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Autore: Tigre Rossa    02/04/2015    1 recensioni
‘Tieni gli occhi fissi su di me.’
Fino alla morte, Sherlock.
Fino alla morte.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Dead eyes

 
 
 
“Tieni gli occhi fissi su di me. Fallo. Te lo chiedo per favore.”
 
“Fare cosa?”
 
“Questa chiamata è il mio biglietto. è così che le persone fanno, no? Lasciano un biglietto.”
 
“Lasciano un biglietto? Quando?”
 
“Addio, John.”
 
 
 
Quando mi sveglio urlando e mi ritrovo nel mio letto con le guance bagnate di lacrime, per un attimo mi illudo che si sia trattato solo di un sogno.
 
Ma poi basta un attimo per rendermi conto che non è così.
 
Con l’anima pesante, mi porto una mano a coprire gli occhi, mentre le immagini di quell’incubo che è diventato il mio tormento continuano a ripetersi davanti alle mie pupille impotenti e un nome, un semplice nome, sfugge dalle mie labbra come una supplica.
 
 
‘Sherlock . . .’
 
 
Sherlock.
 
Sono passati 345 giorni, 10 ore e 15 minuti da quando si è suicidato di fronte i miei occhi, lasciandosi cadere da quel maledetto tetto senza che io potessi fare nulla per impedirlo, eppure il dolore non è diminuito, anzi.
 
Sembra farsi più forte ad ogni respiro.
 
 
Devi andare avanti, mi dicono tutti.
 
Devi rifarti una vita.
 
Devi superare tutto questo.
 
Devi dimenticare.
 
 
Ma come posso andare avanti, se tutto quello che avevo è rimasto indietro?
 
Come posso rifarmi una vita, se non ho una ragione per viverla?
 
Come posso superare tutto questo, se la mia anima è ancora incatenata al passato?
 
Come posso dimenticare, se le immagini dei giorni passati che non torneranno mai più continuando a tormentarmi?
 
 
Ricordo tutto.
 
 
Ogni singola cosa.
 
Ricordo la sua figura slanciata ed elegante, il suo volto serio ed enigmatico, i suoi zigomi alti, i suoi riccioli ribelli, il suo collo lunghissimo, i suoi cappotti col collo eternamente alzato, la sua voce profonda capace di farmi tremare il cuore.
 
Ricordo i suoi ragionamenti straordinari, le sue deduzioni impeccabili, l’ironia che era propria del suo essere, l’orgoglio che non l’abbandonava mai, la testardaggine che tante volte mi aveva fatto sbattere la testa al muro, il coraggio incredibile che mi stupiva ogni volta, la sua passione per la caccia e l’adrenalina.
 
Ricordo gli spari nel bel mezzo della notte, lo smile color sole sul muro, le melodie del suo violino, i commenti pungenti sul mio blog, le sigarette nascoste, il teschio sul camino, le corse a rotta di collo, le cene ad ore improbabili da Angelo, i mille bisticci, le occhiate lanciate di sfuggita, le risate incontrollate, i casi spericolati, i sorrisi che ci illuminavano i volti, la sensazione di complicità, di protezione, di casa.
 
Ricordo i suoi occhi, di quel colore indefinito e senza nome, così incredibili da togliere il fiato, capaci di leggere dentro la mia anima come se fossero stati creati solo per questo, così pieni di emozioni che rischiavo di affogarci dentro, così pieni di mondo da farmi sentire al sicuro in ogni momento, così pieni di lui da farmi male e bene allo stesso tempo.
 
Ma ciò che ricordo meglio è quel giorno.
 
 
Quel maledetto giorno.
 
 
La sua voce rotta al telefono.
 
Lui in piedi sul tetto, lo sguardo fisso su di me.
 
La paura che mi aveva inchiodato al marciapiede.
 
Le sue parole, quelle parole strazianti che ancora rimbombano nella mia testa.
 
Il suo tono spaventato, urgente.
 
Il suo biglietto.
 
Il suo addio.
 
E poi, la sua caduta nel vuoto.
 
Il suo corpo che precipita sul terreno.
 
La mia corsa con l’anima in agonia verso di lui.
 
Il suo sangue che macchiava il marciapiede.
 
Il suo corpo accasciato, stretto nel gelido abbraccio della morte.
 
Il mio cuore che smette di battere quando non avverte più il suo, di battito.
 
Il vuoto che mi si apre nell’anima.
 
Il volto bianco macchiato di sangue, del suo sangue.
 
I suoi occhi morti che non avrebbero mai più visto il mio viso.
 
Sono loro a farmi più male di tutto il resto.
 
Quegli occhi morti.
 
 
Si, quegli occhi morti, senza vita, continuando a tormentarmi.
 
Quegli occhi morti, fissi nel vuoto, svuotati di tutto.
 
Quegli occhi morti, aperti sul mondo ma incapaci di vedere.
 
Quegli occhi morti, in cui era custodita la mia vita, ciechi e fissi nei miei.
 
 
Mi alzo lentamente, come un automa quale sono, mi guardo nello specchio, e quello che vedo non mi stupisce per niente.
 
L’uomo – si può ancora chiamare uomo una creatura col cuore bruciato?- che si riflette nella fredda superficie è un uomo morto, un fantasma, un riflesso che continua a mangiare, respirare, vivere per puro istinto di sopravvivenza.
 
Un uomo fatto di passato, di rimpianto, di dolore, che va avanti perché quel cuore, ferito ed agonizzante, si ostina a non voler morire, per quanto abbia smesso di battere.
 
Un uomo fatto di freddo, di addio, di morte, che aspetta solo il momento di ricongiungersi con colui che ha perduto.
 
Guardo nei miei occhi, e non mi stupisco di non vederci dentro nulla.
 
I miei occhi sono fissi nel vuoto, nel passato, freddi, insensibili, svuotati da tutto.
 
I suoi occhi morti sono diventati i miei.
 
 
‘Tieni gli occhi fissi su di me.’
 
Fino alla morte, Sherlock.
 
Fino alla morte.
  
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