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Autore: Ghevurah    01/05/2015    11 recensioni
Oh, lo hai compreso, di te resteranno solamente reliquie cineree sotto stelle superbe.
Non ora, però. Non qui.

[Prima classificata allo "Shakespearian quotations contest - II Edizione", indetto da _juliet sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fëanor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. Personaggi, luoghi ed eventi appartengono a J. R. R. Tolkien e a chi ne abbia acquisito o ne eserciti i diritti, nessuna violazione di copyright è pertanto intesa.










 
Hui - Una Notte








Oh il mio delitto è fetido, impesta il cielo,
carico della più antica, primaria maledizione – [il fratricidio]!
[…] Ma cosa può un uomo che non riesce a pentirsi?
 
William Shakespeare, Hamlet
 








L’oscurità è densa e inonda l’animo, affogando la ragione. E tu t’affanni per riuscire a prender fiato.
Ma dura solo un istante.
Questa notte è perenne e ineluttabile, tanto che il mondo sembra scontare con te i tuoi peccati, mentre le stelle occhieggiano la tua, la vostra, rovina. Quelle stelle che hanno assistito al risveglio dei tuoi antenati, quelle stelle di cui la tua opera ha offuscato lo splendore, ora possono avere la loro vendetta.  
In molti si soffermano a osservarle, a salmodiare preghiere seguendo le mappature dei loro disegni astrali, e tu avverti un famigliare rancore logorarti. Credevi si fosse già preso abbastanza, espandendosi come un tarlo abissale nel tuo animo, consumando tutto ciò in cui s’imbatteva. Eppure continua il proprio stillicidio, corrodendo persino lo scheletro dei tuoi sentimenti.
Oh, lo hai compreso, di te resteranno solamente reliquie cineree sotto stelle superbe.
Non ora, però. Non qui.
Il tuo sguardo è più ferale delle tenebre che palpitano all’orizzonte, chi lo incontra s’affretta ad accomiatarsi con il cielo, a riprendere la propria marcia sventurata. E i vessilli s’agitano trasudando sangue.
Non ti sei voltato indietro una sola volta, né prima né dopo.
All’inizio v’era il lume argenteo della Mindon alle tue spalle. Beccheggiava fra le corone montane, ultimo baluardo prima del naufragio nel buio, prima dell’abbraccio all’ignoto. Ma tu non ti sei voltato. Lo hai sentito ardere sulla carne come un marchio di fuoco, mentre strappavi al suo bagliore il tuo popolo, i tuoi figli. Ma non ti sei voltato.
Poi ci sono stati i Porti, relitti lattiginosi in quella notte d’angoscia. Le navi, perle oscillanti sul mare nero.
Quell’accampamento di esuli in cui hai partorito una scelta concepita dalle tenebre calate sul mondo e sul tuo cuore. Hai svelato a te stesso il proposito per cui tanto avevi faticato nelle fucine, forgiando e affilando lame che, prima d’allora, si erano abbeverate di sole minacce.
È stato incredibilmente facile uccidere: pura meccanica corporea, un connubio d’istinto e metodica. E incontrando lo sguardo vacuo di chi un infinito, torbido, istante prima era vivo, vivo d’una vita aliena a qualsiasi sofferenza, hai compreso: il tuo giuramento sarà sepolcro di fratelli strappati alla propria eternità (fratelli, una parola che possiede uno strano sapore sulle tue labbra). Ma tu non temi la ferocia dello spirito, non temi l’ombra che attende là, alla fine di ogni cosa; ciò che temi è l’indugio, cancrena di volontà vendicatrici.
Dunque ecco la distesa di corpi, di membra candide e secolari, perché è così fragile questa immortalità sotto dita fraterne. Un altro inganno dei Potenti, un’altra menzogna.
Le navi sembrano meno bianche da quando sono entrate in vostro, in tuo, possesso. Un cordoglio stinto con cui siete salpati da banchise mortuarie.
Le lacrime di Uinen vi hanno colto per mare; lacrime mai tanto spietate, simili alle tue lame assetate d’eternità.
Nella stiva agitata dalla tempesta hai interrogato le tenebre, aggrappandoti alla tua vita di fratricida. Il tuo ordine è stato che anche i principi facessero lo stesso, poco importava che le loro giovani mani fossero lorde di sangue, che i loro animi fossero escoriati dalle perdite. Il giuramento, yondonyar1. Il giuramento.
Sei approdato oltre i fiordi e il deserto, oltre il confine del conosciuto, dove le stelle raggelano la notte invece di rischiararla. Qui hai incontrato gli sguardi cupi dei tuoi fratelli (li chiami fratelli, ora?); neppure durante i dissidi dell’abbandonata Tirion ti hanno rivolto simili sguardi. Ora, però, sono disposti a chinare il capo, disprezzandoti in silenzio. Ingaran2, mormorano, ché la colpa unisce e rafforza legami usurati.
Ma un monito aleggia nell’aria e vestito d’un manto luttuoso, si palesa il maledicente, bocca dei Valar. Parla con un coro di mille voci, svelando un futuro che gronda tormenti.
Fra le tue genti si respira sgomento, quando tu ti fai avanti (cuore divorato dal risentimento). Reclami il giuramento. Sempre il giuramento, e la libertà di soffrire, di lottare. Di uccidere, persino. Al bando la viltà, il resto ben venga.
Alcuni, però, abbandonano la marcia e per un fratello che va, un altro resta. Nelle tenebre, con te, il fratello che mai avresti creduto, per metà sangue del tuo sangue, per metà estraneo. Ed è curioso accorgersi di come, sotto queste algide stelle, ti somigli in modo tanto doloroso.
Guardi il suo viso e sai che il tuo appare altrettanto pallido, altrettanto emaciato; che i tuoi occhi brillano della stessa, straziante, fermezza. Un riflesso ripudiato nella luce e riscoperto fra le ombre: finalmente fratelli, fratelli assassini, assieme, di altri fratelli.
Tuttavia questo non basta. Le navi, sempre più tetre, sono poche; sussurri malevoli avvelenano il tessuto notturno, mentre il gelo perenne s’affaccia da Nord. E allora quanta importanza può avere questa condivisione di colpe, quest’eucarestia di sangue? D’altronde, pensi, v’è una certa ironia nel tacciar di tradimento un fratricida.
Così si va, via, per Mare. Lontano da fratelli e Porti insanguinati e terre vagliate da giudizi divini. Si va in grembo alla tenebra, dove il rabdomante d’incubi languisce, ladro di luce e di vita.
Le navi torneranno a prendere coloro che qui abbiamo lasciato, dici ai tuoi figli, ma la menzogna già sboccia sulle tue labbra.
Oltre il Mare, poi, affiorano sponde livide, erose da un’oscurità verace, e tu vedi un fitto velo d’inquietudine tendersi sui volti della tua gente. Scorgi in loro il desiderio di tornare indietro, là dove tutto ha avuto inizio, là dove la Mindon splende ancora e il giudizio attende. E le navi, ormai fosche quanto la vostra sorte, nutrono l’unica speranza di ritorno.
Allora la tua decisione è presa. Poco importano le parole del tuo primogenito, capelli e mani di sangue, eppure ancora così leale, così puro d’animo (proprio come sua madre).
Lì, tra i fiordi, invochi quelle fiamme che sempre ti sono appartenute. Brucino le navi, brucino le speranze. E i fratelli abbandonati, con cui hai condiviso un fratricidio, divengono inutili fardelli destinati alla cattività.
Il crepitare delle navi diviene un brivido che s’insinua sotto pelle e scorre in una cinghia di fumo sul filo dell’acqua riarsa. L'incendio si può scorgere anche sulle rive opposte, ove i ripudiati sono ormai costretti.
E potrebbe esser questa l'essenza della tua ultima colpa, ma così non è.
Perché quando restano distese di cenere a presidiare l’orizzonte marino, una nuova, oscura, consapevolezza si fra strada nel tuo animo logoro.
Dei tuoi sette figli solo sei guardano ai resti delle navi. Ed è lo sguardo disperato del minore fra loro a svelarti il tuo crimine più atroce.
Le tenebre premono un bacio obliante sulle tue palpebre, mentre il ricordo d’una perduta felicità ti invade. Una felicità scivolata come acqua fra le tue mani, sempre tese verso un cielo irraggiungibile.
Pensi a quel padre tanto amato e ti ritrovi bambino, cullato dalla sua voce. Pensi ai tuoi figli, ora maledetti, al calore della tua sposa, a una famiglia ripudiata. E il rimorso è un baratro d’orrore.
Ma dura solo un istante.
Poi v’è il ricordo di luci trafugate e il giuramento, ancora, il giuramento che diviene essenza di vita. Il giuramento.
Il resto è fuoco e cenere in questa notte perenne.












 
Note:
1 - (Quenya) Lett. “figli miei”
2 - (Q) Lett. “Alto Re”, appellativo del sovrano di tutti i Noldor.





   
 
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