CAPITOLO
QUINDICI
Quando
Sherlock si risvegliò quella mattina, la
prima cosa che fece fu controllare se John fosse ancora lì.
E nello scoprire
che la parte del letto accanto a lui era vuota e fredda si
rattristò
immediatamente. Era da diverso tempo che agognava di svegliarsi stretto
al suo
corpo caldo e sperava di essere accontentato una volta tanto, almeno
quando
stava male, come quel giorno che sentiva la testa girare.
Chissà dov’era andato!
Con
molta calma mise i piedi giù dal letto e si
sedette sul bordo, cercando di trovare le forze per alzarsi; una volta
riuscitoci, dovette aspettare un altro po’ perché
la stanza smettesse di
girare. Poi si incamminò verso l’uscita,
appoggiandosi a tutti i mobili che
trovava a portata di mano per non rischiare di cadere.
Le scale furono un’impresa più ardua, ma
riuscì a gestire anche quelle e
finalmente si trascinò fino alla cucina. I suoi occhi
andarono subito alla
ricerca di John ma nemmeno lì c’era alcuna traccia
di lui. C’era solo Connie
che stava preparando del tè.
Sherlock dovette schiarirsi la gola per farsi notare da lei.
“Sherl!”
esclamò la sorella non appena lo vide. “Ti
sei già alzato! Vieni, siediti!”
Il
moro non se lo fece ripetere due volte e si
accomodò sulla sedia più vicina. Soltanto in quel
momento, però, notò un paio
di bustine trasparenti sul tavolo e le riconobbe immediatamente. In una
era
contenuta una polverina bianca e nell’altra c’erano
un paio di pillole molto
piccole.
“Le
ho trovate tra le tue cose”, spiegò Connie,
notando lo sguardo del fratello.
“E
John dov’è?” chiese Sherlock, spostando
gli occhi
da un’altra parte.
“E’
andato a fare la spesa. Tornerà presto”. Connie
tornò ai fornelli e versò del tè in
una tazza, per poi metterla davanti al
fratello insieme a una scatola di biscotti. “Tieni, mangia
qualcosa”.
“Non
ho fame”.
“Lo
so, ma devi mangiare lo stesso”.
Sherlock
cominciava ad essere un po’ irritato dal
tono amorevole e zuccheroso che sua sorella stava usando con lui,
trattandolo
come un bambino piccolo.
E aveva bisogno di John. Aveva un disperato e forte desiderio di avere
John lì
con lui, anche solo per essere consapevole della sua presenza.
Tuttavia si sforzò di mangiare un paio di biscotti e di
svuotare la tazza. Poi
Connie lo trascinò in bagno perché voleva che
fosse lui a svuotare quella droga
giù per lo scarico.
Le mani del detective tremavano mentre svolgeva quella mansione, ma
doveva
farlo, sapeva anche lui che doveva farlo. Era giusto così.
Aveva superato il
limite.
La sorella lo aiutò quando fece fatica ad aprire una delle
bustine.
La polverina bianca scivolava davanti ai suoi occhi dritta
nell’acqua del water
e soltanto in quel momento Sherlock si accorse di quanto era stato
stupido e
pericoloso. Aveva commesso di nuovo lo stesso sbaglio, era tornata
indietro,
era tornato in quel passato che aveva cercato di rifuggire con tutte le
sue
forze.
Che cosa avrebbero pensato di lui gli altri? Che cosa avrebbe pensato
John?
“Hai
qualcos’altro?” la voce di Connie gli
arrivò
alle orecchie come un tuono che percuote una notte silenziosa e
l’uomo si
riscosse dai suoi pensieri tutto d’un colpo.
“Sherlock, hai altro che dobbiamo
buttare?”
“No”.
“Sei
sicuro?”
“Sì.
Puoi controllare”.
“No.
Mi fido”.
La
ragazza abbassò il coperchio della tazza e mando
giù lo scarico. Il detective vi si sedette sopra e
alzò lo sguardo alla
sorella. “Stanotte ho baciato John”.
Connie
si sedette sul bordo della vasca e guardò
Sherlock come se le avesse appena detto che aveva fatto un viaggio
sulla luna.
“Davvero?”
“Sì”.
“E
lui ha ricambiato?”
“Sì”.
La
ragazza all’improvviso batté le mani e
spalancò
la bocca in un sorriso a trentadue denti. “Oh mio Dio, ma
è fantastico!”
Sherlock inarcò un sopracciglio; in momenti come quello
dubitava che fosse
veramente sua sorella. Ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di
esserne
divertito.
“Be’,
dopotutto non mi stupisco. John è pazzo di te”.
“Cosa?”
“Certo!
Come fai a non essertene accorto? Eppure sei
un detective eccezionale”.
Sherlock
scrollò le spalle. Non è che non se ne
fosse accorto, era solo che non aveva voluto illudersi. Aveva fatto
caso ad
alcuni segnali mandatigli da John, che fossero voluti o meno, ma non
aveva
voluto crederci. Aveva etichettato questi piccoli dettagli come inganni
della
sua mente, nulla di più. Ma ora era felice di essersi
sbagliato.
Almeno qualcosa nella sua vita sembrava andare nel modo giusto.
John
rientrò in casa mentre Connie stava riordinando
la cucina. La ragazza lo accolse con un sorriso entusiasta, al che il
dottore
rimase un po’ perplesso ma non fece alcuna domanda.
Probabilmente era qualche
ormone da donna incinta.
“Sherlock
è di sopra”, gli disse. “Metto io a
posto
la spesa”.
John
appoggiò i sacchetti sul tavolo e corse su per
le scale, dritto in camera di Sherlock. Lì trovò
l’uomo intento a osservare
degli spartiti, col violino ancora appoggiato dentro la custodia.
“Ciao”.
“Ciao”.
“Sei
tornato”.
“Sì”.
John,
fermo ancora sulla soglia, esitava a entrare,
maledicendosi per non aver preparato un discorso. Gli sarebbe stato
molto utile
perché un quel momento non aveva la più pallida
idea di che cosa dire, o
meglio, sembrava che tutte le parole gli si fossero incastrate in gola.
E così
stava facendo la figura del pesce lesso. Come suo solito…
Allora
cominciò a schiarirsi la gola.
“John,
dobbiamo parlare”.
Di
nuovo, il biondo rimase senza parole, a fissare
Sherlock come un baccalà.
“Per
quel bacio, io…”.
“Aspetta!”
lo interruppe il dottore, ponendo una
mano aperta davanti a sé per dare più enfasi alle
sue parole. “Aspetta”.
Abbassò lo sguardo. Non ce la faceva a guardarlo negli
occhi, tutto quello era
nuovo per lui. “Qualsiasi cosa tu stia per dire aspetta
perché se aspetto io poi
non ce la farò a dirti quello… quello che voglio
dirti”. Alzò lo sguardo solo
per vedere l’espressione di Sherlock, il quale lo guardava
incuriosito ma in
attesa delle sue parole. John esalò un sospiro e
continuò: “Io… io provo
qualcosa, per te. Non so esattamente cosa sia o forse ancora non lo
voglio
ammettere, ma… so che tengo a te più di quanto si
possa tenere a un semplice
migliore amico e so che… voglio che il nostro rapporto sia
più di una semplice
amicizia…”. All’improvviso, senza avere
il tempo di concludere, si trovò le
labbra di Sherlock premute contro le proprie e le sue braccia che lo
stringevano, come per impedirgli di allontanarsi. Non che John lo
avrebbe
fatto.
“Anche
io voglio qualcosa di più”.
Mycroft
entrò nell’appartamento con l’ombrello
appeso al braccio e l’elegante completo leggermente bagnato.
“Myc”,
lo salutò Connie cordialmente ma con una
punta di freddezza nella voce.
“Ciao,
Connie. Dov’è Sherlock?”
“E’
in camera con John”.
Fratello
e sorella si stavano fronteggiando nel
centro del salotto, come l’altra sera, però con
meno ostilità.
“Senti,
Myc, non ho voglia di litigare con te. Ma non
voglio nemmeno mettere Sherlock in un centro di disintossicazione. Gli
ho fatto
buttare via tutta la droga. Ti posso assicurare che io e John possiamo
gestire
la cosa”.
“Lo
so che potete farlo. Nemmeno io voglio chiuderlo
in uno di quei posti”.
Connie
lo guardò sconcertata. “Che cosa?”
“Ho
reagito molto male l’altra sera. Ti chiedo scusa”.
Mycroft
che chiedeva scusa? Questa se la sarebbe
dovuta appuntare.
“Quindi…”.
“Quindi
faremo a modo tuo. Ovviamente, sappiate tu e
John che anche io voglio aiutare Sherlock. E non ho intenzione di
essere messo
da parte”.
“Certo.
Assolutamente”. La ragazza sorrise contenta
e pure Mycroft non poté fare a meno di
piegare le labbra in un debole sorriso che parve più una
smorfia che un vero
sorriso.
John,
seduto sul letto, teneva il portatile aperto
sul grembo. Sherlock, sdraiato accanto a lui, col dito gli disegnava
dei
ghirigori sul braccio.
“Allora,
cosa dicono i tuoi fan?”
“La
maggior parte sono persone che chiedono di
risolvere dei casi per loro. Oh, e c’è una bambina
che vorrebbe tu le
risolvessi il mistero dell’omicidio del suo cavallo zoppo. I
suoi genitori
dicono che è stato morso da un serpente velenoso, ma lei
pensa che lo abbiano
ucciso loro perché era zoppo”.
“Probabilmente
è così”, concluse il detective,
portando
le braccia dietro la testa.
John
chiuse il
computer, lo poggiò a terra e si strinse addosso a Sherlock.
Era tutto così perfetto.
Tutto.
MILLY’S
SPACE
Ciao
a tutti,
sarete
contenti di sapere che non sono morta? ^^ *apre l’ombrello
di Mycroft in caso di lancio di pomodori*
Dopo
tutto questo tempo finalmente mi sono decisa ad
aggiornare la fanfiction. Il ritardo non è stata una cosa
voluta, semplicemente
mi sono mancati il tempo e l’ispirazione.
Spero vi ricordiate ancora di questa storia.
Va
be’, non voglio perdermi in inutili ciance che tra un
po’ devo uscire e non mi sono ancora preparata.
Vi
ricordo di visitare la mia pagina fb, Milly’s Space, e
di lasciarmi qualche recensione, anche per urlarmi contro XD
Un
bacione,
M.
MONKEY_D_ALYCE:
ciao, carissima!! Anche io voglio un Sherlock da coccolare…
e invece è solo
John ad avere questa fortuna ^^ be’, siamo felici per lui.
Yeeeah! Spero di
risentirti, un abbraccio. Milly.