Luce:avvertenze,
il nome Irene non va letto all'italiana ma all'inglese, la pronuncia
è Airin.
Una scuola da Dottore
Primo Capitolo –
Incontri
Irene Davies,
sedici anni e un odio radicato verso tutto quello che era studio, era
pronta
per il suo nuovo anno scolastico. La sua vita era quella di una ragazza
nella
media: un discreto gruppo di amici, due genitori che le volevano bene e
un
ragazzo dolce e affettuoso. Assolutamente normale, forse troppo, come
anche lei
talvolta si ritrovava a pensare.
La mattina del
primo giorno di scuola di quell’anno si svegliò in
maniera molto brusca, sbattendo
la testa contro la rete del letto che stava sopra di lei e dando un
colpo a
colei che lo occupava ― Liz! Sveglia pigrona! ― esclamò con
voce strascicata. La
mattina poteva essere paragonata a una mummia, con i capelli mogano
tutti
scarmigliati e gli occhi verdi senza la brillantezza che li
caratterizzava.
Nella sua stanza
c’erano altre due ragazze: la sua migliore amica Liz e la
tranquilla Martha.
Un lamento si
levò dal letto superiore. ― No. ― mugolò Liz,
quindici anni e una passione per
gli abiti eccentrici-ma-non-troppo, tirando un cuscino sulla testa di
Irene. ―
Mi rifiuto categoricamente. ― si rintanò sotto le coperte
cercando inutilmente di
riprendere sonno.
― Non
lamentarti, guarda che nessuno qui ha voglia di muoversi, ma bisogna
farlo. ― cominciò
a rovistare nei cassetti alla ricerca dell’uniforme, ma nel
caos assoluto che
regnava tra tutti i suoi averi, le uniche cose che riuscì a
trovare furono una
cravatta e le calze. Cercò di trattenersi
dall’urlare a squarciagola tutta la
sua frustrazione e fece un respiro profondo cercando di rilassarsi.
― Se cerchi il
resto della tua uniforme, è, non so bene per quale arcana
ragione, dentro una
delle borse sotto il mio letto. E dire che ieri eri tutta
“domani dovrà essere
tutto perfetto e stasera preparo ogni cosa nei minimi
dettagli”. ― la voce di
Liz era intrisa di sarcasmo, probabilmente dovuto al brusco risveglio.
La giovane
stava abbarbicata come un pipistrello, con le gambe che si reggevano
alle
sponde del letto superiore, la testa rivolta verso il basso e i capelli
corvini
che ciondolavano come molle. Gli occhi azzurro-grigi, grandi come
fanali, con
uno strano scintillio al loro interno, parevano pieni di una brillante
follia.
Questo la diceva lunga su di lei: se i passatempi preferiti di Irene
erano
scrivere, leggere e pattinare sul ghiaccio, quelli di Liz erano
sperimentare
nel laboratorio di Scienze, scrivere copioni da film e leggere fumetti.
Parlava
da solo anche il fatto che si mettesse spesso in quella posizione
strana;
soleva dire, quando qualcuno faceva domande, che “amava
vedere il mondo da
un’altra prospettiva”.
― Molto
spiritosa. ― ribatté l’altra seguendo le sue
istruzioni. Dopo che riuscì a
recuperare la gonna grigio chiaro e la camicia azzurra esalò
un sospiro di
sollievo, e sul volto le comparve un enorme sorriso soddisfatto. A
quella scena
Liz fece un sorriso esasperato e si sbrigò a rialzarsi e
recuperare la sua
roba, alzando gli occhi al cielo quando vide che l’uniforme
femminile era
ancora una volta di colori più chiari rispetto a quella dei
ragazzi. Non aveva
mai capito perché i colori dovessero essere differenti, dal
canto suo preferiva
quelli della divisa maschile; un’altra cosa che odiava erano
le gonne, infatti
faceva parte di quella ristretta cerchia di ragazze che indossavano i
pantaloni. La sua era l’unica scuola dove si faceva questa
osa e ne era
piuttosto orgogliosa.
Passò un po’ di
tempo prima che tutte le inquiline della stanza 237 fossero pronte e
quando
uscirono cominciarono ad avviarsi verso la mensa passeggiando
tranquille. Una
volta giunte nel refettorio la prima persona che incontrarono fu Ianto
Jones,
un ragazzo che avevano conosciuto il primo anno e con cui avevano sin
da subito
legato per via della sua dolcezza, che si era già seduto ad
un tavolo. ― Ciao
Ianto! ― esclamò con entusiasmo Irene, sedendosi accanto a
lui e dandogli un
bacio sulla guancia. I due stavano assieme da un anno ed erano molto
felici;
certo, ogni tanto qualche litigio, ma sempre per futili motivi, e
facevano
sempre pace. La loro era una relazione perfettamente funzionante.
Finito di
mangiare si avviarono verso gli armadietti.
― Un altro noiosissimo
anno. Uffa. ― si lamentò Liz mentre recuperava la sua roba.
― La scuola sembra
quasi non finire mai. ― ma qualcosa interrupe le sue proteste, un
ragazzo che
urtava l’anta aperta del suo armadietto e glielo chiudeva in
faccia.
― Ehi, tu! Di
solito si chiede scusa alle persone! ― gli urlò dietro.
Irene si sbatté
le mani sulla faccia, pensando con tristezza che non era un buon inizio
di anno
se Liz non attaccava briga con qualcuno. Non che la ragazza in
questione fosse
attaccabrighe, solo che se si svegliava bruscamente diventava piuttosto
irascibile. Specialmente all’inizio dell’anno. Lei
lo sapeva bene.
― Oh, scusami
zuccherino, chissà come ho fatto a non notarti. Io sono il
capitano Jack
Harkness, piacere. ― detto questo, Jack stese la mano alla ragazza con
un
sorriso seducente. I suoi occhi azzurri brillavano di una luce
maliziosa mentre
la squadrava.
― Il piacere è
tutto tuo, capitano dei miei
stivali.
― gli lanciò un’occhiataccia. ― E non chiamarmi
più zuccherino. ― sebbene lui
fosse davvero bello, qualsiasi ragazza gli avrebbe sbavato dietro e
avrebbe
sospirato nel vederlo regalarle un sorriso, non era decisamente il suo
tipo.
Irene, mano
nella mano con Ianto, trattenne Liz per una spalla. ― Calma Liz. ― ma
prima che
potesse ricevere una brutta risposta dalla sua amica, Jack si
intromise. ―
Ciao. ― si avvicinò a Irene parlando con il suo tono
lascivo, quello che faceva
cadere tutti, gay, etero e confusi, ai suoi piedi. Perché il
capitano era molto
più flessibile da quel
punto di
vista, per lui andava bene chiunque, bastava che fosse bello.
Ianto s’intromise,
cingendo le spalle di Irene con un braccio. ― Stalle lontano.
Jack guardò
anche lui con un sorriso sornione. ― Non ci hanno presentati. Io sono
Jack.
― Smettila. ―
esordì qualcuno alle sue spalle, con un tono di voce
piuttosto seccato e gli
occhi rivolti verso il cielo.
― Ma stavo solo
salutando! ― il moro si girò e guardò i due
ragazzi che erano apparsi dietro di
lui. Si soffermò per un attimo su Sigma, cercando di capire
che cosa stonasse
nella sua figura. Era come se su di lui ci fosse qualcosa che non
voleva
guardare, sapeva che c’era, ma non voleva saperlo.
― Filtro di
percezione. Non potevo non mettere il mio cravattino: è
forte! ― esclamò l’altro
con una certa aria di superiorità e un enorme sorriso,
spiegandogli cosa gli
stava provocando quella sensazione. Sigma era un ragazzino veramente
strano, aveva
una passione per le cose stravaganti, soprattutto per i cravattini e i
cappelli
assurdi.
Theta continuò
il suo discorso con Jack, ma non prima di non aver alzato gli occhi al
cielo,
di nuovo. Sospettava che lo avrebbe fatto spesso, eppure non gli
dispiaceva, in
fondo – neanche tanto in effetti – si divertiva. ―
Tu saluti flirtando Jack.
― Che ci vuoi
fare, sono fatto così.
― Signor Sono
Fatto Così, ti ricordo che non mi hai chiesto scusa. ―
s’intromise Liz, ancora
nervosa per la questione dell’armadietto.
― Mi piacerebbe,
cara, ma se perdiamo ancora tempo faremo tardi a lezione. Ci si vede in
giro. ―
passò davanti a Ianto e Irene e fece loro un occhiolino,
cosa che provocò una
faccia schifata da parte di Ianto e una risatina divertita da Irene:
quel tipo
le piaceva, era simpatico a parer suo.
― Che tipo
bizzarro. ― rifletté ad alta voce, riferendosi
più che altro a se stessa.
― Uno che si
apprezza col tempo. ― disse Theta con un sorriso.
― E voi due?
Siete anche voi galanti come Mr
Sorriso, o siete ragazzi normali?
Sigma
s’intromise. ― Normali? Decisamente no. Normali non
è divertente, è noioso.
Liz gli sorrise,
realmente divertita, fece per dirgli qualcosa ma fu interrotta dal
suono della
campanella, la prima, quella che indicava agli studenti di dirigersi in
classe;
la seconda, invece, segnalava l’inizio delle lezioni, e
suonava dopo circa
cinque minuti. ― Noi ora dovremmo andare in classe. Ci si vede. ― Liz
non
sapeva bene se si stesse riferendo alle sue amiche oppure a Sigma, ma
entrambe
le cose le parevano brutte.
Irene, Martha e
Ianto, che erano tutti e tre nella stessa classe, cominciarono ad
avviarsi,
seguiti da Theta, che si dirigeva anche lui verso la sua aula, che era
proprio
la stessa del bizzarro gruppetto.
― In che classe
vai? ― chiese Liz all’altro fratello, che era rimasto, senza
che nemmeno lui
sapesse perché, in quel corridoio insieme a lei.
― Bella
domanda... mi piacerebbe saperlo. ― Sigma estrasse dalla tasca della
sua divisa
un foglio che aveva tutta l’aria di essere una piantina, la
aprì e, girandola
prima in un verso e poi in un altro, cercò di capire dove
fosse la sua classe. A
un certo punto parve trovare la soluzione e si diresse a destra. A
metà del
corridoio che aveva imboccato si bloccò e tornò
indietro, raggiungendo Liz nel
corridoio opposto. La ragazza lo guardò perplessa e lui
rispose con una
scrollata di spalle ― Era la parte sbagliata. ― Liz gli sorrise,
sinceramente
divertita da quella scena. Alla fine si resero conto che il ragazzo era
finito
nella stessa classe di lei, perciò fecero il resto del
tragitto insieme,
chiacchierando tranquilli. Il ragazzo aveva una personalità
esplosiva, metteva
entusiasmo in tutto ciò che faceva, e conosceva un sacco di
cose. In quei
minuti Liz comprese che aveva una grande passione per la chimica e
tutto ciò
che riguardava la scienza.
Quando
arrivarono in classe, per chissà quale evento fortuito, il
professore ancora
non era arrivato.
Intanto Theta e
gli altri erano già arrivati in classe. Durante la strada,
Martha aveva
sommerso il maggiore con una miriade di domande, dalle più
banali – dal colore
preferito a come aveva passato le vacanze – a quelle
più personali, sulla
famiglia, alla maggior parte delle quasi dava risposte evasive e
frammentarie.
Anche lui aveva posto ai ragazzi qualche domanda, facendo
conversazione.
A Irene quel
ragazzo dava una strana sensazione, come se nascondesse qualcosa
d’importante.
Lo vedeva chiuso in se stesso e non capiva perché.
― Come mai vi
siete trasferiti qui? ― gli chiese guardandolo negli occhi.
― Perché io e
mio fratello avevamo bisogno di cambiare aria.
― Tuo fratello?
Vuoi dire quel Jack? ― s’intromise Ianto.
― Cosa? No, no! ―
Theta parve sconvolto dal fatto che qualcuno potesse pensare che lui e
Jack
fossero fratelli. ― Jack non ha nessun legame di parentela con me e
Matt, ci
mancherebbe altro, quei due non so che avrebbero combinato se avessimo
vissuto
insieme. ― Uno strano sorriso gli
comparve
sul volto al solo pensiero, causato da chissà quale ilare
scena che si era
formata in quella sua brillante mente aliena.
Arrivarono in
classe proprio allo squillo della seconda campana, che coprì
il saluto
sicuramente imbarazzante di Jack, che li aspettava seduto al secondo
banco con
un sorriso smagliante. ― Ehi, chi non muore si rivede.
Te la sei presa comoda. ― Disse dopo che il
terrificante suono smise di spaccargli i timpani, alzando le
sopracciglia in
maniera allusiva, ottenendo un grugnito e una smorfia schifata da parte
di
Ianto, che si andò a sedere al suo posto.
Marta fece come
lui, continuando a guardare Teta da lontano con sguardo sognante. Quel
ragazzo
non sapeva nemmeno il suo nome, ma già le piaceva. ― Meglio
se li eviti quei
due, non mi piacciono. ― Disse Ianto con voce cupa, uscendo i suoi
libri dallo
zaino.
― A te non
piacciono perché sono entrambi molto carini e
perché Jack ci ha provato sia con
te che con Irene.
― Già. A questo
punto non so quale delle due sia peggio. ― disse criptico.
Martha lo guardò
sconvolta. ― Hai qualcosa contro i gay, Ianto?
― No, ho qualcosa
con quel tipo. È troppo pieno di sé, come se
fosse migliore di tutti noi messi
assieme e tutto gli sia dovuto.
― Ovvero: sei
geloso. ― un sorrisetto comparve sulla bocca della ragazza. Ianto, come
risposta, emise un grugnito.
Dall’altra parte
dell’aula, Irene stava chiacchierando, senza saperlo, con un
Signore del Tempo
e il suo amico immortale. ― Tu ed io non ci siamo ufficialmente
presentati, io
sono Irene.
― Io John Smith.
― si strinsero la mano con energia, mentre Jack li osservava. Il
ragazzo stava
pensando che, se quella situazione si fosse protratta a lungo
– come temeva – almeno
erano capitati in una scuola piena di
ragazzi davvero belli, era certo che si sarebbe trovato bene
lì.
Proprio in quel
momento entrò il professore, che intimò a tutti i
ragazzi di sedersi. Irene si
diresse immediatamente verso il suo banco, dietro Martha e Ianto. La
sua
compagna di banco era una ragazza dai capelli rossi tutto pepe, che si
chiamava
Donna Noble. Sin dal primo giorno Irene aveva capito che con lei non si
poteva
parlare, poiché la ragazza era piuttosto irascibile e quando
si arrabbiava
tendeva ad alzare la voce in maniera esponenziale. Nonostante questo
era
abbastanza simpatica, o almeno, questo era ciò che le
sembrava dopo qualche
chiacchierata.
Ma quel giorno i
suoi pensieri si diressero a quei ragazzi nuovi tanto assurdi e strani,
che
l’avevano colpita in un modo che non sapeva nemmeno definire.
Quello con cui
aveva parlato di più a quel momento era John, e non sapeva
se era un bene o un
male: avrebbe tanto voluto farsi una chiacchierata con Jack, e non
perché fosse
il ragazzo più bello che avesse mai visto in tutta la sua
vita – anche, per la
verità – ma perché era curiosa, voleva
sapere di più su di lui, su di loro.
Nell’altra aula,
due ragazzi stavano parlando senza sosta, delle cose più
assurde e allucinanti
e ci vollero almeno due richiami del professore per farli stare buoni.
Ma dopo
un paio di minuti Sigma cominciò a muoversi come un matto
sulla sedia, facendo
disegnini sul banco e cambiando posizione ogni trenta secondi. Quando
finalmente finì l’ora, il ragazzo si
alzò e cominciò a camminare in circolo.
― Che ti prende?
― gli chiese Liz.
― Non ce la
faccio più! ― esclamò lui, gesticolando come un
matto.
― È passata solo
un’ora, rassegnati: dovrai stare qui fino all’ora
di pranzo. ― E il povero
ragazzo si sentì ancora peggio.
Tutte le ore di
lezione furono una vera e propria tortura per il giovane Signore del
Tempo,
che, quando finalmente suonò la campanella, si diresse,
praticamente correndo,
verso l’aula del fratello. Quando raggiunse sia lui che Jack
era senza fiato ma
con un’espressione felice sul volto.
― Ehi, Sigma,
che ti prende? ― gli chiese Theta.
Il ragazzo
riprese fiato e disse ― Muoviamoci. ― gli altri due lo guardarono un
po’ perplessi.
Ma lui spiegò subito quello che intendeva dire. ― Facci
vedere dove hai
registrato quelle variazioni spazio-temporali.
Jack non se lo
fece ripetere due volte: si diressero velocemente, praticamente
inosservati in
quel via vai di studenti che chiacchieravano con
tranquillità, nel seminterrato
della scuola attraverso una rampa di scale situata vicino la sala
professori. Speravano
che nessuno li vedesse, che tutti fossero troppo felici di poter
interrompere
le lezioni e andare a mangiare, ma una ragazza con una fluente chioma
rossa e
dei luminosi occhi marroni pieni di vita ed energia li aveva notati, e,
incuriosita dal loro comportamento sospetto, decise di seguirli.
Finestrella
dell’autrice – cioè di Luce
Salve!!! *si
ripara dal lancio dei pomodori* lo so, lo so!! Sono in ritardo e questo
era il
capitolo che dovevo scrivere io e che poi Tenebra doveva modificare.
Non
odiatemi, vi prego!!
Passando alle
cose serie (Sperando che mi abbiate perdonato...), speriamo, sia io sia
Tenny,
che il capitolo vi piaccia. Non succede molto, ma bisogna aspettare per
le cose
avventurose, ci vuole tempo.
Se qualcuno
di
voi ha per caso visto Shining, vorrei farvi notare che il numero della
stanza è
237. Sono crudele, lo so. Poi ci sono anche varie allusioni a diversi
episodi,
sia del Decimo che dell’Undicesimo. Vi avviso sin da ora:
questa storia è una
citazione continua.
Ora la
smetto di
scocciarvi, dato che a momenti la finestrella è
più grande del capitolo.
Alla
prossima!!