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Autore: Sandra Prensky    06/04/2015    2 recensioni
"Aprí lentamente gli occhi. Il buio la circondava. Sbatté ripetutamente le palpebre. Provò a muoversi. Era più difficile di come pensasse. Le sue gambe erano intorpidite e sembravano di piombo. Cercò di muovere le braccia. Dall'ombra vide un luccichio provenire dal punto dove avrebbe dovuto esserci il suo braccio sinistro. Faticosamente spostó la mano destra in direzione del bagliore: il freddo del metallo la fece rabbrividire. Aveva sempre avuto un braccio di metallo?"
Fanfiction Steggy
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peggy Carter, Steve Rogers
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aprí lentamente gli occhi. Il buio la circondava. Sbatté ripetutamente le palpebre. Provò a muoversi. Era più difficile di come pensasse. Le sue gambe erano intorpidite e sembravano di piombo. Cercò di muovere le braccia. Dall'ombra vide un luccichio provenire dal punto dove avrebbe dovuto esserci il suo braccio sinistro. Faticosamente spostó la mano destra in direzione del bagliore: il freddo del metallo la fece rabbrividire. Aveva sempre avuto un braccio di metallo? Questa domanda le fece notare che non riusciva a ricordare niente del suo passato. Come si chiamava? Da dove veniva? Che ci faceva lí? Queste domande le vorticavano nella testa sorprendentemente vuota di ogni ricordo legato a una ipotetica vita precedente. Di colpo aprirono una porta davanti a lei, e solo allora si accorse di essere stata riuchiusa in una sorta di capsula dalle pareti ghiacciate. La luce proveniente dalla porta la accecò, ma riuscí comunque a distinguere due ombre che le si avvicinavano e la afferrarono dalle  braccia. Ancora incapace di vedere e comunque di poter opporre alcun tipo di resistenza, si lasció trascinare per diversi metri, fino a essere lasciata in piedi al centro si una stanza. Piano piano, sollevó le palpebre. Dovette aspettare qualche secondo prima che le macchie di luce scomparissero dalla sua vista. Si guardò intorno, confusa. Uomini in diverse divise giravano per la stanza, parlando tra loro in lingue a cui lei non riusciva ad attribuire un nome ma in qualche modo sapeva tradurre. Nessuno sembrava fare attenzione a lei. C'erano degli strani macchinari alle pareti. Vide uno specchio a una parete e ci si avvicinó. Stranamente, non ricordava nemmeno il suo stesso aspetto fisico. Si squadrò un secondo allo specchio. Aveva i capelli e gli occhi castani. Non era molto alta, però senza considerare l'aria smarrita e il viso eccessivamente pallido era abbastanza carina. Esaminó il proprio viso qualche secondo, come a cercare di convincersi che fosse il proprio. Abbassò lo sguardo sul suo braccio sinistro: ora lo poteva vedeva distintamente. Il metallo grigio andava dalla spalla fino alla mano. Poco sotto la spalla vi era incisa una stella rossa. Provò a muovere il braccio e la mano: riusciva a fare perfettamente ogni movimento. Ancora confusa, si guardò intorno. Parlavano sottovoce, ma riuscì a sentire parole come “HYDRA”, “esperimento”, “Rogers” o “caduta dello SHIELD”. Non riusciva a dare un significato a nessuna di queste. All'improvviso dietro di lei comparve un uomo. Si girò di scatto, sulla difensiva. Lo quadrò con attenzione. Era abbastanza alto. Le sue rughe tradivano un'età avanzata, anche se da come si atteggiava sembrava non sentire la settantina d'anni che probabilmente aveva, e i capelli ancora praticamente biondi aiutavano quell'impressione. Lo vide che la squadrava con i suoi gelidi occhi azzurri. Lei non sapeva cosa fare. Finalmente l'uomo le sorrise e le disse “Salve. Non ti ricorderai di me, ma sono Alexander Pierce, capo dell'HYDRA. Abbiamo un lavoro per te.”

 

Con il fucile puntato, aspettava. La maschera che le avevano dato le copriva tutta la faccia, però avevano ragione, con quella si vedeva meglio. Ecco, quello doveva essere il momento. Gli altri agenti che poteva vedere stavano correndo verso un'automobile al centro della strada. Lei iniziò a dirigersi verso il veicolo, pronta a saltarci sopra. Le era stato ordinato di uccidere un uomo di nome Sitwell e rapire chiunque fosse con lui. Non sapeva chi fossero le sue future vittime né perché avrebbe dovuto eseguire gli ordini di Pierce, sapeva solo di doverlo fare. Saltò sul tetto dell'auto. Con il braccio metallico riuscì a sradicare la portiera, afferrare quello che doveva essere Sitwell e gettarlo in mezzo alla strada, alla mercé di un tir che stava passando in quel momento. Dentro al mezzo scorse altre tre persone. Ritornò sul tetto e lo perforò, riuscendo a raggiungere il volante, tranciandolo di netto dall'auto. In qualche modo i tre riuscirono a lanciarsi fuori dal veicolo, usando la portiera come scudo contro l'asfalto. A circa 200 metri da lei, si fermarono e si alzarono in piedi. Ora li poteva vedere bene. Uno era un ragazzo abbastanza alto, con la pelle nera. Un'altra era una ragazza mingherlina, con i capelli rossi. E il terzo... un ragazzo biondo e alto, con un aria lontanamente familiare. Scosse la testa. Probabilmente era solo lo stesso ragazzo che aveva incontrato quando era dovuta andare a uccidere Fury, non c'era modo che lo conoscesse per altri motivi. Vide i tre calarsi dal ponte e iniziare a correre in direzioni diverse. I due uomini erano seguiti da altri agenti, quindi lei afferrò il suo fucile e iniziò a inseguire la ragazza dai capelli rossi. Era veloce. La sentì urlare ai passanti di andarsene. Perché avrebbe dovuto rapirla? Cosa aveva fatto di tanto male? “Fallo e basta”, si sentì ordinare da una voce nella sua testa. Sentì la voce della ragazza e la inseguì. Capì il trucco nello stesso momento in cui se la sentì arrivare addosso. Si maledisse mentalmente e si ricordò di non sottovalutarla. La ragazza era molto più veloce e agile nei movimenti di lei, ma lei era più forte. Riuscì a scaraventarla contro un'auto, e le sparò. Nel momento in cui premette il grilletto però si sentì tirare all'indietro, e il proiettile colpì solo la spalla della ragazza, che cadde a terra. Si girò di scatto e si ritrovò faccia a faccia con il ragazzo biondo. Come era arrivato fin lì? Gli altri agenti avrebbero dovuto fermarlo. Di nuovo ebbe l'impressione di averlo già visto. La scacciò e iniziò ad attaccarlo. Lui tirò fuori uno scudo e iniziò a parare colpi con quello. All'improvviso il ricordo di un aereo che precipita le saltò alla mente. Cercò di scacciarlo e continuò a combattere. Un altro ricordo, un campo di addestramento militare. Disperatamente cercò di bloccare tutti i ricordi e di concentrarsi nella lotta contro il ragazzo, ma invano. Continuavano a riaffiorare. Un ragazzo simile al biondo, solo molto più piccolo e magro che si buttava sopra una granata. Un uomo che pilotava un aereo e parlava di fondue. Uno squadrone di soldati malridotti che veniva accolto in un campo. Un bacio, ma non riusciva a mettere a fuoco con chi. Nel frattempo, il ragazzo fece per tirarle un pugno, lei lo evitò giusto in tempo, però la maschera le cadde a terra. Alzò lo sguardo su di lui, faticando per scacciare tutti i ricordi. Vide lo sguardo del ragazzo trasformarsi in un'espressione a metà tra la sorpresa e il dolore. Cosa c'era di strano, non aveva mai visto una ragazza combattere? Lei lo squadrò a sua volta, indecisa se attaccare o no. Lui però rimase fermo a fissarla, fino a quando disse, quasi a bassa voce “Peggy?”. Lei esitò. Stava parlando davvero con lei? “Chi diavolo è Peggy?” fu tutto ciò che riuscì a dire prima che la ragazza con i capelli rossi si alzasse finalmente da terra e cercasse di spararle. Lei evitò il colpo, e con un'ultima occhiata al ragazzo sparì sul tetto di una casa, lasciando posto agli altri agenti HYDRA. Dal tetto riusciva ancora a vedere il ragazzo. Sembrava come impazzito. Non pareva accorgersi degli agenti che intorno a lui gli intimavano di fermarsi, non pareva accorgersi della ragazza con i capelli rossi che, mentre si reggeva la spalla ferita, cercava di parlargli e calmarlo, non pareva accorgersi dell'altro suo compagno che tentava invano di fermarlo. Continuava solo a correre in circolo, guardando ossessivamente intorno, senza smettere di ripetere quel nome, Peggy. Dopo un po', gli agenti lo bloccarono a terra e caricarono i tre su un camion. Sapeva cosa sarebbe successo di lì a breve. Una parte di lei le diceva che avrebbe dovuto fermarli, che non poteva permettere che uccidessero il ragazzo biondo. Tutto ciò che fece, però, fu alzarsi e ritornare alla base per fare rapporto.

 

“Sta arrivando sulla terza nave”, si sentì dire. Non si prese nemmeno la briga di rispondere. Si mise davanti al centro di controllo, cercando di prepararsi a vederlo di nuovo. Sentì dire che le prime due navi erano fuori gioco, lei doveva assolutamente proteggere la terza, o il piano dell'HYDRA sarebbe fallito. Di colpo, si girò e lo vide davanti a lei. “Peggy... Ti prego. Non deve finire così. Torna da noi. Torna da me.”. Per tutta risposta, lei lo attaccò. Lui scansava i colpi, senza attaccarla davvero. Cercava solo di arrivare al controllo della nave e sostituire il chip. Lei glielo fece cadere. Lui scese a prenderlo, lei lo seguì. Non voleva davvero fargli del male, ma lui era la sua missione, doveva. O forse no? Ebbe un secondo di esitazione. In quel secondo il ragazzo riuscì a bloccarla per terra, e con uno strano oggetto con il simbolo di un'aquila sopra la immobilizzò al pavimento. La guardò un secondo. “Scusami, Peggy”. Si alzò e andò a sostituire il chip. Da lì fu il finimondo. Proiettili dalle altre navi uscivano da ogni parte. Vide il ragazzo prenderne uno nel fianco, ma sembrava che lui nemmeno se ne fosse accorto. Stava correndo disperatamente verso di lei. La liberò, e lei ne approfittò per sbatterlo a terra. “Peggy. Ti prego. Lo so che ti ricordi di me”. Per tutta risposta lei gli tirò un pugno. “Ti chiami Margaret Carter. Tutti ti chiamano Peggy. Addestravi le reclute quando sono arrivato”. Altro pugno. “Abbiamo svolto delle missioni insieme. Con Howard Stark. Con gli Howling Commandos. Abbiamo perso il mio migliore amico, Bucky. Sei venuta tu a consolarmi. Ti piace ballare, avevamo un appuntamento tu e io, ricordi?”. Lei urlò “BASTA!” e continuò a tirargli pugni a raffica, cercando di scacciare i ricordi che riaffioravano e la colpivano con l'intensità di uno schiaffo. Perché quel ragazzo aveva ragione, lei lo sapeva ormai. Non si stava inventando niente. Gli tirò pugni finchè la faccia del ragazzo non diventò livida, fino a quando aveva forza per farlo. “Tu... Sei la mia missione.” fu tutto quello che riuscì a dirgli. “E allora concludila. Sappi solo che non sarai sola.” fu la risposta del ragazzo, che svenne subito dopo. La nave crollava sopra di lei, ma non aveva più nessuna importanza. Ora ricordava tutto. Le lacrime iniziarono silenziose a scenderle sulle guance. Con la mano normale accarezzò il viso di Steve. “Che cosa ti ho fatto...” sussurrò più a se stessa che non a lui. Solo allora sembrò accorgersi che la nave si stava sfracellando su di loro. Prese il corpo esanime di Steve e saltò giù, sperando di atterrare in acqua. L'impatto fu pesante, ma la sollevò pensare che facendo scudo con il suo corpo lo avrebbe sentito solo lei. Trascinò Steve fino a riva e si buttò supina sulla spiaggia, di fianco a lui. Dopo minuti che le parvero interminabili, lui aprì gli occhi. Si girò a guardarla e sorrise. “Bentornata. Spero che tu ora possa scusarmi per il ritardo al ballo”. Lei vide la ragazza con i capelli rossi in lontananza, che cercava Steve. Tornò a rivolgere lo sguardo su di lui. Avvicinò il viso al suo e lo baciò, come solo una ragazza che non vede il fidanzato da settant'anni potrebbe fare. Si alzò in silenzio. “Per questa volta ti perdono, Rogers. Venerdì alle otto, il posto lo sai. Non ti azzardare a fare tardi.” Si girò e sparì, con un sorriso stampato sul volto.

   
 
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