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Autore: Koa__    06/05/2015    4 recensioni
Tu sei Mycroft Holmes ed è tutta una vita che vivi in una gabbia di seta, sottile e impalpabile. Sei intrappolato in una viscida ragnatela fatta di speranza, una prigione dorata e bellissima composta di false illusioni e sciocche fantasie. Di continuo, da anni, fingi che non sia vero e nel contempo ti torturi perché sei un mostro e non potrai mai sfuggire a ciò che sei diventato.
Storia vincitrice del premio: Miglior Sceneggiatura non Originale agli Oscar di Efp 2016
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
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Seconda parte


 
Mycroft Holmes non ha paura. Di che cosa dovresti averne poi? Della morte? Della sofferenza? Della malattia? Sarebbero tutte ottime ragioni, ma sei fondamentalmente un uomo razionale e pertanto, sei preparato all’imprevedibile. Se qualcuno che ti è caro dovesse morire, tu ti limiteresti ad accettarlo; che potresti fare altrimenti? Trattare col destino? Non è un potere che ti è concesso, o almeno, è quanto sostiene la tua coscienza e soltanto per farti presente che non sei Dio. Tu non le credi quasi mai, ovviamente. Se non in quelle rare occasioni in cui sei così solo con te stesso, da cedere a qualunque cosa. Persino al buonsenso. Essenzialmente quando ti capita un qualche cosa che non avevi preventivato, tendi a trattare il fatto con logica. Hai agito in modo sensato quando, uno dopo l’altro, hai visto perire i tuoi nonni sotto il peso della vecchiaia. A quell’epoca, anche se ancora relativamente giovane, hai tentato di tutto pur di non dare a vedere la tua confusione in merito al concetto di morte, e allo stesso tempo ti sei sforzato di dare l’impressione che almeno un poco te ne importasse. Specialmente visto che sul tuo volto tende sempre ad esserci indifferenza. A meno che non si tratti di Sherlock, in quel caso l’apatia è l’ultimo dei tuoi problemi. Ricordi che fosti colpito dal suo sguardo sofferente il giorno del funerale di nonna, e che capisti soltanto in quel momento quanto diverso da te fosse. Così non sbagliato…

Gestisci tutti i giorni situazioni complesse e articolate: è ciò che fai per lavoro, è quello in cui eccelli. Quindi non è e non sarà mai semplice coglierti impreparato. È da tutta una vita che viaggi ad alta velocità, vedi le cose ancora prima che gli altri le scorgano e senti, deduci, percepisci anche il più piccolo e insignificante particolare prima di tutti. La tua intelligenza è ammirata, temuta, rispettata, onorata per certi versi. Non è mai successo che ti sentissi stupido. Magari escluso, ma mai sciocco. L’unica occasione in cui sei stato in contropiede è stata in quell’unica notte con Sherlock, nell’estate francese su cui tanto indugiano i tuoi ricordi. In quel caso c’è da dire che più che altro eri impreparato alle tue stesse reazioni, d’altronde come avresti potuto anche solo pensare di provare attrazione per un tuo consanguineo? Per il tuo unico e caro fratello? Eppure c’è una prima volta per tutto, te lo ripeteva anche tua madre dall’alto di quel suo rigore inglese. Prendendo però in considerazione il fatto oggettivo, che il lato irrazionale del tuo cervello tende a ritenere quell’antica notte di passione come pura fantasia, puoi liberamente considerare questa come la tua prima volta. La prima in cui vieni colto di sorpresa e permetti ad un altro individuo di trovarti scoperto, di dirti che ciò devi fare. Non dovrebbe essere poi tanto strano il fatto che sia proprio Sherlock, la persona in questione. Chi meglio di lui? Chi altri sarebbe in grado di tenerti testa? Sherlock è il solo tuo pari. Furbo come un Holmes dovrebbe essere. Simili e anche in taluni tratti fisici, ma diversi in molte altre cose. Anche questo bacio, dunque, non fa che sottolineare le vostre differenze. Proprio lo stesso scontrarsi violento di labbra che lui ha cominciato a darti già diversi istanti fa, va contro ogni tua previsione. Un bacio che lo vede dominarti, per poi opprimerti col suo odore e il suo modo di fare capriccioso. Come mamma, anche Sherlock ha modi di fare da generale. Non credi di averglielo mai detto, ma è molto più determinato di te nell’ottenere ciò che desidera. Tu, al suo contrario, ti lasci sopraffare dalla pigrizia e diventi indolente. In questo caso specifico poi, preferisci farti dominare. Specialmente dato che, anche desiderandolo con tutto te stesso, non riusciresti a rifiutarlo. Perché è ciò che sogni da anni, è quel che da decenni tenti di sopprimere. E ora che sta avvenendo, anche se sbagliato, è impossibile da tenere a freno. Sherlock ti bacia, lo fa con vigore e veemenza. Il suo tocco è a tratti brutale e la presa che ha sulla tua vita è troppo forte, tanto che ti costringe ad allontanartene. E mentre lui si sistema meglio sul materasso, tu ti senti spaccato a metà. Non vorresti proseguire in questa follia, ma al tempo stesso brami anche il suo più flebile respiro.

Nell’attimo in cui formuli questo pensiero, ti ritrai impercettibilmente e slitti all’indietro. Ti guardi le mani e le scopri a tremare, tuttavia non è questo ad orripilarti. Esse infatti ti paiono ancor più vecchie, rugose e sporche di quanto non siano in realtà. Ti guardi e ti vedi disgustoso anche nel corpo, oltre che nell’anima. Vigliacco e marcio fin dentro le ossa. Hai ridotto tutto a del mero desiderio, sfogando anni di frustrazione nella foga d’un bacio e no, non è giusto. Non è affatto così. Non è mai stato così. Anzi, hai tentato ogni trucco, hai provato persino con l’ipnosi, tutto pur di sopprimere la tua indole bestiale. Hai addirittura tentato di fare il fratello, ti sei sforzato di volergli bene scegliendo una via che fosse ritenuta socialmente “normale” e fino all’ultimo momento, prima che bussasse alla tua porta, eri certo di starci ancora provando. Probabilmente era un’illusione perché dall’istante in cui te lo sei trovato di fronte, quei sentimenti che da decenni tenevi segregati, ti sono piombati di nuovo sulle spalle, sopraffacendoti. È di lottare che non hai più voglia, perché è troppo difficile e faticoso e poi è tanto tempo che vai avanti in questo modo, al punto che addirittura temevi che desiderassi Sherlock per inerzia o che fosse tutto nella tua mente. Certe notti sei arrivato persino a convincerti che niente fosse mai successo per davvero, che Sherlock non si fosse concesso a te neanche una volta. Arrivi sempre ad un soffio dal realizzarlo e dall’accettarlo. Ci sei quasi. Poi l’alba del mattino sorge ed una realtà dai contorni tragici, conferma sé stessa.

Ancora in bilico tra follia e disperazione, sollevi il volto tanto da riuscire a scorgerlo, forse in cerca di un appiglio, e lo scopri guardarti in rimando. Ora è ammiccante e in un modo che in lui stona in modo drastico, soprattutto contrasta con il male che dilaga in uno sguardo ancora umido di pianto e tormentato al pari del tuo. Tuttavia le labbra sono serrate in una nota corrucciata, ed è questo più di tutto a confonderti: ci sono troppe emozioni su quel volto dai toni perennemente algidi. Ma, no (ti correggi), Sherlock ha sempre avuto un animo impaziente ed infatti a momenti arriccia le labbra e l’espressione gli si fa più nervosa. Forse ha ragione e dovresti mettere fine a questa follia una volta per tutte, ma il fatto è che non riesci a deciderti. Perché lo ami in un modo unico e impossibile da descrivere. E lo desideri, ti dici mentre realizzi che, nonostante fosse necessario, smettere di farsi baciare è stato addirittura doloroso. E adesso stai male. Hai il fiato corto e le mani non smettono di tremare, ma non è rabbia la tua o paura, tremi perché tutto ciò che esse desiderano è poterlo sfiorare. Oh, quanto vorresti toccare quella pelle bianchissima, liscia e glabra come la immaginavi. La ricordi perfettamente. Ne hai avuto per anni il sapore sulle labbra ed è lo stesso che ha adesso e che ti invade narici e ti solletica il palato. È molto più che fastidiosa, l’idea di non potersi lasciare andare. Ma come se non bastasse, a rincarare una dose già letale, ci sono i suoi occhi a tentare d’ucciderti. Quelli carichi di un lieve accenno di rancore, come se ti detestasse per averlo rifiutato. Ricordati, Mycroft. Ricorda che non è la prima volta che succede e che è tutta la vita che Sherlock viene messo da parte, a discapito di qualcun altro o di una cosiddetta: “sanità mentale”. Che fare, quindi? Dovresti assecondarlo? Ma, poi, ti vorrà per davvero? Un lato di te sostiene che sì, Sherlock è sincero. Ma una parte più logica e razionale, suggerisce che ciò non è possibile perché la maniera che ha avuto di toccarti e baciarti è stata eccessiva, persino soffocante. La verità è che è stato brutale e che ti ha trattato con una malagrazia che non gli appartiene. Non malizia o arroganza, né sarcasmo ed è insolito, ma ti è parso disperato. Ora sai che lo devi rifiutare ed è così giusto che tu lo faccia, che ti si torce il cuore al sol pensiero. Purtroppo nulla di ciò che accade questa sera va secondo quelli che sono i tuoi piani originari, tutto prende pieghe inaspettate e proprio a te che l’imprevedibilità dà fastidio. Ti pare quasi che il destino stia giocando a scacchi con la morte e che entrambi ridano di te.

Nell’attimo in cui realizzi ciò che sta davvero succedendo, infatti, uno Sherlock evidentemente stanco di saperti indugiare, prende il sopravvento e ti schiaccia sotto di sé. E di nuovo ti bacia. Morde e tocca, sfiora il tuo corpo assopito dalla solitudine permettendoti di rispolverare zone che non ricordavi fossero tanto sensibili. Dovresti scacciarlo e rivoltarti, eppure non lo fai perché sei puttana, un drogato che ha finalmente ottenuto la sua dose. Sherlock si avventa sulla giugulare al pari di un leone affamato. La tua fine è vicina, lo sai, lo senti, lo percepisci dalle tue stesse lamentele, ora troppo flebili. Inutili. Vuote. E l’inarrestabile è lì, pronto a saltarti al collo. Tutto accade quando una sua mano scivola al di sotto della casacca del pigiama, allora capisci che sei stato perduto dall’esatto istante in cui lo hai visto apparire sulla soglia del soggiorno. Perché a stento te ne rendi conto, ma sei praticamente arreso a lui, al pari un prigioniero che rinuncia a lottare contro un carceriere troppo potente. E cedi, cedi perché sei debole e sciocco. Cedi, nonostante tu sappia perfettamente che dovresti fermarti un istante e razionalizzare, piuttosto che farti spingere contro il materasso e permettergli di spogliarti. Pensare sarebbe necessario, vitale. Anzi, più che altro sarebbe utile per te il ricordare. Ricordati ciò che soltanto pochi istanti fa hai capito, sei arrivato ad una conclusione; già ma qual era?

L’hai dimenticato.

Non consoci nemmeno più il tuo nome. Chi sei? Hai un’identità o sei soltanto un’entità composta da sola estraniazione? Mycroft. Ti chiami così e sì, c’è dell’altro in te a parte l’eccitazione. E quell’uomo che ora ti sta sopra, è tuo fratello Sherlock. Ricorda. Sforzati, è così semplice… Hai tutto quanto sotto gli occhi, eppure ti ostini a tenerli chiusi e a non voler vedere. Guarda. Guarda quanto soffre. Guarda quanto è diverso questo Sherlock, quanto differente è il suo modo di baciarti rispetto a quell’unica e antica notte che hai imparato a memoria. Accorgitene. Fallo per la sua salvezza e per la tua sanità mentale, per favore renditi conto che non è lo stesso di un tempo. Allora era puro e vergine, innocente. Oggi è cambiato ed è arrabbiato, addolorato e ti tratta con una freddezza che dovrebbe farti male, non farti godere. Ma tu sei una puttana, rammenti a te stesso e gli permetteresti qualsiasi cosa decida di fare. Se solo non fossi così tremendamente sciocco… Sì, Mycroft, sei uno stupido e devi reagire. Per un volta, una sola in cui è coinvolto il tuo caro Sherly, cerca di pensare con logica o almeno tenta di agire secondo un ragionamento ben concepito, piuttosto che lasciare che della mera eccitazione ti domini anche i battiti del cuore. Ma forse, è pretendere troppo da un essere come te. In fondo sei un debole. E poi sono quindici anni che immagini una cosa del genere e che, nel segreto della tua mente sogni di poterlo riavere nel tuo letto. Esattamente in questo modo. No, realizzi in un frangente mentre la sua bocca ti divora il collo e le sue mani tentano d’insinuarsi oltre i limiti della decenza. Non lo hai mai voluto così. Questo Sherlock è cattivo, brutale, ti bacia con foga certo e ti spoglia con frenesia, ma per quel poco che noti, nel suo sguardo c’è qualcosa di ben diverso da quel che ricordi.

Per assurdo, la forza di andare contro di lui e contro una buona parte di te stesso, la trovi nel momento in cui Sherlock sembra voler fare sul serio.
«Mio» mormora, sulle tue labbra. «Mio e solo mio.» E lì, capisci tutto. Ti piange il cuore ed è doloroso in un modo inconcepibile, però è inevitabile e lo sai. Perché tra i due, a non contare niente, sei proprio tu. Non sei suo e non lo sarai mai. È vero che gli appartieni, a lui hai concesso il tuo cuore in un’antica notte d’estate. A lui hai dedicato la vita. Per lui saresti ogni cosa. Pertanto sì, ha ragione, ma il tuo senso di appartenenza non è in discussione. Il fatto è che l’amore e le faccende di cuore non hanno una visione univoca, non è tutto bianco o nero e nonostante Sherlock si ostini ad affermare che esistono soltanto amore e odio, passando dall’uno all’altro con una velocità impressionante, non è così che gira il mondo. Per quanto tu ti possa considerare come suo, sai benissimo che per lui non è la stessa cosa. Sherlock Holmes ha un solo nome marchiato a fuoco al centro del petto, e quel nome non è il tuo. L’idea ti distrugge, anche se sono fatti che già conosci e che hai accettato nel momento esatto in cui hai fatto entrare John Watson nelle vostre vite. Sei conscio di tutto, persino quanto inutile sia il dimenarsi. I sensi di colpa sono ugualmente lì: pronti ad invaderti. Bianco o nero. Non è tutto così facile; vero? Perché se da un lato ti incolpi di ciò che gli è accaduto, dall’altro sai d’aver compiuto la scelta migliore. Sherlock ha imparato ad amare ed è stato straordinario nell’intento. Il fatto che oggi stia soffrendo ti rende in parte colpevole, ma non potevi prevedere cosa sarebbe accaduto o che John Watson avrebbe scelto qualcun altro. Ed è come se ti avessero gettato in un limbo, né assolto, né condannato. Unicamente soli, tu e il tuo immenso dolore, quello composto di puro e amore e che brucia al punto dal voler morire.

La consapevolezza arriva tutta in un attimo e non ha pietà, esattamente come l’amore e l’odio. Sherlock non è a te che sta pensando, non è te che sta baciando. E per quanto disperato il tuo sentimento possa essere, per quanto malato e sporco tu ti possa considerare, mai arriverai al punto di utilizzare il suo dolore a tuo vantaggio. Non hai intenzione di manipolarlo in questo modo. Lo sai perfettamente che Sherlock non ti vuole, non è te che desidera, non è te sogna. Non è per te che piange.

Decidi in un attimo. Senza che quasi se ne accorga ribalti le posizioni, e dopo che sei riuscito a schiacciarlo contro il materasso ignorando la sua espressione sorpresa, hai la conferma ai tuoi sospetti. Non è lì con te. Sta amando John Watson. O meglio, si sta vendicando di lui. Si sta lasciando dominare da un sentimento irrazionale, inutile e infantile (perché John non lo saprà mai). Tuttavia, ciò non gli impedisce di tentare. Il suo amore dev’essere così forte, da offuscargli il raziocinio e non te ne stupiresti se non si trattasse di Sherlock Holmes. Il pensiero che proprio lui stia dando adito così prepotentemente alle emozioni, è assurdo, illogico, impensabile persino per il tuo giudizio che, su di lui, è sempre stato eccessivamente severo. Fin da bambini lo trattavi come il meno intelligente, il più corruttibile a livello emotivo. E l’immagine di questo Sherlock vibrante che hai di fronte, potrebbe essere la conferma di ciò di cui lo hai sempre accusato; eppure non riesci a fargliene una colpa. Se possibile, tu pecchi esattamente quanto lui. Anzi, nei suoi panni avresti fatto di peggio. Pertanto non riesci ad essere arrabbiato, provi più che altro pietà. Se è arrivato a provare simili emozioni (ad usare te) la disperazione dev’essere ben profonda. In tutto questo, però, qualcosa t’inquieta facendoti una certa impressione, più precisamente è il tuo ritrovarti in quel disagio. Tra tutta la rabbia e il male, sotto una cascata di ricci neri e dietro una coltre di lacrime trattenute, scorgi te stesso. E forse per la prima volta in tutta la tua vita, riesci ad essere un fratello ed allora compi la scelta giusta. In un attimo, quindi, sei su di lui.

Sherlock si divincola e tenta di portare la situazione a proprio vantaggio, ma adesso la presa delle tue gambe attorno al suo bacino è ferrea e non gli consente di muoversi. C’è odio nello sguardo di Sherlock Holmes nell’attimo in cui capisce ciò che intendi fare. Un odio bugiardo che tenta di riversare tutto su di te. E tu sei lì, seduto sopra di lui e sei ben deciso a non lasciarti sopraffare dalle emozioni. Dovresti essere colpito o piuttosto sorpreso da questa tua fermezza, o almeno potresti apparire sconvolto dal tuo stesso non volerci badare. È una sorta di novità. Questa però è la notte delle prime volte e tutto può accadere. È la prima volta che riesci a non farti confondere dal suo sguardo, o che non ti perdi in sua contemplazione. No, adesso nulla riuscirebbe a deconcentrarti: sei troppo impegnato a tentare di capirlo, per lasciarti portar via dalla sua follia. Soltanto adesso lo vedi, percependone la portata, il dolore è ovunque sul suo volto e gli impregna lo sguardo, gli deforma contorni del viso, ora appena un poco più tristi. E più lo fissi, più quel male fuoriesce e al punto che Sherlock stesso non ha più idea di come trattenerlo. Le prova tutte, ovviamente e il liberarsi della tua incombenza è la prima cosa che cerca di fare. Solo dopo svariati tentativi, capisce che è tutto inutile. E allora si incupisce e diventa imbarazzato, nervoso. Si mordicchia insistentemente le labbra e in ultimo distoglie lo sguardo girando il volto da un lato.
«Non ti voglio. Soprattutto non così» sussurri, mentre gli accarezzi una guancia con le punte delle dita. Prevedibilmente cerca di sottrarsi al tocco, di sfuggirti e più il tempo scorre, più vedi l’odio montare in tuo fratello.
«Domani te ne pentiresti» prosegui, senza smettere di accarezzare i suoi zigomi, in un piacere che ti concedi perché sai essere innocente. Se lo avessi fatto prima, forse sarebbe stato diverso. Ora però ogni cosa è cambiata e la tua determinazione è forte, potente più che mai.

Sfiorarlo è un piacere delicato, così come vedere le guance che s’arrossano appena, mentre la bocca gli si deforma per la rabbia. I suoi sentimenti mutano in maniera repentina, ma questa volta sei preparato e i tuoi scudi sono perfettamente alzati e funzionanti.
«Sei un ipocrita, Mycroft» tuona lui, provando di nuovo a divincolarsi «sei un vigliacco che non ha neanche il coraggio di guardare in faccia la realtà.»
«Fidati, Sherlock» ribatti, prontamente e senza alzare mai il tono di voce. Sembri tu in tutto e per tutto: pacato, controllato, freddo e addirittura saccente per certi versi. Austero nei modi, tanto che incuteresti timore in chiunque. Purtroppo, o per fortuna, a Sherlock non fai alcun effetto se non far sì che la sua ira aumenti a dismisura. E quando lui si accende, tu ancora sei calmo e pacato. Persino le offese che ti lancia ti scivolano addosso, come se non fossero nemmeno rivolte a te.
«Io so perfettamente fin dove arriva la mia perversione» prosegui, con tono gentile, ma lievemente tagliente, forse amaro più di quanto vorresti. «Ogni giorno, da quindici anni, faccio i conti con me stesso e non c’è niente, niente che vorrei di più che soddisfare le mie voglie. Lo potrei fare, sai?» Sei incredibile, Mycroft, fingi talmente bene che sembri persino cattivo. La realtà però è ben diversa e soltanto tu la consoci, vorresti abbracciarlo e dirgli che il dolore passerà e che sei disposto a tutto pur di aiutarlo (persino a fare del male a John Watson. Per questo, poi, basterebbe soltanto una sua parola). Questo però non è il momento della delicatezza, ora Sherlock ha bisogno di scendere a patti con sé stesso e di sputare tutto il suo veleno. Lo riverserà su di te, ma non fa niente visto che è un carico che ti assumi volentieri. D’altra parte, sei colpevole e non hai nessuna intenzione di concederti una pietà che mai meriteresti.
«Sherly, Sherly…» lo canzoni un poco e lui, imperterrito, persegue nell’intento di prendere il sopravvento. Tu non lasci la presa e non rinunci nemmeno per un istante, Sherlock deve capire fin dove arriva il tuo abisso, deve sapere a che cosa sei disposto a rinunciare per il suo bene. Ti deve odiare per davvero, e si deve allontanare da te o sarà la vostra fine.
«Potrei girarti e farti delle cose, che ti farebbero dimenticare John Watson. Ma non le farò e non le farò mai più. E non che io non ti desideri o che mi ritenga un santo, ma perché non è giusto, non va bene e lo devi capire. Per quanto malato e sbagliato io sia, per la mia devozione nei tuoi confronti abbia assunto contorni imbarazzanti, non ti permetterò mai di trattarmi come un giocattolo. Azzardati a farlo un’altra volta e ti sbatto in quella bettola che chiami casa, assieme a quello stronzo di reduce e lì ti ci rinchiudo fino a che avrai vita.»
«Lascia fuori John» sbraita lui, arrabbiato e sì, le tue parole cattive stanno funzionando. E mentre i suoi occhi si riempiono di odio, tu realizzi che non ti senti più un verme. La differenza è così sottile che a stento la si nota, ma adesso non è del tuo soddisfacimento personale che si parla, adesso c’è unicamente il bene di Sherlock in ballo. E se trattarlo in questa maniera serve a che lui stia meglio, allora tu lo tratterai così. Devi solo portare avanti questa sceneggiata un altro po’ e stringere i denti per resistere all’impulso di abbracciarlo. Ma è assurdamente difficile, specialmente lo è il sopprimere la voglia di domandargli l’assoluzione. Un’assoluzione che non meriti.
«Io con John Watson faccio quello che mi pare o forse non vuoi che qualcuno pronunci il suo nome? Fa troppo male, vero fratellino?»
«Non parlare di John» ribadisce, scandendo le parole e ringhiandoti contro al pari di un mastino. Potresti ribattere immediatamente o impedirgli di parlare, ma lui ancora ha bisogno di liberarsi di tutta la frustrazione e non sarai tu a fermarlo.
«Non usare lui come giustificazione al fatto che non sai nemmeno più come si faccia a vivere. Ti odio, Mycroft, ti odio. Se morissi domani non me ne importerebbe niente. Niente!» grida, Sherlock Holmes, grida e trema di una rabbia violenta. Ciò è inaspettato e non ti riferisci a quella forte manifestazione d’ira, imprevista è la tua reazione. E senza quasi accorgertene ti ritrovi di nuovo sconvolto. Ora hai persino la nausea e fatichi a deglutire. E sì che eri preparato a tutto questo, eri pronto e avevi il necessario per proteggere te stesso. Eppure hai ceduto alle emozioni, sei stato ciò che sei da sempre, ciò che di continuo neghi, ciò di cui Sherlock ti incolpa: debole. Debole. Quella sentita dichiarazione di odio ti ha trafitto il petto, andando giù in profondità e facendoti vacillare brutalmente. L’idea che lui ti odi fa paura e questa non ti si manifesta solo in un vago sentore, ma ti sommerge facendoti annegare. Preso dal panico, commetti l’errore che ti è fatale e per un istante perdi la presa, consentendogli di ribaltare le posizioni. L’attimo dopo sei steso a terra, intontito da un suo pugno.

Il cazzotto ti ha sfiorato il naso e ha preso il labbro superiore, ha colpito per sfogarsi e non per farti del male deduci dalla maniera con cui ha agito. Tuttavia, ha avuto sufficiente forza da farti qualche goccia di sangue. A te però non importa, in questo momento hai ben altro per la testa perché è lì che finalmente esplodi. E che, in un’ennesima prima volta, mostri quel che c’è nelle profondità più tetre del tuo animo. Puttana. Sei una puttana marcia, sporca fino al midollo. Una che, per vendetta e dominata da un dolore cieco, ora inveisce contro l’unico essere vivente che ama.
«Vivere?» urli, con rabbia ed è così svelta la tua reazione che sei ancora steso sul pavimento quando inizi a gridare. E Sherlock, che non si aspettava niente del genere, ora ti fissa con sguardo indecifrabile. Fino a qualche istante fa pareva vittorioso, ora invece è quasi curioso. Magari è perché hai mostrato un’emozione violenta d’improvviso, il che non ti succede poi tanto spesso.
«Tu mi parli di vivere? Proprio tu? Questa tu la chiami vita, Sherlock? Innamorarti di un idiota? Dare tutto ad un tale che non riesce nemmeno a rendersi conto di ciò che provi per lui, o dei sacrifici che hai fatto? Perdere la testa in questo modo ridicolo per qualcuno così tanto stupido, da passare anni in tua devozione, al punto di guardarti come se fossi l’unico uomo sulla faccia della terra, ma nemmeno capirlo? Questa la chiami vita, Sherlock? Hai fatto l’impossibile per quello là, anche uccidere. Hai trascorso due anni in giro per il mondo a farti torturare e a farmi morire di paura, per un bastardo di reduce. E che hai ottenuto in cambio? Un pugno sul naso. Congratulazioni, sei riuscito ad innamorarti e farti spezzare il cuore per la prima volta nella tua vita e senza che John Watson ne sapesse qualcosa. Bella faccenda l’amore, eh?»
«E allora perché gli hai permesso di avvicinarsi?» sbraita, urlandoti contro. Sul suo volto l’odio è sempre più evidente ed è tutto per te, il che è doloroso oltre ogni dire. Ma sai di meritartelo. «Sapevi che sarebbe andata a finire così e non dirmi che non è vero, eppure non hai mosso un dito. Perché?» grida, questa volta però ha una reazione meno fisica di poco fa e si limita ad afferrarti con forza i lembi della casacca del pigiama. Mantenere la freddezza, a questo punto è impossibile: Sherlock ti ha punto sul vivo in più di un’occasione. Innanzitutto c’è il suo odio, evidente e dichiarato e poi quella stessa accusa sulla quale ti torturi da tempo e che pare voler riecheggiare nella stanza per potersi divertire ancora un po’ con te.

Perché lo hai permesso?

Quante volte ti sei corrucciato su questa domanda? Quanto a lungo ti sei torturato in merito a John? Una risposta non ce l’hai. Ti sei chiesto queste cose una quantità infinita di volte e non ti sei mai dato una risposta che fosse onesta. Non lo sapevi, ma era una possibilità che avevi vagliato. Ciò che non hai mai avuto il coraggio di dire neanche a te stesso, nell’intimità delle tue elucubrazioni mentali, è che in primo luogo incolpi te stesso. Sei tu la causa di ogni male che è successo a Sherlock, ad iniziare da quella notte maledetta.

Sospiri di frustrazione e lo fai in maniera rumorosa. Vorresti avere le parole per dirgli tutto ciò che pensi, ma non le possiedi. Non hai mai avuto il dono di riuscire ad esprimere con dei termini, quelli che fossero i tuoi sentimenti e quindi ti limiti a chiudere gli occhi, serrandoli con prepotenza. Vuoi evitare d’incrociare il suo sguardo e con lui così vicino, al punto che senti il solletichio del respiro sulla pelle, il rischio è assai elevato. Ti auguri che questa tortura abbia fine presto, non vuoi stare un attimo di più in quella stanza e speri che abbia pietà di te, anche se dopo ciò che ha detto, dubiti fortemente che ti lascerà andare. Infatti, se possibile, la presa sulla stoffa di seta del tuo pigiama si fa più intensa. Cosa vuole farti? Hai la mente così confusa, annebbiata dai sentimenti e a stento ricordi d’aver avuto un controllo. Un contegno che pagheresti anche solamente per intravederlo, in questo momento e che adesso ti pare come lontano e flebile. Non ti sei mai sentito esposto come adesso, tanto che tremi. Arrossisci e ti vergogni mentre lui, implacabile, ti guarda con ancor più fare minaccioso. E tu, con la tua maschera caduta e il tuo controllo ormai dissolto, senza più pacatezza, fai tutto ciò che un uomo debole è in grado di fare in una situazione del genere. Il tuo dolore si manifesta con garbo e tutto sommato puoi affermare che ti sia andata di lusso. Una singola lacrima ti è scesa, la stessa che ora ti solca il volto tirato e sofferente. Una lacrima solitaria come lo sei tu e che trasuda disperazione, fa male ed è tanto drastico il suo significato che colpisce Sherlock al pari di uno schiaffo. Se solo riuscissi ad accorgertene… e invece ti ritrovi a precederlo e a dar voce ai tuoi pensieri più profondi. Azzittendolo ancor di più.
«Perché dovevi imparare a non diventare come me, Sherlock. Ho creduto che Watson fosse la persona giusta e avevo ragione, te ne sei innamorato. Lui è stato il solo che sia riuscito a far breccia nella tua spessa corazza, non hai mai permesso a nessuno di vedere oltre le barriere. E in parte ti comprendo. Perché rischiare? A chi mostrare la propria eccessiva sensibilità? Watson era l’uomo adatto a te e ci ho sperato davvero, mi sono augurato che accadesse qualche cosa tra di voi. Se così fosse, tu saresti stato felice. Io ne ero sicuro. Watson andava bene. E poi, lontano da me avresti potuto esserlo, Sherly e se ci pensi puoi ancora riuscirci. Dovevi iniziare anni fa a starmi lontano, perché lo so, so che ti ho rovinato e me ne incolperò finché avrò vita.» Il tuo monologo si conclude con un sussurro, un mormorio talmente flebile da essere più che altro un’idea. La voce non pareva nemmeno la tua perché è roca, spezzata, rotta da un pianto silenzioso, intrisa della vergogna che provi nei confronti di te stesso e della tua anima nera. Ti fai pena, perché mai avresti creduto che saresti caduto tanto in basso. Non in nome di un sentimento dall’intensità impronunciabile e che suscita in te un imbarazzo viscido che ti serpeggia dentro, facendoti sentire un verme.

Il coraggio di sollevare il volto lo trovi soltanto dopo che odi il tuo nome sussurrato dalle sue labbra.
«Mycroft.» Non aggiunge altro, ma lo hai sorpreso e forse, in parte, addirittura sei riuscito a sconvolgerlo perché adesso la presa si è allentata e il suo sguardo è cambiato, è diverso, più addolorato. Meno dominato dall’ira. Deve avere pietà di te e come non biasimarlo? Anche tu ne avresti se fossi nei suoi panni.
«E ora mettiti a dormire, che si è fatto tardi.» E con questo vortichi su te stesso raggiungendo la porta a brevi falcate. Afferri la maniglia come fosse un’ancora alla quale aggrapparti, stai fuggendo ed è perfettamente chiaro. Vigliacco. Dovresti restare e sostenerlo, ma questo suo sguardo non riesci a reggerlo ed è troppo da sopportare. Al pari di quelle sue parole che, ancora, ti riverberano nella mente provocandoti un dolore acuto. E quando già sei fuori in corridoio, carico della speranza di poterti finalmente lasciare alle spalle ogni cosa, realizzi che hai dimenticato un dettaglio importante preché Sherlock non è uomo da subire senza esprimere la propria opinione. Perché questa è la notte delle prime volte ed a trattenerti per un braccio strattonandoti all’indietro, è proprio Sherlock Holmes.
«Devi smettere di tormentarti» mormora mentre tu, immobile, ti domandi se non si tratti di una tua fantasia. Una di quelle che sei solito formulare sotto le coperte o di fronte al camino acceso. Forse ti auguri che sia un sogno, sarebbe più facile da gestire e più semplice da amministrare. A farti capire che si tratta della realtà, è il suo tocco caldo, ma fermo e deciso al tempo stesso. Il tono mormorato appena, come se faticasse a parlarti in questo modo, eppure ugualmente austero e imperioso. Sherlock sa come far presa su di te, lo ha sempre saputo fin da che eravate dei bambini e tu trascorrevi ore a giocare con lui e soltanto perché te lo ordinava. Debole. Lo sei sempre stato e sempre lo sarai. E la cosa peggiore è che Sherlock ha solamente iniziato la sua lenta e brutale tortura.
«Quello che non hai mai capito, My, è che quella notte non hai rovinato proprio nessuno.» È una tua impressione o ha modi più dolci? No, di certo lui ti odia e quella di prima non era rabbia repressa come hai cercato di convincerti poco fa. Ti ha colpito per farti del male, per provocarti del dolore non perché fosse frustrato. O forse no. Sei così confuso…
«Io lo volevo tanto quanto lo volevi tu, Mycroft. Saremo anche sbagliati agli occhi del mondo, ma tu non lo sei mai stato ai miei. Ti desideravo esattamente come mi desideravi tu.»
«Sherlock.» Tenti di fermarlo, lui però non ti ascolta e, severo, accentua la presa sul tuo braccio che di nuovo strattona con decisione.
«C’ero anch’io» mormora, in un sussurro che faticheresti a sentire se non foste soli in una stanza buia, intenti a percepire unicamente l’eco dei vostri respiri. «Quella notte c’ero anch’io.»
«Smettila» mormori, con tono di preghiera. Adesso addirittura lo implori? È assurdo, sei Mycroft Holmes e non preghi mai nessuno. Non… no, sei debole, ricordi? Debole e stupido e i deboli implorano e pregano quando non riescono ad ottenere ciò che vogliono. Tu non sei da meno, né riesci in qualche modo ad andare contro ciò che sei. Solo i più forti sopravvivono, Mycroft, quelli come te vengono schiacciati. Prima o poi succederà anche a te.
«Eravamo in due.» E il suo tono ora è ancora più sottile, ancor più sussurrato, ma così disperato e urgente che il solo sentirlo ti fa male. «A fare l’amore, quella notte c’ero anch’io. Io ti ho provocato, io te l’ho permesso e unicamente perché lo volevo. Cristo, lo volevo» conclude e il suo grido spezza il silenzio, ma in una maniera del tutto imprevedibile rinfranca il tuo cuore di una timida speranza. La speranza di essere sbagliati in due e così facendo, di non essere più solo. Non sai se volerlo sul serio o meno. Se credere in uno Sherlock molto più simile a te di quanto tu non abbia mai voluto vedere, o se continuare a professare la sua purezza. Se è così e lui ha ragione, anni fa hai commesso un enorme errore di valutazione e per decenni ti sei crogiolato in vere e proprie illusioni. In una realtà verosimile, ma del tutto differente.
«Non può essere» ribatti, ma il tuo tono è meno convincente di quanto ti sembrasse nella tua testa. E le intenzioni ti paiono talmente deboli, da risultarti maturo quanto il capriccio di un bambino.
«Certo che lo è» ringhia lui, prendendoti per entrambe le braccia e stringendo con vigore.
«La colpa è mia, solo mia» ruggisci, con la potenza di un pulcino «mi sono preso il tuo corpo perché non desideravo altro e tu eri così vergine, e così puro. Ne ho approfittato perché sono un deviato, un malato di mente, sono un…»
«Smettila» urla Sherlock, strattonandoti e schiacciandoti ora contro la porta. A riecheggiare nella camera vergine a rumori del genere, oltre che al tuo gemito di dolore, senti il cigolare pesante dei cardini, misto ad un suo ringhio arrabbiato. «Non fai che tormentarti e non tolleri l’aver traviato il “povero e innocente Sherlock”. Quante cazzate, Mycroft, quante? Sono quindici anni che non fai che pensarci, ma neanche una volta sei stato vicino alla verità.»
«Non mi giustificare, non ti azzardare a farlo» lo minacci, adesso lievemente più convinto tanto che il volume della tua voce è un poco più elevato. Non è affatto così e ti impunti su questo. Deglutisci rumorosamente, mentre ti rendi conto che è arrivato il momento che sappia e che comprenda fino a che punto sei arrivato.
«Ti ho spiato mentre facevi la doccia» confessi, abbassando lo sguardo «mi sono masturbato mentre ti guardavo. Ho goduto nel vedere mentre ti toccavi, ti ho mangiato con gli occhi e mi è piaciuto. Come un guardone.»
«Una porta lasciata socchiusa volutamente, sperando che… l’ho voluto più di te.»
«Sono un bruto e un violento. Ti volevo e ti ho preso.»

Crolli a terra, schiacciato dal peso di ciò che sei mentre Sherlock perseguita a parlare e tu continui a non starlo a sentire. Ti copri gli occhi, mettendoti le mani sul volto, non vuoi che ti veda, non vuoi che scorga la tua anima nera. Non lui che è così splendido e limpido.
«Mycroft!» Il suo grido, l’ennesimo, ti riporta alla realtà assieme alle sue mani che ora stringono le tue e che con forza le allontanano dal tuo viso. «Non mi idealizzare e smettila di considerarmi come una sorta di angelo. La verità è che sono più marcio e sporco di te. Ho fatto cose di cui dovrei vergognarmi per il resto della mia vita. Smettila di darti la colpa e smetti di scappare, non hai mai fatto altro. Smettila. Smettila.» La sua voce si chiude in un sussurro, prima di crollare tra le tue braccia e lasciarsi andare sopra di te. Entrambi a terra, sfatti e distrutti. Uniti da un abbraccio scomposto e impacciato. E in un attimo, senza capire come sia potuto accadere, ti ritrovi a stringerlo blandamente. Entrambi siete troppo sfatti e svuotati di ogni emozione per poter anche solo pensare a qualche cosa di sensato. Vorresti dirgli tante cose, parlargli di quella vostra notte di tanti anni fa e domandargli spiegazioni. Vorresti chiedergli che cosa sarete in futuro, forse lui lo sa in che cosa vi trasformerete. Vorresti imporgli di parlarti di John e di come si sente, per farlo sentire meglio.

Vorresti, ma non ne sei capace.

Inesperto a gestire i sentimenti e a trattare emozioni così violente, ti ritrovi inerte e a terra, a pensare a banalità. Sarebbe il caso di iniziare ad imbastire un discorso. Eppure non lo fai perché a spezzare il silenzio e a far diradare la nebbia della tua confusione, c’è la voce di Sherlock che dà voce ai suoi sentimenti.
«Se n’è andato, My, mi ha lasciato e a far male è che non ci sia mai stato niente, che io non abbia una singola volta trovato il coraggio di confessare ciò che provavo per lui. Fa male, My, fa male.»
«Sarò ciò di cui hai bisogno, mio piccolo Sherly. Tutto quello che vuoi. E sono pronto a prendermi sulle spalle il tuo dolore. Incolpami per averti permesso di stare con John, incolpami di quella notte, incolpami di averti allontanato negli anni a venire, di averti fatto cadere nel tunnel della droga, di non essere riuscito a trovare un piano differente per distruggere Moriarty. Non mi importa di dover impazzire di dolore, lo sopporterò. Per te.»

Sherlock non risponde, eppure hai la sensazione che la sua presa sia aumentata e che ora ti stringa con maggior vigore. Ad essere incredibile è che non c’è niente di sessuale in tutto questo. Lo stringi perché non esiste niente di diverso che tu possa fare al momento. È allora che il tempo si dilata, che si allunga tanto da farti perdere la cognizione dei minuti che passano. Non c’è più niente, tutta la sofferenza, le lacrime, i baci… ogni cosa è sfuocata e lontana. Ci sei solo tu che lo stringi, immerso in una coltre di nuvole che rende tutto questo irreale. Incredibile al pari di un sogno. Eppure non lo è, il suo respiro lento e regolare che si spezza contro il tuo collo e il tanfo di fumo che si porta addosso, rendono tutto questo vero. Sporco e marcio, ma assolutamente vero.

Poi, dopo un tempo infinito, sono le sue parole a farti sussultare e a coglierti di sorpresa. Dopo interminabili attimi di silenzio la sua voce baritonale e roca, squarcia le tenebre come un lampo in un cielo notturno.

«Io ti assolvo dai tuoi peccati.» E tu riprendi a respirare.



Fine



Note finali. M
i fermo un istante per fare due ringraziamenti. Non credevo, e proprio per la ship molto insolita, che qualcuno si sarebbe preso la briga di leggere questa storia. Specie perché chi un mese fa l’aveva letta su AO3, ora non la sta di sicuro rileggendo. A maggior ragione, quindi, devo ringraziare coloro che l’hanno inseguita tra le seguite, preferite, ricordate e anche a chi ha lasciato una recensione. 
   
 
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