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Autore: millyray    03/05/2015    0 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUINDICI

Quando Sherlock si risvegliò quella mattina, la prima cosa che fece fu controllare se John fosse ancora lì. E nello scoprire che la parte del letto accanto a lui era vuota e fredda si rattristò immediatamente. Era da diverso tempo che agognava di svegliarsi stretto al suo corpo caldo e sperava di essere accontentato una volta tanto, almeno quando stava male, come quel giorno che sentiva la testa girare.
Chissà dov’era andato!

Con molta calma mise i piedi giù dal letto e si sedette sul bordo, cercando di trovare le forze per alzarsi; una volta riuscitoci, dovette aspettare un altro po’ perché la stanza smettesse di girare. Poi si incamminò verso l’uscita, appoggiandosi a tutti i mobili che trovava a portata di mano per non rischiare di cadere.
Le scale furono un’impresa più ardua, ma riuscì a gestire anche quelle e finalmente si trascinò fino alla cucina. I suoi occhi andarono subito alla ricerca di John ma nemmeno lì c’era alcuna traccia di lui. C’era solo Connie che stava preparando del tè.
Sherlock dovette schiarirsi la gola per farsi notare da lei.

“Sherl!” esclamò la sorella non appena lo vide. “Ti sei già alzato! Vieni, siediti!”

Il moro non se lo fece ripetere due volte e si accomodò sulla sedia più vicina. Soltanto in quel momento, però, notò un paio di bustine trasparenti sul tavolo e le riconobbe immediatamente. In una era contenuta una polverina bianca e nell’altra c’erano un paio di pillole molto piccole.

“Le ho trovate tra le tue cose”, spiegò Connie, notando lo sguardo del fratello.

“E John dov’è?” chiese Sherlock, spostando gli occhi da un’altra parte.

“E’ andato a fare la spesa. Tornerà presto”. Connie tornò ai fornelli e versò del tè in una tazza, per poi metterla davanti al fratello insieme a una scatola di biscotti. “Tieni, mangia qualcosa”.

“Non ho fame”.

“Lo so, ma devi mangiare lo stesso”.

Sherlock cominciava ad essere un po’ irritato dal tono amorevole e zuccheroso che sua sorella stava usando con lui, trattandolo come un bambino piccolo.
E aveva bisogno di John. Aveva un disperato e forte desiderio di avere John lì con lui, anche solo per essere consapevole della sua presenza.
Tuttavia si sforzò di mangiare un paio di biscotti e di svuotare la tazza. Poi Connie lo trascinò in bagno perché voleva che fosse lui a svuotare quella droga giù per lo scarico.
Le mani del detective tremavano mentre svolgeva quella mansione, ma doveva farlo, sapeva anche lui che doveva farlo. Era giusto così. Aveva superato il limite.
La sorella lo aiutò quando fece fatica ad aprire una delle bustine.
La polverina bianca scivolava davanti ai suoi occhi dritta nell’acqua del water e soltanto in quel momento Sherlock si accorse di quanto era stato stupido e pericoloso. Aveva commesso di nuovo lo stesso sbaglio, era tornata indietro, era tornato in quel passato che aveva cercato di rifuggire con tutte le sue forze.
Che cosa avrebbero pensato di lui gli altri? Che cosa avrebbe pensato John?

“Hai qualcos’altro?” la voce di Connie gli arrivò alle orecchie come un tuono che percuote una notte silenziosa e l’uomo si riscosse dai suoi pensieri tutto d’un colpo. “Sherlock, hai altro che dobbiamo buttare?”

“No”.

“Sei sicuro?”

“Sì. Puoi controllare”.

“No. Mi fido”.

La ragazza abbassò il coperchio della tazza e mando giù lo scarico. Il detective vi si sedette sopra e alzò lo sguardo alla sorella. “Stanotte ho baciato John”.

Connie si sedette sul bordo della vasca e guardò Sherlock come se le avesse appena detto che aveva fatto un viaggio sulla luna.
“Davvero?”

“Sì”.

“E lui ha ricambiato?”

“Sì”.

La ragazza all’improvviso batté le mani e spalancò la bocca in un sorriso a trentadue denti. “Oh mio Dio, ma è fantastico!”
Sherlock inarcò un sopracciglio; in momenti come quello dubitava che fosse veramente sua sorella. Ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di esserne divertito.

“Be’, dopotutto non mi stupisco. John è pazzo di te”.

“Cosa?”

“Certo! Come fai a non essertene accorto? Eppure sei un detective eccezionale”.

Sherlock scrollò le spalle. Non è che non se ne fosse accorto, era solo che non aveva voluto illudersi. Aveva fatto caso ad alcuni segnali mandatigli da John, che fossero voluti o meno, ma non aveva voluto crederci. Aveva etichettato questi piccoli dettagli come inganni della sua mente, nulla di più. Ma ora era felice di essersi sbagliato.
Almeno qualcosa nella sua vita sembrava andare nel modo giusto.

 

John rientrò in casa mentre Connie stava riordinando la cucina. La ragazza lo accolse con un sorriso entusiasta, al che il dottore rimase un po’ perplesso ma non fece alcuna domanda. Probabilmente era qualche ormone da donna incinta.

“Sherlock è di sopra”, gli disse. “Metto io a posto la spesa”.

John appoggiò i sacchetti sul tavolo e corse su per le scale, dritto in camera di Sherlock. Lì trovò l’uomo intento a osservare degli spartiti, col violino ancora appoggiato dentro la custodia.

“Ciao”.

“Ciao”.

“Sei tornato”.

“Sì”.

John, fermo ancora sulla soglia, esitava a entrare, maledicendosi per non aver preparato un discorso. Gli sarebbe stato molto utile perché un quel momento non aveva la più pallida idea di che cosa dire, o meglio, sembrava che tutte le parole gli si fossero incastrate in gola. E così stava facendo la figura del pesce lesso. Come suo solito…

Allora cominciò a schiarirsi la gola.

“John, dobbiamo parlare”.

Di nuovo, il biondo rimase senza parole, a fissare Sherlock come un baccalà.

“Per quel bacio, io…”.

“Aspetta!” lo interruppe il dottore, ponendo una mano aperta davanti a sé per dare più enfasi alle sue parole. “Aspetta”. Abbassò lo sguardo. Non ce la faceva a guardarlo negli occhi, tutto quello era nuovo per lui. “Qualsiasi cosa tu stia per dire aspetta perché se aspetto io poi non ce la farò a dirti quello… quello che voglio dirti”. Alzò lo sguardo solo per vedere l’espressione di Sherlock, il quale lo guardava incuriosito ma in attesa delle sue parole. John esalò un sospiro e continuò: “Io… io provo qualcosa, per te. Non so esattamente cosa sia o forse ancora non lo voglio ammettere, ma… so che tengo a te più di quanto si possa tenere a un semplice migliore amico e so che… voglio che il nostro rapporto sia più di una semplice amicizia…”. All’improvviso, senza avere il tempo di concludere, si trovò le labbra di Sherlock premute contro le proprie e le sue braccia che lo stringevano, come per impedirgli di allontanarsi. Non che John lo avrebbe fatto.  

“Anche io voglio qualcosa di più”.

 

Mycroft entrò nell’appartamento con l’ombrello appeso al braccio e l’elegante completo leggermente bagnato.

“Myc”, lo salutò Connie cordialmente ma con una punta di freddezza nella voce.

“Ciao, Connie. Dov’è Sherlock?”

“E’ in camera con John”.

Fratello e sorella si stavano fronteggiando nel centro del salotto, come l’altra sera, però con meno ostilità.

“Senti, Myc, non ho voglia di litigare con te. Ma non voglio nemmeno mettere Sherlock in un centro di disintossicazione. Gli ho fatto buttare via tutta la droga. Ti posso assicurare che io e John possiamo gestire la cosa”.

“Lo so che potete farlo. Nemmeno io voglio chiuderlo in uno di quei posti”.

Connie lo guardò sconcertata. “Che cosa?”

“Ho reagito molto male l’altra sera. Ti chiedo scusa”.

Mycroft che chiedeva scusa? Questa se la sarebbe dovuta appuntare.

“Quindi…”.

“Quindi faremo a modo tuo. Ovviamente, sappiate tu e John che anche io voglio aiutare Sherlock. E non ho intenzione di essere messo da parte”.

“Certo. Assolutamente”. La ragazza sorrise contenta e pure Mycroft non poté fare a meno  di piegare le labbra in un debole sorriso che parve più una smorfia che un vero sorriso.

 

John, seduto sul letto, teneva il portatile aperto sul grembo. Sherlock, sdraiato accanto a lui, col dito gli disegnava dei ghirigori sul braccio.

“Allora, cosa dicono i tuoi fan?”

“La maggior parte sono persone che chiedono di risolvere dei casi per loro. Oh, e c’è una bambina che vorrebbe tu le risolvessi il mistero dell’omicidio del suo cavallo zoppo. I suoi genitori dicono che è stato morso da un serpente velenoso, ma lei pensa che lo abbiano ucciso loro perché era zoppo”.

“Probabilmente è così”, concluse il detective, portando le braccia dietro la testa.

John chiuse il computer, lo poggiò a terra e si strinse addosso a Sherlock.
Era tutto così perfetto.
Tutto.

 

 

MILLY’S SPACE

Ciao a tutti,

sarete contenti di sapere che non sono morta? ^^ *apre l’ombrello di Mycroft in caso di lancio di pomodori*

Dopo tutto questo tempo finalmente mi sono decisa ad aggiornare la fanfiction. Il ritardo non è stata una cosa voluta, semplicemente mi sono mancati il tempo e l’ispirazione.
Spero vi ricordiate ancora di questa storia.

Va be’, non voglio perdermi in inutili ciance che tra un po’ devo uscire e non mi sono ancora preparata.

Vi ricordo di visitare la mia pagina fb, Milly’s Space, e di lasciarmi qualche recensione, anche per urlarmi contro XD

Un bacione,

M.  

MONKEY_D_ALYCE: ciao, carissima!! Anche io voglio un Sherlock da coccolare… e invece è solo John ad avere questa fortuna ^^ be’, siamo felici per lui. Yeeeah! Spero di risentirti, un abbraccio. Milly.

  
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