Il cinguettio degli uccellini permeava
l'aere, fioco, distante; come se nemmeno quelle creature osassero
avventurarsi fra ciò che, agli occhi di tutti loro, non erano altro
che rovine. Persino Aredhel Morelyn, per quanto si sforzasse, non
riuscì a vedere altro che cumuli di pietra infranta dalla cima del
torrione diroccato sul quale si era arrampicata, su un'altura
dell'isola - o, per meglio dire, su ciò che ne rimaneva.
Del castello che era stato la loro
roccaforte non era rimasto altro che il ricordo: ora i pezzi erano
sparsi qua e là, accumulati gli uni sugli altri in ammassi di
blocchi rocciosi sui quali la natura aveva già iniziato a
rivendicare il proprio dominio. L'erba cresceva rigogliosa, muschi e
licheni ricoprivano in maniera estesa ciò che un tempo era stato
formato dall'uomo.
Il ché era decisamente assurdo.
Eppure la natura intorno a lei non
poteva ingannarla... e quelli erano davvero i resti del castello in
cui era stata accolta poco tempo prima - o almeno quello che ella
aveva creduto fosse 'poco tempo prima'.
L'elfa si strinse maggiormente nel
proprio cappotto, in reazione ad un brivido di freddo che la spinse a
raccogliere le ginocchia al petto, abbracciandosele ed affondando il
viso fra le pieghe della stoffa blu-avio.
Stava tremando, ma non a causa del
fatto di essere rinvenuta quasi completamente nuda sul terreno
polveroso. Degli abiti che aveva indossato prima di quell'accecante
lampo di energia non era rimasta quasi traccia se non qualche lembo
sfilacciato, tranne che per il completo che era stata la sua eredità.
Cappello, guanti e cappotto erano in perfette condizioni ed erano
l'unico riparo rimastole dagli sguardi altrui.
Eppure non era questo ad importarle.
Ciò che realmente le importava, era
nient'altro che lui.
Con la percezione della dura pietra
sotto di sé, l'elfa puntò lo sguardo sull'orizzonte senza realmente
vederlo.
Era finita?
Con sconvolgente nitidezza, nella sua
solitudine, il ricordo di ciò che era loro accaduto la travolse,
costringendola a rivivere tutto quanto.
[Flashback]
Erano appena tornati dal Tempio dell'Acqua, sebbene ci avessero messo
più tempo del previsto.
Tutta colpa di Kein, che era riuscito a perdersi in mezzo ad un paio
di foreste sulla via del ritorno.
Aredhel varcò le ampie porte della sala principale con passo deciso
al seguito dei suoi compagni, solo per ritrovarsi a fermarlo quando i
suoi occhi blu si posarono sul terzetto in piedi al centro della
stanza.
Anche se, in realtà, gli unici in piedi erano Sleyn e sua sorella.
Il povero disgraziato al centro fra loro e saldamente incuneato fra
la stretta di Mytras e la lama del giovane drago era inginocchiato
sul marmo, il busto macchiato di sangue secco privo degli arti
superiori. E nonostante questo la sua determinazione a non parlare
non sembrava aver ancora ceduto alle torture della donna.
– Io non dirò niente, è tutto inutile!
– Senti, ti ho già strappato accidentalmente le braccia dal
corpo dopo che hai tentato per ben due volte di fare il
furbo.. – sbottò spazientita la mora, la cui espressione la diceva
lunga su quanto fosse stata “accidentale” la perdita dei suoi
arti superiori – Parla e ti daremo la morte che tanto desideri.
Ed il ragazzo dai capelli candidi e gli occhi di ghiaccio non mancò
certo di rincarare la dose.
– Sei ancora vivo solo perché ti ho cauterizzato le ferite.. non
ti conviene farla arrabbiare.
– Ah! Non sento il dolore, potete uccidermi anche subito, tanto non
parlerò mai!
Di fronte al bel teatrino, i nuovi arrivati si
guardarono brevemente fra loro, prima che il genitore dei due
mezzi-draghi si facesse avanti.
– Siamo tornati – annunciò il chierico dalla zazzera argentea –
Come state? Tutto a posto?
– Oh sì, stiamo bene – rispose subito la ragazza dai lunghi
capelli neri, sorridendo come niente fosse appena si rivolse al suo
genitore. Raccontò loro brevemente di quel gruppo di assassini che
avevano affrontato, della gilda a cui appartenevano e della morte
accidentale per mano di Sleyn a cui erano tutti andati
incontro. Tutti tranne quell'ultimo elfo – Comunque ce la siamo
cavata – concluse con una smorfia – Tranne che per quel tuo
figlio deficiente – aggiunse, indicando con un cenno del capo suo
fratello gemello, al quale dedicò un'occhiataccia delle sue –
..che nel bel mezzo della battaglia si è fatto ferire apposta per
rispondere alla chiamata di qualcuno.
A quelle parole Aredhel si irrigidì in ogni muscolo, serrando le
labbra in preda al rimorso e all'imbarazzo mentre tornava di scatto a
fissare la figura di Sleyn, ancora concentrato sul suo prigioniero.
Era stata lei a contattarlo telepaticamente attraverso la spilla che
avevano dato loro: un artefatto magico discreto per tenersi in
contatto gli uni con gli altri.
Grazie al cielo Kein si fece avanti, del tutto disinteressato a quei
discorsi, tronfio della sua posizione di comando per affrontare il
povero disgraziato ancora inginocchiato sul pavimento.
– Tu desideri la morte, vero? – gli chiese retoricamente, prima
di continuare – Te la daremo se ci dirai tutto quel che sai..
Peccato che ottenne il medesimo risultato degli altri, così Aredhel
si stancò presto di quel teatrino, intervenendo.
– Sappiamo già che lavori per mio fratello – affermò senza
alcuna apparente inflessione nella voce, fissando il suo parirazza
senza far trasparire alcuna particolare emozione – Quindi è
inutile che continui. Dicci cosa volete ottenere da tutto ciò che
state facendo.
Il prigioniero finalmente si volse verso di lei ed inizialmente
assunse un'aria sorpresa ed interdetta, prima di riprendersi un paio
di secondi dopo.
– Ah, e così tu sei quella troia della sorella del
nostro capo..
Il sopracciglio destro le fremette verso l'alto, in un tremito che
minacciò di incrinare l'espressione indifferente del suo viso.
Sorprendentemente fu Kein a farsi avanti.
– Chiamala ancora una volta “troia” e ti farò rimpiangere di
non essere morto – sibilò minacciosamente.
– Troia.
Non terminò nemmeno di formulare la parola che si beccò un pugno
dritto in faccia, che gliela fece voltare dall'altra parte tanto
velocemente che Aredhel credette di aver distinto chiaramente lo
schiocco di ossa frantumarsi.
– Ti ho detto di non farlo!
Quello sputò un po' di sangue, ma parve ancora perfettamente lucido,
tanto da sfidarli un'altra volta.
– Troia.
Fu un attimo.
Un secondo prima il malcapitato si reggeva su ambo le gambe, mentre
quello dopo era riverso su un fianco, il volto contratto in una
smorfia di stupore più che di vero dolore, mentre il moncone della
gamba iniziava a perdere sangue copiosamente. Cauterizzata anche
quella nuova ferita mortale con il fuoco vivo, ripresero da dove
avevano interrotto.
– Ti avevo avvertito di non chiamarla così.
La diretta interessata stava perdendo rapidamente la sua pazienza di
creatura centenaria, ma ancora una volta qualcun altro aprì bocca
per lei, mettendosi in mezzo. E chi altri avrebbe potuto essere se
non lui?
– Ci penso io – esordì Sleyn verso il guerriero, frapponendosi
davanti all'elfo. Anche di schiena ella ne distinse chiaramente
l'aura minacciosa irradiarglisi da tutti i pori, mentre allungava una
mano ed afferrava quella creatura che un tempo era stata umanoide per
il collo, sollevandolo di peso. Il gelo delle sue parole ridusse la
sala al silenzio, così come fece sbarrare di terrore lo sguardo
della vittima – Osa chiamarla ancora una volta “troia” e sarà
l'ultima cosa che riuscirai a dire prima di patire le pene
dell'inferno.
Stavolta l'avvertimento parve fare effetto, perché questi se ne
rimase zitto, forse mordendosi la lingua. Almeno finché i ragazzi
non tornarono a farsi avanti per avere informazioni. Soltanto allora,
forse distratto da presenze meno minacciose, aprì bocca,
rivolgendosi soltanto a Dedrimar.
– Stiamo cercando di raccogliere i cristalli elementali per salvare
il mondo.
Inutile dire che sui volti di quasi tutti comparve
un'espressione interrogativa ed incredula. Chiesero spiegazioni, ma
l'elfo si dimostrò più reticente di quanto avessero sperato, tant'è
che persino Aredhel si lasciò sfuggire uno sbuffo mentre tentava di
raccapezzarsi. Durante il loro ultimo viaggio non avevano solo
recuperato il busto del potente guerriero millenario che si erano
messi in testa di resuscitare, avevano anche appreso alcune
informazioni piuttosto interessanti su quella nuova gilda di
assassini denominata Laughin Koffin che in soli sei mesi aveva
acquisito una notorietà spaventosa in tutto l'impero.
E, come se non bastasse, a capo di quella stessa gilda c'era suo
fratello Loranis.
– ..siete delle marionette in mano ai draghi. Siete solo dei
fantocci creati da loro stessi.. – stava dicendo nel frattempo
l'elfo a terra con un irritante ghigno in volto – ..e una volta che
avranno finito con voi, vi uccideranno tutti, compresa quella troia..
*BANG!*
Rimasero tutti impietriti a fissare la testa - o quel che ne rimaneva
- del loro unico prigioniero, mezza carbonizzata a causa di un
proiettile che gli era entrato dritto in bocca, esplodendogli in gola
e uccidendolo sul colpo.
Quando si voltarono a guardarla l'istante successivo, Aredhel era
completamente pietrificata a fissare la sua stessa pistola ancora
fluttuante accanto a sé, in preda ad un'incredulità ed
un'inquietudine che avevano preso il posto del moto d'ira che le era
divampato in un attimo nel petto. La sua arma tornò da sola nella
fondina sotto il cappotto, come se nulla fosse, mentre il suo
cappello perse quella lieve luminescenza che lo aveva avvolto.
All'elfa, come agli altri, non volle molto per rendersi conto di ciò
che era appena accaduto: il cappello a tesa larga aveva reagito ai
suoi sentimenti, animando la sua pistola in un istante e facendola
sparare. Proprio come aveva desiderato di poter fare lei in un
impulso del tutto irrazionale.
Quel pesante silenzio venne infranto un paio di secondi dopo da una
voce ben nota.
– Visto? Ecco perché è mia moglie! – affermò candidamente con
un sorrisone a trentadue denti il mezzo-drago, trapelando orgoglio e
soddisfazione da tutti i pori.
Parole che la fecero capitolare dalla tensione derivante le emozioni
contrastanti che l'avevano colta sino a poco prima, solo per sgranare
gli occhi blu su di lui ed avvampare in volto come un peperone,
confusa e nuovamente contrariata.
– Cosa? E da quando?!
– Ragazzi, non potete fare così ogni volta però – commentò
sconsolato Dedrimar, già sul punto di concentrarsi per richiamare la
sua magia divina.
Suo figlio lo ignorò bellamente, avvicinandosi a lei come se niente
fosse per prenderla sottobraccio.
– Vieni fuori con me così da tranquillizzarti un po' – ingiunse,
conducendola fuori – Così ti mostro quello di cui ti ho parlato.
Una lampadina si accese nella mente della ragazza, rammentando
perfettamente l'anello magico di cui le aveva detto nell'ultima breve
chiamata telepatica, quando quella volta era stata lei ad essere nel
pieno di una situazione difficile: stavano tentando di uscire da quel
dannato tempio sani e salvi.
Così lo seguì senza protestare, lasciandosi dietro una manciata di
facce stralunate.
Si trattava di un Anello dei 3
desideri.
Lo stesso anello che aveva ancora al
dito, così come al collo portava il ciondolo che tempo prima le
aveva donato Sleyn.
Serrò la presa sulla pregiata stoffa
delle maniche, cogliendo le irregolarità della pietra premerle sotto
la pelle delle piante dei piedi. Una nuova folata di vento le risalì
le gambe nude sotto i lembi del cappotto, arrivando a malapena a
sfiorarle le gote umide.
Del proprio stato non le importava
affatto.
Il vuoto che avvertiva pesarle al
centro del petto era talmente opprimente da impedirle di reagire in
qualunque modo, così finì per non provarci affatto.
[Flashback]
Al centro della sala, nello stesso punto in cui il prigioniero si era
appena ridotto in cenere, non c'era altri che Nosgoth.
In carne ed ossa.
Ed aura di disintegrazione, a giudicare dai resti dell'armatura del
paladino votato a Leviathan sparsi sul pavimento lì accanto.
– Se volevate delle informazioni avreste fatto meglio a chiedere a
me sin dal principio – affermò pacificamente colui che era a tutti
gli effetti una semi-divinità – Sarò ben felice di rispondere ad
ogni vostra domanda.
Il guerriero ed i due chierici accanto all'elfa non mancarono di
dimostrare il loro astio e la loro avversione per quella nuova
comparsa, sentimenti che la giovane Morelyn non riusciva a
condividere. In fin dei conti era l'ultima arrivata ed era l'unica
del gruppo che egli non avesse tentato di uccidere, perciò era più
che disposta a farsi raccontare una volta per tutte come stavano le
cose. Così fu lei a farsi avanti, guardandolo dritto negli occhi.
– Inizia con lo spiegarci cos'è realmente accaduto duemila anni
fa.
Di nuovo tre paia d'occhi si voltarono a fissarla perplessi e
confusi. Già, non aveva ancora raccontato loro della sua esperienza
spazio-temporale. Avrebbe dovuto rimediare: ormai iniziava a non
poterne più di quel genere di sguardi.
– Facile – commentò tranquillo l'altro, accomodandosi su un
divano fatto materializzare da lui stesso con uno schiocco di dita –
Tutto ciò che vi hanno raccontato su come sono andate le cose è una
menzogna – esordì, prima di proseguire – In realtà i draghi non
hanno affatto rinunciato a parte del loro potere per salvare il
mondo. Hanno rinunciato a parte del loro potere per creare quella che
è a tutti gli effetti una nuova razza.. una razza di cui voi fate
parte – affermò, indicandoli uno ad uno, da Kein ai due chierici,
per poi terminare con lei.
A quella sorta di conferma dei biascicamenti dell'elfo oramai ridotto
a un mucchietto di cenere sul marmo, Aredhel non si sorprese più di
tanto, ma l'impatto che ebbe la consapevolezza di non essere
realmente ciò che credeva ebbe comunque il potere di destabilizzarla
abbastanza da farla chiudere in un silenzio riflessivo.
Un fantoccio plasmato in forma elfica, nient'altro.
Non era veramente figlia dei suoi genitori.
Non era veramente una Morelyn.
Avvertendo lo shock sul punto di dominarla, dovette ricacciare
indietro quei pensieri autolesionistici a forza per tornare ad
ascoltare quanto l'altro stava loro rivelando. Verità talmente
sconcertanti da non poter essere messe in dubbio in alcun modo.. non
da lei.. non dal suo cuore in tumulto.
Perché in fondo all'anima aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa
di strano; qualcosa di diverso da ciò che avevano raccontato
loro.
Nosgoth spiegò loro che i quattro draghi li avevano creati con un
meccanismo magico al loro interno in grado di reagire alla loro
volontà, per tenerli effettivamente sotto il loro controllo, ma che
non si erano mai aspettati che progredissero tanto. Avevano
intrapreso una strada che si era rivelata metter i bastoni fra le
ruote ai loro creatori e di questo non erano stati contenti; per
questo avevano assoldato quelli della Laughin Koffin per ucciderli
tutti, tentativo che era fallito.
– ..tutti loro, persino il loro capo, non sono altro che fantocci
che loro stessi hanno creato.. – disse loro il semidio – ..e
vantano fra le loro schiere gli stessi regnanti dell'impero. Lo
stesso imperatore è un drago sotto mentite spoglie.
– Cosa? – esclamò stralunato Kein.
– Andiamo bene – borbottò il secondo guerriero del gruppo.
Tutto ciò che credevano, tutto ciò che conoscevano.. era una
menzogna bella e buona.
Persino suo fratello, pensò Aredhel.
Ella serrò i pugni lungo i fianchi, dominando la rabbia che sorda
tentò di offuscarle la mente. Rabbia a cui concesse uno sfogo,
espresso in poche parole che sancirono una promessa che fece
principalmente a sé stessa.
– Morirà.. – mormorò in un soffio, lo sguardo fisso verso il
basso.
– Mh? – Dedrimar la guardò interrogativo.
– Mio fratello.. – specificò, tornando a guardarli, seria,
controllata – ..lo ucciderò io.
Il chierico dai capelli argentei abbozzò un mezzo sorriso un po'
teso – Non ti sembra di esagerare? In fondo è tuo fratello, un
membro della tua famiglia..
– No – gli rispose senza alcun tentennamento lei, sostenendo
senza batter ciglio il suo sguardo ma anzi, ricambiandone il
sorrisetto con uno carico di amarezza. La stessa amarezza che prese
il sopravvento sulle sue parole – Non lo è mai stato.. se è vero
che sono solo un fantoccio creato dai draghi, non ho nessun
fratello.. né ho mai avuto una famiglia.
– In effetti ha ragione – commentò fra sé e sé Nosgoth,
beccandosi un'occhiataccia da Kein.
Questi si fece infatti avanti, sicuro e minaccioso nella sua
baldanza, avvicinandosi a lui quel che bastava affinché non venisse
sfiorato dal campo di disintegrazione innalzato intorno alla sua
figura.
– Io sono io – affermò indicandosi con il pollice in un gesto
secco, corrucciato in volto – E ti prometto una cosa: un giorno, io
ti ucciderò.
Non aggiunse altro e, dopo quella prova di puro astio, si allontanò.
Eppure non fece neanche in tempo a raggiungere le porte che una bassa
vibrazione si diffuse attraverso la pietra, facendoli bloccare tutti
quanti, prendendoli alla sprovvista quando l'istante successivo
quella vibrazione esplose, facendo crollare loro il tetto della
struttura a torre su di loro in un boato terrificante.
Aredhel riuscì a schivare appena in tempo un paio di blocchi di
pietra, ma alcuni dei presenti non fu altrettanto fortunato, finendo
per venire schiacciato o ferito. In mezzo alla baraonda creatasi,
quattro possenti voci fecero loro schizzare il cuore in gola.
– Oramai sapete troppe cose. Non possiamo farvi rimanere in
vita.
Chiudendo gli occhi, Aredhel era ancora
in grado di rivedere distintamente le sagome dei quattro draghi
discendere dall'enorme varco che si erano creati, contornati di una
luce fredda e minacciosa così come era minacciosa la loro stessa
presenza. Occhi freddi, impersonali, privi di qualsivoglia sentimento
l'avevano sondata - lei come gli altri - sin dentro l'anima,
mettendola a nudo.
Un fantoccio..
Soffocando un singhiozzo che le fece
sussultare le spalle, rivisse con impressionante nitidezza la
sensazione di inferiorità che aveva provato in quel momento, così
come si ravvivò in lei la disperazione al ricordo delle vite che
erano state spezzate tanto rapidamente sotto i suoi occhi.
Soltanto un fantoccio.
Non era stata in grado di fare niente..
nemmeno di opporsi.
[Flashback]
– Voi – li indicò Alpha – Venite qui.
Il potere insito in quell'ordine si fece strada nella ragazza elfa,
diffondendosi all'interno del suo corpo come un soffuso formicolio,
prendendo progressivamente il controllo di ogni suo muscolo.
No.
Le sue gambe si mossero da sole, così come fecero quelle di
Dedrimar, ignorando la volontà della legittima proprietaria. In un
battito di ciglia il suo corpo non le rispose più, nonostante la sua
mente rimanesse perfettamente cosciente al suo interno.
Soltanto Kein ed Enomis non reagirono in alcun modo a
quell'imperativo.
No.
I loro creatori sembrarono non curarsene affatto e quello che aveva
parlato in precedenza, una volta che loro due si furono fermati
accanto a loro, guardò i rimanenti oppositori come si guarda un
insetto strisciare ai propri piedi, per poi indicare Sleyn e sua
sorella.
– Uccideteli.
A quell'ordine, ad Aredhel si gelò il sangue nelle vene.
– Non ascoltatelo! – tuonò la voce di Kein, rimasto
inspiegabilmente libero dal giogo dei quattro.
A quel richiamo Dedrimar ai confini del suo campo visivo si riscosse
e l'espressione apatica sul suo volto scomparve.
Aredhel invece non riuscì in alcun modo ad evitare che il proprio
braccio destro si sollevasse lentamente, teso a puntare la sua
pistola dritto contro il giovane mezzo-drago, accovacciato accanto
alla sorella.
No!
La disperazione la colse, prigioniera di un corpo che non era più in
grado di controllare, in balia del cocente desiderio di gettare via
quell'arma e correre lontano da lì; lontano da lui, per non
dover essere costretta a fargli del male.
Vi prego, no!
In quel momento ne incrociò gli occhi color ghiaccio.
E si sentì morire.
Qualcuno...
Da quella coppia d'iridi così familiari – e, solitamente, quasi
rassicuranti - trasparivano una confusione ed un orrore tali da
lacerarle il cuore al centro del petto. Aredhel avvertì
distintamente quel poco di razionalità che ancora conservava
vacillare sotto il furioso assalto di un terrore irrazionale
vedendolo, sporco di sangue, reggersi quello che un tempo era stato
il suo braccio: ora, non era altro che un moncone lacero, l'arto
strappato poco sopra il gomito da una di quelle stesse pietre
crollate dall'alto poco prima.
Qualcuno mi fermi..
Lacrime di disperazione le colmarono gli occhi blu.
Avrebbe voluto urlare; avrebbe voluto ribellarsi ma, per quanto la
sua mente tentasse furiosamente di avere la meglio, fu inutile.
Il guanto destro si accese di una luminescenza propria che le infuse
un senso di tepore che le risalì formicolante lungo i muscoli del
braccio, facendole nascere in petto una disperazione assoluta ed
opprimente, che congelò i suoi stessi pensieri.
In quell'istante comprese con malaugurata certezza che Sleyn sarebbe
morto per mano sua.
Ed una parte di lei con lui.
FERMATEMI!!
– AREDHEL!
Era stato Dedrimar a salvarli entrambi.
Ed, alla fine, era stato quello che
aveva subito la perdita maggiore.
Dopo che era riuscito ad avere la
meglio sul potere che la teneva soggiogata, i quattro draghi avevano
deciso di agire direttamente e l'unica che era riuscita a frapporsi
loro ed a contrastarli in qualche modo era stata Asuna, sua moglie.
E così l'avevano persa.
I ricordi della giovane elfa dopo aver
ripreso il controllo di sé stessa erano un susseguirsi di ruggiti,
crepitio d'energia, turbinio di ali membranose ed un'unica grande
esplosione che li aveva tutti scaraventati via. Dopo una luce
accecante, era seguita la tenebra più completa dell'incoscienza.
Finché non si erano risvegliati lì.
Soli.
Frastornati.
Con il cadavere della donna che il loro
chierico aveva amato riversa su un fianco lì accanto.
Non erano riusciti a fare nulla per
evitarlo, nessuno di loro.
La verità li aveva travolti tutti, uno
ad uno.
E lei era quella che se ne sentiva più
schiacciata.
Perché la verità era una sola:
non era stata abbastanza forte.
Non era altro che un fantoccio..
Un fioco rumore di sottofondo, portato
dal vento, le sfiorò le orecchie a punta sottoforma di un debole
battito.
Era finta..
Al limitare della
sua coscienza quel suono si fece lentamente più forte, più vicino,
e malauguratamente familiare.
Uno strumento senz'anima..
Ma allora come
poteva provare sentimenti tanto forti e strazianti, se era solo
questo?
Quell'ultima
domanda nata dal suo orgoglio di elfa la fece tornare pienamente al
presente, in tempo per cogliere quel rumore che era andato
intensificandosi negli ultimi due minuti. Un rumore che risvegliò la
sua memoria, insinuandosi nella sua mente come il più terrificante
dei presagi.
Senza riuscire a
controllarsi, sbarrando gli occhi verso il cielo, strinse la stoffa
del proprio cappotto sino a far sbiancare le nocche mentre, nella sua
posa rannicchiata al riparo di quel che rimaneva del muro circolare
del torrione, le sue membra venivano scosse da un tremito diffuso.
Non poteva
sbagliare.
Il ricordo era
ancora troppo fresco, troppo vivo dentro di lei.
Quello era il suono
d'un battito d'ali.
Ali di drago.
~
Erano trascorsi dieci anni
da allora.
Dieci lunghi anni, dei quali
ogni singolo giorno lui non aveva fatto altro che pensare a lei.
Era stata il suo chiodo
fisso, la sua unica ragione per continuare a combattere.
L'aveva cercata sin dal
primo istante in cui aveva ripreso conoscenza, ma di lei non aveva
trovato alcuna traccia su quella terra.
Eppure non aveva mai dato
spazio al pensiero che semplicemente lei, come gli altri, fosse
morta.
Lei era viva.
E lui non avrebbe mai smesso
di cercarla.
Persino sua sorella si era
data per vinta nei suoi confronti da quando aveva con sé la
bambina..
- Papà, papà! - la vocetta
cristallina della piccola lo distolse dai suoi pensieri,
inducendolo a voltarsi per posar lo sguardo sulla sua figuretta.
La vide corrergli incontro,
con un bellissimo ed emozionato sorriso sul volto infantile ed un
foglio pieno di disegni e colori fra le manine delicate.
Le sorrise di rimando.
–
Che cosa c'è, Aredhel?
L'elfetta
gli si fermò appena in tempo per non travolgerlo con la sua
esuberanza di bambina, ma il luccichio dei suoi occhi non si spense
affatto.
Aveva
iridi di un profondo blu cobalto e folti capelli castano scuro, lisci
e ben curati.
E
sapeva essere un vero piccolo terremoto.
Sì,
forse un po' le somigliava. In fin dei conti anch'ella era un'elfa.
–
Guarda! – esclamò la bimba, porgendogli il foglio – Ti piace??
Sleyn
prese in consegna il disegno con la mano in metallo, inarcando un
sopracciglio quando si accorse che la carta su cui era stato fatto
apparteneva alla sua scorta di pergamene. Tuttavia non disse nulla,
lasciando invece che il sorriso gli si ampliasse morbidamente in
volto nel riconoscere i soggetti ritratti. Erano loro quattro: lui,
sua sorella, la piccola Aredhel ed Argevollen, circondati da una
cornice di fronde cariche di fiori.
Posò
l'unica mano sua sulla testolina della piccola.
– Mi
piace molto – affermò pacatamente.
Eppure
sapeva perfettamente come il sorriso che continuava ad aleggiargli in
volto fosse incompleto; come se il vuoto che avvertiva costantemente
nell'animo non riuscisse a quietarsi un solo istante, affiorando nel
suo sguardo se non nel resto del suo viso, a discapito dei molteplici
tentativi della sua giovane protetta.
Tentativi
che continuavano a fallire, uno dopo l'altro.
E la
piccola Aredhel non mancò di cogliere quella sottigliezza nemmeno
stavolta, cosicché il suo speranzoso sorriso si dissolse in
un'espressione abbattuta, che la vide abbassare lo sguardo sul suo
stesso disegno.
Vedendola
rattristarsi, il giovane mezzo-drago tentò di rimediare in qualche
modo, ma nel momento esatto in cui aprì bocca le parole gli vennero
ricacciate in gola dall'entrata poco delicata di sua sorella che, con
la grazia di un rinoceronte, fece letteralmente irruzione dalla
porta.
–
Argevollen è tornata – annunciò senza mezzi termini, fermandosi
sulla soglia e guardandolo dritto in volto. Sul viso della sua
gemella, Sleyn colse una sfumatura differente dal solito, una sorta
di emozione che non distingueva da anni su quei lineamenti così
simili ai suoi, cosa che lo sorprese ancor prima di udirne il dire
seguente – ..e non è sola.
La
mora non aggiunse altro, sparendo dalla stessa porta dalla quale era
entrata e, dopo un istante di muto stordimento rimasto a fissare il
varco ora vuoto, Sleyn si sentì afferrare delicatamente due dita da
una stretta tiepida.
Quando
abbassò lo sguardo sulla sua piccola elfa, ne incrociò gli occhi,
ritrovandoli sgranati a fissarlo con malcelata impazienza ed un
pizzico di curiosità. Così si ritrovò a sorriderle ancora una
volta, prima di smaterializzarsi con lei.
~
Si
sentiva un po' stupida.
Mezza
nuda, in groppa ad un possente drago - una femmina, la compagna di
battaglie del loro guerriero draconico per la precisione -, aveva
appena finito di assimilare le nuove notizie portate loro da
Argevollen, eppure non riusciva a non sentirsi emozionata tanto e più
di una bambina al pensiero che presto l'avrebbe rivisto.
“Farai
meglio a prepararti, perché Sleyn è incazzato nero: ti cerca da
dieci anni” le aveva detto.
A
quelle parole non era riuscita in alcun modo a non sorridere
lievemente fra sé e sé, come una scema.
Erano
passati dieci anni da quando i quattro draghi avevano tentato di
ucciderli ed il mondo come loro l'avevano conosciuto era cambiato
drasticamente: montagne e foreste, laghi e pianure, persino il corso
dei fiumi era cambiato. L'isola sulla quale loro credevano di essere
non era la stessa in cui era stato edificato il loro castello, bensì
era dall'altro capo del continente. Come avessero fatto a venire
scaraventati così lontano ed a sopravvivere a tutto quanto era
ancora di per sé un mistero.
Ora si
trovavano a Nord, le terre a meridione completamente sotto il dominio
dei Quattro Bastardi, come li avevano gentilmente
ribattezzati. Eppure i loro creatori non sembravano ancora
soddisfatti, perché stavano mirando ad espandere i loro domini
continuamente, dando la caccia ai superstiti ed a coloro che osavano
anche solo per sbaglio opporsi a loro.
Il
loro obiettivo finale sembrava essere tanto scontato quanto banale:
il dominio assoluto.
– In
tutto questo tempo ci siamo dovuti nascondere in continuazione per
non farci trovare – le giunse la voce profonda della creatura
alata, nonostante il fischio costante del vento nelle orecchie a
punta – Io stessa non posso farmi vedere in giro senza che qualche
mio parirazza tenti di farmi la pelle.
Enomis
le rispose qualcosa che venne spazzato via dal suono del vento ed
Aredhel tornò a perdersi nei propri pensieri, distratta dal senso di
aspettativa che covava al centro del petto: presto, ancora pochi
minuti, e l'avrebbe rivisto coi suoi stessi occhi.
Serrando
la stretta sulle protuberanze ossee del dorso di Argevollen, l'elfa
si ritrovò a desiderare che volasse ancora più veloce, nonostante
già faticasse nel trattenere il proprio cappello sul capo con una
mano. La sensazione ruvida delle scaglie contro la pelle dell'interno
coscia, inoltre, stava iniziando a darle seriamente fastidio.
Stava
decisamente iniziando a sentire la mancanza dei suoi vestiti.
La
dragonessa fermò il battito d'ali, inclinandosi leggermente su un
fianco in una discesa a spirale che la vide planare verso quella che
era una radura in una zona isolata e boschiva del territorio,
apparentemente deserta.
Soltanto
dopo che la creatura fu atterrata e lei riuscì a posare nuovamente i
piedi sul suolo, al limitare dello spazio erboso, comparvero loro.
La
prima cosa che riuscì a distinguere Aredhel fu una più matura
Mytras che, in lacrime, si fiondò fra le braccia del padre con un
tale slancio da rischiare di tirarlo giù di peso. Un classico
ricongiungimento familiare strappalacrime, ecco cosa si prospettò
alla vista dei quattro superstiti; eppure non bastò questo a
distogliere l'attenzione dell'elfa da lui per più di una
manciata di secondi.
Inquadrandolo
nel proprio campo visivo, fu come se tutto il resto perdesse
nitidezza e si ritrovo a spalancare leggermente le palpebre.
Il
ragazzo che le aveva fatto per settimane una corte spietata non
esisteva più.
Quello
che con tanta sicurezza ricambiava il suo sguardo con un'espressione
sorridente era un giovane uomo dalle spalle ampie e lo sguardo di
ghiaccio fiero. Quei suoi capelli candidi così insoliti gli erano
cresciuti, arrivando a sfiorargli con ciocche ribelli le spalle.
Ed il
suo braccio..
In un
flash, Aredhel se lo rivide innanzi sporco di sangue mentre si
reggeva con l'unica mano rimastagli il braccio monco, in un'immagine
che rispecchiava nitidamente il suo ultimo ricordo di lui e che le
smorzò il respiro.
Il
braccio che ora gli sbucava da sotto il lembo di stoffa della manica
non poteva che essere di metallo.
Un
movimento la distolse da quella sorta di trance contemplativa per
focalizzare l'attenzione su una terza presenza, fin'ora ignorata, che
sbucò proprio da dietro il giovane drago. Quella che era una ragazzina di apparentemente cinque anni sembrò farsi coraggio abbastanza da uscire dalla copertura
offertale dall'altro ed Aredhel si ritrovò a spalancare maggiormente
gli occhi blu nel ritrovarsi a fissare un paio d'iridi molto simili
alle sue.
La
bambina la fissò a sua volta con una tale mancanza di pudore da
lasciarla del tutto interdetta.
Ma
che..?
Stordita
e confusa, captò soltanto con una parte della mente il saluto
iniziale del mezzo-drago, cogliendo distintamente soltanto la frase
che ne seguì.
–
..lei è mia figlia. Si chiama Aredhel.
E se
fino a un attimo prima il suo cuore era stato sul punto di balzarle
in petto, nel momento esatto in cui ella distinse la parola “figlia”
questo mancò un battito. Alle orecchie della mente fu addirittura
certa di avvertire uno straziante suono di vetri infranti e ci mise
un paio di secondi per capire che tale sensazione proveniva dal
centro del suo stesso petto.
La
piccola sembrò prendere coraggio e farsi avanti, arrivandole sotto
soltanto per guardarla ora dal basso verso l'alto con due occhi
limpidi ed ingenui, accostati ad un sorriso incerto quanto
meravigliato.
–
Quindi sei tu l'elfa di cui ho avuto il nome! – esclamò con una
vocetta che in altre circostanze ella avrebbe giudicato adorabile.
Peccato
che l'unica cosa che provò in quel momento la giovane Morelyn fu un
gelo crescente al centro del petto.
Non le
rispose, non ricambiò nemmeno quel suo sorriso spontaneo. Sotto
quello sguardo limpido, Aredhel si sentì terribilmente in difetto,
tanto da ricordarsi del magro vestiario che aveva ancora addosso.
Così,
senza una parola, la scavalcò letteralmente, passandole oltre solo
per gettare una rapida occhiata al padre della bambina, al quale si
rivolse come un automa privo di sentimenti.
– Mi
servono dei vestiti.
Seria.
Concisa.
Si
strinse maggiormente quel cappotto elfico addosso, osservando Sleyn
inarcare un sopracciglio con aria interdetta, prima di annuire.
Mentre
faceva loro strada verso quella che era all'apparenza una piccola
tenda accampata in un luogo riparato, Aredhel si ritrovò nuovamente
distante dalla realtà che la circondava, persa in una serie di
pensieri ed emozioni che rapidi si susseguivano nella sua mente uno
dopo l'altro in un vortice furioso.
Si
era sentita così delusa, così.. tradita.
Che
cosa significava che era sua
figlia?
Sleyn
aveva avuto una figlia..
Eppure
le aveva dato persino il suo nome..
..perché?
Perché
mai Argevollen le aveva detto quelle cose, se si era fatto una nuova
famiglia? E poi, perché diavolo lei aveva pensato che non l'avrebbe
fatto?! Erano passati diec'anni, era del tutto normale per un uomo -
per quanto in realtà nelle vene gli scorresse sangue di drago -
farsene una ragione e guardare avanti. Niente di strano che l'avesse
dimenticata, in fin dei conti non erano neanche mai stati niente.
Non
era mai stata altro che..
..un
fantoccio.
Le
labbra le si tesero di un lievissimo ed amaro sorriso.
Già,
niente di strano che persino Sleyn avesse scelto di voltare pagina,
nonostante tutto.
Chi
mai avrebbe realmente scelto una creatura
senz'anima, una marionetta?
–
Eccoci – la voce dell'oggetto dei suoi pensieri la riscosse,
facendole mettere a fuoco una porta in legno incassata in una parete
di solida pietra – Questa è la tua stanza.
Avevano
appena percorso un lungo corridoio all'interno di una struttura che
sembrava tutto meno ché una semplice tenda. Ne aveva sentito
parlare: si trattava di un oggetto magico al cui interno spazio e
materia erano plasmati dall'incantatore stesso, che ne determinava
dimensioni e caratteristiche. Una sorta di bolla dimensionale.
Quando
l'anta ruotò sui cardini ed Aredhel poté muovere passo all'interno,
si bloccò appena varcata la soglia, ritrovandosi per la seconda
volta a spalancare gli occhi blu dalla sorpresa. Quella era la sua
stanza!
E non
inteso nel senso che quelle erano le sue cose, no no, quella era
proprio la sua vecchia camera del castello! Lo stesso castello ora
ridotto ad un cumulo di macerie sparso per l'intero continente.
Quello era lo stesso letto, messo nella stessa identica posizione che
ricordava. E quello era lo stesso armadio. E la finestra...
Voltandosi
verso il giovane drago, la ragazza elfa lo vide aprire l'anta
dell'armadio e rivelarle una sfilza di pantaloni ben riposti ed
appesi ognuno ad un attaccapanni diverso, tutti della stessa misura:
la sua.
Schiuse
le labbra, sul punto di lasciarsi sfuggire la propria sorpresa a
parole, quando venne interrotta sul nascere dalla voce di Dedrimar.
–
..questa è più di una fissazione.
– Mi
sa che tuo figlio non è proprio a posto con la testa – gli mormorò
di rimando Kein.
Aredhel
si voltò a fissarli ancora stordita, ritrovando il secondo con una
mano posata sulla spalla del primo, come da conforto, mentre entrambi
annuivano fra loro con un cenno del capo. Quella dimostrazione di
comune accordo fra i suoi compagni di battaglia ed amici la indusse a
sbattere le palpebre un paio di volte, riavendosi dai ripetuti shock
subiti sino a quel momento da un unico pensiero che non riuscì
proprio a non esprimere a voce alta.
–
Non è vero – affermò d'impulso, abbozzando un nuovo mezzo
sorrisetto sarcastico ed incrociando le braccia sotto il seno – Se
ha trovato il tempo di fare una figlia con qualcun'altra, non lo è
così tanto.
–
Ehm.. – fu Sleyn a intervenire, attirando l'attenzione di tutti su
di sé con quell'esordio, sebbene poi si rivolse solo all'elfa quando
proseguì – ..in realtà lei non è davvero mia figlia – rivelò,
facendole spalancare un poco di più gli occhi in un moto di sorpresa
– L'ho detto solo per vedere la tua reazione, ma ammetto che la
cosa è stata piuttosto deludente.
Fissandolo
senza riuscire a credere a quanto avevano udito le proprie orecchie,
Aredhel fu assalita da un moto di contrarietà e sollievo assieme che
in un primo istante la fecero tentennare, ma le bastò un solo
secondo perché la prima prevalesse sul secondo.
– E
come avrei dovuto reagire?! – esclamò in un puro e semplice sfogo,
corrucciandosi e tenendo i propri occhi fissi nei suoi – Dopo tutto
quel che ci è successo sono talmente tanto scioccata da dubitare di
poter più sorprendermi di qualcosa per i prossimi cento anni!
Un
paio di sussurri le giunsero alle puntute, facendole rendere conto
che non era l'unica a pensarla così.
Erano
tutti provati dalle notizie, ma ancor di più dai fatti che si erano
susseguiti ad una velocità a dir poco vertiginosa: in un solo
istante la loro vita era stata stravolta ed il mondo così come lo
avevano conosciuto era cambiato, perso per sempre. Niente di strano
che dovessero ancora ricalibrarsi sull'onda del loro nuovo
Presente.
Sleyn
non sembrò riuscire a trovare qualcosa da risponderle, persino il
suo solito sorriso non si fece vedere, così ché la ragazza, a
disagio nel nuovo silenzio che era calato fra loro, deviò lo sguardo
a lato. Fu allora che notò sulla sponda del letto una serie di
oggetti che non impiegò più di un istante a riconoscere.
Ordinatamente
riposti davanti ai suoi occhi di nuovo sgranati e fissi giacevano
immobili un paio di stivali, due pistole, un'armatura leggera ed una
cintura, tutti di tipica foggia elfica. Ma non si trattava di foggia
comune, anche a quella sola prima occhiata ella fu in grado di
distinguerne la provenienza Morelyn.
Quelli
erano i pezzi mancanti del set che era la sua eredità.
Si
ritrovò così a schiudere nuovamente le labbra, incredula –
..quelli dove li hai trovati?
Il
mezzo-drago sembrò tornare il ragazzino di cui aveva memoria, perché
sfoggiò uno dei suoi sorrisetti orgogliosi e compiaciuti – Be',
sai.. ho girovagato un po' mentre ti cercavo – ammise candidamente,
senza però fornirle altre spiegazioni.
Eppure
ad Aredhel stavolta bastò quella magra risposta, giacché non riuscì
ad impedirsi di avvicinarsi ad essi per sfiorarne la superficie con
la punta delle dita, rapita da un senso di meraviglia che andava
oltre qualsivoglia immaginazione per una manciata di secondi.
Soltanto poi, quando si ricordò del suo principale obiettivo, tornò
a voltarsi verso i presenti con decisione.
–
Su, uscite – li incitò senza mezzi termini, muovendosi per
indirizzarli verso la porta – Mi devo cambiare.
Se ci
furono proteste lei non ne tenne alcun conto, spingendo letteralmente
da dietro la schiena il mezzo-drago oltre la soglia, rimasto ad
indugiare per ultimo, senza alcuna pietà o considerazione per le sue
suppliche.
Quando
gli chiuse la porta in faccia, escludendo il resto del mondo dallo
spazio squadrato della sua camera, sul suo viso comparve - ora che
era lontana da occhi indiscreti - un insolito quanto raro sorriso
divertito. Lo stesso sorriso che le aleggiò in volto per tutto resto
del tempo che impiegò per sistemarsi e riequipaggiarsi.
~
Erano
tutti seduti intorno al tavolo, proprio come un tempo, intenti a
consumare un lauto pasto ristoratore.
Nei
dieci anni trascorsi erano cambiate davvero molte cose, a cominciare
dai loro alleati.
Uno di
loro, il più improbabile e meno simpatico - questo almeno secondo il
punto di vista dei tre combattenti maschi lì riuniti - era proprio
Nosgoth, accomodato come gli altri all'interno di quella sala da
pranzo piacevolmente meno spaziosa grazie a tutte quelle nuove
presenze.
Mytras
osservò i guerrieri che, come ricomparsi dal nulla, stavano
scambiandosi informazioni e mangiando a sazietà. Non erano cambiati
affatto in questi dieci anni, erano tali e quali li ricordava. Il
ché, per quanto riguardava l'unica elfa del gruppo, non era così
sorprendente quanto invece lo era per gli altri tre umani. Ciò che
era cambiata era la luce presente nei loro occhi, una luce che
gridava vendetta a chi sapeva distinguerla dall'atmosfera conviviale
del momento.
Un'atmosfera
che comunque era permeata da una certa severità, dovuta al discorso
che aveva preso piede.
–
..i Quattro Bastardi si sono divisi quello che era l'Impero al
sud.. – stava dicendo Nosgoth – ..e sono diventati delle
divinità. Inoltre – si rivolse con lo sguardo e il dire all'elfa
dai lunghi capelli scuri, facendole inarcare un sopracciglio – tuo
fratello è diventato un Cavaliere Draconico ed è al servizio di
Omega – le annunciò.
Mytras
vide Aredhel sbattere più volte le palpebre, unica variazione che
ebbe la sua espressione altrimenti seria e distaccata.
–
Capisco – affermò con una lievissima punta di irritazione
trapelarle dal tono di voce, altrimenti indifferente – A lui ci
penserò io.
La
mezzo-drago intuì perfettamente la minaccia insita in quell'unica
frase e non vi trovò nulla di strano: anche lei se fosse stata nella
sua stessa situazione avrebbe preferito sistemare le cose di persona.
Il cosiddetto “lavarsi i panni sporchi in casa” insomma.
A quel
pensiero scoccò un'occhiata di sottecchi al suo gemello,
ritrovandolo a guardare l'oggetto del suo desiderio con sguardo
sognante, come un bambino all'interno di un'enorme negozio di
giocattoli, troppo meravigliato anche solo per osare sceglierne uno
con cui giocare.
Sì,
quello scemo di suo fratello non era proprio cambiato da allora.
Non
erano bastati quei dieci anni di lontananza per farlo rinsavire.
Evidentemente
era quel che si diceva “un caso umano”.
– Mi
dispiace per la tua perdita – questa volta Nosgoth si rivolse a
Dedrimar, il quale si limitò a ringraziare la cortesia con un cenno
del capo – ..in ogni caso, le cose non sono affatto facili per noi
del fronte d'opposizione. Prima del vostro ritorno eravamo solo in
quattro ad opporci al sud e con il vostro ritorno siamo in otto.
Stiamo tutt'ora cercando qualcuno che si unisca a noi, ma fin'ora
senza alcun risultato. Inoltre – aggiunse con voce greve – sta
accadendo qualcosa di anormale in quelle terre: interi insediamenti
abitati si fanno deserti, mentre le persone che li abitano si
trasformano in creature molto simili a draghi inferiori.
–
Oh..
–
Già – rincarò la dose.
–
Be', è un'altra delle cose da appurare allora – affermò
diplomaticamente il suo ritrovato genitore.
Alcuni
assensi seguirono quelle parole, dopo le quali Mytras si decise
finalmente a prendere la parola.
– In
ogni caso ci farebbe davvero comodo dell'aiuto – fece loro notare,
scambiando un'occhiata con Nosgorh prima di proseguire – ..peccato
non poter compiere quel rituale e far tornare McRiver;
purtroppo uno dei pezzi che serviva non si trova.
–
Che pezzo? – intervenne per la prima volta Aredhel.
Sotto
la sua completa attenzione la mezzo-drago si sorprese di tale
repentina reazione, ma le rispose comunque – Il busto.
–
Ah, quello.. – commentò Dedrimar, lisciandosi il mento. Sembrò
sul punto di aggiungere qualcosa ma un'occhiata dell'elfa lì accanto
parve immobilizzarlo; reazione insolita, che la figlia del chierico
non si sarebbe mai aspettata, ma non ebbe il tempo di rifletterci su
perché l'altra tornò alla carica.
– E
gli altri pezzi ci sono tutti? Anche la pietra con l'anima? –
chiese un'altra volta, seria.
Mytras
annuì con un cenno del capo, sempre più perplessa, soprattutto
quando vide sul quel volto solitamente contenuto d'emozioni comparire
un sorrisetto soddisfatto e divertito al contempo, che andò via via
allargandosi nella breve pausa. Ormai Aredhel aveva la loro totale
attenzione, cosa che pareva compiacerla in maniera evidente.
–
Noi sappiamo dove si trova – annunciò senza mezzi termini,
volgendo uno sguardo per includere anche gli altri tre reduci lì
presenti, prima di tornare a fissarli con aria gongolante.
In
tutta onestà Mytras non seppe come reagire di fronte al cambiamento
dell'elfa, non aspettandosi certo un comportamento simile da una
persona che fino a quel momento, da quel che ricordava, si era sempre
dimostrata posata e razionale. Eppure in quel momento, con
quell'espressione in viso, le ricordava terribilmente suo fratello,
idea che le fece nascere un brivido che le risalì lungo la spina
dorsale.
Brivido
che la congelò da capo a piedi l'istante successivo.
– Se
ve lo dico me lo merito un bacio?
Wtf?!
Nonostante
l'avesse detto rivolta apparentemente verso nessuno in particolare e
nonostante avesse usato un tono palesemente ironico, più di una
bocca si spalancò muta. La mora in primis ne rimase talmente
spiazzata da dimenticarsi di respirare o anche solo di distogliere lo
sguardo, persino quando alle orecchie le giunse una risatina
divertita da parte di Nosgoth.
–
Ahah, credo di essere un po' troppo vecchio.. – bofonchiò,
ghignandosela fra sé e sé.
– Io
no di certo!
E chi
altri avrebbe potuto approfittarne così impunemente se non il suo
caro gemello?
In un
battito di ciglia Sleyn si materializzò accanto all'elfa e l'istante
dopo era chino a baciarla senza neanche dar il tempo agli altri di
star dietro alla piega che avevano preso gli eventi proprio sotto i
loro occhi. Una piega dannatamente allucinante, per quanto riguardava
la mezzo-drago.
Persino
gli altri rimasero a fissarli ad occhi spalancati per più di mezzo
minuto, tutti tranne quella piccola elfa di cui suo fratello aveva
deciso un giorno, di punto in bianco, di prendersi cura. La piccola
omonima, a cui Mytras arrivò a coprire tardivamente gli occhi
innocenti con una mano, aveva un sorrisone che le arrivava da un
orecchio a punta all'altro.
Quando
il bianco si scostò, il volto di Aredhel era di un acceso color
rosso peperone, ma - nonostante tentasse di nasconderlo - aveva a
delinearle la piega delle labbra un accenno di mezzo sorriso che non
voleva saperne di smettere di tendersi verso l'alto, conferendole
un'aria decisamente persa.
Sì,
ora ne era certa, quell'elfa doveva aver perso qualche rotella.
Chissà,
magari era la vecchiaia che stava iniziando a farle effetto...
~
Proprio
come lei stessa aveva appurato nel volume elfico giuntole molto tempo
prima in eredità dalla sua casata, il rituale era stato eseguito ed
i pezzi del corpo di McRiver si erano ricongiunti fra loro sotto
l'effetto di quell'enorme potere magico. Era stata lei a procurare
l'ultimo pezzo, sebbene stava ancora domandandosi se lo scambio fosse
stato equo.
Sleyn
l'aveva... baciata.
E lei
gliel'aveva pure lasciato fare!
Osservando
quelle membra in perfette condizioni vecchie di duemila anni
rinsaldarsi le une alle altre, dando forma ad un corpo dalle fattezze
in tutto e per tutto umane, Aredhel soffermò la sua attenzione sulla
luminosità crescente che stava avvolgendo l'intero corpo, fino a
raggiungere un'intensità tale da costringerla infine a chiudere gli
occhi e distogliere momentaneamente lo sguardo.
Quando
il crepitio nell'aria si fu quietato e l'intera sala ripiombò nel
silenzio, fu il suono di un nuovo respiro a sfiorarle per primo le
orecchie, in concomitanza a qualche colpo di tosse di assestamento.
Eppure
Aredhel ebbe la conferma della buona riuscita del rituale soltanto
quando questi posò il suo sguardo su di lei.
–
Ehi, bella! È un po' che non ci si vede!
McRiver era tornato fra
loro.
~
E va
bene, passi che quei due si conoscevano, anche se lui non aveva
ancora capito come ciò potesse essere possibile, vista
l'incompatibilità temporale – quando le avevano chiesto
spiegazioni lei stessa se n'era uscita con un inesorabile “È una
lunga storia”..
Passi
che aveva sorvolato bellamente sulla questione, così come sui modi
decisamente informali che quella sorta di mummia rediviva aveva sin
da subito adottato nei confronti di lei..
Passi
persino che stava tentando di dominare i suoi impulsi possessivi di
drago nei confronti della sua elfa - per rispetto verso di
lei, più che altro - che si erano risvegliati nel momento stesso in
cui quella sorta di armadio tutto muscoli dalla pelle bronzea e la
folta chioma bionda l'aveva guardata..
Eppure,
al terzo “Bella” che sentì uscire dalle labbra del fabbro più
famoso dell'intero continente, non riuscì a non mettersi in mezzo
giusto in tempo per evitare che l'ennesima cinquina avesse luogo.
Non
gli andava a genio per niente tutta quella complicità.
–
Ok, adesso però vedi di darti una calmata – gli si rivolse in una
palese ammonizione.
Impalato
di fronte a McRiver, lo fissò apertamente, rigido come una statua
nella sua posa eretta con la schiena, con un sorrisetto piuttosto
inquietante a piegargli le labbra verso destra ed una vena pulsante
fra i capelli candidi. Persino i muscoli delle braccia, ora
incrociate, gli tiravano dalla tensione che li permeava sotto la
stoffa delle maniche.
No, se
pensavano che, ora che finalmente erano di nuovo insieme, l'avrebbe
lasciata a qualcun altro, si sbagliavano di grosso.
Ci
aveva messo dieci anni a ritrovarla; dieci lunghi anni durante i
quali a nulla erano valsi i suoi sforzi. Eppure il destino aveva
voluto che tornasse da lui, volgendo per una volta a suo favore, e
non avrebbe sprecato quella nuova ed insperata chance. Se la sarebbe
tenuta stretta, assolutamente, e non l'avrebbe persa ancora
una volta, per nessunissima ragione al mondo.
Sussultò
appena l'istante successivo, risvegliandosi improvvisamente dai
propri pensieri dal tocco deciso di una mano che gli era calata su
una spalla. Voltandosi sorpreso a guardare l'oggetto delle proprie
riflessioni, alla vista del delicato ed incoraggiante sorriso che le
adornava le labbra rosee si sentì quasi arrossire.
– È
tutto a posto – gli disse lei con fare incoraggiante – Stai
tranquillo.
Poche
parole, che tuttavia ebbero il potere di ammutolirlo, rendendolo
momentaneamente incapace di decidere come reagire a quella inusuale
vicinanza, così com'era inusuale quel comportamento così
confidenziale nei suoi confronti. Si era sempre tenuta a una certa
distanza da lui, ma da quando l'aveva lasciata sola per cambiarsi
nella sua stanza sembrava decisamente aver cambiato atteggiamento nei
suoi confronti.
Anche
prima, a tavola...
–
Argevollen – la voce di Enomis lo distolse ancora una volta dai
suoi pensieri ed il bianco si voltò a fissare l'umano e la
dragonessa, anch'ella ridotta nella sua forma umana, mentre questi
esponeva la sua richiesta – vorrei parlare con Primo.
Primo
era, proprio come il suo nome suggeriva, il primo Drago divino. Colui
che aveva creato i Quattro e poi tutti gli altri draghi e, perciò,
di almeno una spanna superiore ad essi. Fin'ora aveva sempre
preferito tenersi in disparte, osservando gli eventi senza
influenzarli e per questo nessuno di loro prima lo aveva mai preso in
considerazione. Tuttavia, gli ultimi decenni erano stati piuttosto
estremi, pertanto non era del tutto una cattiva idea provare a
parlarci.
Non ci
volle molto.
Pochi
secondi dopo il richiamo della ragazza dalla lunga chioma color
cobalto, di fronte ad ella l'aria iniziò a turbinare ed in un
guizzante scintillio di luce si materializzò loro quello che apparve
come un uomo la cui età non si sarebbe saputa definire. Aveva
lineamenti delicati e solenni al contempo, eppure i suoi occhi
sembravano quello di un vecchio saggio. Indossava una tunica nera ed
argentea, con il colletto alto ed i bordi di un giallo dorato. Un
vestiario che, come il portatore, sembrava racchiudere in sé sia
luce che tenebra. Sì, perché metà della sua chioma ribelle, come
metà del resto del suo corpo, sembrava dominata dall'ombra. Biondo e
corvino, in un contrasto che, a lungo andare, sembrava quasi voler
far male agli occhi tanto era intenso.
Sbattendo
più volte le palpebre, Sleyn non ebbe bisogno della scarica di
adrenalina che gli fece rizzare i capelli sulla nuca per avere la
conferma che era proprio Primo. Nonostante fosse la prima volta anche
per lui, gli bastò una prima occhiata per dare per scontata la sua
identità, eppure si sorprese ugualmente del potere che percepiva
venire da quella figura.
Quello
era il potere di un Dio.
~
Aredhel
rimase ad ascoltare le parole di Primo senza intervenire neanche una
singola volta, mentre egli esponeva loro i pericoli a cui si
apprestavano di loro iniziativa ad andare incontro. Era stato lui a
creare i Quattro Bastardi, cosa di cui ora sembrava pentirsi e
per questo, parole sue, li avrebbe aiutati a rimediare ai suoi stessi
errori.
Che un
Dio ammettesse di aver fatto degli errori era di per sé qualcosa che
la giovane non si era certo aspettata di udire e dovette ammettere,
almeno con sé stessa, che la cosa l'aveva in parte impressionata
favorevolmente nei suoi confronti.
Primo
rivelò loro della morte delle altre divinità, sempre per mezzo dei
Quattro, ed il successivo ripristino dei templi elementali per mano
loro. In pratica, stavano plasmando il mondo secondo il loro diletto
e le loro regole, senza curarsi delle vite che spezzavano, degli
equilibri che si stravolgevano.
–
C'è una cosa però che mi lascia perplesso – esordì ad un certo
punto Kein, incrociando le braccia ed assumendo un'espressione
insolitamente assorta per uno come lui – Cosa ci è successo? Come
è possibile che soltanto noi abbiamo impiegato tutto questo tempo
per risvegliarci, dopo l'esplosione..?
– In
pratica – iniziò con tono calmo Primo – in questi ultimi dieci
anni i vostri corpi esistevano ed al contempo non esistevano in
questa dimensione. Per questo non siete mai riusciti a trovarli –
quell'ultima frase venne rivolta direttamente ad Argevollen ed ai due
gemelli, che si guardarono l'un l'altro.
Aredhel,
come gli altri tre suoi compagni, stava fissando il Primo Drago con
un'intensità tale da quasi scordarsi di respirare, in attesa che
continuasse a parlare. Grazie al cielo non dovette attendere più di
un paio di secondi, sottoposto alla completa attenzione di tutti i
presenti.
–
..il sacrificio di Asuna ha permesso ad una parte della sua scintilla
divina di entrare in ognuno di voi, maturando e riplasmando il
vostro corpo di creature artificiali. Ora non siete più membri della
nuova razza creata dai draghi, siete diventati rispettivamente ed a
tutti gli effetti tre umani e un'elfa. I Primi.
Quelle
parole fecero smorzare del tutto il respiro in gola alla mora, che si
ritrovò a strabuzzare gli occhi dalla sorpresa.
Lei
non era più...
–
Oh.. sul serio? – chiese conferma Enomis, sorpreso quanto gli altri
a giudicare dalla sua espressione interdetta.
La
divinità loro alleata annuì con un cenno del capo – È così –
confermò, prima di posar lo sguardo su Dedrimar – ..tranne che per
te. Nel tuo caso hai ben due frammenti nel tuo corpo, cosa che
ritengo sia da imputare al legame che avevi con lei in quanto tua
moglie e madre dei tuoi figli..
Ormai
Aredhel non lo ascoltava più, lo sguardo fisso in un punto
imprecisato della stanza.
Sembrava
incredibile, qualcosa di troppo.. troppo, per crederci
davvero.
Meccanicamente
lanciò un'occhiata a Sleyn, il quale parve accorgersi del suo
sguardo, perché si voltò ad intercettarlo, cosa che la costrinse in
un moto di irrazionale imbarazzo a voltarsi dall'altra parte,
nascondendo il viso sotto la tesa del cappello mentre le gote le si
imporporavano leggermente.
Il
cuore non voleva saperne di rallentare nel petto ed era talmente
emozionata da non riuscire a respirare decentemente.
..non
era più un fantoccio!
Era
reale, una creatura con un'anima, che non avrebbe perso i suoi
lineamenti come aveva visto accadere ai loro nemici una volta morti.
Non sarebbe mai più stata una marionetta nelle mani di qualcun
altro, costretta a far qualcosa di atroce contro la sua stessa
volontà. Per quanto parte dei suoi ricordi potesse essere stata
artefatta dai Quattro, per quanto a dar inizio alla sua esistenza non
fosse stato l'amore dei suoi genitori, ora poteva di nuovo sentirsi
degna di quei sentimenti.
Ora
poteva smettere di sentirsi alla
stregua di una traditrice
del suo popolo.
Anche
se esso era ormai ridotto a poche decine di membri, poteva provare ad
esserne la degna guida, così come lo era stato suo nonno.
Poteva
tentare di salvare tutti loro.
“Farò
in modo che tu cresca secondo la migliore istruzione elfica..”
Soltanto
allora capì appieno le parole che lui le aveva detto quella volta:
lui lo aveva saputo sin dall'inizio ciò che era.
Eppure
l'aveva accolta e chiamata nipote, l'aveva accettata ed amata, come
il resto della sua famiglia. Tutti loro.
Un
nodo le si serrò in gola, facendole piegare le labbra in una
lievissima smorfia mentre un lieve pizzicore iniziò a infastidirle
le ciglia. Avvertendo le lacrime minacciare di salirle agli occhi, la
ragazza elfa sbatté più volte le palpebre, scacciandole all'istante
e tornando attenta a quanto stavano dicendo i suoi compagni.
Un
discorso che risvegliò il suo completo interesse nel momento in cui
udì le parole “cuore di drago” proferite da McRiver.
Un
cuore di drago palpitante.
Il
calore della fiamma infernale.
Una
forgia divina.
Il
martello del fato.
Ed
ovviamente le capacità del fabbro più potente della storia.
Questi
erano gli elementi che avrebbero dato vita a nuove Dragon Slayer,
armi create apposta per combattere i draghi. Le stesse armi che
duemila anni prima erano state forgiate da McRiver, per lo stesso
identico scopo: fermare i draghi.
–
Nello stato attuale però non avete speranze di riuscita – affermò
senza mezzi termini Nosgoth, prendendo la parola per la prima volta
da quando era comparso Primo.
– Ci
alleneremo – ribatté sicuro di sé Kein, guardandolo in cagnesco.
Il
sorrisetto che sfoggiò quello che fino a dieci anni prima era solo
un semidio gli valse più di mille parole.
–
Bene – fece eco Primo, guardando il guerriero draconico senza
scomporsi – ..allora tu ti allenerai con me.
Enomis
strabuzzò gli occhi, troppo sorpreso per riuscire a capacitarsi
della cosa, mentre alcuni altri sogghignavano.
Anche
Aredhel ne fu sorpresa, ma ogni suo pensiero al riguardo venne
stroncato sul nascere nel sentirsi stringere intorno alla vita da un
braccio ferreo.
– Al
tuo allenamento penserò io.
Sollevando
lo sguardo su due occhi color ghiaccio, ella trattenne il respiro di
fronte al sorriso del giovane mezzo-drago, sentendosi improvvisamente
spaesata, quasi in soggezione a causa di quell'improvvisa vicinanza.
Così finì per avvampare in viso, non riuscendo a sostenerne nemmeno
lo sguardo mentre cedeva ed annuiva con un singolo cenno del capo.
Si
costrinse a forza a non far caso alla scarica elettrica che la
percorse sottopelle da capo a piedi e si concentrò principalmente su
ciò che li attendeva da quel momento in poi, senza neanche prendere
in considerazione l'idea di staccarsi dal bianco e far venire meno
quel contatto.
In
fondo, sebbene all'epoca non vi si fosse soffermata a rifletterci,
anche in passato Sleyn le aveva proposto di allenarsi insieme.
Proposta che aveva finito per essere presa seriamente in
considerazione dalla ragazza, nonostante poi non ve ne fosse stata la
possibilità.
Proposta
che, ora che si era ripresentata, le fece accelerare i battiti del
cuore nel petto, scaldandole l'animo.
Perché
la sua verità era che Sleyn
le piaceva davvero.