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Autore: Aliseia    09/05/2015    4 recensioni
Questa storia è il seguito di Intrighi. Tranduil è solo nella Foresta. Thranduil è la Foresta. I suoi Elfi lo stanno cercando.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Thranduil
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Eryn Galen'
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Fandom: Lo Hobbit – AU
Genere: Slash - Introspettivo - Romantico
Rating: VM14
Personaggi: Thranduil, Caleloth (OC – “Musical Elf” - Movieverse), Cabranel (OC-Nestadion-Thingalad : Movieverse), Feren (Movieverse), Elros – Elrhoss La Guardia (Movieverse), Lethuin (Movieverse), Meludir (Nome Fanon. Consultare Tumblr, Mirkwood Trash Squad, per i credits), Olthir (Orithil nella Mirkwood Trash Squad di Tumblr. Credits: cortohdow), Nimfael (Elfo della Mirkwood Trash Squad di Tumblr)- Ringrazio Ghevurah per il nome “Aduilaeron”, qui appena accennato, ma che spero di presentare in seguito.
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia in gran parte non appartengono a me ma a J.R.R. Tolkien e a chi ne detiene i diritti.

Note: i protagonisti di questa storia sono in gran parte i Background Elves. Gli Elfi di Thranduil. Quegli Elfi sconosciuti e spesso anonimi che le fan hanno battezzato e dotato di biografie e di plot.
Dedica: Questa storia è il seguito di Intrighi, ed è anch’essa dedicata a Ghevurah e all’Elfetta di Primavera. Senza il loro aiuto, le loro idee e la loro ispirazione, questo plot sarebbe diverso, o non esisterebbe affatto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il Fiore Bianco
 
Le nocche splendono bianchissime tra foglie e rami, come smaltati petali candidi.
Le sue mani confuse nell’ombra si muovono inquiete, carezzano le cortecce ruvide e i fiori vellutati, e sembrano radicarsi non sulle sue lunghe, morbide braccia, ma nello stesso sottobosco profumato e fremente.
Il capo abbandonato tra le fronde scure, i capelli biondi confusi nell’oscurità. Una foglia scende lentamente e si posa sul collo che palpita.
Egli è parte della Foresta, parte viva e senziente. Egli è la Foresta.
Sul petto che si solleva piano, tra stoffe chiare di lino leggero, nessuno posa più baci.
Le labbra rosee e perfette sono intatte. Lisce e insensibili come porcellana.
Nel bel viso impassibile solo gli occhi manifestano un trascorrere di vita che cambia, un susseguirsi di emozioni l’una diversa dall’altra.
*
Respira a fondo gonfiando appena le guance bianchissime. I grandi occhi s’imbevono di luce crepuscolare. Ancora un momento e sarà pronto per affrontare tutto.
Ancora un momento e potrà fare un altro passo senza che alcuno si accorga di quell’attimo di esitazione.
Nessuno vedrà. Un soffio d’aria calda esce dalle sue labbra.
I capelli fulvi, il lungo naso delicato, i grandi occhi lacustri, lo fanno sembrare un piccolo, bellissimo drago.
Elrhoss è più bello quando è lontano da sguardi indiscreti. La fronte candida è rilassata, il viso perfetto e disteso, dagli zigomi ben disegnati, non è sconvolto da rabbia o da ambizione.
Le labbra non sono tirate e perciò rivelano il disegno morbido, la loro tenerezza primaverile.
Tutto è tranquillo, non c’è ragione di allarmarsi o di mostrarsi diversi da quel che si è.
Niente recite, questa sera.
È pur vero che un aspirante consigliere dovrebbe essere molto preoccupato, se il proprio Re non si mostra a Palazzo da lunghi giorni, e nemmeno le Guardie che sorvegliano le Sale di Guarigione sanno dove egli sia.
Ma qualche cosa nella parte istintiva di Elrhoss, quella componente della sua natura che si premura sempre di tenere celata, gli suggerisce che non c’è nulla per cui stare in ansia.
Thranduil è nella Foresta.
Thranduil è la Foresta.
*
Qualche cosa, come un pensiero molesto, angustiava il Custode, mentre con passo deciso s’inoltrava in sentieri intricati.
Qualche cosa di inconfessabile e ineludibile. La paura di incontrare Feren. La disperazione per non averlo incontrato.
Le labbra di Elrhoss sbiancarono.  Era inammissibile che in tutto il Reame Boscoso una sola creatura fosse capace di fargli perdere la consueta freddezza.
La sua imperturbabile calma, quella per cui persino Thranduil aveva avuto parole di elogio.
Anche se velate di un’ironia che ad Elrhoss non era affatto sfuggita.
Il pensiero dello sguardo di Thranduil strappò ad Elrhoss un’espressione compiaciuta. Sapeva di essere per lui quasi un enigma. E quel “quasi” era già un evento nella celebrata onniscienza del Re degli Elfi.
I suoi passi sul soffice tappeto del sottobosco si fecero più leggeri e d’un tratto guardinghi.
Elrhoss sentì che qualche cosa stava cambiando nel respiro della Foresta.
Si fermò, in ascolto, una mano che involontariamente faceva strani segni nel vuoto, come un fiore bianco che apra i propri petali, o un pallido cuore che pulsa.
Poi lasciò ricadere il braccio lungo il busto. Non udì più nulla.
Non sentì più nulla, nessun fremito che si sovrapponesse al sospiro sommesso degli Alberi.
Ora la sua mente poteva tornare alle creature che aveva visto poche ore prima. In occasione del suo mancato incontro con Feren.
*
 
Di guardia davanti all’enorme portone scuro del basso edificio erano due Elfi.
Uno più alto e dritto, i lunghi capelli neri, era immobile.
L’altro, più piccolo e irrequieto, sembrava non potesse restare fermo sulle proprie gambe.
«Finiscila » un comando deciso uscì dalle labbra dell’Elfo più imponente.
«Che fastidio ti do?» rispose Lethuin con voce chiara, alzando il mento.
«Mi innervosisci. »
Lethuin rise. «Non ti credevo tanto noioso! »
Le labbra sottili di Cabranel s’incurvarono in un sorrisino beffardo «E non hai visto ancora nulla. Vedrai quando dovrò allenarti con la spada…»
Lethuin smise di ridere, lo fissò a bocca spalancata «Sì? Io e te? Thranduil ha ordinato… Ma… ma… insieme?» lo stupore sembrava impedirgli di completare una qualsivoglia frase.
Cabranel si degnò di girare il capo. «RE Thranduil non lo sa ancora. Ma lo saprà presto. »
Il confuso entusiasmo del ragazzo, che aveva emesso un alto suono inarticolato, provocò la reazione insofferente di Cabranel. Appoggiato alla parete, le braccia incrociate, sbuffò con ostentazione, guardando dritto davanti a sé, «Non ti montare la testa, in ogni caso. Non mi porto a letto tutti i miei allievi.» Le labbra un po’ dure si piegarono in un ghigno beffardo.
Lethuin arrossì. «Io… no…». Poi il giovane si rese conto che l’altro lo stava prendendo in giro. «Non ho bisogno di allenamenti in quel campo. » rispose piccato.
«Lo so – rispose asciutto Cabranel  - ti alleni già abbastanza. » Questa volta l’elfo bruno si voltò, lentamente, e lo fissò con attenzione, scrutandolo dall’alto al basso.
Lethuin guardava ostentatamente avanti, il capo alzato e le braccia incrociate. Poi coraggiosamente girò la testa, con l’intenzione di sostenere senza battere ciglio l’esame di quegli occhi scuri. Nondimeno divenne paonazzo. «Io non sapevo… - finalmente, con quelle parole, Lethuin abbassò le palpebre sulle iridi azzurre – Non volevo, Cabranel… Voi vi eravate lasciati… Lui è … è così bello… Non sapevo…» Scosse il capo confuso, prima di rialzare sull’altro gli occhi divenuti un po’ lucidi.
«Caleloth è libero di fare quello che vuole. » rispose Cabranel con freddezza.
«Ti costerebbe tanto ammettere che ti ha fatto soffrire? Che soffri per lui? ». Lethuin sembrava trovare anche nelle situazioni più difficili l’audacia, o l’incoscienza, che consentono le domande più imbarazzanti. E se le sue labbra tremavano un poco, era solo per lo sforzo di tenere ferma la voce, mentre il discorso si faceva sempre più personale.
Cabranel inarcò un sopracciglio «Ricordami di ucciderti… per sbaglio, s’intende, quando ci alleneremo con la spada. » disse voltandosi di nuovo e guardando davanti a sé.
Suo malgrado Lethuin sospirò di sollievo: «Dunque non sono nemmeno un rivale da prendere in considerazione? »
Cabranel rise . «Ringrazia la tua buona stella, ragazzo.» disse senza più guardarlo.
 
In quel mentre era giunto Elrhoss, leggero ma deciso come un piccolo predatore.
Dritto davanti a Cabranel aveva affrontato il suo sguardo. Gli occhi gelidi del Custode delle chiavi in quelli ultramarini del Guardiano che era stato l’amante del Sovrano.
«Il nostro Re non si mostra a Palazzo… da giorni…» Elrhoss, un po’ più basso del bruno Guardiano, non era comunque meno diritto e fiero di lui.
Cabranel piegò appena la testa, un lampo ironico accese lo sguardo nel volto altrimenti impassibile. «Questa non dovrebbe essere una novità. » disse mellifluo.
«Non lo è – rispose Elrhoss, unica reazione un rapido battito di palpebre sugli occhi chiarissimi – Ma questa volta è… diverso.» Le lunghe ciglia ramate palpitarono più veloci.
Cabranel si fece più attento. «Che cosa ti fa pensare che non sia come le altre volte? »
Elrhoss serrò le labbra. Poi: «Lo so e basta.» rispose prima di voltarsi rapidamente per allontanarsi da loro.
«Elrhoss!» la voce di Cabranel suonò decisa, quasi perentoria: «Vengo con te.»
Elrhoss si fermò, senza voltarsi. Strinse ancora le labbra. «No.» rispose secco.
Cabranel fece un passo avanti lasciando le mura delle Sale di Guarigione, la mano che sfiorava l’elsa della spada in un atteggiamento che era quasi di minaccia. «No? » il suo sopracciglio s’inarcò ad altezza inconsueta.
«No. – la voce del Custode si ammorbidì, ammantandosi di stanchezza. Poi egli si voltò lentamente verso la Guardia. – Io e te dobbiamo prendere direzioni diverse. Io lo cercherò… con la ragione. Tu… che lo conosci meglio… con l’istinto.»
L’ultima pausa costrinse Cabranel a trattenere il fiato. Scrutò l’altro con rinnovato interesse. «Va bene.» rispose poi con tono altrettanto morbido, quasi seducente.
 
Cabranel si fermò un attimo per guardarlo, mentre Elrhoss velocemente si allontanava. «Interessante creatura…» mormorò. Poi si voltò verso Lethuin, che era rimasto al proprio posto, silenzioso e insolitamente immobile.
Il sorriso fugace che aleggiò sulle labbra del bruno Guardiano lasciò immediatamente il posto a una piega dura, mentre un’ombra passava come una nuvola sul volto pallidissimo.
«Meludir! » chiamò deciso.
Il giovane Elfo si palesò immediatamente, leggero e lucente come una farfalla. «Eccomi! » disse con un sorriso che si estendeva anche agli occhi, evitando però di guardare Lethuin.
Questi si raddrizzò, ostentando un’espressione concentrata.
«Sostituiscimi, ho un altro compito da svolgere» disse Cabranel rivolto a Meludir.
«Sì, certo.» senza esitazione il ragazzo si mise a lato dell’enorme portone, lasciando saettare per un attimo i grandi occhi castani in direzione dell’altra giovane Guardia.
Lethuin guardava davanti a sé, serio e compreso nel ruolo.
 
Cabranel prese deciso la direzione opposta a quella in cui si era allontanato Elrhoss. Incrociando Feren si limitò a piegare la testa in segno di saluto, e sebbene quegli fosse incaricato di organizzare e dirigere i turni di Guardia, non ritenne opportuno di informarlo.
Si limitò a voltare la testa in direzione di Lethuin, che con un mezzo sorriso si accinse a spiegare.
 
*
 
Come un fiore bianco la sua mano elegante affiorava tra foglie e rami. Un lungo dito che puntava l’altro.
«Vieni qui, Elrhoss.» La voce calma e profonda, gli splendidi occhi chiari, ma gravati di ombre.
La giovane guardia trattenne il fiato. Poi, un passo dietro l’altro, giunse davanti a lui.
Fiero e impettito. Ma con un tremito nel cuore. La pelle candida e il profilo purissimo, Elrhoss era simile a un fiore arrogante che troppo si fosse innalzato sulle piante del sottobosco.
Allargò i grandi occhi del colore del ghiaccio, stupito di trovare lì il proprio Signore.
Sorpreso di averlo trovato per primo.
Un candido sorriso sbocciò sulle belle labbra di Thranduil, nell’indovinare quello stupore.
«Dunque, Elrhoss… ci sei riuscito.»
Elrhoss spalancò la bocca. «Io credevo… anche Cabranel ti sta cercando, Mio Signore».
«Lo so. » disse Thranduil sollevandosi appena.
Il busto era nudo, addosso aveva solo un paio di pantaloni leggeri, verdi come il tenero muschio della Foresta.
Elrhoss ebbe l’impressione che le lunghe gambe di Thranduil fossero tutt’uno con l’intrigo di rami in cui languidamente giaceva, tra erbe e fiori.
«Pensavi che Cabranel mi avrebbe trovato per primo? »
«Sì, mio Signore». Rispose Elrhoss chinando il capo, quasi che quel primato gli procurasse vergogna.
«Tra poco lui sarà qui… Mi troverà. Cabranel mi trova  sempre ». Thranduil sorrise ancora, una luce tenera nei lunghi occhi stellari.
Elrhoss rialzò il viso.
«Ma – continuò il sovrano – egli ora è felice. Innamorato. E ricambiato dal proprio amante. Ecco perché tu lo hai preceduto, sebbene di poco… La mia anima è gravata dalla solitudine… Per stanarmi era necessaria una creatura altrettanto malinconica e sola »
«Strano che proprio io…» Elrhoss abbozzò un sorriso ironico.
«Non proprio.» L’espressione di Thranduil era concentrata e un po’ triste.
«Credi di conoscermi, mio Signore? » La Guardia ebbe un sussulto stizzito, una reazione inconsueta per lui.
«Ti conosco abbastanza, Elrhoss. Indovino i tuoi desideri, i tuoi dubbi… il tuo nervosismo, ogni volta che tali desideri contraddicono la tua fredda natura. Sapevo, fin dal primo momento, che una grande passione ti avrebbe cambiato agli occhi del mondo, rivelando il tuo cuore. »
Elrhoss serrò le labbra, piegando il capo. Il gesto rispettoso non ingannò Thranduil.
« Ma non posso conoscere tutto – riprese il re con sguardo implacabile – Non prevedevo la pronta risposta del tuo amante. Temevo per te una passione infelice, non ricambiata. E invece… mentre noi parliamo, mentre le altre Guardie mi cercano… lui sta cercando te. Solo te. E io non me lo aspettavo. Non da una creatura così solida e controllata. – Thranduil scoppiò in una risata ironica – Ho perso i miei poteri di preveggenza, mio caro Elrhoss… Il tuo amante è il primo che riesce a sorprendermi…».
Lo sguardo di Elrhoss era attento, gli occhi enormi. Stava facendo uno sforzo evidente per mantenere il controllo della propria reazione, e solo un breve battito delle ciglia fulve accompagnò per due volte l’espressione “il tuo amante”.
Thranduil inclinò il capo, l’aria attenta, in ascolto. «Pensa … - disse con aria assorta – avevo previsto che il mio giovane Caleloth avrebbe amato la mia Guardia più cinica e indisponente… e che egli lo avrebbe ricambiato… quando nessuno lo credeva possibile. Essi erano predestinati, e nulla poteva nascondermi il loro destino… Allora… Ma tante cose sono accadute, che come nuvole fosche hanno oscurato la limpida visione della mia mente… »
Elrhoss sbatté le palpebre, impaziente.
«Ora però – continuò Thranduil – vedo tutto chiaramente… di nuovo… mentre si dileguano le gravi ombre del mio personale dolore.» Con gesto repentino ed elegante Thranduil si alzò, e fu davanti a lui, quasi svestito eppure regale, leggiadro e imponente insieme.
Fissò da vicino la giovane Guardia, che abbassò gli occhi.
«Queste cose non ti devono turbare, Elrhoss. Non è debolezza, la nostra. Ricordi? I nostri primi Sovrani si smarrirono, perdendosi l’uno negli occhi dell’altra. E restando immobili, in una Valle di stelle, rinunciarono finanche alla gloria più grande… Per amore. I Sindar sono capaci d’amore, Elrhoss.»
La Guardia perse infine la propria impassibilità: «Non tutti, mio Signore. Non tutti. » disse con un lieve tremito delle bocca delicata.
«Non esiste una creatura uguale all’altra, Elrhoss. E non esistono creature onniscienti. Pensa che… - Thranduil sollevò finalmente il capo, lasciando lo sguardo di Elrhoss – Ci crederesti? Sbaglio persino io…» mormorò con un lieve sorriso poco convinto.
Un leggero fruscio tra gli alberi.
«In ogni caso, non sono un Sinda, mio Signore » rispose Elrhoss riprendendo il proprio gelido contegno.
Thranduil tornò a scrutarlo. «Già… non del tutto. Alla nostra malinconica, decadente passionalità, tu unisci la testardaggine degli Elfi Silvani.» Lo sguardo di Thranduil era tenero e sorridente.
Ma gli occhi di Elrhoss erano glaciali e impassibili. «Non sono neanche una creatura dei Nandor. » Il Guardiano impallidì ancora di più nel pronunciare quelle parole.
«Né l’una né l’altra eredità  - disse Thranduil fissandolo intensamente – o forse entrambe » la sua voce si abbassò assumendo una sfumatura complice.
Il fruscio si fece un clangore deciso e tagliente, ma Elrhoss non si voltò.
I suoi occhi fissavano rapiti il gesto elegante e insieme imperioso di Thranduil, il braccio che si sollevava per imporre il silenzio, le dita contratte ad artigliare l’aria, quasi a catturare i suoni molesti che avevano interrotto la loro conversazione.
La mano brillò nella semioscurità, farfalla di luce che baluginava davanti allo sguardo stupito, ammirato del giovane Custode.
Elrhoss fissò il movimento nervoso di quelle candide, lunghe dita.
Quel profilo perfetto come un cammeo intagliato nell’onice, mentre Thranduil voltava il viso di lato e il venerabile volto si rivelava netto e armonioso sulle fronde scure.
Elrhoss sentì il cuore che perdeva un colpo.
Ricordò, non senza fatica, una madre fragile, magra e leggera come una giovane volpe, i capelli di fuoco.
E un padre immobile, il profilo candido e perfetto, i lunghi capelli di un prezioso castano con riflessi di miele.
Un nobile profilo di Sinda, che non aggrottava la fronte, non arricciava  le labbra né per un richiamo, né per un grido, mentre la moglie lasciava la loro casa.
Dritto e impassibile sulla soglia, gli occhi asciutti, sembrava ignaro persino del piccolo dai capelli fulvi, che da dietro le sue gambe occhieggiava la figuretta fuggente dell’Elfa silvana.
Il bimbo apriva le mani, piccoli fiori bianchi e disperati, spalancava gli occhi chiarissimi.
Ma la piccola bocca restava serrata, chiuse le tenere labbra, come quelle paterne.
Ed egli non aveva saputo neanche chiamare, non era riuscito a dire nemmeno la prima delle parole: mamma.
Non che non volesse. Ma il fiato proprio non usciva, per un misto di rabbia, paura, orgoglio. Non poteva neanche gridare.
Nondimeno aveva sperato che lo facesse lui. Il suo altissimo, rigido, impassibile padre. Elrhoss si era aggrappato con le piccole dita tenaci alla stoffa dei pantaloni, tirando con forza per attrarre la sua attenzione, pizzicando e scuotendo, nella speranza che il gelido genitore pronunciasse la preghiera che lui non riusciva ad articolare. “Aspetta”. “Resta”.
Il nobile Sinda aveva lasciato la soglia senza attendere nemmeno l’istante in cui lei sarebbe sparita, scivolando sulla curva del verde orizzonte. Elrhoss allora aveva emesso finalmente un piccolo grido, agitando le candide mani in direzione del padre. Ma quegli, quasi a leggergli nel pensiero, aveva risposto: «Io non aspetto. »
*
Cabranel si palesò nella radura.
Elrhoss pallidissimo continuava a fissare il Sovrano. Le ultime parole che gli aveva rivolto prima di quella interruzione rimbombavano cupe nella sua testa: «O forse di entrambe »
Lo guardava con dolorosa intensità, ignaro del resto. Del passo deciso di Cabranel che si avvicinava alle sue spalle, dell’allarme delle altre guardie che stavano probabilmente arrivando.
Indifferente agli splendori dei fiori e ai fruscii del sottobosco.
Non perché quelle cose non avessero più importanza, ma perché ogni cosa era racchiusa in Thranduil: i fiori e i battiti accelerati del cuore, l’immarcescibile amore di una delle sue Guardie e quello di tutte, l’orgoglio e la tenerezza.
La luce e l’oscurità.
E come già era noto negli angoli più segreti della Foresta, come Thranduil stesso aveva previsto, Elrhoss sentì di amare quello strano Sovrano, antichissimo e sapiente e capriccioso come un bambino.
Ma capace di amore. E, nell’amore, fedele.
Fedele a ogni tipo di amore, che fosse quello orgoglioso per un’altra creatura concreta e viva, o quello soave per una sposa perduta.
Fedele a ognuno di loro, alle sue Guardie che amava una per una.
I due Elfi si dissero cose senza parlare.
Thranduil sedette, la schiena appoggiata a un tronco, le lunghe gambe piegate. Mollemente assiso come su un trono. La bianco mano era poggiata sul terreno scuro, e su essa splendeva il suo anello, dove il cuore pulsante di un opale verde palpitava in una gabbia di argentei rami.
Elrhoss, in piedi e con il capo chino, non parlava.
Poi la presenza di Cabranel fu su di loro, gelosa e oscura.
La bruna Guardia avanzò lentamente, mentre attento studiava Thranduil e ignorava l’altro.
«Dunque sei qui » disse asciutto.
«Sì. Elrhoss mi ha trovato. » rispose con voce calma il Sovrano. Calma e ironica.
Lo sguardo blu di Cabranel balenò dalla bianca figura seduta alla pallida Guardia dai capelli rossi.
«Non mi stupisce.» mormorò Cabranel.
Elrhoss, che fino a quel punto non si era ancora voltato, si girò di scatto, un lampo stupito negli occhi chiari.
Cabranel annuì. Poi, guardando intensamente prima il suo Signore, poi l’altro Guardiano: «Le anime in pena trovano sempre Thranduil. Egli le attrae.»
Elrhoss serrò la bocca e raddrizzò la postura. La sua espressione tornò com’era sempre: indecifrabile.
Un lieve disappunto passò invece come una nuvola sul bel volto di Thranduil. «Sei sempre sfacciato, guerriero… Volevi dunque trovarmi per primo? » Lo sguardo di Thranduil era gelido, il tono quasi imperioso.
Cabranel annuì ancora.
Thranduil inaspettatamente sorrise. «Ma non voglio io. Ti voglio felice, mio Cabranel. Quel tanto affinché… un altro ogni tanto si prenda cura di me… Ma non così tanto da dimenticarmi.» Il Re unì le labbra in una specie di broncio insolente, e Cabranel rise.
Elrhoss sembrava a disagio.
La complicità tra il Sovrano e la bruna Guardia era talmente evidente da cancellare tutto il resto, anche quell’attimo di confidenza che Elrhoss aveva condiviso con il Re poco prima.
Cabranel superò Elrhoss senza guardarlo, e con la massima tranquillità sedette su un tronco di fronte al suo Re; il braccio appoggiato al ginocchio sosteneva il viso, leggermente inclinato. Una lieve smorfia beffarda aleggiava sul suo volto da lupo. «Lo sai che non ti lascerò mai.» fu meno di un sussurro, poco più di un pensiero che si faceva concreto, come una nuvola di fumo leggero.
Eppure Elrhoss lo avvertì come lo aveva avvertito Thranduil. Il Custode sentiva ora le emozioni del suo Sovrano come mai gli era capitato prima.
Thranduil sorrise, prima a Cabranel, poi all’altro. «Dovrete, un giorno. Ma mi amerete sempre. Lo so. ». L’insolenza dello sguardo, della postura, delle bianche guance levigate che si gonfiavano in un soddisfatto sospiro…per un attimo sembrò il Sovrano di sempre, egocentrico e onnipotente.
 
E in quel momento, mentre Thranduil e Cabranel sedevano l’uno di fronte all’altro, ed Elrhoss in piedi tra loro studiava le proprie bianche dita intrecciate sull’arco, altri Elfi giunsero nella radura.
I primi ad arrivare furono Feren e Caleloth. Ma alzando rapidamente gli occhi, Cabranel avvertì la presenza di altre due Guardie tra i rami.
Feren avanzò, lo sguardo grave studiò prima la soave figura del Sovrano. Le bianche spalle, il petto nudo che si sollevava piano, le lunghe gambe fasciate nei pantaloni leggeri, graziosamente scomposte in un’aria di rilassatezza.
Poi il suo sguardo sfiorò velocemente Cabranel, che voltò appena la testa con un sorrisetto, e infine si fermò su Elrhoss.
Questi, voltandosi lentamente, si pose davanti a lui come a sbarrargli la strada.
Con calma Feren parlò «Mio Signore… Non sapevo.» ma non c’era ombra di deferenza o di scuse nelle sue parole. Era solo una constatazione. Feren non sapeva, quando Cabranel aveva lasciato il suo posto di guardia per accorrere dal Sovrano.
Caleloth restava indietro, in disparte. Dritto e orgoglioso, piegò rispettosamente il capo quando il Sovrano rivolse anche a lui il suo sguardo onnisciente.
«Caleloth… - mormorò Thranduil ignorando le parole di Feren – Cabranel mi ha trovato, come sempre. Ma non per primo.»
Caleloth annuì, gli occhi lucidi.
Cabranel nel frattempo si era alzato, e i suoi occhi scuri studiavano ogni particolare di quella scena, come nell’abitudine puntuale e prudente di ogni Guardiano, ma ancora ignoravano il giovane amante.
«Sono felice che tu stia bene, mio Signore. » Caleloth sorrise, radioso, le guance accese. Non c’era dispiacere che potesse distoglierlo dal proprio dovere. Dall’insopprimibile devozione al Sovrano.
La mano elegante di Cabranel ebbe un fremito, carezzò il tronco, ma ancora egli non si voltò.
«Sto bene, grazie. E non mi capacito di come abbiate potuto lasciare le vostre postazioni, i vostri turni di guardia, per cercare me!» la voce di Thranduil divenne stentorea.
Cabranel piegò il capo, l’umiltà dell’atto prontamente contraddetta dall’espressione insolente che gli aleggiava sul volto «Ho lasciato la mia postazione, mio Signore, chiedendo a un altro di sostituirmi. Io solo ho la colpa di questa confusione.» Non sembrava a dire il vero eccessivamente contrito.
Feren non batté ciglio, ma con voce ferma disse : «La responsabilità dei turni di guardia è mia, Signore. Io dunque ho fallito e io pagherò per l’insubordinazione delle tue Guardie »
Caleloth aprì bocca con l’intenzione di immolarsi a sua volta, ma evidentemente non aveva argomenti, poiché era nel proprio giorno libero e non aveva dunque nulla di cui rimproverarsi.
Dal momento in cui Feren aveva parlato, Elrhoss non aveva smesso di fissarlo. Non più di nascosto, da dietro le lunghe ciglia, ma apertamente e con un’intensità tale che un Elfo meno controllato del bruno Guardiano ne sarebbe rimasto turbato.
Feren si limitò a ricambiare lo sguardo, grave ma sereno.
E all’improvviso il Custode si voltò ancora verso il Sovrano, e le sue labbra tremarono leggermente quando disse: «Poiché mi hai chiesto di assumere il ruolo di Consigliere, mio Signore, e non avendo tue notizie da giorni, ho ritenuto giusto di venirti a cercare. E per l’autorità che comporta il mio ruolo, ho assunto l’iniziativa di informare le tue Guardie. È dunque mia la responsabilità.  Ma non ritengo di aver sbagliato. » Elrhoss fece una lunga pausa, abbassò il capo e socchiuse gli occhi. Poi continuò : «Nondimeno, mio Signore… devo confessarti una grave mancanza.» La sua voce tremò in modo più evidente, egli saettò intorno un rapido sguardo senza soffermarsi su alcuno. Poi, dopo un’attesa che parve interminabile, fece un passo avanti, incredibilmente piegò un ginocchio, e con il capo chino si  inginocchiò davanti al proprio Re «La notte in cui scapparono i Nani … » cominciò con fatica, e subito si interruppe per prendere fiato. Un brusio percorse il gruppo degli Elfi. Cabranel sorrise. Gli occhi scuri di Feren ardevano nel volto pallido.
Elrhoss continuò, la voce ridotta a poco più di un sussurro: «Quella sera… ho accettato un po’ di vino offerto da un altro guardiano, ma ho lasciato che altri bevessero in abbondanza… era mia intenzione di restare l’unico sobrio… Per dimostrarti che sono l’unico degno di custodire le chiavi... e di assumere anche ruoli più importanti, finanche quello di consigliere. Ma non so come fu, mio Signore, che una creatura maligna le sottraesse alle mie mani. Ero padrone di me, ero attento… Nessuno era entrato, nessuno poteva raggiungere i sotterranei senza che io lo vedessi. Forse fui distratto dal poco vino bevuto…   »
«O forse da altro…» mormorò Thranduil pensoso. «Ritieni dunque che codesti tuoi pensieri ti abbiano impedito di assolvere degnamente i tuoi compiti? »
«Sì, mio Signore. Non è colpa di chi ha bevuto. Tutti bevemmo, era una sera di festa. Ma il mio ruolo imponeva una maggiore attenzione.»
«Nondimeno restasti sobrio, più o meno, anche se non proprio per nobili scopi… Certo, avresti dovuto mantenere sobri anche i tuoi compagni… E come mai me lo racconti soltanto ora? »
«Io… non lo so.  È per i tuoi occhi, mio Signore. È per il tuo cuore. » Elrhoss alzò sul sovrano lo sguardo lucido.
«Per il mio cuore, sì. Ma non per i miei occhi. » e inaspettatamente Thranduil sorrise. Poi con solenne eleganza, con irrinunciabile grazia, il Re si alzò in mezzo a loro. «Molto bene » disse con calma. La sua figura insieme eterea e forte brillava di un proprio fulgore, sotto le fronde verdi e dorate. «Cabranel, dovrei farti arrestare. Come sempre… Ma come sempre c’è troppo da fare… due turni di guardia, questa notte! Accanto ad Elrhoss. » aggiunse il Re con voce morbida.
Feren, che fino a quel momento era rimasto a bocca aperta, fissando Elrhoss che inginocchiato faceva la sua confessione, saettò a Cabranel uno sguardo torvo. Quegli increspò le labbra, poi avvicinandosi a Feren con passo felpato, inclinò il capo per mormorare al suo orecchio «Una notte di piacere non vale le lacrime del mio giovane amante… Anche se, devo ammetterlo… se io non tenessi tanto a lui farei di tutto per trascinare quello strano Elfo tra le mie lenzuola… »
Lo sguardo di entrambi si posò su Elrhoss, che molto dignitosamente si era rialzato, e attendeva la propria sorte. Era silenzioso e concentrato, abbastanza da ignorare i commenti insolenti di Cabranel.
Feren scoccò un’altra occhiata minacciosa all’Elfo bruno, poi anche lui come Elrhoss rivolse lo sguardo a Thranduil.
Questi riprese: «In quanto a te, Elrhoss… dovrai restituirmi le chiavi. Assegnerò quel ruolo… ad Aduilaeron. Non credo gli piacerà, ma tant’è. Per quello che hai fatto, per quello che hai pensato… meriteresti di marcire a tua volta nei sotterranei che a lungo hai custodito. Ma sei così pallido…» la voce del sovrano vibrò di malcelata ironia. Elrhoss sbiancò ancora di più, per poi arrossire. Rimase comunque composto, senza emettere un fiato di fronte a quel ridimensionamento del proprio ruolo.
Dopo averlo osservato, Thranduil continuò, con voce più dolce: «E forse sei più puro di quanto credessi… Non sei ancora abbastanza contorto per farmi da consigliere. Presterai dunque servizio tra le Guardie della Foresta. E tornerai ogni sera nel mio Palazzo, dove ti informerai di ciò che succede… Per poi riferirmelo il giorno dopo. Per un periodo di… » Thranduil fissò Elrhoss, il cui viso era tornato impassibile. «Fino a che i tuoi compagni lo riterranno opportuno. Hai tradito loro, non me.»
Elrhoss ebbe un sussulto, sentendo su di sé tutto il dolore e la vergogna che il suo comportamento aveva causato.
Feren lo guardò, implacabile. «Prendi il tuo posto accanto a Cabranel. » disse asciutto. Ma con un lampo divertito negli occhi.
Ritrovando la padronanza di sé, Elrhoss rispose con uno sguardo di sfida «Sono ancora un tuo pari grado.». Feren scosse la testa, beffardo.
Caleloth, che si era avvicinato, sfiorò la mano di Elrhoss, gli sorrise.
A testa bassa Cabranel vide, ma non osò commentare, fingendo di rimirare la lama della propria spada, nuda e scintillante nella penombra.
Caleloth lo fissò, e avvicinandosi sussurrò al suo orecchio: «Ovviamente la pena di Thranduil per te è troppo lieve, e troverò il modo di farti scontare un periodo di detenzione abbastanza lungo, e da cui non potrai facilmente scappare… E nemmeno vorrai, spero… dal momento che dichiari di tenere a me.»
Un lieve rossore passò sul viso duro di Cabranel, quando rialzò gli occhi adoranti su colui che amava. Solo per un attimo il suo sguardo scuro intercettò quello stellare di Thranduil, che annuì.
Allora Cabranel tornò a guardare prima Elrhoss e Feren, poi il proprio amante. «Ci attenderete? - chiese con un sorriso complice – un doppio turno di guardia è piuttosto lungo. »
Anche Caleloth sorrise. «Sì.» sussurrò.
«Posso aspettare.» rispose Feren fissando il solo Elrhoss.
Quegli sostenne i suoi occhi, una luce passò sul volto pallido svelandone i colori.
 
Nel frattempo Thranduil si era allontanato, da solo.
Caleloth alzò la mano in un silenzioso cenno, e solo un fruscio tra gli alberi suggerì a tutti che Olthir e Nimfael, ombre senza peso, seguivano il Re di lontano, saltando lievi da un albero all’altro.
Le mani sugli archi, gli occhi attenti, mentre lui camminava.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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