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Autore: Delirious Rose    25/04/2015    1 recensioni
Eugene Sauveterne è un sedicenne insolitamente soddisfatto della sua vita: adora partecipare ai live di D&D, ha un ragazzo fantastico e, dopo tre anni di duelli a colpi di compiti in classe e interrogazioni, può considerare definitivamente suo il titolo di Primo della classe. Eppure, perché non riesce a fare a meno di sentire fastidio e disagio quando scopre il perché dietro ai brutti voti della sua rivale, Virginia Bergman?
Questa side story di Podestaria, in cui esploro il passato di Virginia, partecipa al "Dispetto Contest" indetto dal gruppo FB Io scrivo su EFP.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Preambolo

Questa storia è stata una delle più dure da scrivere, per non dire la più dura. Mi ha obbligato a confrontarmi ancor più profondamente con delle realtà che conosco e che ho vissuto in terza persona, a fare ricerche, a leggere testimonianze di violenza domestica e relazioni abusive, su come riconoscerle e cosa fare quando ci si rende conto che una persona a noi vicina si trova in una situazione simile. Non è una storia che avevo in programma di scrivere, ma mi ha aiutato a fare i conti con il passato di Virginia, a meglio inquadrare la sua relazione con Biagio e con gli altri in generale. A schiarirmi le idee su quali siano le tematiche serie e i messaggi che voglio dare al lettore di Podestaria.

Ho volontariamente scelto come voce narrante Eugene non solo per una questione di prompt, ma anche perché mi ha permesso di mantenere un certo distacco dalla relazione abusiva, di alludere senza scendere nei dettagli di quello che accade. Perché se sono stata abbastanza male emotivamente e fisicamente – no, non sto esagerando – usando il suo punto di vista, non oso pensare a come mi sarei sentita ad affrontare questo tema attraverso gli occhi di Virginia.

E non posso che chiedere profondamente scusa per il linguaggio volgare, i propositi omofobi e le situazioni sottintese.

 

―――――――――――――――――――――――――――――――――――――――――――

 

A mia cugina A., per aver accettato di farmi da consulente sull’argomento e che mi ha rassicurato sul realismo dei personaggi e del loro rapporto.

A Panny, i cui post mi hanno aiutato a schiarirmi le idee sul passato di Virginia.

A chi ci è dentro, a chi ne è uscito, a chi ha avuto il coraggio di fare il primo passo e a chi ancora cerca di convincersi che “va tutto bene”.

 

 

Eh! bien voilà, madame la Marquise
Apprenant qu'il était ruiné
A peine fut- il rev'nu de sa surprise
Qu' Monsieur l'Marquis s'est suicidé
Et c'est en ramassant la pelle
Qu'il renversa toutes les chandelles
Mettant le feu à tout l'château
Qui s'consuma de bas en haut
Le vent souflant sur l'incendie,
Le propageant sur l'écurie
Et c'est ainsi qu'en un moment
On vit périr votre jument
Mais à part ça, madame la Marquise
Tout va très bien, tout va très bien !1

 

Podestaria
Va tutto bene

 

Eugene Sauveterne era un adolescente insolitamente soddisfatto della propria vita.

Era un geek e felice di esserlo, nonostante il suo patrigno affermasse che i travestimenti erano per Halloween ogni volta che si preparava per un live di D&D. Era gay e felice di esserlo, nonostante parte della popolazione femminile della Langlane Integrated School non aveva preso molto bene la notizia della sua relazione con Harry Thompson. E finalmente, poteva considerare definitivamente suo il titolo di Primo della Classe dopo tre anni di leal tenzone contro Virginia Bergman.

Gongolò ammirando la A* rossa che ornava il suo compito di Letteratura, l’unica di tutta la classe. Lanciò un’occhiata alla sua sinistra, verso la sua ex-rivale che non aveva ancora ricevuto il compito – Mrs. Muir era una sadica che consegnava i risultati dal voto più alto a quello più basso e aveva già chiamato metà classe. Virginia aveva la testa bassa come se non le interessasse più essere la numero uno: in realtà stava smanettando di nascosto con il suo cellulare, di certo l’ennesimo messaggino sdolcinato al suo ragazzo.

Eugene si dondolò leggermente sulla sedia, chiedendosi non per la prima volta se l’amore non le avesse fatto bere il cervello. Per tre anni Virginia era stata una degna rivale, capace di tenergli testa in tutte le materie e, soprattutto, di stimolarlo a darsi ancora più a fondo.

“Sai Eugene, non credo che riuscirai mai a essere veramente il primo della classe: Bergman viene prima di Sauveterne sul registro. Senza contare che tu, al contrario di me, non segui il corso di Scienze Soprannaturali2.”

“Mai dire mai, Vir’, la vita è imprevedibile…”

Già, la vita era proprio imprevedibile e negli ultimi cinque mesi i voti di Virginia stavano seguendo una curva discendente.

Eugene le lanciò un’altra occhiata, indugiando sui suoi capelli e sentendo una fitta di rimpianto. Fino a qualche mese prima avrebbe pagato il proprio peso in oro per avere una chioma come quella di Virginia, lunga fino ai fianchi, folta e di un meraviglioso biondo Tiziano che brillava al sole come un falò del cinque novembre3. E poi un giorno si era presentata in classe con un taglio da maschiaccio e tinta di un castano scialbo e anonimo che la rendeva quasi brutta.

Ha fatto una cazzata, ma i capelli sono suoi e ci fa quello che le pare e piace, pensò mentre Mrs. Muir chiamava proprio Virginia – diciottesima su trentadue allievi – e vedendola infilare frettolosamente il cellulare in tasca prima di alzarsi.

Virginia era sempre stata una ragazza snella e tonica, che praticava equitazione e polo fin da bambina, tuttavia nelle ultime settimane il suo aspetto era diventato più smunto, al limite dell’anoressia. E vedendola camminare verso la cattedra, Eugene non poteva fare a meno di notare come il suo corpo poco riempisse i pantaloni antracite e la felpa di pile bordeaux regolamentari, i quali ultimamente avevano sostituito le gonne a pieghe e i maglioncini attillati che la maggior parte delle ragazze indossavano come uniforme scolastica.

E da quando t’interessi al culo e alle tette di una ragazza? Pensò mentre Mrs. Muir dava una strigliata coi controfiocchi a Virginia.

Eugene si sentì infastidito dall’indifferenza con cui Virginia accoglieva i rimproveri dell’insegnante, e tornò a guardare la sua bella A* rossa, sentendo improvvisamente un moto di insoddisfazione.

 

 

“… davvero, non c’è più gusto!” borbottò Eugene mentre mangiava il suo pranzo, seduto in uno spicchio di sole nel giardino della scuola.

“Se non ti conoscessi così bene, direi che ti sei preso una sbandata per la Bergman!” rise Harry con aria complice e dandogli una leggera gomitata nel fianco.

“Non sei affatto divertente, sai?” sbuffò Eugene, incrociando le braccia sul petto.

“Sembri proprio una pentola di fagioli, sai?” lo scimmiottò Harry. Poi s’inclinò verso di lui e quasi gli premette le labbra contro un orecchio. “Di solito non mi piacciono i fagioli, ma potrei fare un’eccezione: se andassimo da qualche parte, dopo gli allenamenti?”

L’espressione corrucciata di Eugene si sciolse in un sorriso malizioso. “Solo se offri tu per festeggiare la mia A più.”

Harry rispose con una risata e addentò uno dei sandwich al formaggio, tacchino e zucchine che amava tanto, protestando quando Eugene gliene rubò uno dal cestino. Mentre Harry ricambiava il favore sottraendogli il muffin al cioccolato, lo sguardo di Eugene cadde di nuovo su Virginia che, seduta sotto il patio, continuava a smanettare con il suo cellulare e con una mela mezza sbocconcellata abbandonata sullo zaino. Quando aveva smesso di riempire fino all’inverosimile il vassoio del pranzo e a non portare un paio dei dolci di sua madre per lo spuntino di metà mattina e metà pomeriggio? Quando aveva iniziato a pranzare con solo un frutto, un paio di carote o un panino vuoto, lei che nonostante mangiasse più di un camionista manteneva un fisico asciutto?

Sono affari suoi, Gene, non tuoi. Eppure, per quanto ci provasse, Eugene non riusciva a sopprimere quel senso di fastidio e disagio che gli dava la vista di Virginia.

 

—— • ——

 

Eugene e Harry erano seduti a un tavolo dello Scarlett’s Cafè, con i resti di due fette di torta e due tazze di cioccolata davanti a loro: come ogni venerdì pomeriggio, stavano discutendo dei piani per il week-end, felici che un’altra settimana di scuola fosse terminata e che le vacanze primaverili si stessero avvicinando. Era piacevole oziare sulla terrazza della sala da tè, con i raggi del sole marzolino che accarezzava la pelle e il venticello che faceva rabbrividire giusto un po’ senza essere spiacevole. Eugene osservò per un attimo la bocca ridente di Harry, sentendo un moto d’amore e gratitudine per lui. Harry riusciva a fargli dimenticare tutto e tutti: adorava come imitava uno sketch di Daffyd Thomas4 oppure come non avesse paura di calcare gli stereotipi per rispondere a dei rari insulti. Già, si sentiva proprio fortunato ad avere accanto una persona speciale come lui.

Tuttavia, il pensiero di Virginia e del senso di fastidio e insoddisfazione che ormai evocava in lui esplosero nella sua mente quando la proprietaria del caffè portò loro il conto.

“Tu sei uno dei compagni di classe di Vir’, giusto?” chiese Mrs. Bergman,  e quando Eugene rispose affermativamente, lei prese un respiro profondo e si chinò leggermente su di lui, mormorando preoccupata: “Per caso ha problemi a scuola?”

Eugene aggrottò le sopracciglia e sporse le labbra, pensieroso. “Beh, i suoi voti sono al minimo storico…”

“So dei suoi voti, ho appuntamento con Mr. Gould martedì prossimo,” lo interruppe Mrs. Bergman con aria preoccupata. “Volevo sapere se c’è altro. Non so… c’è qualcuno con cui non va d’accordo? Che le fa dei dispetti?”

“No… non penso. Anche se l’ho vista passare meno tempo con le sue amiche.” Ammise Eugene, che poi si rivolse a Harry. “Tu sai qualcosa?”

Harry rispose facendo spallucce. “Beh, i ragazzi non hanno apprezzato quando sua figlia ha lasciato la squadra di polo, signora, ma hanno solo borbottato un po’ e la cosa è finita lì.”

Mrs. Bergman sospirò, sedendosi su una sedia libera, e pose una mano sulla guancia. “Non so più che cosa pensare, è da un po’ che non riconosco Vir’… ma ogni volta che le chiedo se c’è qualcosa che la preoccupa, mi risponde che va tutto bene. Ho perfino chiesto alle sue amiche, ma anche loro mi hanno detto che non ci sono problemi.”

Eugene fece spallucce, simulando indifferenza. “Cosa vuole che le dica, signora? Abbiamo sedici anni, basta poco per buttarci giù.”

Mrs. Bergman sorrise debolmente. “Già, forse hai ragione e sono solo io che mi sto creando problemi dove non ce ne sono. Scusami per la domanda idiota.”

“Si figuri,” borbottò Eugene, infastidito perché quello scambio di battute aveva rovinato il suo umore per tutto il resto del pomeriggio, tanto che quando salutò Harry per tornare a casa, lo fece più nervosamente di quello che avrebbe voluto.

Virginia, Virginia, Virginia! Sembrava che, nonostante non rappresentasse più una minaccia per la sua posizione di primo della classe, Virginia Bergman continuasse a volergli rompere le scatole e a togliergli perfino il piacere che gli dava la vista di una sfilza di A sulla pagella! Eugene calciò un sasso per la rabbia, mentre tagliava attraverso il bosco del Vicariato – il percorso che prendeva in giornate belle come quella e che gli permetteva di evitare di camminare sul ciglio della strada e di rincasare un po’ prima – borbottando fra i denti contro di lei. Voleva togliersela dalla testa, Virginia Bergman, relegarla all’angolino buio e solitario che meritava adesso che non aveva più ragione per interessarsi a lei, se non per sovrastarla e schiacciarla sotto una pila di A alta come il Big Ben.

Dei rumori di commozione attirarono la sua attenzione verso un gruppetto di arbusti più avanti, sulla sinistra. Era impossibile non vedere il bordeaux della felpa fra i rami che iniziavano a coprirsi di germogli verdi, era impossibile non riconoscere la voce di Virginia.

“… con Mr. Gould!”

“Primo, che me ne frega dei tuoi voti? E secondo, pensi davvero che me la beva questa scusa del cazzo, Babe?” rispose la voce roca e alterata di un ragazzo che Eugene non conosceva. “Chi mi dice che non ti stavi ripassando tutti i ragazzi della squadra di polo?”

“Liam, ti giuro che…”

Solo un litigio fra innamorati, pensò Eugene distogliendo lo sguardo e affrettando il passo.

“Ecco, sei contenta adesso? Credi che mi sia piaciuto farlo, Babe? Ma tu non mi dai altra scelta se continui a comportarti come una puttanella frigida!”

Forse fu istinto o forse fu curiosità morbosa, o forse fu qualcos’altro di cui non conosceva il nome, ma a quelle parole Eugene non poté trattenersi dal voltare leggermente la testa indietro, di guardare con la coda dell’occhio quella macchia bordeaux fra i rami che riprendevano a vivere. Non gli piacque quello che vide. Eugene esitò, stringendo la spallina dello zaino in una mano: una parte di lui lo spronò a tornare indietro, a comportarsi come un cavaliere dall’armatura scintillante che salva la damigella in pericolo. Fu solo un attimo.

Chi si fa i cazzi suoi campa cent’anni.

Eugene abbassò la testa e camminò ancor più velocemente, sperando in cuor suo che né Virginia né il suo ragazzo si fossero accorti della sua presenza.

 

—— • ——

 

“… sabato Liam è andato a Londra apposta per comprarmela.”

“Wow! Wow wow wow! Dev’essergli costata un occhio della testa!”

“E-eh, nel bigliettino ha scritto che il prezzo non rappresenta neanche un decimo del suo amore.”

“Ti invidio, Vir’: anch’io vorrei un ragazzo che mi faccia dei regali del genere così, senza aspettare Natale o San Valentino…”

Che ti avevo detto? Era solo un brutto litigio fra innamorati, pensò Eugene, cercando di ignorare Virginia e le sue amiche – Charlotte e Andrea o come accidenti si chiamavano – che chiacchieravano in corridoio mentre aspettavano l’inizio delle lezioni. In ogni caso, avrebbe dovuto sentirsi sollevato di costatare che le cose fra Virginia e il suo ragazzo si fossero sistemate, eppure percepiva una specie di retrogusto amarognolo a quel pensiero e una parte della sua coscienza continuava a infastidirlo, dandogli del codardo.

“Stronzate,” borbottò Eugene, lasciandosi cadere sulla sua sedia un attimo prima che la campanella suonasse e rileggendo un’ultima volta la relazione di Storia – quella era la materia in cui aveva delle difficoltà e non sarebbe stato contento fino a quando non avesse visto almeno una A-.

“Ehi, Vir’, cosa t’è successo alla faccia?”

“Guarda Sharon, una roba che se te la racconto…” La risata di Virginia voleva essere imbarazzata, ma alle orecchie di Eugene suonò spudoratamente falsa, quasi spaurita.

“Allora racconta, così almeno iniziamo la settimana ridendo.”

“Beh, sabato, mentre pulivo la stalla, è andata via la corrente e… SBAM! Ho messo il piede su un rastrello e me lo sono preso in faccia, come in un vecchio Tom & Jerry.”

Forse fu per una curiosità morbosa o forse per un inconscio senso di colpa che Eugene di trovò suo malgrado a lanciare un’occhiata a Virginia. Il labbro era gonfio e spaccato su un lato e lo zigomo aveva una brutta escoriazione.

Solo un litigio fra innamorati? Non credo proprio, una voce rimproverò Eugene nel momento in cui Virginia ricambiò accigliata il suo sguardo.

Eugene tornò immediatamente a guardare la sua relazione di Storia, con le guance in fiamme e sentendosi come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata. Quello che aveva visto e sentito il venerdì precedente monopolizzò tutti i suoi pensieri, in un misto di rabbia, voglia di fregarsene e senso di colpa.

 

—— • ——

 

Eugene si trovò a prestare attenzione a Virginia più di quanto avesse voluto.

Notò il sorriso nervoso e l’espressione quasi spaurita quando rifiutava l’ennesimo invito di Charlene ed Emma – o come accidenti si chiamavano – a trascorrere una serata fra ragazze dall’una o dall’altra. Notò l’esitazione con cui rispondeva al saluto o alla domanda di un compagno di classe. Notò come si metteva in disparte durante l’intervallo e l’ora di Educazione Fisica. Notò come indugiava brevemente davanti ai piatti proposti dalla mensa scolastica prima di abbassare lo sguardo e prendere un frutto o un’insalata scondita, e il lieve sconforto con cui guardava il suo pranzo prima di iniziare a mangiare. Notò come tirava in basso il lembo della felpa in pile di una taglia più grande, come se volesse schermarsi dagli sguardi altrui. Notò la fretta con cui, finite le lezioni, metteva i suoi libri nello zaino alla rinfusa e quasi correva fuori dall’aula, come se avesse il diavolo alle calcagna. Notò l’istante di sofferenza che le deformava il viso prima di mostrarsi indifferente quando un insegnante le annunciava l’ennesimo brutto voto. Notò come trasaliva nel bel mezzo di una spiegazione ed estraeva il suo cellullare in fretta, premendo freneticamente sui tasti per inviare un messaggio.

Notò il modo in cui Virginia supplicò Mrs. Muir di renderle il cellulare sequestrato, come se da esso dipendesse la sua stessa sopravvivenza – il giorno dopo, Virginia aveva raccontato che era ruzzolata dalle scale inciampando in un giocattolo dimenticato dalla sua nipotina.

Sempre più spesso, Eugene sedeva non troppo lontano da lei sull’autobus che li conduceva a scuola. Sempre più spesso, incappava in Virginia e nel suo ragazzo, nel bosco del Vicariato: a volte lui la supplicava di perdonarlo, troppe volte li sentiva litigare – quelli erano solo brutti litigi fra innamorati, vero? Vero? – e una volta Eugene ebbe l’imbarazzo di sorprenderli ad amoreggiare, anche se non era certo che quello fosse il termine più corretto.

 

—— • ——

 

“Qual è il problema?”

Eugene sbatté le palpebre un paio di volte, ricambiando incerto lo sguardo aggigliato di Harry. “Non c’è nessun problema.”

“Gene, da quanto stiamo insieme?” sospirò Harry, facendo scorrere il suo sguardo lungo il plesso solare e l’addome dell’altro, fino all’inguine. “Quando sei così moscio è perché hai un problema. Come quando ti facevi delle paturnie se fare o meno coming out insieme.”

Eugene si sentì le guance infiammarsi e distolse lo sguardo da Harry. Maledetta Virginia Bergman! Masticò l’interno delle guance, indeciso se condividere o meno con Harry quello a cui, volente o nolente, aveva assistito e che lo infastidiva e lo tormentava da settimane. Male che vada, ti darà dell’idiota, vi farete una bella risata e tutto tornerà come prima.

“Penso di aver capito perché i voti della Bergman sono così bassi: l’amore le ha fatto definitivamente bere il cervello, servito shakerato e con tanto di ombrellino di carta.”

Harry ridacchiò nel sentire quelle parole. “Se è per questo, si può dire la stessa cosa di me,” disse con un sorriso divertito.

“Ma io non ti insulto e non ti picchio,” sbuffò Eugene, mettendosi a sedere sul letto e abbassando il capo. Si chiese se non avesse parlato troppo perché, in fondo, non era né un problema suo né tanto meno di Harry.

“Che cosa vuoi dire, Gene?” chiese Harry, corrugando la fronte e incupendosi appena.

Eugene sbuffò infastidito e fece spallucce. “Ma niente… lo hai detto tu stesso che sono solo paturnie.” Poi aggiunse, più a se stesso: “Non sono cazzi miei alla fin dei conti.”

“Se non sono cazzi tuoi, allora perché ti preoccupi?” Harry non aveva alcuna intenzione di desistere, non prima di sapere dove fosse il problema di Eugene e averlo risolto – era uno dei suoi vizi, ma lo amava anche per questo.

Eugene fissò le sue dita intrecciate e non disse nulla per un po’. “Non sono preoccupato, sono solo arrabbiato” ammise infine. “Voglio dire, non c’è più gusto a competere con lei, non in queste condizioni! Non con lei che fa quella che se ne frega dei brutti voti… non con lei che fa l’indifferente quando le sbatto in faccia la mia prima A in Storia! Sarò egoista, ma non mi va giù che il mio essere il primo della classe dipenda dal fatto che il suo ragazzo la…” La parola, tuttavia, gli rimase incagliata nella gola, come una lisca di pesce.

Che il suo ragazzo cosa?” chiese Harry, improvvisamente serio.

“Lascia perdere, mi fa troppo schifo solo a pensarci, figuriamoci a parlarne…”

Tuttavia, Harry tanto fece e tanto disse che Eugene non ebbe altra scelta che raccontargli quello che aveva visto, quello che aveva notato, sentendosi disgustato dal comportamento del ragazzo di Virginia, da come lei reagiva. Disgustato di se stesso per il proprio egoismo che da un lato lo spronava a fregarsene e dall’altro lo tacciava di codardia. E più ne parlava, più Eugene si sentiva disgustato e più sentiva che la situazione sarebbe diventata insopportabile per lui se non avesse fatto qualcosa.

“Hai parlato con lei?” mormorò infine Harry, posando la testa sulla sua spalla.

“Non dovrebbe essere lei, la prima a farlo?” rispose Eugene, senza reagire al tocco del suo ragazzo. “E poi perché dovrebbe parlarne con me? Non siamo neanche amici, solo compagni di classe. Siamo solo compagni di classe…”

Eugene non voleva chiedersi perché quelle ultime parole, mormorate più a se stesso, fossero amare come un fiotto di bile.

 

—— • ——

 

A metà aprile, Virginia iniziò a non venire a scuola e questo infastidì Eugene a tal punto che si vide costretto a chiedere a Charlize e Adelaide – o come accidenti si chiamavano – se sapessero che fine avesse fatto la loro amica.

“Veramente non lo sappiamo, e se lo sapessimo, a te cosa frega?” aveva risposto la più magra delle due, che Eugene riconobbe come una delle fan di Harry.

L’altra, la più procace, fece una risatina e diede una gomitata nelle costole dell’amica. “Secondo me è geloso, Audrey. Voglio dire, Liam è talmente cotto che se fossimo in un romanzo, sarebbero andati a Gretna Green4 già da un bel pezzo! E in quel caso avremmo dovuti chiamarli Mr e Mrs Vinavil!”

“Sì, però è da quando sta con lui che non esce più con noi…” sbuffò Audrey, mettendo il broncio.

“Beh, anche tu preferivi passare il tuo tempo libero con Arnold o Frank, invece che con noi!” l’altra la rimproverò giocosamente, allacciando il proprio braccio al suo e allontanandola da Eugene, senza salutarlo.

 

Virginia riprese a tornare a scuola dopo qualche giorno, accompagnata da sua madre o da suo fratello. Eugene trovava che lei avesse un’espressione strana, come se volesse e non volesse essere lì, ma soprattutto lui voleva sapere la ragione dietro quell’assenza prolungata, perché i loro insegnanti non le togliessero gli occhi di dosso, perché la sua famiglia l’accompagnava fin dentro l’edificio ogni mattina e ogni pomeriggio l’aspettavano quasi fuori dall’aula per riaccompagnarla a casa.

Eugene voleva sperare che i Bergman si fossero resi conto di quello che c’era fra Virginia e il suo ragazzo, che stessero agendo il quel modo per allontanarla da lui… ma quello era l’unico cambiamento che c’era, perché Virginia continuava a fregarsene delle lezioni, dei voti e di tutto il resto.

 

“Perché vuoi lasciare la scuola, Virginia?” lo stupore nella voce di Mr. Jackson fece indugiare Eugene sotto la finestra aperta.

“Perché questo è il mio ultimo anno di scuola dell’obbligo.” La voce di Virginia era poco più di uno squittio.

“Credevo che volessi andare a Oxford.”

“Beh, sì, ho… ho cambiato idea.”

Non sono cazzi tuoi, Gene. Gli ripeté una voce, mentre Eugene correva dentro l’edificio principale e attraversava i corridoi; si fermò solo quando trovò Virginia. La fissò ansimante, incredulo.

“Cos’è questa storia?” mormorò infine, quando la vide camminare via.

Virginia si volse, sbattendo le palpebre. “Di… di quale storia parli?”

“Del fatto che non vuoi più andare a Oxford, Bergman! Cazzo, lo hai detto tu stessa che era il tuo sogno!” Perché te la prendi così tanto? Sono cazzi suoi.

“Ho il diritto a cambiare idea, no?” Qualcosa nell’indifferenza della sua voce gli diceva che voleva tagliare corto.

Lui la fissò in silenzio, poi sputò: “È un’idea tua o di quell’idiota che hai per ragazzo?”

Eugene lo aveva sentito un paio di volte dire a Virginia che una ragazza dovesse solo sognare di incontrare il suo Principe Azzurro, che l’università era solo uno spreco di tempo e che lei, la sua ragazza, dovesse solo preoccuparsi della loro storia. Eugene ricordava come lui aveva insultato Virginia ogni volta che lei accennava ai suoi voti.

“Non sai di cosa stai parlando,” sibilò lei seccamente, allontanandosi.

“E invece lo so anche fin troppo bene!” Eugene insisté, afferrandola per un braccio e obbligandola a guardarlo. “Che mi piaccia o no, vi vedo quasi ogni santa volta che taglio per il bosco del Vicariato, tu e il tuo ragazzo. Sento quello che ti dice, vedo come ti tratta e ogni volta vorrei vomitare per lo schifo! E non provare a farmi bere la storiella che va tutto bene.”

“Ma come ti sei permesso di ficcare il naso nei miei affari, culo sfondato?!”

Quella parola fu come una pugnalata allo stomaco. Non che quella fosse la prima volta che Eugene fosse chiamato in quel modo, ma a fargli male era soprattutto sentirla pronunciare da Virginia, lei che aveva affermato che le sue preferenze sessuali non avrebbero cambiato nulla nel loro rapporto di sana rivalità scolastica – lei che aveva preso le sue difese contro la rabbia di una Audrey ancora cotta di Harry. Quella parola era la dimostrazione di quanto Virginia fosse cambiata.

Virginia fisso il vuoto, l’espressione inorridita, e portò una mano alle labbra tremanti.

“La… la Virginia che conosco non avrebbe mai chiamato qualcuno in quel modo,” mormorò infine Eugene, con le lacrime che gli annebbiavano la vista. “La Virginia che conosco avrebbe combattuto per il suo sogno con le unghie e con i denti. La Virginia che conosco si sarebbe fatta il culo in quattro per battermi in Storia e in Letteratura e in Matematica, per sbattermi in faccia una pila di A più alta come il Big Ben. La Virginia che conosco non avrebbe permesso al primo belloccio che passa di metterla sotto i piedi, di cambiarla così tanto… Tu non sei la Virginia che conosco, sei solo una sua brutta, brutta copia.” Si asciugò gli occhi con il dorso della mano, con rabbia. “Io rivoglio la vecchia Virginia, quella che mi prendeva in giro perché sul registro Bergman viene prima di Sauveterne oppure perché non seguo il corso di Scienze Soprannaturali, quella che mi faceva incazzare come una belva e allo stesso tempo mi spingeva a studiare ancora di più… quella che spero ci sia ancora sotto tutta questa merda e che non voglia finire a guardare l’erba crescere da sotto.”

La guardò accasciarsi sul pavimento, lo sguardo umido perso nel vuoto e il volto deformato da… neanche lui sapeva cosa. Eugene non seppe che cosa fare: doveva lasciarla cuocere nel suo brodo? Doveva restare? E per fare cosa? Lui e Virginia erano compagni di classe, erano rivali, se lei avesse voluto una spalla su cui piangere poteva andare da Audrey e Colette – o come diamine si chiamava. Eugene sospirò, imbarazzato e si disse che fosse meglio uscire di scena.

“Sai dove trovarmi,” si trovò a dire, senza volerlo, in quello che in seguito avrebbe definito un lapsus freudiano.

 

—— • ——

 

Bel modo di passare il sabato sera: cagando l’anima nel cesso di un locale.

Eugene mugugnò, piegandosi in avanti e chiedendosi che accidenti avesse mangiato per stare così male. Inspirò ed espirò, quasi toccando le ginocchia con la fronte mentre si liberava. Non si sentì meglio subito, anche se il dolore era passato, almeno per il momento, e rimase seduto in quella posizione respirando profondamente l’aria che puzzava. Quando sentì la porta della toilette aprirsi lentamente, pensò che fosse Harry, venuto a sincerarsi che lui stesse bene.

“… lo so che lo vuoi anche tu, Babe.”

No, non è possibile…

“Ma… ho le mie cose e…”

Questo è un incubo, vero? Un incubo dovuto a quello che ho mangiato, vero?

“Tanto meglio, risparmierò un preservativo.”

“Che schifo!”

“Smettila di fare la frigida, ok? E poi di cosa ti scandalizzi: lo fanno tutti.” E su quelle parole, la porta del gabinetto accanto – quello per le signore – fu chiusa.

Eugene avrebbe voluto essere ovunque che lì – non poteva essere altrove che lì – al punto che non sapeva se la nausea era dovuta a quel qualcosa che aveva mangiato o a quel che stava accadendo dall’altro lato della parete di formica. Cercò di non respirare, di non sentire, di non far comprendere che fosse lì a sentire e a immaginare tutto.

“Perché stai zitta, Babe?”

“Vorresti che qualcuno ci sentisse?”

Eugene deglutì il vuoto. Lui non era mai andato a letto con una ragazza ma di una cosa era certo: quello non era il tono di qualcuno che gode e cerca di non gemere.

Qualche grugnito, un sospiro soddisfatto.

“Perché fai quella faccia? Lo sai che ti amo,” la voce del ragazzo di Virginia sembrava quasi stizzita. “Ti aspetto fra dieci minuti.”

Le porte si aprirono e si chiusero e solo allora Eugene si accorse d’aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Quanto avrebbe dovuto aspettare prima di uscire senza che Virginia potesse sospettare che aveva sentito tutto? Cinque minuti, oppure che fosse lei ad andare via per prima?

Sentì lo sciacquone scaricare più volte, il rumore della tavoletta abbassata e un sussurro, appena udibile, alternato a singhiozzi soppressi.

“Lo sai che ti ama, Vir’. Lui ti ama davvero, è solo che a volte non riesce a trattenersi. È geloso, ma tutti i ragazzi lo sono, Vir’, è normale. È normale che ti voglia tutta per sé, Vir’, perché ti ama così tanto che non riesce a vivere senza di te. E anche tu lo ami, Vir’, quindi è normale che tu debba compiacerlo, sempre. Perciò va tutto bene, Vir’, va tutto bene… va tutto bene…”

Eugene non seppe perché lo fece – anche a distanza di anni, non sarebbe riuscito a dare una risposta quando lei glielo avrebbe chiesto – ma spinse la porta, che si aprì con un leggero cigolio soffocato dalla musica un po’ troppo alta proveniente dal locale. Osservò per un lungo istante il riflesso nello specchio –non di se stesso, ma della figurina femminile stilizzata e un po’ scrostata che designava la toilette riservata alle signore. Si avvicinò alla porta, stupito e sollevato di vederla socchiusa e, con un groppo alla gola, bussò con delicatezza.

“Bergman?” Eugene voleva credere che fosse la luce del neon a far sembrare Virginia così miserabile.

Virginia si dondolava leggermente in avanti e indietro, le dita strette attorno a una collana dorata e con la parola Love ornata di strass e un cuore al posto della O. “Va tutto bene… lo sai che ti ama, Vir’…” ripeteva come un mantra. “Va tutto bene… lo sai che ti ama…”

“Cazzo stai dicendo, Bergman?” sibilò Eugene inorridito e inginocchiandosi davanti a lei.

Virginia alzò gli occhi su di lui, dandogli l’impressione di avere davanti un animaletto terrorizzato. “Che… va tutto bene… altrimenti sarei impazzita già da un pezzo…” Singhiozzò un paio di volte e poi scoppiò.

Era stato Liam a convincerla di cambiare taglio e tingersi, perché non sopportava l’idea che un altro ragazzo le guardasse i capelli. Era stato lui a convincerla di lasciare la squadra di polo, dicendole che non era uno sport per ragazze e che la gente l’avrebbe presa per una puttana se continuava a frequentare altri ragazzi. Era stato lui a convincerla a non andare all’università, perché aveva un ragazzo bello e ricco come lui – perché la sua ragazza non poteva avere dei voti migliori dei suoi. Virginia gli raccontò come Liam l’aveva convinta anche a fare altre cose, cose che non le piacevano ma che aveva accettato perché lo amava – o almeno pensava di amarlo – cose cui non volle dare un nome ma che Eugene poteva immaginare.

 “Ho provato a lasciarlo, sai? Quando gli ho detto che non potevamo continuare in questo modo, a farmi sentire sbagliata, a farmi sentire in colpa per ogni cosa, mi ha detto che se lo avessi fatto, ci avrebbe ammazzati entrambi perché non poteva accettare che fra noi fosse finita… perché non poteva vivere senza di me… mi ha accusato di non amarlo abbastanza, di non fare alcuno sforzo per far funzionare le cose fra noi… e poi…” Le parole si persero nei singhiozzi.

Eugene voleva credere che quella sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco fosse dovuta a un’intossicazione alimentare oppure a un virus che se ne sbatteva che fosse tarda primavera. Mentre Virginia piangeva con la fronte poggiata sulla sua spalla, prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni e iniziò a scorrere i contatti: si sentì sollevato di vedere che aveva ancora il numero di casa Bergman, avuto quando era stato scelto come rappresentate di classe e prima che Virginia avesse un cellulare tutto suo. Pregando che il ragazzo di Virginia non tornasse, aspettò che qualcuno rispondesse.

Pronto?” Era una voce maschile, annoiata e assonnata, troppo giovane per essere Mr. Bergman.

“Ehm… mi scusi per il disturbo, ma potrebbe venire a prendere Virginia? Non…” Quanto sapeva la sua famiglia? Quanto poteva sbilanciarsi? “Non si sente molto bene.”

E tu chi sei?” La voce si fece di colpo sveglia, sospettosa.

“E-Eugene Sauveterne, un suo compagno di classe.”

Dove sono le sue amiche? Ci aveva detto che sarebbe andata a casa di Chantal.

“Non lo so, non le ho viste…” Eugene esitò, ma preso da un’improvvisa ispirazione aggiunse: “Virginia era con il suo ragazzo fino a pochi minuti fa.”

Cazzo d’un cazzo stracazzo!” urlò la voce, cercando di mascherare la preoccupazione con la stizza. “Non le ho fatto da baby-sitter quando aveva sei anni e devo farlo adesso che ne ha sedici?

Finn, cos’è questo linguaggio!” aggiunse un’altra voce più matura, distante. Mr. Bergman senza alcun dubbio.

Papà, Vir’ ci ha preso in giro: è con quel bastardo! Ehi, tu, dove siete?” Eugene rispose con il nome del locale. “Sarò lì fra un quarto d’ora. E non azzardarti a lasciarla da sola, capito?!

Mentre Finn pronunciava queste parole, Eugene sentì un campanello suonare e una terza voce canticchiare gioviale: “Sorpresa!” cui il fratello di Virginia rispose con un “Bob, vieni con --

Il telefono era stato riagganciato ed Eugene deglutì di nuovo. Un quarto d’ora… quindici minuti in cui poteva accadere tutto e il contrario di tutto. Si passò nervosamente una mano fra i capelli, chiedendosi cosa fosse meglio fare – di certo non potevano uscire per l’ingresso principale, e la porta di servizio era riservata al personale. Eugene non se la sentiva né di dare spiegazioni a degli estranei – non era compito suo, giusto? – né aveva fiducia nelle sue scarse qualità istrioniche.

Non sei un cavaliere su un cavallo bianco e dall’armatura scintillante, Gene.

“Vieni, Bergman,” mormorò infine, quasi sollevandola di peso perché Virginia aveva tutta l’aria di non voler collaborare più di tanto. Eugene sbuffò esasperato, tuttavia cercò di mantenere un tono di voce calmo e controllato. “Andiamo, aspetteremo tuo fratello fuori, d’accordo? E poi un po’ d’aria fresca ti farà bene.”

“Finn?”

“E Bob, credo.” Non poteva esserne certo, perché la telefonata era stata chiusa di colpo, ma sentire quel nome parve scuotere Virginia dal suo torpore.

Eugene aprì piano la porta del bagno, spiando il locale per sincerarsi che il ragazzo di Virginia non fosse nei paraggi o fosse troppo impegnato per notarli. Lo intravide nei pressi del bancone a ridere come se nulla fosse e con una bottiglia di birra in mano. Eugene prese un respiro profondo e scivolò lungo la parete, un braccio fermamente stretto attorno alle spalle di Virginia e lo sguardo che si alternava fra la porta e la testa del ragazzo di Virginia.

Eugene si sentì sollevato nel trovarsi sul marciapiede, anche se non completamente al sicuro: quanto tempo ci avrebbe messo il ragazzo di Virginia ad accorgersi che lei non era più in bagno? Quanto tempo avrebbe messo a cercarla dentro il locale? Il fratello di Virginia sarebbe arrivato prima che quel tizio decidesse di cercarla fuori? Eugene cercava di trattenersi dal guardare il suo cellulare, di non contare i minuti che passavano… ti non sentirsi in colpa per non essere intervenuto fin da marzo, di sentirsi inadeguato alla situazione, di non pensare ai guai potenziali in cui si sarebbe cacciato.

“Ecco dov’eri finita!” Il ragazzo di Virginia uscì dal locale, il volto deformato dalla rabbia mentre afferrava Virginia per il polso.

È stata una vita breve, Gene, breve ma intensa.

“La-lasciala stare!” balbettò Eugene, trovando chissà dove il coraggio di frapporsi. Lui non era un tipo sportivo, figurarsi da rissa – preferiva evitare i conflitti e tornare a casa con la pelle intatta – e sapeva che avrebbe fatto la figura del sacco da boxe. Quanti pugni avrebbe preso prima che i fratelli di Virginia arrivassero?

Il ragazzo di Virginia lo guardò dall’alto in basso per un istante, prima di strattonare Virginia come se fosse una bambola di pezza. “Così adesso mi metti le corna anche sotto il naso, Babe?”

“N-no… lui è solo un mio compagno di classe, Liam…”

“Un compagno di classe, eh? Scommetto che è pure il tuo compagno di banco, così gli fai una sega durante l’ora di Biologia… e magari anche un pompino!” sputò addosso, la voce avvelenata dalla rabbia.

“Lasciala stare!” ripeté Eugene con più sicurezza. Il pugno lo colpì al plesso solare, mozzandogli il fiato e piegandolo dal dolore.

“Prima mi occuperò di lui, e poi faremo i conti, Babe!” Ringhiò il ragazzo di Virginia, facendo piovere colpi su Eugene che cercava di proteggersi alla bell’e meglio. Due cazzotti, un calcio e la ginocchiata fu impedita da qualcuno che si era gettato su di lui, allontanandolo da Eugene e Virginia.

“Se vuoi fare a botte, prenditela con qualcuno della tua taglia!” Provocò il nuovo arrivato, facendo cenno con la mano a farsi sotto. Era un ragazzo di ventidue o ventitré anni, un po’ allampanato e dal viso coperto di lentiggini, non proprio muscoloso ma apparentemente più abituato alle risse di Eugene.

“Sono stupito, Babe, non pensavo che, frigida come sei, ti facessi così tanti cazzi insieme,” sputò, prima di accettare la sfida e lanciarsi contro il nuovo arrivato.

Eugene tossì, sentendo un dolore lancinante al fianco e caracollando verso Virginia, che osservava la scena inorridita o scioccata – o forse entrambe le cose. Alcune persone uscirono dal locale per vedere che cosa stesse succedendo, fra cui un paio di amici del ragazzo di Virginia che iniziarono a fare il tifo per lui – fra cui Harry che non potette trattenersi dal chiede a Eugene perché lui e Virginia fossero in quello stato

“Smettetela, subito!” ordinò qualcuno, frapponendosi fra i due. Aveva una voce autoritaria e controllata, ma che faceva più pensare al sibilo di una pentola a pressione.

Eugene non ebbe alcun dubbio sull’identità dell’uomo che aveva parlato: assomigliava così tanto a Virginia che non poteva che essere suo fratello maggiore. E se il tizio allampanato era Finn, allora lui era…

“Tu sei Vichingo Bergman!” esclamò Harry, sgranando gli occhi per la sorpresa. Era Bob Vichingo Bergman in persona, la migliore seconda linea che la squadra di rugby della Langlane avesse avuto negli ultimi quindici anni. Eugene avrebbe riso, se non fosse per quel dolore al fianco mentre Harry aggiungeva, un po’ ingenuamente: “Coach McCoy si chiede ancora perché sei diventato poliziotto quando potevi essere un giocatore professionista.”

Fai meno il galletto, adesso, eh? Saggia decisione.

Il ragazzo di Virginia fece un’espressione come se avesse morso un limone acerbo, poi sputò. “Credi di farmi paura, eh? Sai chi è mio padre, coglione?”

No, mi rimangio quello che ho detto. Sei un idiota.

Bob fissò il ragazzo di Virginia dall’alto dei suoi due metri e uno sputo, poi fece un passo in avanti. “Sono fuori servizio e non sono nella mia zona però… siete entrambi in arresto per aggressione e disturbo della quiete pubblica. Sì, anche tu Finn! Vi consiglio di staretranquilli fino a quando i miei col-” Nel momento in cui parò il colpo, afferrandogli il braccio, Bob sgranò gli occhi, inorridito. Mormorò qualcosa a se stesso, con la faccia di chi cerchi di tenere sotto controllo la propria rabbia.

La volante della polizia locale arrivò dopo pochi minuti, e solo dopo aver brevemente spiegato loro quello che era successo, Bob guidò Virginia ed Eugene nella sua macchina. Il resto della nottata lo trascorsero al pronto soccorso, dove Eugene fu curato e scoprì di avere una costola rotta: quando sua madre arrivò, trafelata e in panico, chiedendogli che cosa gli fosse saltato in mente nel farsi coinvolgere in una rissa, non aveva avuto altra scelta che spiegarsi succintamente. Dopo aver ascoltato tutta la storia, il suo patrigno lo aveva guardato seriamente.

“Ti sei comportato da vero uomo.” Era un gran complimento, quello, un riconoscimento che il suo patrigno gli aveva negato dal giorno del suo coming out.

Eugene non aveva la benché minima idea di cosa avrebbe fatto Virginia, oltre a mollare definitivamente il suo ragazzo: per tutto il tragitto Bob le aveva detto di denunciarlo, che lei non dovesse aver paura di raccontare quello che era accaduto. Bob aveva aggiunto che, essendo iscritta nel Registro di Haltey6, un suo collega del Dipartimento di Crimine Paranormale avrebbe dovuto indagare e questo avrebbe permesso di sapere la verità su quello che era accaduto, quella sera e nei mesi precedenti.

 

—— • ——

 

Virginia fu promossa con il minimo dei voti e, considerate le circostanze un po’ particolari, alcuni insegnanti avevano fatto pressione affinché fosse ammessa al Sixth Form7. Eugene si offrì volontario per aiutarla a studiare durante l’estate, nel tentativo di recuperare il più possibile: per quanto ne avesse detto Harry, non sentiva d’aver fatto qualcosa per permettere a Virginia di uscire dalla sua relazione – anche dopo che tutto era finito, il senso di colpa per non aver agito prima continuava a punzecchiarlo. Lo aiutò molto a far pace con se stesso vedere lo zelo che Virginia metteva nello studio.

“Voglio voltare pagina,” gli aveva confessato un pomeriggio, mentre facevano una pausa con un bicchiere di limonata ghiacciata e una pila di muffin.

Era stato per voltare pagina che Virginia aveva deciso di non sporgere denuncia, nonostante le insistenze di Bob e le rassicurazioni della sua famiglia: le bastava l’ordine di restrizione, cui si era aggiunta la decisione del padre del suo ex di portarlo con sé all’estero – poco importava dove, era sufficiente sapere che ormai fra loro due ci fossero sette ore di aereo. Era stato per voltare pagina, che Virginia aveva ripreso l’equitazione, anche se non si sentiva più capace di affrontare una partita di polo: il terapista consigliatole da suo fratello Pat, aveva detto che il contatto con Fairy Red Poppy, la giumenta che Mr. Bergman le aveva regalato per il suo dodicesimo compleanno, le avrebbe giovato.

Eugene aveva temuto che, per voltare pagina e come aveva letto in molte testimonianze su internet, Virginia si desse alla promiscuità: si era sentito sollevato quando aveva detto a Chantal e Audrey che, per il momento, preferiva concentrarsi sullo studio. Trovava in un certo senso confortante vedere Virginia tornare pian piano la ragazza che conosceva: certo, sapeva che le cicatrici avrebbero distorto il suo modo di vedersi e di relazionarsi con gli altri, ma Eugene sapeva anche che Virginia aveva, oltre a una famiglia che la sosteneva, una forza interiore cui attingere; doveva solo trovare il fegato di farlo.

E mentre il sole estivo si rifletteva sui capelli di Virginia, facendo contrastare il castano scialbo della lunghezza con il biondo Tiziano delle radici, Eugene rifletteva su tutto questo e per la prima volta – almeno consciamente – si disse che Virginia non era più una rivale di studi.

 

—— • ——

 

Note

1. Tout va bien, madame la Marquise: è una canzone comica del 1936 e che mio marito ed io spesso citiamo per quelle situazioni in cui non si vuole ammettere che c’è un problema.
“A dir il vero, Signora Marchesa, / venendo a sapere d’essere rovinato, / ripresosi dallo shock, / il Signor Marchese s’è suicidato. / E stramazzando a terra / ha fatto cadere le candele / appiccando il fuoco a tutto il castello / che ha bruciato da sopra a sotto, / e soffiando sull’incendio / il vento l’ha propagato fino alle scuderie / e fu così che in un momento / vedemmo morire la vostra giumenta. / Ma a parte questo, Signora Marchesa, / va tutto bene, va tutto molto bene.”

2. Scienze Soprannaturali: nell’universo di Podestaria, le persone dotate di poteri magici sono “caldamente invitate” a seguire questo corso, generalmente dall’ultimo anno di scuola media al primo anno di università – e questo anche se lo studente decide di lasciare gli studi dopo la scuola dell’obbligo. Non avendo Eugene alcun potere, non può accedere a questo corso, quindi Virginia avrà sempre un voto in più di lui sulla pagella.

3. 5 novembre (Guy Fawkes Night): commemorazione del fallimento della Congiura delle Polveri, che prende il nome dal più importante congiurato, la cui effige viene bruciata su un falò.

4. Daffyd Thomas: personaggio di “Little Britan”, che afferma di essere l’unico gay del villaggio nonostante la pletora di omosessuali che incontra in ogni episodio.

5. Gretna Green: villaggio della Scozia meridionale, in cui molte giovani coppie fuggivano per sposarsi senza il consenso dei genitori – un esempio letterario è Lydia Bennet che, prima di fuggire con Wickham, lascia una lettera in cui afferma che la loro destinazione è la Scozia.

6. Registro di Haltey: nell’universo di Podestaria, tutte le persone dotate di poteri sono elencate in questo registro, in cui è indicata la Classe di appartenenza e il tipo di potere, ove questo fosse differenziato.

7. Sixth Form: gli ultimi due anni di scuola superiore, non obbligatori e il cui scopo è principalmente la preparazione per gli studi universitari.

Per la cronaca e per chi non ha letto la storia madre, Bob Bergman è un Empata, per cui quando Liam cerca di colpirlo, ha un flash di quello che è accaduto poco prima.

 

Sarebbe stato utile aggiungere qualche altra considerazione sulla violenza domestica e lo stalking, ma davvero, non ho energie per farlo. Tutto quello che posso fare è incoraggiare ad agire se rivedete una persona a voi cara oppure voi stessi nelle situazioni descritte: perché, anche se ci si convince che “va tutto bene, va tutto molto bene”, la giumenta grigia è morta, la scuderia e il castello distrutti, e la Signora Marchesa rovinata.

http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/numeri-di-pubblica-utilita-sezione/117-numero-verde-1522-antiviolenza-donna

http://www.telefonorosa.it/

http://www.loveisrespect.org/ sito anglofono, certo, ma mia cugina ed io abbiamo concordato che i quizz permettono una sorta di primo colloquio con se stessi.

 

 

Kindest regards,

D. Rose.

   
 
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