di sfiorarla, che in quel cuore ancora così giovane si era depositata un’agonia profonda, una sofferenza troppo grande per tradursi in parole.
La guarda, e gli sembra più minuta e fragile che mai, così stretta nelle pellicce che indossa.
“Niente” mormora, rivolta quasi più al vento che a lui. Impiega così poco a riacquistare l'aria grave di prima che Jon potrebbe pensare di aver immaginato tutto, non fosse per quell'unico sussurro assorto che gli ha permesso di gettare un ulteriore sguardo oltre le crepe di un passato che lei, proprio come lui, ancora esita a rivangare. Dal poco che si è sentita pronta a rivelargli, e da quanto appreso dagli incubi che (sebbene più di rado) continuano ad avvelenarle il sonno, molto sembra avere a che fare con l'aver rischiato di perdere se stessa e il proprio nome fin quasi al punto dell'annullamento. È stato Needle a farmi ricordare, ha biascicato una volta in uno stato inquieto di dormiveglia che ora probabilmente non ricorda, sei stato tu.
“Arya” ripete, muovendo un passo verso di lei e prendendole il viso perché ricambi il suo sguardo. Sei Arya  Stark e niente e nessuno potrà più cambiarlo. Sei di nuovo tu, adesso, qui, con me, ed è solo per saperti al sicuro che partirò da solo, le dice in silenzio, scrutando quegli occhi così identici ai suoi – per lei eredità di un padre portatole via prima del tempo dall'ingiustizia e dalla brutalità dell'uomo, per lui di una promessa mantenuta e di una madre mai conosciuta.
Le scosta delicatamente i capelli dal viso e si sorprende, non per la prima volta, a constatare quanto sia stato naturale – inevitabile, quasi – passare dall'arruffarli scherzosamente ad indugiare su ogni ciocca strofinata tra pollice e indice, e quanto giorno dopo giorno gesti come quello diventino ancor più spontanei. La cosa gli riporta alla mente una lontana memoria dell'infanzia – Sansa e le ballate di dame e cavalieri che tanto amava da piccola, con tutto quel parlare di anime affini e unioni scritte nel destino. Assieme a Robb, Jon aveva riso di quelle definizioni così tante volte da perderne il conto, e l'asprezza della vita che aveva conosciuto in seguito non aveva fatto nulla per smentirlo – ma poi, in mezzo ai tumulti, alla guerra, alle perdite, lei era tornata. Arya, la sorella prediletta di un'esistenza addietro, l'amica e confidente di una vita, la sola persona che lo avesse sempre accettato e amato incondizionatamente.
Non ha mai creduto nelle anime gemelle, eppure crede in quella creatura fragile che è miracolosamente riuscita a non spezzarsi, in quella ragazza che è ormai quasi una donna e in cui risiede ancora, nonostante tutto, lo spirito tenace della bambina di un tempo.
“Jon”, risponde lei, un altro sussurro nel gelo dell’alba – ha le mani poggiate sui suoi avambracci, ora, e il mento sollevato verso il suo viso, e per qualche ragione non c'è bisogno che dica altro: perché sentirla pronunciare il proprio nome fa a Jon lo stesso effetto che probabilmente udire il suo ha fatto a lei.
Non Lord Comandante. Non Bastardo di Ned Stark. Non Snow. Non Targaryen. Solo Jon.
È questo, più di tutto, a fargli credere che le ferite del mondo potranno essere in qualche modo risanate – a farlo confidare in un futuro se non più umano, almeno più dignitoso del passato di fuoco e sangue che ancora non si sono lasciati del tutto alle spalle. È ciò che hanno, ciò che si evoluto da qualcosa che forse hanno sempre avuto, seppur in forme e in tempi diversi; è lei che porta Needle sempre appesa al fianco, malgrado da quando si sia stanziata a Castle Black abbia avuto modo di testare armi molto più consone alle sue abilità; sono quei sorrisi simili a crepe nel ghiaccio della sua anima, che giorno dopo giorno lo portano un passo più vicino a ricongiungersi completamente con lei; è l'Arya di una volta, che ancora palpita dietro quegli occhi induriti – che stendendosi al suo fianco nel cuore della notte allevia la sua spossatezza interiore e la sensazione di aver visto e tollerato troppo per poter andare avanti, e gli ricorda che è solo un giovane uomo di vent'anni, e non la creatura millenaria e stanca che tanto spesso gli sembra di essere.
I primi, pallidi raggi di sole trasformano il ghiaccio attorno ai loro piedi in rigagnoli d’acqua, mentre le labbra di Jon sfiorano prima la fronte di Arya – un gesto antico, collaudato, che sa di memorie d’infanzia e di duelli improvvisati nei cortili di Winterfell – e poi la linea serrata della sua bocca – e questo è nuovo, sebbene ormai quasi consueto, e seguito da un intervallo di giorno in giorno più breve in cui l’iniziale esitazione di lei si scioglie come la brina sotto i loro tacchi, e il suo respiro lieve gli scalda di rimando il viso.
“Porta i miei saluti a Sansa” è la richiesta che gli rivolge poco dopo, muovendo un passo indietro – le mani guantate ancora custodite tra le sue. Ed è in quell’istante, e nella naturalezza con cui la risposta gli affiora alle labbra, che Jon se ne convince davvero: perché sa che gli strascichi impietosi del passato li accompagneranno per il resto della vita, e che il sangue sulle loro mani non verrà mai lavato via del tutto – ma dopotutto, in un mondo così martoriato, esiste forse qualcuno che possa dirsi esente da qualunque colpa? E in ogni caso, lui ci crede: crede che i vecchi pezzi non potranno mai essere riuniti nella stessa disposizione di una volta, che le ceneri non torneranno pietra o carne, e che tuttavia ricostruire qualcosa di nuovo, e onesto, è possibile. Soprattutto insieme.
“Credo che ormai sia più opportuno parlare di Vostra Altezza” dice, e il modo in cui il suo stesso tono quasi si prende gioco di quell’appellativo lo riporta indietro di anni, quando Arya correva da lui, mortificata dopo l’ennesimo diverbio con la sorella, e assieme riuscivano a trovare questo o quell’altro motivo per riderci su, suggellando quasi sempre quei momenti di complicità con un giuramento e una risata: Non dirlo a Sansa!.
E se Arya adesso non ride – per quello, chissà, potrebbe non essere sufficiente tutto il tempo del mondo – Jon sa che anche lei ha capito, che ha colto quell’eco nella sua voce; lo vede nel luccichio che le ravviva gli occhi e nella piega che, a dispetto di tutto, trasforma la retta delle sue labbra in una curva accennata.
Un sorriso: nostalgia, tenerezza, forse rimpianto, e la conferma che sì, le loro vecchie vite sono un ricordo sigillato che non tornerà, e che malgrado ciò – oltre il dolore, l’ingiustizia e le verità ancora taciute – loro sono sempre gli stessi. Arya di Casa Stark, secondo le leggi degli uomini prima in linea di successione al Trono di Spade, che per lungo tempo ha perso se stessa e poi si è ritrovata; e Jon, ultimo discendente in vita della stirpe Targaryen, ma dopotutto sempre un Guardiano giurato alla Barriera. Sempre uno dei tanti figli senza radici a cui il nord ha fatto da madre – sempre uno Snow.
Nelle prime luci del mattino Arya sorride, e Jon sa già che, ancor più di quell’attesa primavera che sembra infine stare germogliando tutto attorno a loro, sarà il pensiero del suo sorriso a scaldarlo durante il lungo viaggio verso sud.























NdA: non starò qui a elencarvi i millemila motivi per cui questi due dovrebbero come minimo ritrovarsi sia nei libri che nella serie e poi possibilmente sposarsi e figliare a seguito della scoperta sulle vere origini di lui. Davvero, non lo farò: dirò solo che scoprire che il Panzone aveva inizialmente progettato di farli stare insieme ha riacceso la fiamma del mio amore incompreso per loro, portandomi a terminare questa cosina che avevo in sospeso nel pc da mesi. E quindi non solo vi beccate la ship unpopular, ma anche il mio primissimo lavoro in questo fandom. *ride* *trema*

Qualche piccola precisazione sui miei headcanon (più o meno esplicitati) in merito alla storia:

-    gli eventi, come avrete intuito, sono ambientati in un ipotetico finale del bookverse. Quello che dovrebbe essere ‘A Dream of Spring’, insomma;
-    Sansa è Regina dei Sette Regni (non chiedetemi come/al fianco di chi: lo è e basta); Jon è ancora il Lord Comandante dei Guardiani della Notte, e deve recarsi a King’s Landing per questioni politiche/burocratiche/whatever; Westeros è relativamente pacificata, ma qui e là ci sono ancora disordini – questo, unito al fatto che le condizioni di Arya non sono ancora del tutto stabili, lo porta a crederla più al sicuro a Castle Black;
-    dalla fine della guerra molte cose sono cambiate: tra queste, alcune delle leggi dei Guardiani. La presenza di donne alla Barriera non è più proibita – è per questo che Arya può vivere lì;
-    R+L=J, aka Jon è figlio di Rhaegar e Lyanna (e quindi cugino di Arya – QUINDI NIENTE INCESTO E ADDIO POSSIBILI SENSI DI COLPA); il riferimento ai pugnali e all’essere tornato indietro implica l’esser stato resuscitato da Melisandre; e il fatto che sia l’ultimo Targaryen rimasto implica un sonoro CIAONE a Daenerys/Aegon/gentaccia varia. *saluta quei pazzi esaltati e le loro lucertole volanti*
-    il finale è un omaggio a una delle mie parti preferite del primo libro, ma questa precisazione non serve a nulla, se non a sottolineare quanto mi piaccia autoinfliggermi feels assassini :D

E basta, ho parlato anche troppo. Nel caso in cui esista qualcun altro che ama questi due nel modo in cui li amo io, sarei felice di conoscerne il parere; e nel caso in cui non esista… beh, continuerò ad adorarli crogiolandomi nel mio status di particella di sodio dell’acqua Lete. O, nella peggiore delle ipotesi, mi preparerò a ricevere pomodori marci.

Alla prossima! ♥

Lou.

P.S. Il titolo in grassetto è un verso della bellissima ‘After the Storm’ dei Mumford & Sons, che non solo è appunto bellissima, ma imho anche paurosamente accurata per questi due e per gli Stark in generale. ♥


  
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