Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: mairileni    11/05/2015    5 recensioni
«Siediti.»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
HTML Editor - Full Version

Buonasera, uiii (~*v*)~


Già, già, lo so, sono sparita per quasi un anno, mh. Chiedo scusa a tutte le lettrici delle mie storie ancora in corso, lo so che sono una brutta persona [si bastona].
Non so da cosa nasca questa nuova storia — che ormai dovrebbe essere tipo la numero 22, se non mi sbaglio —, ma fatto sta che mi andava di scriverla e niente, l'ho fatto. Oh, e non ho nemmeno preparato una scaletta (chi mi legge sa che lo faccio SEMPRE), quindi reggetevi forte, perché a partire dal terzo capitolo circa non ho la benché minima idea di che cosa accadrà *v* [felice]

Il capitolo è molto breve, perché in realtà questo vorrebbe essere una sorta di “prologo”.

Uh, ancora due cose. La storia è scritta a metà tra il presente e il passato, e questo perché volevo rendere l'idea del racconto in lingua inglese (sapete che quando un inglese racconta qualcosa lo fa sempre al presente, no?), perciò non preoccupatevi, non sono impazzita. E poi tenete anche a mente che il tutto si ambienta ai giorni nostri (di sicuro l'avreste capito anche da voi ma boh, io vi avviso).

So, uhm, yeah, credo di aver detto tutto.

DISCLAIMER: scrivo per arricchirmi, scrivo solo cose vere e i My Chemical Romance mi appartengono, anzi, scrivo sotto dettatura di Gerard Way stesso, anzi, scrive Gerard Way e io copio in bella, anzi, Gerard Way SONO IOok no, sono povera e scrivo scemenze.

Beeene, spero tanto tanto tanto che vi piaccia, io l'impegno ce l'ho messo tutto. Se poi vi va, lasciatemi anche un commento, mi fa piacere sapere chi passa di qui!

Buona lettura ♡


pwo_


 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




TOURNIQUET

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

Largo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima volta che ho visto Gerard lui indossava un boa con piume bianche e nere che per forza di cose da lontano sembrava grigio. In mano aveva  un drink rosa acceso che secondo me aveva scelto solo per il colore, perché il bicchiere era ancora pieno fino all’orlo e il vetro già bagnato per la condensa. Non parlava con nessuno, però ogni tanto si guardava attorno con l’aria di un re catapultato per la prima volta nella rozza quotidianità dei suoi sudditi, sguardi a destra e a manca con quegli occhi verdi che per forza di cose da lontano sembravano neri. Il locale era pieno, forse duemila persone, o forse duemila no, ma comunque tante. Nel divanetto accanto al mio un tipo tutto muscoli che puzzava di steroidi ci provava con una ragazzina di almeno dieci anni meno di lui, mentre poco più avanti due tizi con i capelli rasati arrivavano alle mani dopo chissà quale accesa discussione. Il volume della musica era insostenibile, e nel frattempo uno dei due ragazzi rasati cadeva a terra e l’omone in giacca e cravatta della sicurezza impediva che il compare gli saltasse sopra per ammazzarlo definitivamente a suon di pugni.
    Io in tutto ciò avevo visto solo Gerard. Pazzesco, non gli toglievo gli occhi di dosso. Non credo che quel giorno lui si sia accorto di me, anonimo avventore di quel locale in cui lui sembrava essere nato, tanto si trovava a suo agio. Io ci ero andato da solo, o forse ero in compagnia di qualcuno, ma sinceramente questo non me lo ricordo. Mi ricordo solo di Gerard, e di come a un certo punto si è passato la mano tra i capelli tinti di biondo con un gesto tragicamente femminile e teatrale assieme, roba che se avessi chiesto a un bravo attore di rifarlo non ci sarebbe riuscito nemmeno dopo sei ore di prove.
    Dopo essersi passato la mano tra i capelli si è girato, mi ricordo anche questo, si è girato verso la grossa finestra che dava sulla strada e ha sospirato. Mio dio, mi sembra quasi di poterlo ancora sentire; eppure non l’ho sentito nemmeno quella sera, ho già parlato di quanto era alta la musica. Gerard mi aveva stregato, non so nemmeno come spiegarlo senza sembrare un completo imbecille. Ma fatto sta che Gerard indossava quel boa con piume bianche e nere che per forza di cose da lontano sembrava grigio, e io guardavo quella figurina dai capelli tinti che a dirla tutta era certamente pacchiana, ma che per forza di cose da lontano sembrava meravigliosa. E lo era anche da vicino, ma questo l’avrei capito solamente più tardi. Sia benedetto il giorno in cui ho deciso di entrare per la prima volta in quel locale dalla fama non felicissima, perché in quello stesso giorno ho visto per la prima volta Gerard, e ne sono rimasto incantato. L’avrei incontrato di nuovo a distanza di giorni, ma forse, se non l’avessi visto prima, quella sera, con gli occhi verdi e il drink rosa acceso e il boa di cui ho già parlato più del necessario, non sarebbe stato lo stesso. Mi ricordo anche il giorno, un 12 settembre che se avessi perso anche quell’ultimo briciolo di dignità che mi è rimasto segnerei sul calendario con un pennarello indelebile rosso. O magari rosa acceso, come il drink che Gerard si ostinava a lasciare nel bicchiere.
    Questa precisione ossessiva nel descrivere quella sera, o meglio, nel descrivere Gerard come l’ho visto quella sera, ha anche delle motivazioni, e le principali sono due, una conseguente all’altra. La prima, che quella sera è stata la sera in cui per la prima volta ho visto Gerard. La seconda, che quella sera è stata la sera in cui ho realizzato di essere attratto da lui.

 

 

 

 

 

 


 

La seconda volta che ho visto Gerard è stata su un fermo immagine preso dalla telecamera a circuito chiuso dell'emporio di mio padre. Del Gerard che avevo visto la prima volta in quel locale c'era ben poco — niente boa, niente drink —, ma il suo viso l'avevo riconosciuto subito, sebbene ridotto a una sorta di confusa nebulosa a causa della cattiva qualità della telecamera. Il fermo immagine lo immortalava mentre con una mano reggeva una boccetta d'inchiostro e con l'altra si apriva la giacca per nascondercelo dentro, magari ficcandolo in qualche tasca interna.
    Non c'era ombra di dubbio, Gerard aveva taccheggiato nel negozio di mio padre, e mio padre indicava con l'indice il fermo immagine, la prova schiacciante. Nel frattempo scuoteva anche la testa. La seconda volta che ho visto Gerard non erano passate nemmeno ventiquattr'ore dalla prima, e il ricordo di lui mentre si passava la mano tra i capelli tinti e si girava da un lato sospirando era ancora troppo vivido perché non prendessi subito le sue difese, sebbene questo mi rendesse automaticamente un delinquente (un complice). A mio padre io ho detto che il fermo immagine non era abbastanza nitido per poter inchiodare un ragazzo, e a me mio padre ha detto che il fermo immagine era fin troppo nitido, e che dovevo stare zitto. Effettivamente.
    Gerard aveva taccheggiato nel negozio di mio padre rubando una boccetta d'inchiostro, e io non riuscivo ad amarlo nemmeno un goccio di meno, per questo. Era bellissimo anche mentre rubava, lo giuro. Mio padre mi aveva detto che avrebbe trovato quel “ladruncolo da quattro soldi” a tutti i costi, ma tre giorni dopo si era già dimenticato di cercarlo. In tutto ciò, il primo giorno di scuola era alle porte e io non me ne rendevo nemmeno conto, perché l'unica cosa che avevo in testa era Gerard seduto sul divanetto del locale, con il drink rosa acceso in mano e il boa attorno al collo.

 

 

 

 

 

 

La gente dice che Dio ha un piano preciso per ognuno di noi. Io all’inizio non ci credevo, nel senso che mi suonava strana l’idea di Dio chino su una scrivania a lavorare a sei miliardi di progetti contemporaneamente. Non perché avessi sfiducia in Dio o cose simili, eh, intendiamoci. Il problema era che non riuscivo a immaginarmi una scrivania abbastanza grossa – voglio dire, provateci voi, a far stare sei miliardi di fascicoli su una scrivania sola. Poi, però, ho incontrato Gerard per la terza volta, e allora ho capito: Dio si scoccia. Lui porta avanti il nostro progetto fino a un certo punto, lo avvia, potremmo dire, e poi lo molla lì, come a dire “bene, adesso tocca a te”. Dio ha portato avanti il mio progetto fino alla terza volta che ho visto Gerard. Ci scommetto le palle, che ha fatto così. Perché a partire dalla terza volta che ho visto Gerard, le cose hanno cominciato a degenerare, a degenerare forte.
    Ah, e comunque io mi chiamo Frank. In caso ve ne freghi qualcosa.

 

 

 

 

 

 

Se c'è una materia che fa proprio schifo al cazzo, quella è la matematica. Fa schifo, ragazzi, schifo proprio. La nostra insegnante si chiamava Lana Hitchman, e se non è morta immagino che si chiami ancora così. Anzi, spero per lei che non sia morta, perché quella quando muore va all'inferno, ve lo dico io, lei davanti e la sua matematica di merda dietro. Vi parlo della signora Hitchman perché la signora Hitchman diceva sempre che ci sono quattro motivi per cui dovresti sempre accogliere un nuovo compagno di scuola nel migliore dei modi. Il primo, che questo nuovo compagno potrebbe anche diventare il tuo migliore amico. Il secondo, che questo nuovo compagno potrebbe anche diventare il tuo peggiore nemico. Il terzo, che questo nuovo compagno potrebbe anche diventare il tuo ragazzo. Il quarto, che Dio ti guarda sempre — che detta così è un po' inquietante, ma voi dovete sapere che la signora Hitchman faceva sempre un sacco di discorsi su Gesù e la Bibbia e Dio e San Pietro e la Madonna. Il quinto motivo poi non me lo ricordo, ma questo perché la signora Hitchman, a parer mio, doveva fare liste più corte, se voleva che noi studenti ce le ricordassimo. Quando ho visto Gerard per la terza volta, lui aveva il collo libero da boa e i capelli neri, ma io l'ho riconosciuto lo stesso. In quel momento la signora Hitchman stava ripetendo per l'ennesima volta la lista di cui vi ho parlato, quella dei motivi per cui uno dovrebbe sempre accogliere un nuovo compagno con un sorriso grande così stampato in faccia, e intanto Gerard si annoiava e studiava con gli occhi la sua nuova classe.
    Io me ne stavo zitto.
    Riuscivo solo a pensare che il nostro nuovo compagno era Gerard e che i capelli neri gli donavano e che volevo sapere come si chiamava e sentirlo parlare e vederlo dormire e baciarlo. Con la sfiga che ho, ho pensato, con la sfiga che ho, di sicuro questo corso di matematica è l'unico corso uguale al mio che ha scelto di frequentare. Avrei scoperto più tardi che non era così. Gerard si è presentato alla classe e si è seduto all'unico banco libero, in prima fila. Per tutta la lezione ha guardato fuori dalla finestra con la stessa aria sognante che dovevo avere io mentre guardavo lui. E forse in quel momento la stessa aria sognante ce l'aveva anche Dio, mentre archiviava il mio progetto e cominciava a fantasticare su che cosa sarebbe successo senza di Lui.

 

 

 

 

 

 

Gerard faceva pompini a pagamento nei bagni della scuola. Perdonatemi per la schiettezza, davvero, ma almeno arriviamo dritti al punto. Gerard faceva pompini a pagamento nei bagni della scuola, e dovete credermi quando vi dico che, intorno alla fine del primo quadrimestre, in quei bagni ci erano passati praticamente tutti, anche i più insospettabili. Non che fossero gay: solo che, da quando si era diffusa la voce, tutti volevano provare, perché chi aveva provato diceva che Gerard era dannatamente bravo.
    Beh, confermo.
    Avevo sentito di questa faccenda per puro caso, durante il mio turno pomeridiano al bar in cui lavoravo part-time. Mi ricordo perfettamente la scena: io ho appena finito di lavare delle stoviglie e ho in mano un bicchiere, lo sto asciugando con un vecchio straccio. Entra Henry White, della squadra di basket, e assieme a lui ci sono due ragazze e Steven Dowett. Quando Steven menziona “Gerard Way” e “pompini a pagamento” nella stessa frase, per poco non mi cade a terra il bicchiere (per poco non cado a terra io, a dire la verità), e comincio a origliare. Colgo qualche altro dettaglio, sto ancora strofinando il bicchiere. Dopo circa quaranta secondi ho già capito tutto e vorrei fiondarmi a casa di Gerard e supplicarlo di concedermi un servizio fuori orario, ma tutto quello che posso fare è ascoltare, mordermi il labbro e asciugare il bicchiere.

 

 

 

 

 

 

Il giorno dopo prendo tutti i soldi che ho e vado da Gerard. Sono talmente confuso ed eccitato che non riesco a vergognarmi neanche un po', quando mi siedo di fronte a lui durante la pausa pranzo e gli porgo trenta dollari sotto al tavolo.
    «Sei libero, oggi?», chiedo.
    Lui finisce con calma di masticare un boccone di pizza e con altrettanta calma si pulisce la bocca. Guarda me, guarda sotto al tavolo. Prende i soldi. Li conta velocemente. Poi fa sparire le banconote in una tasca interna del giaccone, e io penso disordinatamente che quello è lo stesso identico gesto che ha fatto quando ha rubato l'inchiostro nell'emporio di mio padre, con la sola differenza che nel video era biondo, mentre adesso è moro. Mi guarda di nuovo.
    «Dopodomani.»
    Sono quasi certo che stia scherzando; lo dico.
    «Sono quasi certo che tu stia scherzando.»
    «Come, scusa?», ribatte lui impassibile.
    «Stai scherzando, vero?»
    «Ho la faccia di uno che scherza, Iero?»
    Boom. Infarto. Quando dice “Iero” il mio cuore si lascia esplodere, e per un attimo temo che lui possa averne sentito il rumore. Mi scoppia il cuore, giuro su Dio che mi scoppia il cuore. Tipo esplosione atomica, tipo kamikaze, tipo “Allah Akbar!”, tipo... tipo boom. Infarto.
    «Come sai il mio nome, Gerard?»
    «Come sai il mio prezzo, Iero?»
    «Mi sono informato.»
    «Già, esatto. Lo faccio sempre anch'io. Arrivederci, Iero.»
    «Puoi chiamarmi “Frank”.»
    Alza di nuovo lo sguardo su di me, lo riabbassa.
    «Arrivederci, Iero».

 

 

 

 

 

 

Due giorni dopo sono davanti all’aula 124, terzo piano della scuola. Il terzo piano della scuola l’hanno chiuso diversi anni fa, perché per riempire tre piani ci vogliono le persone, e le persone non ci sono – o almeno, in questo buco di culo di posto in cui abito, di gente ce n’è poca. Allora il preside Higgins ha chiuso a chiave tutte le aule del terzo piano e ha fatto piazzare dei cartelli al principio di ogni rampa di scale, ognuno con una scritta tipo “andatevene”, “divieto di accesso” o cose simili. Una mossa inutile, ve lo assicuro. Con tutta la droga che gira in questo posto, la gente ha di meglio da fare che avventurarsi fino al terzo piano di questa schifosissima scuola superiore. Per il resto, non so quanto ci abbia messo Gerard a trovare le chiavi dell’aula 124, ma deve averci messo poco, perché i racconti relativi a quello che fa qui erano già sulla bocca di tutti intorno alla metà di ottobre.
    Mentre aspetto sono stranamente calmo, e allora per ammazzare il tempo prendo a leggere i volantini appesi alla parete opposta. Riguardano tutti l’anno scolastico 2001/2002, per darvi un’idea di quanto tempo è passato da quando qualcuno del personale scolastico ha messo piede qui. In particolare, mi colpisce una locandina azzurra con sopra il faccione grasso del preside Higgins; la qualità della stampa è pessima, così il preside Higgins ha un colorito a metà tra il rosso e il viola (tipo cianosi, per intenderci). Sotto al signor Higgins ci sono i suoi numerosi menti e sopra al signor Higgins c’è un fumetto con la scritta “GRAZIE DI AVER SCELTO LA NOSTRA FANTASTICA SCUOLA! LAVOREREMO INSIEME E LA RENDEREMO MIGLIORE, GIORNO DOPO GIORNO!”. Se devo essere del tutto sincero, è davvero delizioso che il signor Higgins abbia il talento di dire quattro enormi cazzate in due sole frasi. La prima cazzata è quella del “grazie di aver scelto”: nessuno ha scelto questa stradannatissima scuola superiore, è solo che questa è l’unica scuola superiore della città. La seconda cazzata è il “fantastica scuola”. La terza è “lavoreremo insieme”, perché qui gli unici coglioni che lavorano siamo noi, non mi pare di aver mai visto il preside Higgins con la faccia stanca o con la fronte imperlata di sudore. L’ultima cazzata è quella della parte in cui si dice che questa scuola viene resa migliore giorno dopo giorno, e io dico che è una cazzata perché a me sembra che nessuno stia rendendo migliore alcunché. Anzi, se proprio volete saperlo qui fa schifo tutto. Scuoto la testa e porto gli occhi al pavimento.
    «Iero.»
    C’è Gerard. Non so da dove sbuchi, esattamente, ma c’è Gerard. Ha la giacca verde militare, i jeans neri e l’aria di chi si trova in una situazione scocciante ma sa di dover pazientare.
    «Gerard. Non ti ho sentito arrivare.»
    «Spostati», ordina monocorde.
    Fa scattare la serratura, mi invita ad entrare con un cenno della testa e poi chiude di nuovo a chiave quando entrambi siamo dentro. I raggi del sole che filtrano dalle finestre illuminano l’aula 124 solo per metà.

 

 

 

 

 

 

Ci sono io, c’è l’aula 124 e c’è Gerard, e abbiamo finito da poco. O meglio, io ho finito da poco. Credo che lui nemmeno si ecciti, quando fa queste cose. Ridendo e scherzando, questa è l’ottava volta che lo pago, e tutto ciò nel giro di tre settimane e mezzo circa. Lui fuma una Winston dal filtro bianco e io fumo una Winston dal filtro giallo. Io sono ancora sdraiato sulla cattedra (le prime volte stavo in piedi, ma poi mi sono detto che per trenta dollari a servizio ho tutto il diritto di starmene sdraiato) e lui si è appena seduto per terra; si sta massaggiando il collo. È strano che non mi abbia ancora cacciato, normalmente mi caccia appena abbiamo finito. Lo fa sempre. Dice che lui in vendita mette la bocca, mica la compagnia.
    Rompo il silenzio.
    «Perché qui?», gli chiedo.
    Lui prende una lunga boccata dalla sua Winston col filtro bianco e all’inizio non risponde. Non ho ancora capito se queste esitazioni che ha siano pause teatrali oppure semplici momenti di riflessione, ma ciò che ho capito è che se esita non è per incertezza, anzi. Dev’essere perfettamente a suo agio. Gerard funziona così. È sempre a suo agio.
    Risponde alla mia domanda con un’altra domanda (anche questa è una cosa che fa spesso).
    «Intendi in quest’aula? O in questa scuola?»
    «Entrambe.»
    «Di quest’aula mi piace il numero. E anche l’illuminazione. Sì, l’illuminazione. Credo che sia per quello.» Si volta verso la finestra e solleva pigramente un braccio verso un punto indefinito al di là del vetro. «Vedi la casa che c’è davanti?» Gli dico che sì, la vedo. «Ecco. E l’albero che sta di fianco alla casa. Per un qualche motivo fisico che non mi interessa approfondire, di pomeriggio quest’aula è sempre illuminata a metà, non importa la stagione. Forse anche di mattina, ma di mattina non ci vengo mai. Vedi?» Adesso indica la parete su cui sono affisse le lavagne, e io ruoto la testa sul legno della cattedra per seguire il suo dito. «Ombra…» Indica dietro di sé. «…e luce. Mi piace che sia così. Uno può stare dove accidenti vuole senza che il clima costituisca un problema rilevante, capisci? Uno può stare con il sole in faccia oppure al fresco, lì, vicino alle lavagne.»
Annuisco lentamente.
    «E il motivo per cui faccio questa cosa qui e non a casa mia», continua Gerard, «beh, quello è solo perché qui posso sporcare quanto voglio, ma a casa mia dovrei pulire tutto. E sinceramente non ho voglia di togliere dal pavimento il vostro sperma schifoso ogni santo giorno. Senza offesa, eh.»
    «No, è ragionevole.»
    Vorrei fargli altre mille domande ma mi dico che è già un mezzo miracolo che abbia risposto a questa qui senza cacciarmi come fa sempre. La sua Winston con il filtro bianco si è consumata tutta già da un po’, ma ce l’ha ancora ben salda tra pollice e indice, e ora nell’aria c’è odore di sesso e di filtro bruciato. O forse è il profumo di Gerard, e forse il profumo di Gerard ha una confezione a forma di drink rosa acceso. A riprendere la conversazione sono ancora io.
    «Non hai altri…?»
    «No, tu per oggi sei l’ultimo», scorcia.
    Gerard non prova nessuna vergogna per le cose che fa e per il modo in cui le fa. Credo che sia questo, ciò che più mi affascina di lui. Gerard potrebbe anche staccare la testa a un uomo davanti ai tuoi occhi, ma io scommetto che lo farebbe con una tale eleganza che tu non potresti far altro che pensare “Dio, se è bravo”. Parla piano, sceglie bene le parole. Potrebbe venderti qualsiasi cosa. Penso di poter dire con certezza che se il signor Gaunt sapesse di lui lo assumerebbe nel suo pulcioso negozio di stoffe senza pensarci due volte. Il negozio di stoffe del signor Gaunt sta per fallire perché la gente di questo posto schifoso è troppo impegnata a pensare che questo posto è proprio schifoso, per avere anche voglia di cucirsi le cose da sé. Ma se Gerard cominciasse a lavorare per il signor Gaunt, oh, beh, il signor Gaunt sarebbe sistemato a vita. Gerard potrebbe venderti qualsiasi cosa.
    A Gerard arriva un messaggio; il tin della suoneria rimbomba fastidiosamente in tutta la stanza. Lui estrae il telefono dalla giacca, e con l’altra mano lascia finalmente cadere a terra il mozzicone della sua Winston. Guarda lo schermo e sorride, poi ci passa sopra il pollice per pulirlo alla bell’e meglio e digita la sua risposta sui tasti grandi. È un vecchio telefono, di quelli che non si rompono nemmeno se li getti sotto a un treno.
    «Con chi ti scrivi?»
    «Con i cazzi miei, Iero.»

 

 

 

 

 

 

Quella è stata l’ultima volta che io e Gerard ci siamo incontrati nell’aula 124 del terzo piano. Non c’è mai stata una nona volta, e questo perché dopo l’ottava sono cominciati i casini. Ma io non mi accorgevo di nulla, e secondo il mio punto di vista stavamo gestendo ogni cosa alla grande. Non ragionavo, ma io credo che possiate capirlo. Magari ogni tanto facevo qualche pensiero intelligente e ne deducevo addirittura delle conclusioni accettabili, ma poi compariva Gerard e io mi rincoglionivo del tutto. E pensavo che non sarebbe stavo male, rivederlo seduto sul divanetto del locale, con il drink rosa acceso in mano e il boa attorno al collo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: mairileni