E buon compleanno, in ritardo, in stra-ritardo, ad Anya. <3
(spero che l’augurio arcobaleno sia abbastanza gay e
trash)
Open arms
“Che ci fai qui?”
Paul rise appena al tono sinceramente sorpreso di John, mentre cercava di
chiudere l’ombrello malconcio e zuppo d’acqua, tanto quanto lui.
“Posso entrare prima? Questo fottuto ombrello è rotto.”
Detto questo fece per avanzare nell'ingresso senza neanche aspettare il
consenso di John, ma questi lo bloccò fuori con una mano sul suo petto.
“In realtà sono combattuto.” iniziò a dire John, il più sardonico dei
ghigni danzava sulle sue labbra, rendendolo davvero inquietante alla luce dei
lampi che di tanto in tanto squarciavano il cielo scuro, “Potrei prima
costringerti a rispondere alla mia domanda. Si tratta pur sempre di casa mia.
Non posso certo far entrare chiunque!”
“Oh davvero? E io potrei lavarti in un istante con questo, se non mi fai
entrare.” sbottò Paul, brandendo l’ombrello fradicio come una pericolosa arma
letale.
Per sua fortuna, la terrificante minaccia ebbe l’effetto da lui sperato e
il sorriso di John vacillò.
“Non oseresti.”
“Scommetti?” esclamò Paul, agitandolo appena di modo che qualche goccia
finisse sui vestiti asciutti di John.
“Prego, signore, accomodatevi pure.” disse John, arrendendosi, e si fece
subito da parte per far passare Paul che, soddisfatto, entrò finalmente in
casa.
“Grazie.”
“Prima però..." proseguì John, afferrandolo per un braccio con
decisione, "Togliti le scarpe, altrimenti lasci le impronte e poi chi la
sente Mimi? Già ti detesta. Se le dico anche che hai imbrattato casa è la fine.
Mi vieterebbe di frequentarti ancora e come tu ben sai, io dovrei obbedire e
mettere fine a questa collab-"
"Ho capito, ho capito." borbottò Paul, interrompendolo, "Non
fare tanto il melodrammatico."
"Non è essere melodrammatico. È la verità." ribatté John,
incrociando le braccia, "Sono io che me la sorbisco tutti i giorni,
sai?"
"Comunque..." sbuffò Paul, prima di obbedire, “Le avrei tolte
senza le tue lagne. Ho anche le calze bagnate, sai, con questo acquazzone
maledetto. Penso di avere tutta l'acqua degli oceani della terra nei miei
stivali.”
"È perché devi crescere." gli fece notare John, divertito.
"E diventare più alto di te?"
"Ovviamente no, stupido che non sei altro."
"Hai ragione. Lo sono già." commentò Paul, prima che la sua
risata riempisse l’ingresso.
John la trovava sempre molto contagiosa, come risata, ma in quel caso non
poté fare a meno di ribattere con una delle sue battute, una di quelle da John
Lennon.
"Beh, senti, se questo è il tipo di dimensioni che contano per te,
allora congratulazioni." disse, scrollando le spalle con fare noncurante.
Paul lo osservò un istante e si lasciò scappare una risata, mentre si
decideva infine ad abbandonare scarpe e calze nell’ingresso.
“E dove sarebbe Mimi?” chiese poi, interessato, seguendo John nel salotto e
guardandosi intorno.
“Oh, a qualche riunione su qualcosa della parrocchia… si chiama così, no?”
“Parrocchia, sì… o forse pannocchia?”
“O pastrocchia.”
“O pernacchia.”
“Ehi, starebbero bene per la nostra prossima canzone.” esclamò John,
entusiasta.
“Sì, pensa che bella canzone uscirà. Oh ragazza, ti prego fai una
pernacchia, alla mia pannocchia nel cortile della parrocchia.”
"Scalerebbe le classifiche di tutto il mondo."
"Me lo immagino." commentò Paul, distrattamente, avvicinandosi al
camino in cerca di calore.
John lo seguì con lo sguardo e solo allora notò, con la luce più vivace del
focolare, i vestiti fradici e i capelli bagnati di Paul, nonché un lieve
tremore che scuoteva le sue braccia ora protese in avanti.
“Certo che non avevi bisogno di affrontare questo temporale solo per
comporre una canzone di dubbio gusto con me.” gli fece notare.
“Ma non sono venuto per questo, figuriamoci.” sbuffò divertito Paul.
“E allora per cosa?”
Paul si strofinò le mani prima di voltarsi, guardarlo e glissare abilmente
il discorso, “Che ne dici di una tazza di tè caldo, intanto? Sono congelato
fino alle ossa.”
“Ma…”
“Sto proprio morendo di freddo.”
“E tè sia.” sospirò John, sconfitto, “Perché nel frattempo non vai anche a
cambiarti in camera mia? Dubito che potrei sopportarti se cominciassi a
starnutire perché ti ho fatto restare in questo stato."
“Con cosa esattamente?”
“Con qualche vestito dei miei, non certo quelli di Mimi, idiota."
rispose John, alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia.
“Posso davvero?" chiese Paul, balzando in piedi, i suoi occhi
brillavano per la sorpresa, "Restare da solo nella camera del grande John
Lennon?”
“Basta che non tocchi nient’altro al di là dello stretto necessario,
altrimenti ti uccido.”
Paul rise, “Affare fatto.”
Dopodiché si precipitò al piano superiore, facendo un gran fracasso e John
lo guardò fin quando un tuono rimbombò scuotendolo e destandolo dai suoi
pensieri.
Si convinse a raggiungere la cucina dove preparò il bollitore, e la sua
mente cercò di capire per quale motivo Paul si fosse precipitato a casa sua,
nel bel mezzo di un temporale, con un ombrello che ovviamente non aveva
compiuto il suo lavoro in modo adeguato.
C'erano alcuni aspetti di quel ragazzo che, nonostante fosse entrato nella
vita di John da diverso tempo, risultavano ancora incomprensibili.
E la maggior parte di questi comportamenti erano tutti collegati allo
stesso John.
Come in quel momento. Quel temporale era scoppiato all'improvviso e a John
non piaceva affatto il temporale. Era troppo "arrabbiato" per i suoi
gusti. Gli ricordava molto se stesso, uno sempre arrabbiato, che si sfogava con
quegli accessi d'ira e lo faceva con persone che non avevano alcuna colpa.
Quante volte l'aveva fatto anche John?
E uno dei suoi bersagli preferiti era Paul.
Ma nonostante tutto quello che John potesse dirgli o fargli, Paul era
sempre lì, a ripararsi dalla furia di John con un ombrello mezzo distrutto, a
non uscirne mai indenne, eppure... Paul era sempre lì.
Per John.
Non era una novità, per John, scoprire di desiderare di avere Paul accanto
a sé, per riparare anche lui dalla sua stessa ira, per provare a placarla. Non
sempre con le parole, perché le parole entravano e uscivano dalle orecchie di
John senza che lui le assimilasse e facesse proprie. Piuttosto Paul sapeva come
aiutarlo con i gesti, e solitamente si trattava di un abbraccio. All'inizio
erano semplicemente due mani sulle spalle. Poi un braccio intorno al collo. E
infine Paul lo abbracciava totalmente, avvolgendosi intorno a lui come volesse
ripararlo.
Se c'era una cosa che John aveva capito, era che il suo approccio
funzionava maledettamente. Poteva scappare dalle parole, dalle ramanzine, dai
"John, non fare lo stronzo".
Tuttavia mai e poi mai avrebbe potuto sfuggire alle braccia sempre aperte
di Paul, alle sue carezze rassicuranti che mettevano tutto a posto.
E se doveva essere sincero, andava bene così.
Un altro improvviso tuono lo fece sussultare e rabbrividire. Mentalmente e
suo malgrado ringraziò Paul che scese dal piano di sopra proprio mentre il
bollitore iniziava a fischiare. All’improvviso, con tutti quei cupi pensieri
che si erano accumulati nella sua mente, pronti a scatenare un temporale, John
capì che non aveva alcuna voglia di stare da solo in quel momento. Era per
questo che Paul era venuto?
John scosse il capo ridestandosi e preparando due tazze di tè caldo e
fumante. In una versò il latte, come piaceva a Paul, e nell'altra aggiunse una
fetta di limone, come piaceva a John. Poi appoggiò tutto su un vassoio e si
diresse nel soggiorno. Non mancò di notare che Paul, ora asciutto nei suoi
stessi vestiti, si fosse trascinato dietro una leggera coperta con cui si era
avvolto, prima di sedersi davanti al focolare.
Il giovane uomo sorrise alla visione prima di avanzare nella sala.
“Il tè è pronto.”
Paul si voltò verso di lui, sorridendo dolcemente, “Grazie.”
Poi tornò a guardare il focolare e John sbuffò, portando le mani sui
fianchi, “Sua Maestà desidera anche che glielo porti lì?”
Paul rise e scosse il capo, prima di fargli cenno di raggiungerlo. John,
perplesso, lo fissò un istante, non capendo le sue intenzioni, ma decise di
obbedire.
“Si può sapere che hai oggi?” gli domandò alla fine, accovacciandosi di
fronte a lui.
Paul non rispose. Si limitò a fissarlo con i suoi grandi, decisamente
troppo grandi occhi, e poi allungò le braccia per avvolgerle intorno al collo
di John e attirarlo a sé.
“Niente, volevo solo fare questo.” sussurrò teneramente al suo orecchio.
John ignorò il mancato battito del suo cuore. Per quanto potesse essere
suscettibile alla voce, al tocco di Paul, doveva darsi un contegno, o almeno
provarci. Era pur sempre John Lennon. Non poteva essere visto nel bel mezzo di
certi atteggiamenti con un altro ragazzo.
“Ah, ora capisco, sei venuto per fare la checca.” lo schernì, pur
pentendosene l'attimo seguente.
“Smettila." sbottò Paul, dandogli un'amorevole pacca sulla nuca,
"Sono venuto per te.”
“E perché mai?”
“Per il temporale.”
John aggrottò la fronte, mentre il suo cuore scatenava una tempesta
nel suo petto. Cosa intendeva esattamente Paul?
“Il temporale?”
“Ma certo." rispose Paul, scostandosi
appena per poterlo guardare negli occhi, "Tu hai paura dei temporali,
vero?”
John sbuffò, sdegnato, “Col cazzo.”
“Invece sì.”
“Credo che tu ti stia confondendo, figliolo.” affermò, cercando un tono
sicuro e spavaldo che in quel momento sentiva poco suo, “Io non ho paura
dei temporali.”
Sapeva di non essere convincente, e neanche credibile in effetti. Non
avrebbe creduto nemmeno lui alle sue parole. Ma doveva pur fare un tentativo,
per salvare il suo onore. Non poteva dare tutto questo potere a un ragazzino
come Paul, semplicemente non poteva. Era pericoloso, erano guai, era…
“Io dico che ne hai paura.” continuò Paul, facendo sfiorare i loro nasi e
John deglutì sonoramente.
“E perché mai?”
Le braccia di Paul si strinsero di più intorno a John, prima di lasciarsi
andare all’indietro e sdraiarsi accanto al camino, portando con sé il compagno.
“Perché lo so io.” rispose Paul, sorridendo con una sicurezza nei suoi
occhi, che John si ritrovò ad invidiare.
E soprattutto, una sicurezza che lo fece arrendere, come se armato di quel
semplice ombrello rotto, Paul si fosse fatto strada dentro di lui, fino al
nucleo più profondo del suo cuore, per leggere tutto ciò che lì era stato
nascosto da John.
John non avrebbe mai potuto né voluto contrastare qualcuno che aveva
mostrato di possedere quel potere e di saperlo usare.
“E tu sai sempre tutto, vero?”
“Ovvio.” esclamò Paul, alzando gli occhi al cielo, “Che domande fai?”
“Perciò credi che la tua sola presenza basti per farmi stare meglio?”
“Decisamente sì.”
“Non sei un po’… come dire, presuntuoso?”
“Forse.” disse Paul, scrollando le spalle, “Ma comunque, sei contento che
io sia qui, lo so bene.”
“Ah sì?”
“Sì, e ora possiamo anche smetterla con queste smancerie e prendere il tè.”
Paul fece per alzarsi, ma proprio in quell’istante il rumore di un tuono
che squarciò il cielo e illuminò brevemente la sala, fece sussultare entrambi.
Per questo motivo John lo trattenne giù e quando Paul lo guardò, sorpreso, si
limitò a sorridergli.
“Aspetta.” gli disse e subito dopo fu lui ad avvolgerlo tra le sue braccia.
Paul rise dolcemente, sottomettendosi volentieri alle sue azioni, “Te
l’avevo detto che avevi paura dei temporali.”
“E va bene, hai vinto.” esclamò John, sporgendosi verso di lui alla ricerca
di un bacio, “Ora però sta’ zitto un attimo.”
“Ma il tè si raffredda.” protestò vivacemente l’altro ragazzo.
“E che importa? Ho qualcosa di molto più caldo fra le braccia.”
“Non mi dire…”
“Sì, è venuto qui affrontando un forte temporale solo per tranquillizzare
me.” spiegò John, molto orgoglioso, sollevando una mano per spostargli il
ciuffo di capelli dalla fronte.
“Che vuoi che ti dica?” sospirò Paul, arrossendo lievemente quando John
sfiorò il suo collo con le labbra, “Deve essere un bravo ragazzo. Molto
premuroso.”
“Oh sì, e io ne voglio approfittare.” mormorò John, la voce soffocata dalla
pelle calda e umida di Paul.
“Ora?”
“Ora.”
“Che duro lavoro.”
*****
Un lampo accecante illuminò tutta la città di New York e subito dopo il
rombo del tuono fece vibrare i vetri della finestra.
Anche John si sentì tremare proprio come quei vetri.
Assisteva a quello spettacolo della natura, appollaiato sulla seduta
annessa della finestra del suo appartamento che dominava su Central Park.
Yoko era chiusa in studio da giorni e da giorni quel temporale imperversava
sulla metropoli.
Continuava a non piacergli, il temporale, anche ora che si era allontanato
da tutte quelle costrizioni che, nella sua opinione, rappresentavano dei
guinzagli, o peggio, i fili dei burattini.
John non ammetteva spesso di sbagliare: se poteva evitarlo, beh, evitava.
Il problema era che ammettere di sbagliare aggiungeva altra insicurezza a
quella già presente e troppo ingombrante in lui.
Tuttavia in questo caso doveva proprio ammetterlo. Aveva pensato che
cambiare aria, lasciare l’Inghilterra, lasciare i suoi amici avrebbe dato nuova
linfa, nuovo vigore alla sua vita. Ma mai e poi mai, nel momento della
decisione, avrebbe immaginato che i suoi problemi l’avrebbero seguito, come un
bagaglio invisibile sull’aereo.
Perciò eccola lì, la paura del temporale. Quel temporale che lo spaventava
terribilmente perché ora lo sapeva: il temporale è la paura di restare soli.
E John era solo ora. Glielo mostrava chiaramente il lieve riflesso sul vetro.
Quell’uomo di quasi quarant’anni, con il viso pallido, smunto, forse troppo
magro, con le prime rughe che decoravano i suoi lineamenti, i capelli appena
più diradati… proprio quell’uomo era lui. Ma più di tutto questo, era solo.
Maledettamente solo.
E faceva male, rivedere nel fuoco che bruciava ancora nei suoi occhi, il
focolare di casa sua, presso cui si accoccolavano lui e Paul, quando arrivava
il temporale e pochi minuti dopo, Paul arrivava a casa sua.
Quando sdraiati sul pavimento del salotto, tutto ciò che John poteva
sentire era il battito del cuore di Paul, i suoi occhi, i suoi capelli neri, il
calore del suo corpo che, come la coperta più calda, lo avvolgeva
completamente.
In quel momento, con le braccia di Paul intorno alla sua vita e i suoi
dolci sussurri che sfioravano il suo viso, John sapeva di non essere solo
perché Paul aveva questa straordinaria abilità di allontanare il temporale dal
suo cuore.
La straordinaria abilità di fargli credere che non sarebbe stato mai più
solo, fintanto che ci fosse stato Paul a correre da lui ogni volta che John ne
avesse bisogno.
Ed era vero, perché ora era solo e Paul non poteva raggiungerlo. Paul era
ad un oceano di distanza da lui. Anche se avesse voluto, non sarebbe mai
arrivato in tempo.
Non ci sarebbero più state le braccia aperte di Paul, pronte ad avvolgerlo,
né il suo corpo caldo, a cui John poteva aggrapparsi quando i tuoni lo facevano
sussultare per lo spavento.
Era rimasto solo il freddo intorno a lui, invisibili braccia gelate gli accarezzavano
la schiena, mentre tra le sue c’era il vuoto.
Per questo motivo, forse, John si lasciò andare alla voglia di abbracciare
le sue gambe.
E se chiudeva gli occhi, poteva aggrapparsi con forza a quel ricordo.
Se chiudeva gli occhi, veniva trasportato nuovamente nella sua casa.
Se chiudeva gli occhi, Paul era lì, per lui, con le sue braccia aperte, per
dirgli…
“Posso entrare, John?”
Note dell’autrice: madonna, è tipo un mese
che non pubblico. Non ci sono abituata, ma è un periodo super stressante. E
questo ovviamente si riflette in meno tempo per scrivere e soprattutto, meno
ispirazione. Argh… odio non avere ispirazione quando
voglio scrivere.
Comunque questa dovevo scriverla come ultimo regalo di compleanno di Anya,
che è stato più o meno due settimane fa e io sono una pessima persona a fare le
cose in ritardo. ç_ç
Il bello è che, oltre a prendere ispirazione dalla canzone Open arms dei Journey, i prompt della storia li ha dati proprio lei, lol. Ovvero: tè che si raffredda, temporale, coccole. Con
la speranza forse di ritrovarsi una totally fluff,
invece bam, fluff+puntina
di angst.
*prende ombrello di Paul per ripararsi dalla furia di Anya*
*getta ombrello perché fa schifo*
Grazie a SillyLoveSongs
per la correzione e a workingclassheroine
per la consulenza. Io vi adoro perché mi avete salvato la vita. Letteralmente.
*^*
Auguri ancora, in ritardo, e anche un grazie grande quanto una casa ad Anya.
Capita raramente di trovare un amico che possa imparare a conoscerti anche
senza la possibilità di vedersi tutti i giorni. O che ti accetti e supporti
comunque, nonostante le stupide paturnie che ci facciamo. O ancora che ti sia
accanto, anche da lontano, anche con un solo “Messaggio da…”, quando tutto
sembra andare a rotoli. O che in così poco tempo abbia imparato a conoscerti,
prevedendo le tue reazioni, sapendo rivolgerti le parole più giuste o trovando
anche il coraggio di strigliarti per bene quando è necessario.
Ecco, proprio questa è una grande fortuna e penso che uno debba saperle
cogliere e apprezzare, queste piccole grandi fortune della vita. In questo
senso sono decisamente fortunata. E lo sono grazie ad Anya. Ti voglio bene, mia
cara. Per i motivi, vedi sopra. :3
Detto ciò, ahh, non voglio lasciare efp, ma probabile mi prenderò un periodo di pausa, dalla
pubblicazione, non dallo scrivere. Ho ancora un po’ di idee da sistemare. O
comunque se proprio dovesse venirmi una super ideona, allora potrei pubblicare.
In realtà tutta ‘sta manfrina significa: probabilmente mi rivedrete tra un mese,
eh? xD Come faccio ad abbandonare John e Paul? Non
posso. Punto.
Sto parlando troppo, dio mio. Meglio togliere baracca e burattini.
Grazie per todo, e a presto. Spero… :D
Kia85