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Autore: Yvaine0    10/04/2015    2 recensioni
– A volte mi chiedo se abbia mai amato qualcuno – buttò lì Harry senza alcun preavviso, segno che nonostante la diversità i loro pensieri , le loro menti stavano percorrendo gli stessi sentieri.
– Louis ama tutti – rispose Zena; – almeno per i primi dieci minuti di conoscenza.
Harry aggrottò le sopracciglia in un'espressione sconcertata, Zena sogghignò incontrando il suo sguardo e insieme risero di un misto di complicità e amarezza.

fem!Zayn
2^ classificata al contest ‪#‎shadowsoflove‬ di lilac j.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender, Triangolo
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Disillusi
 
 
« Shadows come with the pain that you're running from,
love was something you've never heard enough »
 
 
 
– Che cosa ti ha fatto?
Era passato tanto tempo dall'ultima volta in cui Harry si era approcciato a quelle conversazioni come se non sapesse fin dal principio che la colpa andava a Louis; lo conosceva abbastanza bene da sapere che se qualcuno aveva combinato un casino, quello era lui. Lo sapeva perché Harry era sempre stato lì, testimone di tutte le sue scelte sbagliate: avevano camminato spalla a spalla attraverso ognuno dei suoi errori, lo aveva aiutato a cercare soluzioni pur sapendo che le avrebbe mandate in fumo, aveva sospirato e accettato in silenzio giorno dopo giorno il suo rifiuto nei confronti del mondo. Dopo tredici anni di amicizia, per quanto l'altra persona sia convinta del contrario, si inizia a conoscere i limiti dell'altro, i difetti, gli spigoli e a dirsi che va bene lo stesso, anche quando, dopo l'ennesimo schiaffo, si ha voglia di andarsene e non tornare più.
Le prime volte, quando le ragazze di Louis correvano a piangere da lui alla ricerca di spiegazioni a comportamenti che proprio non riuscivano a decifrare, Harry era pronto a difendere il suo amico da qualunque accusa, sguainando la spada della fratellanza anche di fronte all'evidenza di uno sbaglio. Col tempo però si era rassegnato; cercare di giustificarlo non serviva niente, Louis era fatto così: se poteva rovinare ciò che aveva, era sicuro che presto o tardi l'avrebbe fatto. Harry l'aveva visto buttare via tutto: era lì quando dopo aver ripetuto una volta e quasi concluso l'ultimo anno di superiori aveva lasciato la scuola, era lì quando si era fatto cacciare dalla squadra di calcio; era al suo fianco quando suo padre se ne era andato di casa ed era rimasto seduto sul sedile del passeggero mentre il suo migliore amico guidava l'auto della madre contro quella del suo ex marito; gli aveva dato una pacca sulla spalla ogni volta che si era fatto licenziare e ogni volta che aveva scaricato una ragazza. Harry era lì quando Louis aveva sibilato ad Hannah di portare la sua ambizione lontano da lui e anche quando aveva fatto a botte con Stan per essere uscito con lei, nonostante non stessero più insieme; era lì quando Eleanor se ne era andata in lacrime, offesa dall'ennesimo commento tagliente dovuto a nient'altro che alla sua indisposizione nei confronti del mondo.
Era sempre stato lì Harry, mentre Louis rovinava ciò che aveva costruito: all'inizio voleva a tutti i costi farlo ragionare, salvarlo dall'autodistruzione, ma piano piano aveva capito che era del tutto inutile. Non ci sarebbero state parole in grado di fargli cambiare atteggiamento; Louis Tomlinson affrontava il mondo con uno sguardo di sfida, come a voler costantemente dimostrare che lui alle sue regole non ci si sarebbe attenuto, perché in vita sua aveva imparato fin troppo presto che era tutto inutile. Una cosa bisognava riconoscerla: Louis era sveglio, più sveglio di tutte le persone che Harry aveva conosciuto in vita sua – e Harry, che era caratterialmente l'esatto opposto di Louis, di persone aveva avuto modo di conoscerne tantissime. Semplicemente non appena l'eccitazione della novità di smorzava, non trovava più alcun motivo per portare avanti ciò che aveva iniziato, e allora si auto-sabotava.
In vita sua Louis aveva fatto tantissime cose, ma non ne aveva mai portata a termine una. La scuola aveva cominciato a stargli stretta fin da subito, come ad ogni bambino vivace. La squadra di pallone era stato un ottimo passatempo finché sottraeva il suo tempo allo studio, ma dal momento in cui non ebbe più altro a cui pensare gli sforzi per ottenere soddisfazioni divennero troppo intensi per valerne la pena, quindi lui smise di impegnarsi e l'allenatore di convocarlo per le partite – di lì a poco, mise il punto ad una nuova fase della sua vita. Aveva cercato un lavoro: al bar si era divertito finché era riuscito a rimorchiare una ragazza a notte, ma quando era arrivata Eleanor e con lei la monogamia, anche quel divertimento era sparito, affogato nella monotonia. Lei era riuscita a mantenere il proprio posto per qualche mese, poi Louis, stanco della routine che avevano costruito, le aveva detto chiaro e tondo che per lui non ne valeva più la pena, nonostante sapessero tutti e due – e tre, perché Harry c'era – che la verità era un'altra: lui non sapeva prendere le cose sul serio. Il passo successivo era stato provare a dare lezioni di piano, ma la sua scarsa pazienza poco si intonava con l'insegnare, dunque finiva per suonare al posto dei ragazzini fino a che le madri non lo scoprivano e smettevano di pagarlo. A sentir lui, be', non era colpa sua, almeno ci aveva provato.
Poi era arrivata Zena. I loro occhi si erano trovati per caso al pub; lei se ne stava seduta a gambe accavallate su un angolo del biliardo, nella penombra, le labbra carnose strette l'una contro l'altra, mentre reggeva una bottiglia birra tra le dita lunghe e magre. Louis aveva sfidato il suo sguardo a lungo e lei, per nulla impressionata dall'arroganza di quelle iridi chiare, l'aveva sostenuto. Mentre Louis si avvicinava, si era passata una mano tra i lunghi capelli corvini e li aveva spostati su una spalla, mettendo in mostra l'intreccio di fiori e parole arabe che le decoravano la pelle lasciata scoperta dalla canottiera rossa. Lo aveva guardato in silenzio, senza sorridere o arrossire, come se non si fosse aspettata niente di diverso da lui, nonostante non si fossero mai visti prima. A Louis quel distacco non era dispiaciuto nemmeno un po': per la prima volta in vita sua si trovava di fronte qualcuno che apparteneva alla sua stessa specie. Si erano scambiati sguardi identici, si erano studiati in silenzio per un po', lei bevendo birra e lui sogghignando con l'unico intento di innervosirla – ma a vuoto; poi lui le aveva fatto l'occhiolino: – Ho come l'impressione che io e te andremo d'accordo – le aveva detto. E anche se ancora non poteva saperlo, aveva avuto allo stesso tempo ragione e torto da vendere.
Harry c'era anche quella sera al pub, ma era così ubriaco da non essersi accorto di nulla, nemmeno di essere tornato a casa senza il suo migliore amico – al quale, tra l'altro, toccava guidare quella sera.
Aveva però avuto modo di conoscere Zena qualche giorno dopo, quando si era presentata a casa sua, dove Louis si era trasferito – “È una soluzione temporanea, tranquillo!” – dopo essere stato sfrattato. Seduto al tavolo della cucina li aveva studiati, mentre li intratteneva con le proprie chiacchiere, e non aveva potuto che pensare al fatto che fossero diametralmente opposti, eppure identici: perfettamente complementari. Lo si intuiva dai loro sguardi sempre attenti eppure sfuggenti, dai silenzi prolungati, dalla sincronia con cui si muovevano per sfuggire al mondo circostante. Per un momento Harry aveva sperato che fosse la volta buona, che finalmente avrebbe potuto vedere il suo amico felice, eppure...
Eppure ora Harry era in un bar di periferia, Zena era raggomitolata dentro un maglione rosso troppo grande per lei, la spalla destra che come sempre sfuggiva all'abbraccio della lana mostrando al mondo quel messaggio in una lingua sconosciuta, come a dimostrare che, ehi, la verità sul suo conto era lì, a portata di mano, erano le persone a non saperla leggere. Harry si chiese se Louis non l'avesse letta, ma avesse preferito ignorarla.
– Niente; avevo voglia di compagnia.
Questo disse Zena, ma i suoi occhi arrossati e la mano nodosa che stringeva ossessivamente il manico della tazza di tè raccontavano una storia diversa.
Un vizio che forse ad Harry non sarebbe mai passato era quello di tentare di salvare le cause perse; era sempre stato lui a inseguire le ragazze di Louis nel tentativo di ricucire quei rapporti che il suo amico da solo non aveva la pazienza di rammendare. Un vizio che forse ad Harry non sarebbe mai passato, a pensarci meglio, era quello di vedere del buono in Louis.
Quindi eccolo qui, ancora una volta, a ordinare un cappuccino e un muffin da dividere con Zena, mentre già cercava una spiegazione alle azioni che non avrebbe saputo motivare del tutto. I comportamenti di Louis spesso e volentieri erano ingiustificabili, per quanto ci provasse; era una fortuna che Zena non si aspettasse da lui niente del genere: lo contattava dopo un brutto litigio per sentire quel calore che il suo ragazzo non era in grado di darle, per riacquistare il proprio equilibrio dopo che l'altro lo aveva distrutto.
Era una persona profondamente equilibrata Zena; tutto nella sua persona esprimeva contegno e tranquillità, assieme, di certo, ad una carica erotica che a nessuno passava inosservata. Chiunque si fosse trovato seduto accanto a lei non poteva non aver percepito una fortissima attrazione nei suoi confronti, così forte e inspiegabile da rimanerne storditi. Il suo corpo non rispondeva ai normali canoni di bellezza: era magra, magrissima, col seno piatto e le ossa sporgenti, come testimoniava quella spalla sempre esposta alle intemperie; era alta e lenta nei movimenti, ma non goffa. Sul suo viso, così perfettamente simmetrico, gli occhi nocciola dalle lunghe e folte ciglia scure erano ciò che, forse, incantavano di più gli osservatori: il suo sguardo criptico affascinava e stregava, ma mai si accendeva d'emozione per una persona qualunque – e forse era proprio questo ad incuriosire la gente. Zena era bella in maniera diversa dalle altre ragazze; era bella perché il suo sguardo ti scrutava dentro e ti sconquassava da capo a piedi, senza che tu potessi farci niente né illuderti di fare altrettanto. Zena sembrava del tutto intangibile – ma non lo era.
Sembrava intangibile anche mentre narrava mansueta il momento in cui il suo ragazzo le aveva sbattuto la porta in faccia – “Cosa pretendi da me, eh?” – appena un paio d'ore prima, per nessun apparente motivo. Sembrava distaccata mentre con le mani leggermente troppo grandi spezzettava sul tovagliolo la metà del suo muffin in briciole sempre più piccole, che non aveva intenzione di mangiare. Sembrava pericolosamente distante anche mentre il suo sguardo si accendeva di una sorda rabbia, e allora si ritirava in uno stizzito silenzio, in attesa che fosse Harry a dire qualcosa, perché lei di parole non ne aveva più.
Normalmente Harry avrebbe fatto domande, cercato di spiegare, ma non poté dire altro che: – Mi dispiace – come se la responsabilità dell'accaduto fosse sua.
Zena curvò appena le labbra in un sorriso beffardo, lo sguardo basso sulle briciole. C'era lei, in quei frammenti, stracciata pezzo per pezzo da una persona che l'amore non l'aveva mai capito, per quanto gli fosse stato ripetuto in mille definizioni diverse ma equivalenti; da qualcuno che conosceva il suo sapore ma lo sprecava per vendicarsi di ferite che non la riguardavano, in un perenne processo di lenta autodistruzione.
Harry la guardava, mormorava parole di conforto e scuse di cui nessuno dei due si stava curando; tra sé si chiedeva che cosa potesse pensare quella ragazza, cosa la spingesse a rimanere al fianco di Louis nonostante le continue ferite che ricavava da quella relazione, in gran numero maggiori rispetto alle carezze e ai sorrisi. Da un lato non riusciva a non esserle grato per non aver mollato, dall'altro provava quella silenziosa frustrazione che per anni aveva accompagnato la sua amicizia con Louis: la sensazione del veder qualcuno rovinarsi con le proprie mani, per proprio consapevole desiderio, e non poter far niente per evitarlo. Si sentiva impotente e incapace si rassegnarsi.
Lentamente, con delicatezza, sfiorò con la punta delle dita il dorso della mano di Zena per interrompere la lenta tortura inferta al muffin.
– Usciamo a fare due passi?
Gli occhi della ragazza incontrarono i suoi e li scrutarono per qualche istante, prima di spostarsi altrove; annuì e senza una parola di più indossò la giacca di pelle, passando poi ad avvolgersi con movimenti lenti e sinuosi la sciarpa attorno al collo sottile. Harry dovette sforzarsi per distogliere lo sguardo e rivestirsi a sua volta, senza riuscire ad ignorare la sensazione di vergogna che sempre lo attanagliava quando si sorprendeva sopraffatto dall'attrazione – era un uomo, era sensibile al fascino di Zena, ma era prima di tutto un buon amico. Bevve in fretta l'ultima sorsata di cappuccino, prima di abbandonare il tavolo e pagare per entrambi – cosa a cui Zena, persa nei propri pensieri, non si oppose.
E poi uscirono in strada, accolti da un soffio di vento gelido e da un tuono in lontananza. Lei rabbrividì, ma senza stringersi in sé stessa alla ricerca di calore; lui le si fece più vicino con discrezione, sperando che bastasse a scaldarla almeno un po'.
Si diressero in una direzione qualunque, senza parlare; la gente che li oltrepassava lanciava loro occhiate confuse, stranita dall'estrema diversità ed eccentricità di quell'accoppiata: Zena coi jeans chiari troppo larghi e quel giacchetto di pelle bordeaux e la sciarpa blu che facevano tutti a pugni tra loro, i capelli corvini al vento e lo sguardo perso nel vuoto; Harry nel cappotto lungo, con il cappello a falda larga nera a dargli un'aria d'altri tempi, gli occhi che si cibavano famelici di ogni piccolo scorcio della città. Non parlavano più, camminavano l'uno al fianco dell'altro, le braccia distese lungo i fianchi, i gomiti che ogni tanto di sfioravano.
– A volte mi chiedo se abbia mai amato qualcuno – buttò lì Harry senza alcun preavviso, segno che nonostante la diversità i loro pensieri , le loro menti stavano percorrendo gli stessi sentieri.
– Lui ama tutti – rispose Zena; – almeno per i primi dieci minuti di conoscenza.
Harry aggrottò le sopracciglia in un'espressione sconcertata, Zena sogghignò incontrando il suo sguardo e insieme risero di un misto di complicità e amarezza.
Non avrebbe mai creduto Harry che qualcuno potesse entrare così tanto in sintonia con Louis, che in poco tempo quella ragazza sarebbe riuscita a conoscere il suo migliore amico quanto lui, che ci era cresciuto insieme. Zena lo capiva; interpretava i suoi comportamenti, conosceva le sue paure, le sue debolezze, i suoi punti di forza. Lo aveva esplorato da cima a fondo, scoprendo ogni più piccolo antro della sua personalità, forse anche più di quanto Harry avrebbe potuto fare in tutta una vita. Eppure, non meno di chiunque altro, non sapeva come gestirlo. Nessuno era in grado di gestire Louis, prima di tutti lui stesso.
– È incredibile, – Harry scosse il capo, l'ombra della risata ancora sulle labbra.
Zena sorrise in quel modo tipico degli innamorati, con lo sguardo luminoso e basso per non condividere quell'emozione con nessuno. – Lo è. Ma è uno stronzo.
– Lo è, – il ragazzo sospirò. – Vorrei poterlo aiutare. – “E poterti aiutare” avrebbe voluto dire, ma lo tenne per sé; Zena era una persona indipendente, non meno di Louis, e nessuno di loro due riusciva ad accettare l'aiuto di qualcun altro. Nascondevano il senso di bisogno dietro al distacco, all'ironia, all'arroganza.
Zena non rispose a quelle parole. In cuor suo era convinta che Louis non avesse alcun bisogno di essere aiutato: se solo avesse voluto interrompere il suo lento decadimento ci sarebbe riuscito senza alcun problema, era tutta questione di fargli cambiare idea. Lei, dal canto proprio, non aveva mai avuto la pretesa di salvarlo, la sindrome della crocerossina non era qualcosa a cui era avvezza.
Si era lasciata avvicinare da lui per abitudine la prima sera, conscia che l'unico tipo di contatto che i ragazzi volevano con lei era di tipo fisico e abituata all'idea di non poter aspirare a niente di più; era rimasta al suo fianco, invece, quando aveva capito quanto fossero affini i loro comportamenti opposti. Lei fuggiva dal mondo nei propri silenzi, si nascondeva dai giudizi altrui mostrando alle persone ciò che si aspettavano, mentre Louis non chiudeva mai la bocca, anche se non aveva nulla da dire, e faceva tutto il contrario di ciò che ci si attendeva per dimostrare a tutti che avevano torto; Zena aveva rinunciato alla speranza di trovare l'amore, Louis semplicemente non ci credeva più e in entrambi i casi i loro comportamenti si riassumevano con una sola parola: disillusione. Va da sé che una coppia di disillusi sia praticamente perfetta, no?
Zena non si aspettava nulla di diverso da Louis dei suoi alti e bassi; accettava i suoi sbalzi d'umore e il suo sarcasmo come i baci sul collo e i sorrisi complici. Non passivamente, certo: era entrata abbastanza in confidenza da rispondergli a tono e rinfacciargli le crudeltà gratuite non diversamente da come lui sottolineava ogni suo difetto. Era un continuo scontro verbale tra loro, non smettevano mai di sfidarsi, entrambi troppo orgogliosi per riconoscere di essersi affezionati e ammettere una sconfitta.
Eppure in certi momenti le mancava la tenerezza a cui Louis era poco incline; le mancavano gli abbracci dati senza motivo, le scuse, i baci sulla fronte, tra i capelli, sul naso. Le mancava sentirsi dire che la amava, ma era disposta a non sentirselo dire mai, purché lui lo dimostrasse. E tutto quello che le mancava, se ne accorgeva non senza un briciolo di malinconia, le veniva donato da Harry. Come se fosse l'altro lato della stessa medaglia, era Harry a rassicurarla nel momento del bisogno, era lui ad abbracciarla dal nulla, a farla ridere, a farle il solletico – o a provarci, nonostante lei non lo soffrisse –, a riempirla di “ti voglio bene” e sorrisi dolci, mai maliziosi se non per gioco. Era lui a soccorrerla quando aveva bisogno di aiuto, era lui a volerla anche senza che nel loro rapporto ci fosse nulla di fisico.
Non che Zena non notasse il suo sguardo perlustrarle il corpo quando vestiva abiti succinti; percepiva il calore delle sue occhiate, si accorgeva dalla naturale attrazione che lo spingeva verso di lei, ma apprezzava con tutta se stessa il suo mantenersi a distanza per rispetto e per sincera amicizia – per Louis, sì, ma anche per lei. Poche volte Zena era stata approcciata da un ragazzo che non volesse entrarle nelle mutandine e nel tempo si era abituata a quella tendenza tanto da non aspettarsi più altro da chi la circondava. Non era mai stata compresa da nessuno, checché ricordasse: nessuno sembrava disposto a condividere le sue paure, ad ascoltarla, ad accettare i suoi silenzi senza forzarli con discorsi di circostanza. Nessuno a parte Harry e Louis, che capiva tutto ma fingeva il contrario.
Mentre camminavano lungo una strada che solo lei conosceva, lui si guardava attorno e le raccontava, per distrarla dai propri pensieri, del ragazzo che quella mattina a lezione gli aveva chiesto uscire per un caffè; lui aveva accettato, ma solo in un secondo momento gli era venuto il dubbio che forse le intenzioni dell'altro non fossero puramente amichevoli.
– Niente contro gli omosessuali, lo sai, ma perché il loro gay radar con me fa sempre cilecca?
Zena rise piano e interruppe la marcia, appoggiando la schiena contro il cancello arrugginito di un vecchio condominio lungo il marciapiede. – Perché sei troppo perfetto per essere vero, Harry. Oppure etero – disse con un sorrisetto, guardandolo di sottecchi.
– Sono solo educato – replicò lui, arrossendo un po'. Si guardò attorno per qualche istante, poi, quando capì che Zena non aveva alcuna intenzione di riprendere a camminare le rivolse un'occhiata interrogativa. – Dove siamo?
Erano a casa sua, dove poche persone, a parte Louis, erano mai state portate. Viveva in un minuscolo bilocale ad un prezzo stracciato Zena, riusciva a pagare l'affitto irrisorio dando lezioni di canto, mentre spendeva lo stipendio da cameriera per la retta della scuola d'arte. Seduto sul vecchio divano dall'asse sfondato, Harry si guardava attorno e pensava a quanto il talento di quella ragazza fosse percepibile in ogni oggetto in quella stanza; un po' per via delle impronte di tempera e inchiostro su ogni superficie, un po' per il disordine e i colori di quel luogo, un po' perché la sua stessa persona, ad un occhio libero da pregiudizi, gridava “artista” fin dal primo sguardo. Sorrise, mentre lei si affaccendava per nascondere tutti gli schizzi incompiuti di cui il tavolino era ingombro.
– Scusa il disordine, non viene mai nessuno qua – disse, nonostante la sua vera preoccupazione fosse che qualcuno vedesse il lavoro incompleto invece dell'opera conclusa.
– Non c'è problema. Canti?
– A volte.
– E frequenti la scuola d'arte.
– Sì, be'... se devo buttare via tempo e denaro studiando, almeno voglio che sia qualcosa che amo.
Harry sorrise e annuì. Era così tipico: la disillusione sopra ogni cosa la guidava nella vita, ma al contempo non rinunciava all'idea di coltivare le sue passioni. Valeva lo stesso per la sua relazione con Louis: magari non era in grado di amarla, un po' come tutti gli altri, ma lei per lo meno sapeva di poter amare qualcuno come lui, nonostante tutto.
Questa era anche la filosofia di vita di Harry, con la sostanziale differenza che lui invece non smetteva mai di avere fiducia nel futuro e nelle persone: si aspettava sempre il meglio, da tutti; non importava quante delusioni ottenesse in cambio, niente gli avrebbe mai impedito di continuare a sperarci e a fare del proprio meglio.
Si chiese se Louis avesse mai visto i suoi quadri, se l'avesse mai sentita cantare o se si fosse accontentato di lasciar scorrere lo sguardo sulle ditate di tempera sui mobili; se le avesse mai chiesto cosa significassero le parole in arabo stampate sulla pelle, se avesse mai suonato per lei.
– I tuoi tatuaggi...?
– Sì.
– Cosa?
– Li ho disegnati io.
– Ne voglio uno.
Zena, per la prima volta da che Harry la conosceva, arrossì. Nascose un sorriso timido dietro una mano, poi prese ad armeggiare coi capelli fino ad incastrarli sulla testa con un pennello incrostato di pittura. – Cosa ti piacerebbe?
– Quello che vuoi.
Nessuna esitazione, nessuna protesta: Zena accolse al volo e con un sorriso di quelli tipici suoi, con la lingua tra i denti, quella folle richiesta. Si sedette sul pavimento senza una parola di più e – Parlami di te – gli chiese, una matita, emersa dalla mole di fogli sul tavolino, già stretta le dita nodose.
E Harry parlò. Iniziò con un po' di impaccio presentandosi, poi, tra una sciocchezza e una risata, le raccontò del solido legame che lo connetteva a sua sorella, a sua madre; finì come sempre a parlare di Louis, di tutte le avventure vissute insieme, della frustrazione che gli trasmetteva la sua tendenza all'autodistruzione. Ammise paure, confessò desideri, rimpianti, progetti futuri. Parlò a ruota libera a lungo, osservando ogni minimo movimento di Zena, che tracciava rapide e a tratti apparentemente casuali linee su un pezzo di carta pescato tra i tanti; ogni tanto scorgeva il suo sorriso, i suoi occhi brillanti saettare nella propria direzione, coglieva qualche mormorio di disapprovazione e appena accennate risatine.
– Cosa pensi di me? – gli chiese poi, senza distogliere lo sguardo dal proprio lavoro, incurante dell'averlo appena interrotto. Aveva parlato non appena la domanda le era venuta in mente, prima che il buon senso le impedisse di pronunciarla ad alta voce bruciando quel momento di intima confidenza.
Harry arrossì; mantenne il silenzio per qualche istante, chiedendosi se fosse il caso di rispondere sinceramente, poi si disse che non aveva nulla da perdere.
Pensava che fosse una persona enigmatica; un'artista del tipo più genuino e sincero, una persona sensibile oltre ogni misura, empatica, bisognosa d'amore. Una persona fraintesa da tutti e costantemente in fuga dai pregiudizi; qualcuno che aveva una lunga storia da condividere, ma che non aveva mai incontrato nessuno disposto ad ascoltarla, tanto da rinunciare al raccontarsi e di omologarsi all'idea che gli altri si erano fatti di lei – ma solo all'apparenza.
Lei posò la matita e abbandonò il disegno, si sedette al suo fianco sul divano, continuò ad ascoltarlo con attenzione, senza mostrarsi sorpresa né in alcun modo colpita da quelle parole.
E poi, come ogni volta, lui si ritrovò a parlare di Louis: pensava che Zena fosse la persona giusta per lui, che fosse destinata non a salvarlo ma a camminargli accanto; pensava che lui potesse accettare la sua entrata in punta di piedi nella sua vita, i suoi sguardi intesi, i silenzi densi e acuti, che le loro differenze fossero abbastanza consistenti da non annoiarsi mai a vicenda. Pensava che fosse il giusto contrappeso per bilanciarlo.
Era dell'idea che meritasse tutto l'amore del mondo, temeva che Louis non fosse in grado di darglielo, ma non smetteva di sperare – per tutti e tre – che lei fosse perfetta per lui.
Poi tacque Harry e mordendosi per l'incertezza il labbro inferiore cercò di leggere sul suo viso qualche impressione su quel suo lungo e un po' imbarazzante monologo: vide le labbra rosse dischiuse, ciuffi di capelli ricaderle sul viso e lungo il collo, troppo lisci per essere fissati con quel rudimentale metodo; vide le guance leggermente incavate un po' più rosee del solito, ma gli occhi erano socchiusi e le ciglia basse a celargli l'unico tratto del suo viso che avrebbe potuto svelargli qualcosa di concreto. Provò un briciolo di frustrazione nel sentirsi chiuso fuori dal suo mondo anche dopo essersi esposto tanto, ma durò solo un attimo, perché quello seguente Zena lo stava baciando e la testa di Harry si svuotò.
Iniziò come un bacio del tutto innocuo, uno scontro di labbra finalizzato a trasmettergli le sensazioni che le sue parole le avevano infuso, poi inevitabilmente degenerò.
Zena non era abituata a gesti così dolci, lenti e fini a se stessi, a delicate carezze sul collo, a mani grandi e calde contro la pelle invece che quelle agili e frettolose di Louis; fu di istinto che approfondì il bacio, la debole speranza che Harry si dimostrasse più lucido di lei a pungerle fastidiosamente un angolo di coscienza.
Harry, invece, si trovava smarrito in un turbine di sensazioni e sentimenti; dell'integrità morale con cui cercava tenersi alla larga da lei non c'era più nemmeno l'ombra, travolto da un'ondata di passioni a cui si era sempre sforzato di resistere – ma come poteva rimanere con i piedi per terra quando era lei a spostarsi con estenuante lentezza dai cuscini logori del divano fin sulle sue gambe, le mani che già si insinuavano a sfiorargli il petto tra i bottoni della camicia?
Di lì in poi, le cose procedettero in discesa: uno dopo l'altro i vestiti finirono sul pavimento, tra sospiri, respiri pesanti, il rumore dei baci, tocchi morbidi sulla pelle calda, sorrisi a fior di labbra col fiato trattenuto. Fecero l'amore come Zena non l'aveva mai fatto con nessuno: lentamente, con estrema calma e cura dell'altro; qualcosa di completamente diverso dall'incessante battaglia emotiva che era il sesso con Louis. E anche mentre Harry le donava piacere con una premura a lei del tutto nuova, non poteva non pensare alle ponderate ma voraci spinte dell'altro, costantemente intento a dimenticare il proprio piacere nel tentativo di strapparle un gemito.
Il sesso con Louis era una continua sfida: avevano imparato presto a muoversi in sincrono, a completarsi, ma non smettevano mai di negare l'una all'altro la certezza di star facendo la cosa giusta; Zena si tratteneva e Louis si accaniva su di lei per vincere quell'ostinata afasia. Lei a fatica taceva, lo ricambiava con la stessa moneta compensando tutte le certezze che Louis le negava sul piano emotivo con quell'affannato mutismo, che ogni volta si infrangeva in un intenso gemito liberatorio al momento dell'orgasmo. Alla fine l'unica a cedere era lei, mentre lui perseverava nella sua apparente anaffettività; ma anche così, con tutti quei silenzi e le mancanze, loro due riuscivano a funzionare.
Con Harry era stato diverso: lei gli aveva concesso ogni brivido, ogni sospiro, ogni mormorio di compiacimento; aveva permesso che si beasse della sua voce, pur sempre contenuta, chiedendosi se mai sarebbe stata in grado di svelarsi così tanto in risposta alle pretese di Louis.
Harry non le aveva domandato niente, si era preso cura di lei con affetto e dedizione, come se i loro corpi fossero una cosa sola e il piacere dell'uno fosse quello dell'altro. Lei si era lasciata andare, senza frapporre blocchi né negargli niente di tutto ciò che era.
Poi, però, con le gambe ancora strette ai suoi fianchi, il respiro affannato e il naso di Harry che le accarezzava il collo con una tenerezza all'improvviso inopportuna, sentì il dovere di rovinare tutto: – Abbiamo fatto una cazzata.
Fu come la famosa secchiata d'acqua di cui tanto tutti parlano di fronte ad una realizzazione scioccante: a quelle parole Harry si irrigidì, fu percorso da un improvviso brivido di consapevolezza e trattenne il fiato come a soffocare l'imprecazione che stava per esplodergli tra le labbra, ogni muscolo del corpo teso. Zena sentiva il suo respiro accelerare ancora un po', mentre la realtà dei fatti si faceva strada nella sua mente ancora annebbiata dal sesso: avevano tradito Louis. Entrambi, insieme. Erano sobri, erano lucidi e sapevano cosa stava succedendo mentre lo facevano – lei aveva pensato a lui tutto il tempo.
Si rivestirono lentamente proprio come si erano spogliati, ma questa volta senza complicità, con, anzi, un certo imbarazzo a increspare il silenzio che riempiva il minuscolo appartamento disordinato. Tra loro si udivano solo i respiri affannati di Harry, che non riusciva a capacitarsi di aver compiuto un gesto così meschino.
Si sentiva sporco. Percepiva il tradimento bruciargli dentro il petto, nelle tempie, su tutta la pelle. Lo avevano pugnalato alle spalle da ogni fronte, assassinando la sua unica speranza di portare a termine qualcosa di buono – era stato lui a distruggere tutto, lui che per Louis c'era sempre stato, che avrebbe voluto difenderlo dal mondo intero e da se stesso, che avrebbe dovuto essere il suo migliore amico.
Tutto d'un tratto tutte le – tristemente meravigliose – emozioni che lo avevano pervaso in quell'arco di tempo sembravano una giustificazione troppo labile per motivare un'azione così grave: avevano rovinato un'amicizia e una relazione per poco più di mezz'ora di sesso fine a se stesso. Avevano stracciato e calpestato la fiducia di Louis perché incapaci di tenere a freno gli ormoni, perfettamente consci di ciò che le loro azioni significavano. – Una grandissima cazzata. – All'improvviso il rimorso era più intenso di ogni altra emozione.
Zena lo salutò frettolosamente senza guardarlo negli occhi né aggiungere una parola sull'accaduto; aveva tutto d'un tratto fretta di sottrarsi al suo sguardo, nonostante poco prima si fosse lasciata vedere e sentire in tutta la sua nudità. Persino l'usuale vista sulla spalla tatuata gli fu impedita da un vecchio plaid a completare l'opera lasciata incompiuta dal maglione rosso troppo largo.
La porta dell'appartamento fu adagiata con delicatezza allo stipite, a conferma della ripristinata sete di silenzio della ragazza, ma a Harry sembrò che venisse sbattuta con definitiva violenza, come a dire che niente di quello che avevano vissuto fino a quel momento si sarebbe mai ripetuto. Probabilmente non si sarebbero nemmeno mai più visti.
Zena rimase immobile davanti a quella porta chiusa, un formicolio confuso a pervaderle il corpo, mentre la consapevolezza di ciò che aveva fatto le soffiava aria gelida sulla nuca. Aveva voluto metterlo alla prova, aveva sperato che Harry si tirasse indietro e non era stata esaudita, ma non lo avrebbe mai incolpato dell'accaduto: era stata la prima a offrirsi a lui, conscia dell'immancabile attrazione che lo legava a lei, ma curiosa di sperimentare un sesso diverso da ciò a cui era stata abituata. Aveva voluto provare le tenerezze che si leggevano fin dallo sguardo limpido di Harry, aveva voluto provare a fare l'amore come in fondo era convinta di meritare, ma come mai l'aveva fatto. Aveva sperato, forse, che quella mezz'ora di sesso potesse compensare i vuoti del loro rapporto che Louis non aveva alcune intenzione di riempire.
E a conti fatti, non senza amarezza, poteva ora dire che l'amore di Harry non faceva per lei: era giusto spogliarsi così tanto, senza lasciare all'altro niente da scoprire, niente per cui lottare? Era così piacevole sfiorargli la pelle con la punta delle dita e poi lasciare che lui facesse tutto il resto, senza che le domandasse niente, come se lo facesse solo e unicamente per lei? A pensarci in quel momento l'idea la metteva a disagio quasi quanto la consapevolezza di aver tradito il suo ragazzo: Harry si era donato a lei con una prontezza e una spontaneità lusinghiera e lei, sì, lo aveva accettato, ma senza davvero volerlo. Lo aveva baciato come ringraziamento, perché Harry era stato il primo ad interessarsi a lei abbastanza da cercare di capirla e tanto da lasciare che lei lo sapesse, ma ora non era più tanto sicura di volersi sentire così tanto capita. Era sempre stata un'individualista, qualcuno che col mondo condivideva solo poco – pochissimo, nel suo caso – di ciò che era. Cosa c'era di interessante in un libro aperto, che tutti potevano leggere senza alcuno sforzo? Voleva essere un'opera di nicchia, un caso letterario, di cui tutti si illudevano di comprendere il significato, sulla quale avere un'opinione era d'obbligo, ma di cui solo poche persone – e a lei ne bastava una – conoscevano gli arcani più nascosti. Aveva dato ad Harry la possibilità di leggerla, si era lasciata conoscere interamente e ora sentiva che non era questo ciò che voleva.
Lei voleva la sfida, voleva una continua ricerca di attenzioni e informazioni, un'avventura continua, un mistero sempre nuovo da svelare. Tutto ciò che voleva era Louis: qualcuno di simile e allo stesso tempo opposto a lei, qualcuno in grado di leggerle l'anima, ma che non le dava la soddisfazione di mostrarsi interessato; voleva qualcuno con cui litigare fino alle lacrime, qualcuno con cui fare l'amore con rabbia, in un ostinato silenzio che sapeva fin dall'inizio sarebbe stato vinto dalla passione. Zena non era un tipo da Harry, era un tipo più da morsi sul collo che da baci sul naso, era un tipo da graffi e gemiti silenziosi più che da sospiri e carezze leggere tra i capelli.
A questo punto, però, la domanda era una sola: l'avrebbe avuto ancora, il suo Louis? Era stupido che per capire di non aver mai voluto nessuno di diverso ci fosse stato bisogno di tradirlo. Si era rifugiata tra le braccia di Harry dopo un litigio che nemmeno ricordava come fosse iniziato – fino a qualche ora prima sentiva l'ira cominciare a bruciare al solo pensiero di Louis, mentre ora tutto ciò che provava era un gelido terrore. Non senso di colpa, quello lo lasciava a Harry, solamente terrore e consapevolezza di cosa sarebbe successo di lì in poi.
Avrebbe voluto potersi giustificare dicendo che, non diversamente da Louis, lei non era brava ad amare. Nessuno l'aveva mai amata davvero; tanti l'avevano avuta, ma nessuno si era mai fermato nella sua vita ad insegnarle cosa significasse amare, a mostrarle come si facesse. Eppure la realtà dei fatti non le sembrava una motivazione sufficiente: sapeva quando l'errore compiuto era troppo grande per essere perdonato e, dunque, sapeva a cosa stava andando incontro, quando prese il telefono per parlare con Louis prima che lo facesse Harry.
 
 
– Ciao.
Si ritrovarono seduti ad un altro tavolo dello stesso bar qualche settimana più tardi. Harry non aveva il coraggio di guardarla, teneva gli occhi bassi e la schiena curva sotto il peso dell'implacabile senso di colpa, mentre lo sguardo di Zena era glaciale e sicuro come sempre, intento a sfidare il mondo, il destino, se stessa. Era bella anche quel pomeriggio, nonostante i giorni trascorsi nella tristezza le segnassero pesantemente il viso struccato: occhi cerchiati, guance incavate, labbra screpolate, una berretta rossa a nascondere i capelli scuri non più così lucenti. Che la punizione capitata loro in sorte fosse la stessa come gli errori commessi era evidente fin dalla prima occhiata.
Non c'era un vero motivo per cui si erano incontrati, non c'era niente da discutere, semplicemente Zena aveva chiamato e Harry aveva accettato di vederla. Ora se ne stavano lì, ognuno con la sua tazza – per lui un tè bollente, per lei un ginseng – ognuno perso nei propri pensieri, in attesa che qualcosa succedesse, mentre il vapore si esibiva serenamente in virtuose capriole tra loro.
– Quando l'hai sentito l'ultima volta?
Fu Harry a interrompere il silenzio, come sempre: a Zena non era mai piaciuto infrangere i silenzi, lei se ne beava, chiusa a doppia mandata dentro se stessa, al sicuro.
Prima ancora che lei rispondesse, Harry riusciva ad immaginare con esattezza ciò che era successo: come ogni volta che qualcosa nella sua vita funzionava, Louis doveva aver colto la prima occasione al volo per liberarsene definitivamente.
– Ci siamo visti la mattina dopo per parlarne.
– E?
– E mi ha chiamata puttana.
Ecco la conferma: Louis aveva voluto buttare tutto. Non che potesse biasimarlo, sapeva di aver compiuto un errore madornale facendo l'amore con lei quel pomeriggio; non si erano illusi nemmeno per un istante che le cose si sarebbero potute salvare: sapevano che Louis li avrebbe spinti fuori dalla propria vita – questa volta senza nemmeno il bisogno di autosabotarsi, perché ci avevano pensato loro a tradirlo.
Aveva chiamato Zena puttana. Come tale tutti l'avevano sempre ritenuta, come tale chiunque l'aveva sempre trattata, e Louis nel farlo non aveva voluto insultarla, ma umiliarla. Aveva pareggiato il proprio comportamento a quello di tutti gli altri, l'aveva lasciata instillandole il dubbio che forse lui non era stato il solo ad essere stato preso in giro – non poteva accettare di essere stato l'unico ad essersi sbagliato sul conto dell'altra.
Louis aveva sempre saputo che prima o poi tutti lo avrebbero abbandonato, persino Harry, nonostante fosse sempre stato pronto a prendere le sue difese da quando non erano che ragazzini. Non era affatto deluso, lo aveva confessato a entrambi con impareggiabile freddezza: non si aspettava niente di meno dagli esseri umani.
Così, Zena era un'artista fallita alla ricerca di una soddisfazione che non avrebbe mai trovato; una puttana convinta di valere più di quanto effettivamente valesse, un concentrato di fascino riposto in un guscio sensuale ma vuoto – non c'erano sentimenti, dentro di lei, né vita, come pretendeva di essere amata?
Mentre per quanto riguardava Harry, be', era evidente: si trattava di uno sciocco con la testa piena di ipocrisia e illusioni; aveva passato la vita con la pretesa di salvarlo, ma la sua sindrome della crocerossina sortiva sempre l'effetto contrario a quello voluto. La sua volontà di salvare gli altri ad ogni costo non era che un sintomo di estremo e perverso egoismo – non era nemmeno lontanamente il bravo ragazzo che credeva di impersonare.
Aveva sputato loro addosso le più crudeli verità sul loro conto, in un tono così controllato da far venire i brividi. Non c'era stata la sua solita iperattività ad animarlo, solo una sorda rabbia ad opacizzare i suoi vivaci occhi chiari, allora gelidi come poche volte prima. L'aveva riconosciuto, Harry, quello sguardo: era lo stesso che aveva scorto quando gli era stato proposto di fare un giro in macchina, poco prima che Louis andasse a schiantarsi dritto contro l'automobile di suo padre, parcheggiata nel vialetto della sua casa nuova.
Aveva dunque fatto in fretta le valigie e lasciato l'appartamento di Harry, aveva gettato in un cassonetto le poche cose di Zena che erano rimaste tra le sue e, senza una parola di più, era sparito dalle loro vite per non tornare mai più.
Louis negli anni aveva incassato fin troppe delusioni, ma da esse aveva imparato una lezione importante. Aveva capito che le persone a cui teneva ad un certo punto lo avrebbero tutte ferito, senza eccezioni, ma aveva anche scoperto che l'affetto era un'arma a doppio taglio: non esisteva vendetta migliore dell'autodistruzione per colpire chi lo amava ma non abbastanza. 
 
Qqqqqvuindi eccoci. Ho detto mille volte che non sarei tornata nel fandom, invece torno sempre perché Lil ha avuto la geniale idea di indire un contest e io al richiamo dei contest non resisto -- per fortuna devo dire.

Vi lascio un saluto veloce e corro al lavoro, vi ringrazio se siete arrivati fino a qui e spero che il finale non vi abbia lasciato troppo con l'amaro in bocca -- mi rendo conto dell'effetto che fa, sì, ma non ho potuto fare altrimenti per non rischiare che la storia prendesse una piega che non volevo prendesse. 
Un grazie speciale a Lilac J, perché mi ha fatto piacere scrivere di nuovo e partecipare al suo contest.
(Tra l'altro, ho scritto a rating arancione per la prima volta, yay!)
Un abbraccio a tutti!
Mich
  
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