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Autore: Kaiyoko Hyorin    10/05/2015    2 recensioni
La verità viene finalmente svelata.
Una verità che i nostri eroi non si sarebbero mai potuti aspettare.
Una verità che distruggerà tutto ciò che credevano reale, così come minacciò di distruggere tutto ciò che avevano di più caro. Ed, in un certo senso, è stato proprio così.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tales of Destiny'
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Il cinguettio degli uccellini permeava l'aere, fioco, distante; come se nemmeno quelle creature osassero avventurarsi fra ciò che, agli occhi di tutti loro, non erano altro che rovine. Persino Aredhel Morelyn, per quanto si sforzasse, non riuscì a vedere altro che cumuli di pietra infranta dalla cima del torrione diroccato sul quale si era arrampicata, su un'altura dell'isola - o, per meglio dire, su ciò che ne rimaneva.
Del castello che era stato la loro roccaforte non era rimasto altro che il ricordo: ora i pezzi erano sparsi qua e là, accumulati gli uni sugli altri in ammassi di blocchi rocciosi sui quali la natura aveva già iniziato a rivendicare il proprio dominio. L'erba cresceva rigogliosa, muschi e licheni ricoprivano in maniera estesa ciò che un tempo era stato formato dall'uomo.
Il ché era decisamente assurdo.
Eppure la natura intorno a lei non poteva ingannarla... e quelli erano davvero i resti del castello in cui era stata accolta poco tempo prima - o almeno quello che ella aveva creduto fosse 'poco tempo prima'.
L'elfa si strinse maggiormente nel proprio cappotto, in reazione ad un brivido di freddo che la spinse a raccogliere le ginocchia al petto, abbracciandosele ed affondando il viso fra le pieghe della stoffa blu-avio.
Stava tremando, ma non a causa del fatto di essere rinvenuta quasi completamente nuda sul terreno polveroso. Degli abiti che aveva indossato prima di quell'accecante lampo di energia non era rimasta quasi traccia se non qualche lembo sfilacciato, tranne che per il completo che era stata la sua eredità. Cappello, guanti e cappotto erano in perfette condizioni ed erano l'unico riparo rimastole dagli sguardi altrui.
Eppure non era questo ad importarle.
Ciò che realmente le importava, era nient'altro che lui.
Con la percezione della dura pietra sotto di sé, l'elfa puntò lo sguardo sull'orizzonte senza realmente vederlo.
Era finita?
Con sconvolgente nitidezza, nella sua solitudine, il ricordo di ciò che era loro accaduto la travolse, costringendola a rivivere tutto quanto.


[Flashback]
Erano appena tornati dal Tempio dell'Acqua, sebbene ci avessero messo più tempo del previsto.
Tutta colpa di Kein, che era riuscito a perdersi in mezzo ad un paio di foreste sulla via del ritorno.
Aredhel varcò le ampie porte della sala principale con passo deciso al seguito dei suoi compagni, solo per ritrovarsi a fermarlo quando i suoi occhi blu si posarono sul terzetto in piedi al centro della stanza.
Anche se, in realtà, gli unici in piedi erano Sleyn e sua sorella. Il povero disgraziato al centro fra loro e saldamente incuneato fra la stretta di Mytras e la lama del giovane drago era inginocchiato sul marmo, il busto macchiato di sangue secco privo degli arti superiori. E nonostante questo la sua determinazione a non parlare non sembrava aver ancora ceduto alle torture della donna.
– Io non dirò niente, è tutto inutile!
– Senti, ti ho già strappato accidentalmente le braccia dal corpo dopo che hai tentato per ben due volte di fare il furbo.. – sbottò spazientita la mora, la cui espressione la diceva lunga su quanto fosse stata “accidentale” la perdita dei suoi arti superiori – Parla e ti daremo la morte che tanto desideri.
Ed il ragazzo dai capelli candidi e gli occhi di ghiaccio non mancò certo di rincarare la dose.
– Sei ancora vivo solo perché ti ho cauterizzato le ferite.. non ti conviene farla arrabbiare.
– Ah! Non sento il dolore, potete uccidermi anche subito, tanto non parlerò mai!
Di fronte al bel teatrino, i nuovi arrivati si guardarono brevemente fra loro, prima che il genitore dei due mezzi-draghi si facesse avanti.
– Siamo tornati – annunciò il chierico dalla zazzera argentea – Come state? Tutto a posto?
– Oh sì, stiamo bene – rispose subito la ragazza dai lunghi capelli neri, sorridendo come niente fosse appena si rivolse al suo genitore. Raccontò loro brevemente di quel gruppo di assassini che avevano affrontato, della gilda a cui appartenevano e della morte accidentale per mano di Sleyn a cui erano tutti andati incontro. Tutti tranne quell'ultimo elfo – Comunque ce la siamo cavata – concluse con una smorfia – Tranne che per quel tuo figlio deficiente – aggiunse, indicando con un cenno del capo suo fratello gemello, al quale dedicò un'occhiataccia delle sue – ..che nel bel mezzo della battaglia si è fatto ferire apposta per rispondere alla chiamata di qualcuno.
A quelle parole Aredhel si irrigidì in ogni muscolo, serrando le labbra in preda al rimorso e all'imbarazzo mentre tornava di scatto a fissare la figura di Sleyn, ancora concentrato sul suo prigioniero.
Era stata lei a contattarlo telepaticamente attraverso la spilla che avevano dato loro: un artefatto magico discreto per tenersi in contatto gli uni con gli altri.
Grazie al cielo Kein si fece avanti, del tutto disinteressato a quei discorsi, tronfio della sua posizione di comando per affrontare il povero disgraziato ancora inginocchiato sul pavimento.
– Tu desideri la morte, vero? – gli chiese retoricamente, prima di continuare – Te la daremo se ci dirai tutto quel che sai..
Peccato che ottenne il medesimo risultato degli altri, così Aredhel si stancò presto di quel teatrino, intervenendo.
– Sappiamo già che lavori per mio fratello – affermò senza alcuna apparente inflessione nella voce, fissando il suo parirazza senza far trasparire alcuna particolare emozione – Quindi è inutile che continui. Dicci cosa volete ottenere da tutto ciò che state facendo.
Il prigioniero finalmente si volse verso di lei ed inizialmente assunse un'aria sorpresa ed interdetta, prima di riprendersi un paio di secondi dopo.
– Ah, e così tu sei quella troia della sorella del nostro capo..
Il sopracciglio destro le fremette verso l'alto, in un tremito che minacciò di incrinare l'espressione indifferente del suo viso.
Sorprendentemente fu Kein a farsi avanti.
– Chiamala ancora una volta “troia” e ti farò rimpiangere di non essere morto – sibilò minacciosamente.
– Troia.
Non terminò nemmeno di formulare la parola che si beccò un pugno dritto in faccia, che gliela fece voltare dall'altra parte tanto velocemente che Aredhel credette di aver distinto chiaramente lo schiocco di ossa frantumarsi.
– Ti ho detto di non farlo!
Quello sputò un po' di sangue, ma parve ancora perfettamente lucido, tanto da sfidarli un'altra volta.
– Troia.
Fu un attimo.
Un secondo prima il malcapitato si reggeva su ambo le gambe, mentre quello dopo era riverso su un fianco, il volto contratto in una smorfia di stupore più che di vero dolore, mentre il moncone della gamba iniziava a perdere sangue copiosamente. Cauterizzata anche quella nuova ferita mortale con il fuoco vivo, ripresero da dove avevano interrotto.
– Ti avevo avvertito di non chiamarla così.
La diretta interessata stava perdendo rapidamente la sua pazienza di creatura centenaria, ma ancora una volta qualcun altro aprì bocca per lei, mettendosi in mezzo. E chi altri avrebbe potuto essere se non lui?
– Ci penso io – esordì Sleyn verso il guerriero, frapponendosi davanti all'elfo. Anche di schiena ella ne distinse chiaramente l'aura minacciosa irradiarglisi da tutti i pori, mentre allungava una mano ed afferrava quella creatura che un tempo era stata umanoide per il collo, sollevandolo di peso. Il gelo delle sue parole ridusse la sala al silenzio, così come fece sbarrare di terrore lo sguardo della vittima – Osa chiamarla ancora una volta “troia” e sarà l'ultima cosa che riuscirai a dire prima di patire le pene dell'inferno.
Stavolta l'avvertimento parve fare effetto, perché questi se ne rimase zitto, forse mordendosi la lingua. Almeno finché i ragazzi non tornarono a farsi avanti per avere informazioni. Soltanto allora, forse distratto da presenze meno minacciose, aprì bocca, rivolgendosi soltanto a Dedrimar.
– Stiamo cercando di raccogliere i cristalli elementali per salvare il mondo.
Inutile dire che sui volti di quasi tutti comparve un'espressione interrogativa ed incredula. Chiesero spiegazioni, ma l'elfo si dimostrò più reticente di quanto avessero sperato, tant'è che persino Aredhel si lasciò sfuggire uno sbuffo mentre tentava di raccapezzarsi. Durante il loro ultimo viaggio non avevano solo recuperato il busto del potente guerriero millenario che si erano messi in testa di resuscitare, avevano anche appreso alcune informazioni piuttosto interessanti su quella nuova gilda di assassini denominata Laughin Koffin che in soli sei mesi aveva acquisito una notorietà spaventosa in tutto l'impero.
E, come se non bastasse, a capo di quella stessa gilda c'era suo fratello Loranis.
– ..siete delle marionette in mano ai draghi. Siete solo dei fantocci creati da loro stessi.. – stava dicendo nel frattempo l'elfo a terra con un irritante ghigno in volto – ..e una volta che avranno finito con voi, vi uccideranno tutti, compresa quella troia..
*BANG!*
Rimasero tutti impietriti a fissare la testa - o quel che ne rimaneva - del loro unico prigioniero, mezza carbonizzata a causa di un proiettile che gli era entrato dritto in bocca, esplodendogli in gola e uccidendolo sul colpo.
Quando si voltarono a guardarla l'istante successivo, Aredhel era completamente pietrificata a fissare la sua stessa pistola ancora fluttuante accanto a sé, in preda ad un'incredulità ed un'inquietudine che avevano preso il posto del moto d'ira che le era divampato in un attimo nel petto. La sua arma tornò da sola nella fondina sotto il cappotto, come se nulla fosse, mentre il suo cappello perse quella lieve luminescenza che lo aveva avvolto.
All'elfa, come agli altri, non volle molto per rendersi conto di ciò che era appena accaduto: il cappello a tesa larga aveva reagito ai suoi sentimenti, animando la sua pistola in un istante e facendola sparare. Proprio come aveva desiderato di poter fare lei in un impulso del tutto irrazionale.
Quel pesante silenzio venne infranto un paio di secondi dopo da una voce ben nota.
– Visto? Ecco perché è mia moglie! – affermò candidamente con un sorrisone a trentadue denti il mezzo-drago, trapelando orgoglio e soddisfazione da tutti i pori.
Parole che la fecero capitolare dalla tensione derivante le emozioni contrastanti che l'avevano colta sino a poco prima, solo per sgranare gli occhi blu su di lui ed avvampare in volto come un peperone, confusa e nuovamente contrariata.
– Cosa? E da quando?!
– Ragazzi, non potete fare così ogni volta però – commentò sconsolato Dedrimar, già sul punto di concentrarsi per richiamare la sua magia divina.
Suo figlio lo ignorò bellamente, avvicinandosi a lei come se niente fosse per prenderla sottobraccio.
– Vieni fuori con me così da tranquillizzarti un po' – ingiunse, conducendola fuori – Così ti mostro quello di cui ti ho parlato.
Una lampadina si accese nella mente della ragazza, rammentando perfettamente l'anello magico di cui le aveva detto nell'ultima breve chiamata telepatica, quando quella volta era stata lei ad essere nel pieno di una situazione difficile: stavano tentando di uscire da quel dannato tempio sani e salvi.
Così lo seguì senza protestare, lasciandosi dietro una manciata di facce stralunate.


Si trattava di un Anello dei 3 desideri.
Lo stesso anello che aveva ancora al dito, così come al collo portava il ciondolo che tempo prima le aveva donato Sleyn.
Serrò la presa sulla pregiata stoffa delle maniche, cogliendo le irregolarità della pietra premerle sotto la pelle delle piante dei piedi. Una nuova folata di vento le risalì le gambe nude sotto i lembi del cappotto, arrivando a malapena a sfiorarle le gote umide.
Del proprio stato non le importava affatto.
Il vuoto che avvertiva pesarle al centro del petto era talmente opprimente da impedirle di reagire in qualunque modo, così finì per non provarci affatto.


[Flashback]
Al centro della sala, nello stesso punto in cui il prigioniero si era appena ridotto in cenere, non c'era altri che Nosgoth.
In carne ed ossa.
Ed aura di disintegrazione, a giudicare dai resti dell'armatura del paladino votato a Leviathan sparsi sul pavimento lì accanto.
– Se volevate delle informazioni avreste fatto meglio a chiedere a me sin dal principio – affermò pacificamente colui che era a tutti gli effetti una semi-divinità – Sarò ben felice di rispondere ad ogni vostra domanda.
Il guerriero ed i due chierici accanto all'elfa non mancarono di dimostrare il loro astio e la loro avversione per quella nuova comparsa, sentimenti che la giovane Morelyn non riusciva a condividere. In fin dei conti era l'ultima arrivata ed era l'unica del gruppo che egli non avesse tentato di uccidere, perciò era più che disposta a farsi raccontare una volta per tutte come stavano le cose. Così fu lei a farsi avanti, guardandolo dritto negli occhi.
– Inizia con lo spiegarci cos'è realmente accaduto duemila anni fa.
Di nuovo tre paia d'occhi si voltarono a fissarla perplessi e confusi. Già, non aveva ancora raccontato loro della sua esperienza spazio-temporale. Avrebbe dovuto rimediare: ormai iniziava a non poterne più di quel genere di sguardi.
– Facile – commentò tranquillo l'altro, accomodandosi su un divano fatto materializzare da lui stesso con uno schiocco di dita – Tutto ciò che vi hanno raccontato su come sono andate le cose è una menzogna – esordì, prima di proseguire – In realtà i draghi non hanno affatto rinunciato a parte del loro potere per salvare il mondo. Hanno rinunciato a parte del loro potere per creare quella che è a tutti gli effetti una nuova razza.. una razza di cui voi fate parte – affermò, indicandoli uno ad uno, da Kein ai due chierici, per poi terminare con lei.
A quella sorta di conferma dei biascicamenti dell'elfo oramai ridotto a un mucchietto di cenere sul marmo, Aredhel non si sorprese più di tanto, ma l'impatto che ebbe la consapevolezza di non essere realmente ciò che credeva ebbe comunque il potere di destabilizzarla abbastanza da farla chiudere in un silenzio riflessivo.
Un fantoccio plasmato in forma elfica, nient'altro.
Non era veramente figlia dei suoi genitori.
Non era veramente una Morelyn.
Avvertendo lo shock sul punto di dominarla, dovette ricacciare indietro quei pensieri autolesionistici a forza per tornare ad ascoltare quanto l'altro stava loro rivelando. Verità talmente sconcertanti da non poter essere messe in dubbio in alcun modo.. non da lei.. non dal suo cuore in tumulto.
Perché in fondo all'anima aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di strano; qualcosa di diverso da ciò che avevano raccontato loro.
Nosgoth spiegò loro che i quattro draghi li avevano creati con un meccanismo magico al loro interno in grado di reagire alla loro volontà, per tenerli effettivamente sotto il loro controllo, ma che non si erano mai aspettati che progredissero tanto. Avevano intrapreso una strada che si era rivelata metter i bastoni fra le ruote ai loro creatori e di questo non erano stati contenti; per questo avevano assoldato quelli della Laughin Koffin per ucciderli tutti, tentativo che era fallito.
– ..tutti loro, persino il loro capo, non sono altro che fantocci che loro stessi hanno creato.. – disse loro il semidio – ..e vantano fra le loro schiere gli stessi regnanti dell'impero. Lo stesso imperatore è un drago sotto mentite spoglie.
– Cosa? – esclamò stralunato Kein.
– Andiamo bene – borbottò il secondo guerriero del gruppo.
Tutto ciò che credevano, tutto ciò che conoscevano.. era una menzogna bella e buona.
Persino suo fratello, pensò Aredhel.
Ella serrò i pugni lungo i fianchi, dominando la rabbia che sorda tentò di offuscarle la mente. Rabbia a cui concesse uno sfogo, espresso in poche parole che sancirono una promessa che fece principalmente a sé stessa.
– Morirà.. – mormorò in un soffio, lo sguardo fisso verso il basso.
– Mh? – Dedrimar la guardò interrogativo.
– Mio fratello.. – specificò, tornando a guardarli, seria, controllata – ..lo ucciderò io.
Il chierico dai capelli argentei abbozzò un mezzo sorriso un po' teso – Non ti sembra di esagerare? In fondo è tuo fratello, un membro della tua famiglia..
– No – gli rispose senza alcun tentennamento lei, sostenendo senza batter ciglio il suo sguardo ma anzi, ricambiandone il sorrisetto con uno carico di amarezza. La stessa amarezza che prese il sopravvento sulle sue parole – Non lo è mai stato.. se è vero che sono solo un fantoccio creato dai draghi, non ho nessun fratello.. né ho mai avuto una famiglia.
– In effetti ha ragione – commentò fra sé e sé Nosgoth, beccandosi un'occhiataccia da Kein.
Questi si fece infatti avanti, sicuro e minaccioso nella sua baldanza, avvicinandosi a lui quel che bastava affinché non venisse sfiorato dal campo di disintegrazione innalzato intorno alla sua figura.
– Io sono io – affermò indicandosi con il pollice in un gesto secco, corrucciato in volto – E ti prometto una cosa: un giorno, io ti ucciderò.
Non aggiunse altro e, dopo quella prova di puro astio, si allontanò.
Eppure non fece neanche in tempo a raggiungere le porte che una bassa vibrazione si diffuse attraverso la pietra, facendoli bloccare tutti quanti, prendendoli alla sprovvista quando l'istante successivo quella vibrazione esplose, facendo crollare loro il tetto della struttura a torre su di loro in un boato terrificante.
Aredhel riuscì a schivare appena in tempo un paio di blocchi di pietra, ma alcuni dei presenti non fu altrettanto fortunato, finendo per venire schiacciato o ferito. In mezzo alla baraonda creatasi, quattro possenti voci fecero loro schizzare il cuore in gola.
Oramai sapete troppe cose. Non possiamo farvi rimanere in vita.


Chiudendo gli occhi, Aredhel era ancora in grado di rivedere distintamente le sagome dei quattro draghi discendere dall'enorme varco che si erano creati, contornati di una luce fredda e minacciosa così come era minacciosa la loro stessa presenza. Occhi freddi, impersonali, privi di qualsivoglia sentimento l'avevano sondata - lei come gli altri - sin dentro l'anima, mettendola a nudo.
Un fantoccio..
Soffocando un singhiozzo che le fece sussultare le spalle, rivisse con impressionante nitidezza la sensazione di inferiorità che aveva provato in quel momento, così come si ravvivò in lei la disperazione al ricordo delle vite che erano state spezzate tanto rapidamente sotto i suoi occhi.
Soltanto un fantoccio.
Non era stata in grado di fare niente.. nemmeno di opporsi.


[Flashback]
– Voi – li indicò Alpha – Venite qui.
Il potere insito in quell'ordine si fece strada nella ragazza elfa, diffondendosi all'interno del suo corpo come un soffuso formicolio, prendendo progressivamente il controllo di ogni suo muscolo.
No.
Le sue gambe si mossero da sole, così come fecero quelle di Dedrimar, ignorando la volontà della legittima proprietaria. In un battito di ciglia il suo corpo non le rispose più, nonostante la sua mente rimanesse perfettamente cosciente al suo interno.
Soltanto Kein ed Enomis non reagirono in alcun modo a quell'imperativo.
No.
I loro creatori sembrarono non curarsene affatto e quello che aveva parlato in precedenza, una volta che loro due si furono fermati accanto a loro, guardò i rimanenti oppositori come si guarda un insetto strisciare ai propri piedi, per poi indicare Sleyn e sua sorella.
– Uccideteli.
A quell'ordine, ad Aredhel si gelò il sangue nelle vene.
– Non ascoltatelo! – tuonò la voce di Kein, rimasto inspiegabilmente libero dal giogo dei quattro.
A quel richiamo Dedrimar ai confini del suo campo visivo si riscosse e l'espressione apatica sul suo volto scomparve.
Aredhel invece non riuscì in alcun modo ad evitare che il proprio braccio destro si sollevasse lentamente, teso a puntare la sua pistola dritto contro il giovane mezzo-drago, accovacciato accanto alla sorella.
No!
La disperazione la colse, prigioniera di un corpo che non era più in grado di controllare, in balia del cocente desiderio di gettare via quell'arma e correre lontano da lì; lontano da lui, per non dover essere costretta a fargli del male.
Vi prego, no!
In quel momento ne incrociò gli occhi color ghiaccio.
E si sentì morire.
Qualcuno...
Da quella coppia d'iridi così familiari – e, solitamente, quasi rassicuranti - trasparivano una confusione ed un orrore tali da lacerarle il cuore al centro del petto. Aredhel avvertì distintamente quel poco di razionalità che ancora conservava vacillare sotto il furioso assalto di un terrore irrazionale vedendolo, sporco di sangue, reggersi quello che un tempo era stato il suo braccio: ora, non era altro che un moncone lacero, l'arto strappato poco sopra il gomito da una di quelle stesse pietre crollate dall'alto poco prima.
Qualcuno mi fermi..
Lacrime di disperazione le colmarono gli occhi blu.
Avrebbe voluto urlare; avrebbe voluto ribellarsi ma, per quanto la sua mente tentasse furiosamente di avere la meglio, fu inutile.
Il guanto destro si accese di una luminescenza propria che le infuse un senso di tepore che le risalì formicolante lungo i muscoli del braccio, facendole nascere in petto una disperazione assoluta ed opprimente, che congelò i suoi stessi pensieri.
In quell'istante comprese con malaugurata certezza che Sleyn sarebbe morto per mano sua.
Ed una parte di lei con lui.
FERMATEMI!!
AREDHEL!


Era stato Dedrimar a salvarli entrambi.
Ed, alla fine, era stato quello che aveva subito la perdita maggiore.
Dopo che era riuscito ad avere la meglio sul potere che la teneva soggiogata, i quattro draghi avevano deciso di agire direttamente e l'unica che era riuscita a frapporsi loro ed a contrastarli in qualche modo era stata Asuna, sua moglie.
E così l'avevano persa.
I ricordi della giovane elfa dopo aver ripreso il controllo di sé stessa erano un susseguirsi di ruggiti, crepitio d'energia, turbinio di ali membranose ed un'unica grande esplosione che li aveva tutti scaraventati via. Dopo una luce accecante, era seguita la tenebra più completa dell'incoscienza.
Finché non si erano risvegliati lì.
Soli.
Frastornati.
Con il cadavere della donna che il loro chierico aveva amato riversa su un fianco lì accanto.
Non erano riusciti a fare nulla per evitarlo, nessuno di loro.
La verità li aveva travolti tutti, uno ad uno.
E lei era quella che se ne sentiva più schiacciata.
Perché la verità era una sola: non era stata abbastanza forte.
Non era altro che un fantoccio..
Un fioco rumore di sottofondo, portato dal vento, le sfiorò le orecchie a punta sottoforma di un debole battito.
Era finta..
Al limitare della sua coscienza quel suono si fece lentamente più forte, più vicino, e malauguratamente familiare.
Uno strumento senz'anima..
Ma allora come poteva provare sentimenti tanto forti e strazianti, se era solo questo?
Quell'ultima domanda nata dal suo orgoglio di elfa la fece tornare pienamente al presente, in tempo per cogliere quel rumore che era andato intensificandosi negli ultimi due minuti. Un rumore che risvegliò la sua memoria, insinuandosi nella sua mente come il più terrificante dei presagi.
Senza riuscire a controllarsi, sbarrando gli occhi verso il cielo, strinse la stoffa del proprio cappotto sino a far sbiancare le nocche mentre, nella sua posa rannicchiata al riparo di quel che rimaneva del muro circolare del torrione, le sue membra venivano scosse da un tremito diffuso.
Non poteva sbagliare.
Il ricordo era ancora troppo fresco, troppo vivo dentro di lei.
Quello era il suono d'un battito d'ali.
Ali di drago.

~

Erano trascorsi dieci anni da allora.
Dieci lunghi anni, dei quali ogni singolo giorno lui non aveva fatto altro che pensare a lei.
Era stata il suo chiodo fisso, la sua unica ragione per continuare a combattere.
L'aveva cercata sin dal primo istante in cui aveva ripreso conoscenza, ma di lei non aveva trovato alcuna traccia su quella terra.
Eppure non aveva mai dato spazio al pensiero che semplicemente lei, come gli altri, fosse morta.
Lei era viva.
E lui non avrebbe mai smesso di cercarla.
Persino sua sorella si era data per vinta nei suoi confronti da quando aveva con sé la bambina..
- Papà, papà! - la vocetta cristallina della piccola lo distolse dai suoi pensieri, inducendolo a voltarsi per posar lo sguardo sulla sua figuretta.
La vide corrergli incontro, con un bellissimo ed emozionato sorriso sul volto infantile ed un foglio pieno di disegni e colori fra le manine delicate.
Le sorrise di rimando.
– Che cosa c'è, Aredhel?
L'elfetta gli si fermò appena in tempo per non travolgerlo con la sua esuberanza di bambina, ma il luccichio dei suoi occhi non si spense affatto.
Aveva iridi di un profondo blu cobalto e folti capelli castano scuro, lisci e ben curati.
E sapeva essere un vero piccolo terremoto.
Sì, forse un po' le somigliava. In fin dei conti anch'ella era un'elfa.
– Guarda! – esclamò la bimba, porgendogli il foglio – Ti piace??
Sleyn prese in consegna il disegno con la mano in metallo, inarcando un sopracciglio quando si accorse che la carta su cui era stato fatto apparteneva alla sua scorta di pergamene. Tuttavia non disse nulla, lasciando invece che il sorriso gli si ampliasse morbidamente in volto nel riconoscere i soggetti ritratti. Erano loro quattro: lui, sua sorella, la piccola Aredhel ed Argevollen, circondati da una cornice di fronde cariche di fiori.
Posò l'unica mano sua sulla testolina della piccola.
– Mi piace molto – affermò pacatamente.
Eppure sapeva perfettamente come il sorriso che continuava ad aleggiargli in volto fosse incompleto; come se il vuoto che avvertiva costantemente nell'animo non riuscisse a quietarsi un solo istante, affiorando nel suo sguardo se non nel resto del suo viso, a discapito dei molteplici tentativi della sua giovane protetta.
Tentativi che continuavano a fallire, uno dopo l'altro.
E la piccola Aredhel non mancò di cogliere quella sottigliezza nemmeno stavolta, cosicché il suo speranzoso sorriso si dissolse in un'espressione abbattuta, che la vide abbassare lo sguardo sul suo stesso disegno.
Vedendola rattristarsi, il giovane mezzo-drago tentò di rimediare in qualche modo, ma nel momento esatto in cui aprì bocca le parole gli vennero ricacciate in gola dall'entrata poco delicata di sua sorella che, con la grazia di un rinoceronte, fece letteralmente irruzione dalla porta.
– Argevollen è tornata – annunciò senza mezzi termini, fermandosi sulla soglia e guardandolo dritto in volto. Sul viso della sua gemella, Sleyn colse una sfumatura differente dal solito, una sorta di emozione che non distingueva da anni su quei lineamenti così simili ai suoi, cosa che lo sorprese ancor prima di udirne il dire seguente – ..e non è sola.
La mora non aggiunse altro, sparendo dalla stessa porta dalla quale era entrata e, dopo un istante di muto stordimento rimasto a fissare il varco ora vuoto, Sleyn si sentì afferrare delicatamente due dita da una stretta tiepida.
Quando abbassò lo sguardo sulla sua piccola elfa, ne incrociò gli occhi, ritrovandoli sgranati a fissarlo con malcelata impazienza ed un pizzico di curiosità. Così si ritrovò a sorriderle ancora una volta, prima di smaterializzarsi con lei.

~

Si sentiva un po' stupida.
Mezza nuda, in groppa ad un possente drago - una femmina, la compagna di battaglie del loro guerriero draconico per la precisione -, aveva appena finito di assimilare le nuove notizie portate loro da Argevollen, eppure non riusciva a non sentirsi emozionata tanto e più di una bambina al pensiero che presto l'avrebbe rivisto.
Farai meglio a prepararti, perché Sleyn è incazzato nero: ti cerca da dieci anni” le aveva detto.
A quelle parole non era riuscita in alcun modo a non sorridere lievemente fra sé e sé, come una scema.
Erano passati dieci anni da quando i quattro draghi avevano tentato di ucciderli ed il mondo come loro l'avevano conosciuto era cambiato drasticamente: montagne e foreste, laghi e pianure, persino il corso dei fiumi era cambiato. L'isola sulla quale loro credevano di essere non era la stessa in cui era stato edificato il loro castello, bensì era dall'altro capo del continente. Come avessero fatto a venire scaraventati così lontano ed a sopravvivere a tutto quanto era ancora di per sé un mistero.
Ora si trovavano a Nord, le terre a meridione completamente sotto il dominio dei Quattro Bastardi, come li avevano gentilmente ribattezzati. Eppure i loro creatori non sembravano ancora soddisfatti, perché stavano mirando ad espandere i loro domini continuamente, dando la caccia ai superstiti ed a coloro che osavano anche solo per sbaglio opporsi a loro.
Il loro obiettivo finale sembrava essere tanto scontato quanto banale: il dominio assoluto.
– In tutto questo tempo ci siamo dovuti nascondere in continuazione per non farci trovare – le giunse la voce profonda della creatura alata, nonostante il fischio costante del vento nelle orecchie a punta – Io stessa non posso farmi vedere in giro senza che qualche mio parirazza tenti di farmi la pelle.
Enomis le rispose qualcosa che venne spazzato via dal suono del vento ed Aredhel tornò a perdersi nei propri pensieri, distratta dal senso di aspettativa che covava al centro del petto: presto, ancora pochi minuti, e l'avrebbe rivisto coi suoi stessi occhi.
Serrando la stretta sulle protuberanze ossee del dorso di Argevollen, l'elfa si ritrovò a desiderare che volasse ancora più veloce, nonostante già faticasse nel trattenere il proprio cappello sul capo con una mano. La sensazione ruvida delle scaglie contro la pelle dell'interno coscia, inoltre, stava iniziando a darle seriamente fastidio.
Stava decisamente iniziando a sentire la mancanza dei suoi vestiti.
La dragonessa fermò il battito d'ali, inclinandosi leggermente su un fianco in una discesa a spirale che la vide planare verso quella che era una radura in una zona isolata e boschiva del territorio, apparentemente deserta.
Soltanto dopo che la creatura fu atterrata e lei riuscì a posare nuovamente i piedi sul suolo, al limitare dello spazio erboso, comparvero loro.
La prima cosa che riuscì a distinguere Aredhel fu una più matura Mytras che, in lacrime, si fiondò fra le braccia del padre con un tale slancio da rischiare di tirarlo giù di peso. Un classico ricongiungimento familiare strappalacrime, ecco cosa si prospettò alla vista dei quattro superstiti; eppure non bastò questo a distogliere l'attenzione dell'elfa da lui per più di una manciata di secondi.
Inquadrandolo nel proprio campo visivo, fu come se tutto il resto perdesse nitidezza e si ritrovo a spalancare leggermente le palpebre.
Il ragazzo che le aveva fatto per settimane una corte spietata non esisteva più.
Quello che con tanta sicurezza ricambiava il suo sguardo con un'espressione sorridente era un giovane uomo dalle spalle ampie e lo sguardo di ghiaccio fiero. Quei suoi capelli candidi così insoliti gli erano cresciuti, arrivando a sfiorargli con ciocche ribelli le spalle.
Ed il suo braccio..
In un flash, Aredhel se lo rivide innanzi sporco di sangue mentre si reggeva con l'unica mano rimastagli il braccio monco, in un'immagine che rispecchiava nitidamente il suo ultimo ricordo di lui e che le smorzò il respiro.
Il braccio che ora gli sbucava da sotto il lembo di stoffa della manica non poteva che essere di metallo.
Un movimento la distolse da quella sorta di trance contemplativa per focalizzare l'attenzione su una terza presenza, fin'ora ignorata, che sbucò proprio da dietro il giovane drago. Quella che era una ragazzina di apparentemente cinque anni sembrò farsi coraggio abbastanza da uscire dalla copertura offertale dall'altro ed Aredhel si ritrovò a spalancare maggiormente gli occhi blu nel ritrovarsi a fissare un paio d'iridi molto simili alle sue.
La bambina la fissò a sua volta con una tale mancanza di pudore da lasciarla del tutto interdetta.
Ma che..?
Stordita e confusa, captò soltanto con una parte della mente il saluto iniziale del mezzo-drago, cogliendo distintamente soltanto la frase che ne seguì.
– ..lei è mia figlia. Si chiama Aredhel.
E se fino a un attimo prima il suo cuore era stato sul punto di balzarle in petto, nel momento esatto in cui ella distinse la parola “figlia” questo mancò un battito. Alle orecchie della mente fu addirittura certa di avvertire uno straziante suono di vetri infranti e ci mise un paio di secondi per capire che tale sensazione proveniva dal centro del suo stesso petto.
La piccola sembrò prendere coraggio e farsi avanti, arrivandole sotto soltanto per guardarla ora dal basso verso l'alto con due occhi limpidi ed ingenui, accostati ad un sorriso incerto quanto meravigliato.
– Quindi sei tu l'elfa di cui ho avuto il nome! – esclamò con una vocetta che in altre circostanze ella avrebbe giudicato adorabile.
Peccato che l'unica cosa che provò in quel momento la giovane Morelyn fu un gelo crescente al centro del petto.
Non le rispose, non ricambiò nemmeno quel suo sorriso spontaneo. Sotto quello sguardo limpido, Aredhel si sentì terribilmente in difetto, tanto da ricordarsi del magro vestiario che aveva ancora addosso.
Così, senza una parola, la scavalcò letteralmente, passandole oltre solo per gettare una rapida occhiata al padre della bambina, al quale si rivolse come un automa privo di sentimenti.
– Mi servono dei vestiti.
Seria.
Concisa.
Si strinse maggiormente quel cappotto elfico addosso, osservando Sleyn inarcare un sopracciglio con aria interdetta, prima di annuire.
Mentre faceva loro strada verso quella che era all'apparenza una piccola tenda accampata in un luogo riparato, Aredhel si ritrovò nuovamente distante dalla realtà che la circondava, persa in una serie di pensieri ed emozioni che rapidi si susseguivano nella sua mente uno dopo l'altro in un vortice furioso.
Si era sentita così delusa, così.. tradita.
Che cosa significava che era sua figlia?
Sleyn aveva avuto una figlia..
Eppure le aveva dato persino il suo nome..
..perché?
Perché mai Argevollen le aveva detto quelle cose, se si era fatto una nuova famiglia? E poi, perché diavolo lei aveva pensato che non l'avrebbe fatto?! Erano passati diec'anni, era del tutto normale per un uomo - per quanto in realtà nelle vene gli scorresse sangue di drago - farsene una ragione e guardare avanti. Niente di strano che l'avesse dimenticata, in fin dei conti non erano neanche mai stati niente.
Non era mai stata altro che..
..un fantoccio.
Le labbra le si tesero di un lievissimo ed amaro sorriso.
Già, niente di strano che persino Sleyn avesse scelto di voltare pagina, nonostante tutto.
Chi mai avrebbe realmente scelto una creatura senz'anima, una marionetta?
– Eccoci – la voce dell'oggetto dei suoi pensieri la riscosse, facendole mettere a fuoco una porta in legno incassata in una parete di solida pietra – Questa è la tua stanza.
Avevano appena percorso un lungo corridoio all'interno di una struttura che sembrava tutto meno ché una semplice tenda. Ne aveva sentito parlare: si trattava di un oggetto magico al cui interno spazio e materia erano plasmati dall'incantatore stesso, che ne determinava dimensioni e caratteristiche. Una sorta di bolla dimensionale.
Quando l'anta ruotò sui cardini ed Aredhel poté muovere passo all'interno, si bloccò appena varcata la soglia, ritrovandosi per la seconda volta a spalancare gli occhi blu dalla sorpresa. Quella era la sua stanza!
E non inteso nel senso che quelle erano le sue cose, no no, quella era proprio la sua vecchia camera del castello! Lo stesso castello ora ridotto ad un cumulo di macerie sparso per l'intero continente. Quello era lo stesso letto, messo nella stessa identica posizione che ricordava. E quello era lo stesso armadio. E la finestra...
Voltandosi verso il giovane drago, la ragazza elfa lo vide aprire l'anta dell'armadio e rivelarle una sfilza di pantaloni ben riposti ed appesi ognuno ad un attaccapanni diverso, tutti della stessa misura: la sua.
Schiuse le labbra, sul punto di lasciarsi sfuggire la propria sorpresa a parole, quando venne interrotta sul nascere dalla voce di Dedrimar.
– ..questa è più di una fissazione.
– Mi sa che tuo figlio non è proprio a posto con la testa – gli mormorò di rimando Kein.
Aredhel si voltò a fissarli ancora stordita, ritrovando il secondo con una mano posata sulla spalla del primo, come da conforto, mentre entrambi annuivano fra loro con un cenno del capo. Quella dimostrazione di comune accordo fra i suoi compagni di battaglia ed amici la indusse a sbattere le palpebre un paio di volte, riavendosi dai ripetuti shock subiti sino a quel momento da un unico pensiero che non riuscì proprio a non esprimere a voce alta.
– Non è vero – affermò d'impulso, abbozzando un nuovo mezzo sorrisetto sarcastico ed incrociando le braccia sotto il seno – Se ha trovato il tempo di fare una figlia con qualcun'altra, non lo è così tanto.
– Ehm.. – fu Sleyn a intervenire, attirando l'attenzione di tutti su di sé con quell'esordio, sebbene poi si rivolse solo all'elfa quando proseguì – ..in realtà lei non è davvero mia figlia – rivelò, facendole spalancare un poco di più gli occhi in un moto di sorpresa – L'ho detto solo per vedere la tua reazione, ma ammetto che la cosa è stata piuttosto deludente.
Fissandolo senza riuscire a credere a quanto avevano udito le proprie orecchie, Aredhel fu assalita da un moto di contrarietà e sollievo assieme che in un primo istante la fecero tentennare, ma le bastò un solo secondo perché la prima prevalesse sul secondo.
– E come avrei dovuto reagire?! – esclamò in un puro e semplice sfogo, corrucciandosi e tenendo i propri occhi fissi nei suoi – Dopo tutto quel che ci è successo sono talmente tanto scioccata da dubitare di poter più sorprendermi di qualcosa per i prossimi cento anni!
Un paio di sussurri le giunsero alle puntute, facendole rendere conto che non era l'unica a pensarla così.
Erano tutti provati dalle notizie, ma ancor di più dai fatti che si erano susseguiti ad una velocità a dir poco vertiginosa: in un solo istante la loro vita era stata stravolta ed il mondo così come lo avevano conosciuto era cambiato, perso per sempre. Niente di strano che dovessero ancora ricalibrarsi sull'onda del loro nuovo Presente.
Sleyn non sembrò riuscire a trovare qualcosa da risponderle, persino il suo solito sorriso non si fece vedere, così ché la ragazza, a disagio nel nuovo silenzio che era calato fra loro, deviò lo sguardo a lato. Fu allora che notò sulla sponda del letto una serie di oggetti che non impiegò più di un istante a riconoscere.
Ordinatamente riposti davanti ai suoi occhi di nuovo sgranati e fissi giacevano immobili un paio di stivali, due pistole, un'armatura leggera ed una cintura, tutti di tipica foggia elfica. Ma non si trattava di foggia comune, anche a quella sola prima occhiata ella fu in grado di distinguerne la provenienza Morelyn.
Quelli erano i pezzi mancanti del set che era la sua eredità.
Si ritrovò così a schiudere nuovamente le labbra, incredula – ..quelli dove li hai trovati?
Il mezzo-drago sembrò tornare il ragazzino di cui aveva memoria, perché sfoggiò uno dei suoi sorrisetti orgogliosi e compiaciuti – Be', sai.. ho girovagato un po' mentre ti cercavo – ammise candidamente, senza però fornirle altre spiegazioni.
Eppure ad Aredhel stavolta bastò quella magra risposta, giacché non riuscì ad impedirsi di avvicinarsi ad essi per sfiorarne la superficie con la punta delle dita, rapita da un senso di meraviglia che andava oltre qualsivoglia immaginazione per una manciata di secondi. Soltanto poi, quando si ricordò del suo principale obiettivo, tornò a voltarsi verso i presenti con decisione.
– Su, uscite – li incitò senza mezzi termini, muovendosi per indirizzarli verso la porta – Mi devo cambiare.
Se ci furono proteste lei non ne tenne alcun conto, spingendo letteralmente da dietro la schiena il mezzo-drago oltre la soglia, rimasto ad indugiare per ultimo, senza alcuna pietà o considerazione per le sue suppliche.
Quando gli chiuse la porta in faccia, escludendo il resto del mondo dallo spazio squadrato della sua camera, sul suo viso comparve - ora che era lontana da occhi indiscreti - un insolito quanto raro sorriso divertito. Lo stesso sorriso che le aleggiò in volto per tutto resto del tempo che impiegò per sistemarsi e riequipaggiarsi.

~

Erano tutti seduti intorno al tavolo, proprio come un tempo, intenti a consumare un lauto pasto ristoratore.
Nei dieci anni trascorsi erano cambiate davvero molte cose, a cominciare dai loro alleati.
Uno di loro, il più improbabile e meno simpatico - questo almeno secondo il punto di vista dei tre combattenti maschi lì riuniti - era proprio Nosgoth, accomodato come gli altri all'interno di quella sala da pranzo piacevolmente meno spaziosa grazie a tutte quelle nuove presenze.
Mytras osservò i guerrieri che, come ricomparsi dal nulla, stavano scambiandosi informazioni e mangiando a sazietà. Non erano cambiati affatto in questi dieci anni, erano tali e quali li ricordava. Il ché, per quanto riguardava l'unica elfa del gruppo, non era così sorprendente quanto invece lo era per gli altri tre umani. Ciò che era cambiata era la luce presente nei loro occhi, una luce che gridava vendetta a chi sapeva distinguerla dall'atmosfera conviviale del momento.
Un'atmosfera che comunque era permeata da una certa severità, dovuta al discorso che aveva preso piede.
– ..i Quattro Bastardi si sono divisi quello che era l'Impero al sud.. – stava dicendo Nosgoth – ..e sono diventati delle divinità. Inoltre – si rivolse con lo sguardo e il dire all'elfa dai lunghi capelli scuri, facendole inarcare un sopracciglio – tuo fratello è diventato un Cavaliere Draconico ed è al servizio di Omega – le annunciò.
Mytras vide Aredhel sbattere più volte le palpebre, unica variazione che ebbe la sua espressione altrimenti seria e distaccata.
– Capisco – affermò con una lievissima punta di irritazione trapelarle dal tono di voce, altrimenti indifferente – A lui ci penserò io.
La mezzo-drago intuì perfettamente la minaccia insita in quell'unica frase e non vi trovò nulla di strano: anche lei se fosse stata nella sua stessa situazione avrebbe preferito sistemare le cose di persona. Il cosiddetto “lavarsi i panni sporchi in casa” insomma.
A quel pensiero scoccò un'occhiata di sottecchi al suo gemello, ritrovandolo a guardare l'oggetto del suo desiderio con sguardo sognante, come un bambino all'interno di un'enorme negozio di giocattoli, troppo meravigliato anche solo per osare sceglierne uno con cui giocare.
Sì, quello scemo di suo fratello non era proprio cambiato da allora.
Non erano bastati quei dieci anni di lontananza per farlo rinsavire.
Evidentemente era quel che si diceva “un caso umano”.
– Mi dispiace per la tua perdita – questa volta Nosgoth si rivolse a Dedrimar, il quale si limitò a ringraziare la cortesia con un cenno del capo – ..in ogni caso, le cose non sono affatto facili per noi del fronte d'opposizione. Prima del vostro ritorno eravamo solo in quattro ad opporci al sud e con il vostro ritorno siamo in otto. Stiamo tutt'ora cercando qualcuno che si unisca a noi, ma fin'ora senza alcun risultato. Inoltre – aggiunse con voce greve – sta accadendo qualcosa di anormale in quelle terre: interi insediamenti abitati si fanno deserti, mentre le persone che li abitano si trasformano in creature molto simili a draghi inferiori.
– Oh..
– Già – rincarò la dose.
– Be', è un'altra delle cose da appurare allora – affermò diplomaticamente il suo ritrovato genitore.
Alcuni assensi seguirono quelle parole, dopo le quali Mytras si decise finalmente a prendere la parola.
– In ogni caso ci farebbe davvero comodo dell'aiuto – fece loro notare, scambiando un'occhiata con Nosgorh prima di proseguire – ..peccato non poter compiere quel rituale e far tornare McRiver; purtroppo uno dei pezzi che serviva non si trova.
– Che pezzo? – intervenne per la prima volta Aredhel.
Sotto la sua completa attenzione la mezzo-drago si sorprese di tale repentina reazione, ma le rispose comunque – Il busto.
– Ah, quello.. – commentò Dedrimar, lisciandosi il mento. Sembrò sul punto di aggiungere qualcosa ma un'occhiata dell'elfa lì accanto parve immobilizzarlo; reazione insolita, che la figlia del chierico non si sarebbe mai aspettata, ma non ebbe il tempo di rifletterci su perché l'altra tornò alla carica.
– E gli altri pezzi ci sono tutti? Anche la pietra con l'anima? – chiese un'altra volta, seria.
Mytras annuì con un cenno del capo, sempre più perplessa, soprattutto quando vide sul quel volto solitamente contenuto d'emozioni comparire un sorrisetto soddisfatto e divertito al contempo, che andò via via allargandosi nella breve pausa. Ormai Aredhel aveva la loro totale attenzione, cosa che pareva compiacerla in maniera evidente.
– Noi sappiamo dove si trova – annunciò senza mezzi termini, volgendo uno sguardo per includere anche gli altri tre reduci lì presenti, prima di tornare a fissarli con aria gongolante.
In tutta onestà Mytras non seppe come reagire di fronte al cambiamento dell'elfa, non aspettandosi certo un comportamento simile da una persona che fino a quel momento, da quel che ricordava, si era sempre dimostrata posata e razionale. Eppure in quel momento, con quell'espressione in viso, le ricordava terribilmente suo fratello, idea che le fece nascere un brivido che le risalì lungo la spina dorsale.
Brivido che la congelò da capo a piedi l'istante successivo.
– Se ve lo dico me lo merito un bacio?
Wtf?!
Nonostante l'avesse detto rivolta apparentemente verso nessuno in particolare e nonostante avesse usato un tono palesemente ironico, più di una bocca si spalancò muta. La mora in primis ne rimase talmente spiazzata da dimenticarsi di respirare o anche solo di distogliere lo sguardo, persino quando alle orecchie le giunse una risatina divertita da parte di Nosgoth.
– Ahah, credo di essere un po' troppo vecchio.. – bofonchiò, ghignandosela fra sé e sé.
– Io no di certo!
E chi altri avrebbe potuto approfittarne così impunemente se non il suo caro gemello?
In un battito di ciglia Sleyn si materializzò accanto all'elfa e l'istante dopo era chino a baciarla senza neanche dar il tempo agli altri di star dietro alla piega che avevano preso gli eventi proprio sotto i loro occhi. Una piega dannatamente allucinante, per quanto riguardava la mezzo-drago.
Persino gli altri rimasero a fissarli ad occhi spalancati per più di mezzo minuto, tutti tranne quella piccola elfa di cui suo fratello aveva deciso un giorno, di punto in bianco, di prendersi cura. La piccola omonima, a cui Mytras arrivò a coprire tardivamente gli occhi innocenti con una mano, aveva un sorrisone che le arrivava da un orecchio a punta all'altro.
Quando il bianco si scostò, il volto di Aredhel era di un acceso color rosso peperone, ma - nonostante tentasse di nasconderlo - aveva a delinearle la piega delle labbra un accenno di mezzo sorriso che non voleva saperne di smettere di tendersi verso l'alto, conferendole un'aria decisamente persa.
Sì, ora ne era certa, quell'elfa doveva aver perso qualche rotella.
Chissà, magari era la vecchiaia che stava iniziando a farle effetto...

~

Proprio come lei stessa aveva appurato nel volume elfico giuntole molto tempo prima in eredità dalla sua casata, il rituale era stato eseguito ed i pezzi del corpo di McRiver si erano ricongiunti fra loro sotto l'effetto di quell'enorme potere magico. Era stata lei a procurare l'ultimo pezzo, sebbene stava ancora domandandosi se lo scambio fosse stato equo.
Sleyn l'aveva... baciata.
E lei gliel'aveva pure lasciato fare!
Osservando quelle membra in perfette condizioni vecchie di duemila anni rinsaldarsi le une alle altre, dando forma ad un corpo dalle fattezze in tutto e per tutto umane, Aredhel soffermò la sua attenzione sulla luminosità crescente che stava avvolgendo l'intero corpo, fino a raggiungere un'intensità tale da costringerla infine a chiudere gli occhi e distogliere momentaneamente lo sguardo.
Quando il crepitio nell'aria si fu quietato e l'intera sala ripiombò nel silenzio, fu il suono di un nuovo respiro a sfiorarle per primo le orecchie, in concomitanza a qualche colpo di tosse di assestamento.
Eppure Aredhel ebbe la conferma della buona riuscita del rituale soltanto quando questi posò il suo sguardo su di lei.
– Ehi, bella! È un po' che non ci si vede!
McRiver era tornato fra loro.

~

E va bene, passi che quei due si conoscevano, anche se lui non aveva ancora capito come ciò potesse essere possibile, vista l'incompatibilità temporale – quando le avevano chiesto spiegazioni lei stessa se n'era uscita con un inesorabile “È una lunga storia”..
Passi che aveva sorvolato bellamente sulla questione, così come sui modi decisamente informali che quella sorta di mummia rediviva aveva sin da subito adottato nei confronti di lei..
Passi persino che stava tentando di dominare i suoi impulsi possessivi di drago nei confronti della sua elfa - per rispetto verso di lei, più che altro - che si erano risvegliati nel momento stesso in cui quella sorta di armadio tutto muscoli dalla pelle bronzea e la folta chioma bionda l'aveva guardata..
Eppure, al terzo “Bella” che sentì uscire dalle labbra del fabbro più famoso dell'intero continente, non riuscì a non mettersi in mezzo giusto in tempo per evitare che l'ennesima cinquina avesse luogo.
Non gli andava a genio per niente tutta quella complicità.
– Ok, adesso però vedi di darti una calmata – gli si rivolse in una palese ammonizione.
Impalato di fronte a McRiver, lo fissò apertamente, rigido come una statua nella sua posa eretta con la schiena, con un sorrisetto piuttosto inquietante a piegargli le labbra verso destra ed una vena pulsante fra i capelli candidi. Persino i muscoli delle braccia, ora incrociate, gli tiravano dalla tensione che li permeava sotto la stoffa delle maniche.
No, se pensavano che, ora che finalmente erano di nuovo insieme, l'avrebbe lasciata a qualcun altro, si sbagliavano di grosso.
Ci aveva messo dieci anni a ritrovarla; dieci lunghi anni durante i quali a nulla erano valsi i suoi sforzi. Eppure il destino aveva voluto che tornasse da lui, volgendo per una volta a suo favore, e non avrebbe sprecato quella nuova ed insperata chance. Se la sarebbe tenuta stretta, assolutamente, e non l'avrebbe persa ancora una volta, per nessunissima ragione al mondo.
Sussultò appena l'istante successivo, risvegliandosi improvvisamente dai propri pensieri dal tocco deciso di una mano che gli era calata su una spalla. Voltandosi sorpreso a guardare l'oggetto delle proprie riflessioni, alla vista del delicato ed incoraggiante sorriso che le adornava le labbra rosee si sentì quasi arrossire.
– È tutto a posto – gli disse lei con fare incoraggiante – Stai tranquillo.
Poche parole, che tuttavia ebbero il potere di ammutolirlo, rendendolo momentaneamente incapace di decidere come reagire a quella inusuale vicinanza, così com'era inusuale quel comportamento così confidenziale nei suoi confronti. Si era sempre tenuta a una certa distanza da lui, ma da quando l'aveva lasciata sola per cambiarsi nella sua stanza sembrava decisamente aver cambiato atteggiamento nei suoi confronti.
Anche prima, a tavola...
– Argevollen – la voce di Enomis lo distolse ancora una volta dai suoi pensieri ed il bianco si voltò a fissare l'umano e la dragonessa, anch'ella ridotta nella sua forma umana, mentre questi esponeva la sua richiesta – vorrei parlare con Primo.
Primo era, proprio come il suo nome suggeriva, il primo Drago divino. Colui che aveva creato i Quattro e poi tutti gli altri draghi e, perciò, di almeno una spanna superiore ad essi. Fin'ora aveva sempre preferito tenersi in disparte, osservando gli eventi senza influenzarli e per questo nessuno di loro prima lo aveva mai preso in considerazione. Tuttavia, gli ultimi decenni erano stati piuttosto estremi, pertanto non era del tutto una cattiva idea provare a parlarci.
Non ci volle molto.
Pochi secondi dopo il richiamo della ragazza dalla lunga chioma color cobalto, di fronte ad ella l'aria iniziò a turbinare ed in un guizzante scintillio di luce si materializzò loro quello che apparve come un uomo la cui età non si sarebbe saputa definire. Aveva lineamenti delicati e solenni al contempo, eppure i suoi occhi sembravano quello di un vecchio saggio. Indossava una tunica nera ed argentea, con il colletto alto ed i bordi di un giallo dorato. Un vestiario che, come il portatore, sembrava racchiudere in sé sia luce che tenebra. Sì, perché metà della sua chioma ribelle, come metà del resto del suo corpo, sembrava dominata dall'ombra. Biondo e corvino, in un contrasto che, a lungo andare, sembrava quasi voler far male agli occhi tanto era intenso.
Sbattendo più volte le palpebre, Sleyn non ebbe bisogno della scarica di adrenalina che gli fece rizzare i capelli sulla nuca per avere la conferma che era proprio Primo. Nonostante fosse la prima volta anche per lui, gli bastò una prima occhiata per dare per scontata la sua identità, eppure si sorprese ugualmente del potere che percepiva venire da quella figura.
Quello era il potere di un Dio.

~

Aredhel rimase ad ascoltare le parole di Primo senza intervenire neanche una singola volta, mentre egli esponeva loro i pericoli a cui si apprestavano di loro iniziativa ad andare incontro. Era stato lui a creare i Quattro Bastardi, cosa di cui ora sembrava pentirsi e per questo, parole sue, li avrebbe aiutati a rimediare ai suoi stessi errori.
Che un Dio ammettesse di aver fatto degli errori era di per sé qualcosa che la giovane non si era certo aspettata di udire e dovette ammettere, almeno con sé stessa, che la cosa l'aveva in parte impressionata favorevolmente nei suoi confronti.
Primo rivelò loro della morte delle altre divinità, sempre per mezzo dei Quattro, ed il successivo ripristino dei templi elementali per mano loro. In pratica, stavano plasmando il mondo secondo il loro diletto e le loro regole, senza curarsi delle vite che spezzavano, degli equilibri che si stravolgevano.
– C'è una cosa però che mi lascia perplesso – esordì ad un certo punto Kein, incrociando le braccia ed assumendo un'espressione insolitamente assorta per uno come lui – Cosa ci è successo? Come è possibile che soltanto noi abbiamo impiegato tutto questo tempo per risvegliarci, dopo l'esplosione..?
– In pratica – iniziò con tono calmo Primo – in questi ultimi dieci anni i vostri corpi esistevano ed al contempo non esistevano in questa dimensione. Per questo non siete mai riusciti a trovarli – quell'ultima frase venne rivolta direttamente ad Argevollen ed ai due gemelli, che si guardarono l'un l'altro.
Aredhel, come gli altri tre suoi compagni, stava fissando il Primo Drago con un'intensità tale da quasi scordarsi di respirare, in attesa che continuasse a parlare. Grazie al cielo non dovette attendere più di un paio di secondi, sottoposto alla completa attenzione di tutti i presenti.
– ..il sacrificio di Asuna ha permesso ad una parte della sua scintilla divina di entrare in ognuno di voi, maturando e riplasmando il vostro corpo di creature artificiali. Ora non siete più membri della nuova razza creata dai draghi, siete diventati rispettivamente ed a tutti gli effetti tre umani e un'elfa. I Primi.
Quelle parole fecero smorzare del tutto il respiro in gola alla mora, che si ritrovò a strabuzzare gli occhi dalla sorpresa.
Lei non era più...
– Oh.. sul serio? – chiese conferma Enomis, sorpreso quanto gli altri a giudicare dalla sua espressione interdetta.
La divinità loro alleata annuì con un cenno del capo – È così – confermò, prima di posar lo sguardo su Dedrimar – ..tranne che per te. Nel tuo caso hai ben due frammenti nel tuo corpo, cosa che ritengo sia da imputare al legame che avevi con lei in quanto tua moglie e madre dei tuoi figli..
Ormai Aredhel non lo ascoltava più, lo sguardo fisso in un punto imprecisato della stanza.
Sembrava incredibile, qualcosa di troppo.. troppo, per crederci davvero.
Meccanicamente lanciò un'occhiata a Sleyn, il quale parve accorgersi del suo sguardo, perché si voltò ad intercettarlo, cosa che la costrinse in un moto di irrazionale imbarazzo a voltarsi dall'altra parte, nascondendo il viso sotto la tesa del cappello mentre le gote le si imporporavano leggermente.
Il cuore non voleva saperne di rallentare nel petto ed era talmente emozionata da non riuscire a respirare decentemente.
..non era più un fantoccio!
Era reale, una creatura con un'anima, che non avrebbe perso i suoi lineamenti come aveva visto accadere ai loro nemici una volta morti. Non sarebbe mai più stata una marionetta nelle mani di qualcun altro, costretta a far qualcosa di atroce contro la sua stessa volontà. Per quanto parte dei suoi ricordi potesse essere stata artefatta dai Quattro, per quanto a dar inizio alla sua esistenza non fosse stato l'amore dei suoi genitori, ora poteva di nuovo sentirsi degna di quei sentimenti.
Ora poteva smettere di sentirsi alla stregua di una traditrice del suo popolo.
Anche se esso era ormai ridotto a poche decine di membri, poteva provare ad esserne la degna guida, così come lo era stato suo nonno.
Poteva tentare di salvare tutti loro.
Farò in modo che tu cresca secondo la migliore istruzione elfica..”
Soltanto allora capì appieno le parole che lui le aveva detto quella volta: lui lo aveva saputo sin dall'inizio ciò che era.
Eppure l'aveva accolta e chiamata nipote, l'aveva accettata ed amata, come il resto della sua famiglia. Tutti loro.
Un nodo le si serrò in gola, facendole piegare le labbra in una lievissima smorfia mentre un lieve pizzicore iniziò a infastidirle le ciglia. Avvertendo le lacrime minacciare di salirle agli occhi, la ragazza elfa sbatté più volte le palpebre, scacciandole all'istante e tornando attenta a quanto stavano dicendo i suoi compagni.
Un discorso che risvegliò il suo completo interesse nel momento in cui udì le parole “cuore di drago” proferite da McRiver.
Un cuore di drago palpitante.
Il calore della fiamma infernale.
Una forgia divina.
Il martello del fato.
Ed ovviamente le capacità del fabbro più potente della storia.
Questi erano gli elementi che avrebbero dato vita a nuove Dragon Slayer, armi create apposta per combattere i draghi. Le stesse armi che duemila anni prima erano state forgiate da McRiver, per lo stesso identico scopo: fermare i draghi.
– Nello stato attuale però non avete speranze di riuscita – affermò senza mezzi termini Nosgoth, prendendo la parola per la prima volta da quando era comparso Primo.
– Ci alleneremo – ribatté sicuro di sé Kein, guardandolo in cagnesco.
Il sorrisetto che sfoggiò quello che fino a dieci anni prima era solo un semidio gli valse più di mille parole.
– Bene – fece eco Primo, guardando il guerriero draconico senza scomporsi – ..allora tu ti allenerai con me.
Enomis strabuzzò gli occhi, troppo sorpreso per riuscire a capacitarsi della cosa, mentre alcuni altri sogghignavano.
Anche Aredhel ne fu sorpresa, ma ogni suo pensiero al riguardo venne stroncato sul nascere nel sentirsi stringere intorno alla vita da un braccio ferreo.
– Al tuo allenamento penserò io.
Sollevando lo sguardo su due occhi color ghiaccio, ella trattenne il respiro di fronte al sorriso del giovane mezzo-drago, sentendosi improvvisamente spaesata, quasi in soggezione a causa di quell'improvvisa vicinanza. Così finì per avvampare in viso, non riuscendo a sostenerne nemmeno lo sguardo mentre cedeva ed annuiva con un singolo cenno del capo.
Si costrinse a forza a non far caso alla scarica elettrica che la percorse sottopelle da capo a piedi e si concentrò principalmente su ciò che li attendeva da quel momento in poi, senza neanche prendere in considerazione l'idea di staccarsi dal bianco e far venire meno quel contatto.
In fondo, sebbene all'epoca non vi si fosse soffermata a rifletterci, anche in passato Sleyn le aveva proposto di allenarsi insieme. Proposta che aveva finito per essere presa seriamente in considerazione dalla ragazza, nonostante poi non ve ne fosse stata la possibilità.
Proposta che, ora che si era ripresentata, le fece accelerare i battiti del cuore nel petto, scaldandole l'animo.
Perché la sua verità era che Sleyn le piaceva davvero.



   
 
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