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Autore: Kia85    14/05/2015    2 recensioni
Mai e poi mai, nel momento della decisione, avrebbe immaginato che i suoi problemi l’avrebbero seguito, come un bagaglio invisibile sull’aereo.
Perciò eccola lì, la paura del temporale. Quel temporale che lo spaventava terribilmente perché ora lo sapeva: il temporale è la paura di restare soli.
E John era solo ora.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E buon compleanno, in ritardo, in stra-ritardo, ad Anya. <3

(spero che l’augurio arcobaleno sia abbastanza gay e trash)

 

 

Open arms

 

 

“Che ci fai qui?”

Paul rise appena al tono sinceramente sorpreso di John, mentre cercava di chiudere l’ombrello malconcio e zuppo d’acqua, tanto quanto lui.

“Posso entrare prima? Questo fottuto ombrello è rotto.”

Detto questo fece per avanzare nell'ingresso senza neanche aspettare il consenso di John, ma questi lo bloccò fuori con una mano sul suo petto.

“In realtà sono combattuto.” iniziò a dire John, il più sardonico dei ghigni danzava sulle sue labbra, rendendolo davvero inquietante alla luce dei lampi che di tanto in tanto squarciavano il cielo scuro, “Potrei prima costringerti a rispondere alla mia domanda. Si tratta pur sempre di casa mia. Non posso certo far entrare chiunque!”

“Oh davvero? E io potrei lavarti in un istante con questo, se non mi fai entrare.” sbottò Paul, brandendo l’ombrello fradicio come una pericolosa arma letale.

Per sua fortuna, la terrificante minaccia ebbe l’effetto da lui sperato e il sorriso di John vacillò.

“Non oseresti.”

“Scommetti?” esclamò Paul, agitandolo appena di modo che qualche goccia finisse sui vestiti asciutti di John.

“Prego, signore, accomodatevi pure.” disse John, arrendendosi, e si fece subito da parte per far passare Paul che, soddisfatto, entrò finalmente in casa.

“Grazie.”

“Prima però..." proseguì John, afferrandolo per un braccio con decisione, "Togliti le scarpe, altrimenti lasci le impronte e poi chi la sente Mimi? Già ti detesta. Se le dico anche che hai imbrattato casa è la fine. Mi vieterebbe di frequentarti ancora e come tu ben sai, io dovrei obbedire e mettere fine a questa collab-"

"Ho capito, ho capito." borbottò Paul, interrompendolo, "Non fare tanto il melodrammatico."

"Non è essere melodrammatico. È la verità." ribatté John, incrociando le braccia, "Sono io che me la sorbisco tutti i giorni, sai?"

"Comunque..." sbuffò Paul, prima di obbedire, “Le avrei tolte senza le tue lagne. Ho anche le calze bagnate, sai, con questo acquazzone maledetto. Penso di avere tutta l'acqua degli oceani della terra nei miei stivali.”

"È perché devi crescere." gli fece notare John, divertito.

"E diventare più alto di te?"

"Ovviamente no, stupido che non sei altro."

"Hai ragione. Lo sono già." commentò Paul, prima che la sua risata riempisse l’ingresso.

John la trovava sempre molto contagiosa, come risata, ma in quel caso non poté fare a meno di ribattere con una delle sue battute, una di quelle da John Lennon.

"Beh, senti, se questo è il tipo di dimensioni che contano per te, allora congratulazioni." disse, scrollando le spalle con fare noncurante.

Paul lo osservò un istante e si lasciò scappare una risata, mentre si decideva infine ad abbandonare scarpe e calze nell’ingresso.

“E dove sarebbe Mimi?” chiese poi, interessato, seguendo John nel salotto e guardandosi intorno.

“Oh, a qualche riunione su qualcosa della parrocchia… si chiama così, no?”

“Parrocchia, sì… o forse pannocchia?”

“O pastrocchia.”

“O pernacchia.”

“Ehi, starebbero bene per la nostra prossima canzone.” esclamò John, entusiasta.

“Sì, pensa che bella canzone uscirà. Oh ragazza, ti prego fai una pernacchia, alla mia pannocchia nel cortile della parrocchia.”

"Scalerebbe le classifiche di tutto il mondo."

"Me lo immagino." commentò Paul, distrattamente, avvicinandosi al camino in cerca di calore.

John lo seguì con lo sguardo e solo allora notò, con la luce più vivace del focolare, i vestiti fradici e i capelli bagnati di Paul, nonché un lieve tremore che scuoteva le sue braccia ora protese in avanti.

“Certo che non avevi bisogno di affrontare questo temporale solo per comporre una canzone di dubbio gusto con me.” gli fece notare.

“Ma non sono venuto per questo, figuriamoci.” sbuffò divertito Paul.

“E allora per cosa?”

Paul si strofinò le mani prima di voltarsi, guardarlo e glissare abilmente il discorso, “Che ne dici di una tazza di tè caldo, intanto? Sono congelato fino alle ossa.”

“Ma…”

“Sto proprio morendo di freddo.”

“E tè sia.” sospirò John, sconfitto, “Perché nel frattempo non vai anche a cambiarti in camera mia? Dubito che potrei sopportarti se cominciassi a starnutire perché ti ho fatto restare in questo stato."

“Con cosa esattamente?”

“Con qualche vestito dei miei, non certo quelli di Mimi, idiota." rispose John, alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia.

“Posso davvero?" chiese Paul, balzando in piedi, i suoi occhi brillavano per la sorpresa, "Restare da solo nella camera del grande John Lennon?”

“Basta che non tocchi nient’altro al di là dello stretto necessario, altrimenti ti uccido.”

Paul rise, “Affare fatto.”

Dopodiché si precipitò al piano superiore, facendo un gran fracasso e John lo guardò fin quando un tuono rimbombò scuotendolo e destandolo dai suoi pensieri.

Si convinse a raggiungere la cucina dove preparò il bollitore, e la sua mente cercò di capire per quale motivo Paul si fosse precipitato a casa sua, nel bel mezzo di un temporale, con un ombrello che ovviamente non aveva compiuto il suo lavoro in modo adeguato.

C'erano alcuni aspetti di quel ragazzo che, nonostante fosse entrato nella vita di John da diverso tempo, risultavano ancora incomprensibili.

E la maggior parte di questi comportamenti erano tutti collegati allo stesso John.

Come in quel momento. Quel temporale era scoppiato all'improvviso e a John non piaceva affatto il temporale. Era troppo "arrabbiato" per i suoi gusti. Gli ricordava molto se stesso, uno sempre arrabbiato, che si sfogava con quegli accessi d'ira e lo faceva con persone che non avevano alcuna colpa.

Quante volte l'aveva fatto anche John?

E uno dei suoi bersagli preferiti era Paul.

Ma nonostante tutto quello che John potesse dirgli o fargli, Paul era sempre lì, a ripararsi dalla furia di John con un ombrello mezzo distrutto, a non uscirne mai indenne, eppure... Paul era sempre lì. 

Per John.

Non era una novità, per John, scoprire di desiderare di avere Paul accanto a sé, per riparare anche lui dalla sua stessa ira, per provare a placarla. Non sempre con le parole, perché le parole entravano e uscivano dalle orecchie di John senza che lui le assimilasse e facesse proprie. Piuttosto Paul sapeva come aiutarlo con i gesti, e solitamente si trattava di un abbraccio. All'inizio erano semplicemente due mani sulle spalle. Poi un braccio intorno al collo. E infine Paul lo abbracciava totalmente, avvolgendosi intorno a lui come volesse ripararlo.

Se c'era una cosa che John aveva capito, era che il suo approccio funzionava maledettamente. Poteva scappare dalle parole, dalle ramanzine, dai "John, non fare lo stronzo".

Tuttavia mai e poi mai avrebbe potuto sfuggire alle braccia sempre aperte di Paul, alle sue carezze rassicuranti che mettevano tutto a posto.

E se doveva essere sincero, andava bene così.

Un altro improvviso tuono lo fece sussultare e rabbrividire. Mentalmente e suo malgrado ringraziò Paul che scese dal piano di sopra proprio mentre il bollitore iniziava a fischiare. All’improvviso, con tutti quei cupi pensieri che si erano accumulati nella sua mente, pronti a scatenare un temporale, John capì che non aveva alcuna voglia di stare da solo in quel momento. Era per questo che Paul era venuto?

John scosse il capo ridestandosi e preparando due tazze di tè caldo e fumante. In una versò il latte, come piaceva a Paul, e nell'altra aggiunse una fetta di limone, come piaceva a John. Poi appoggiò tutto su un vassoio e si diresse nel soggiorno. Non mancò di notare che Paul, ora asciutto nei suoi stessi vestiti, si fosse trascinato dietro una leggera coperta con cui si era avvolto, prima di sedersi davanti al focolare.

Il giovane uomo sorrise alla visione prima di avanzare nella sala.

“Il tè è pronto.”

Paul si voltò verso di lui, sorridendo dolcemente, “Grazie.”

Poi tornò a guardare il focolare e John sbuffò, portando le mani sui fianchi, “Sua Maestà desidera anche che glielo porti lì?”

Paul rise e scosse il capo, prima di fargli cenno di raggiungerlo. John, perplesso, lo fissò un istante, non capendo le sue intenzioni, ma decise di obbedire.

“Si può sapere che hai oggi?” gli domandò alla fine, accovacciandosi di fronte a lui.

Paul non rispose. Si limitò a fissarlo con i suoi grandi, decisamente troppo grandi occhi, e poi allungò le braccia per avvolgerle intorno al collo di John e attirarlo a sé.

“Niente, volevo solo fare questo.” sussurrò teneramente al suo orecchio.

John ignorò il mancato battito del suo cuore. Per quanto potesse essere suscettibile alla voce, al tocco di Paul, doveva darsi un contegno, o almeno provarci. Era pur sempre John Lennon. Non poteva essere visto nel bel mezzo di certi atteggiamenti con un altro ragazzo.

“Ah, ora capisco, sei venuto per fare la checca.” lo schernì, pur pentendosene l'attimo seguente.

“Smettila." sbottò Paul, dandogli un'amorevole pacca sulla nuca, "Sono venuto per te.”

“E perché mai?”

“Per il temporale.”

John aggrottò la fronte, mentre il suo cuore scatenava una tempesta nel suo petto. Cosa intendeva esattamente Paul?

 “Il temporale?”

“Ma certo." rispose Paul, scostandosi appena per poterlo guardare negli occhi, "Tu hai paura dei temporali, vero?”                                                            

John sbuffò, sdegnato, “Col cazzo.”

“Invece sì.”

“Credo che tu ti stia confondendo, figliolo.” affermò, cercando un tono sicuro e spavaldo che in quel momento sentiva poco suo, “Io non ho paura dei temporali.”

Sapeva di non essere convincente, e neanche credibile in effetti. Non avrebbe creduto nemmeno lui alle sue parole. Ma doveva pur fare un tentativo, per salvare il suo onore. Non poteva dare tutto questo potere a un ragazzino come Paul, semplicemente non poteva. Era pericoloso, erano guai, era…

“Io dico che ne hai paura.” continuò Paul, facendo sfiorare i loro nasi e John deglutì sonoramente.

“E perché mai?”

Le braccia di Paul si strinsero di più intorno a John, prima di lasciarsi andare all’indietro e sdraiarsi accanto al camino, portando con sé il compagno.

“Perché lo so io.” rispose Paul, sorridendo con una sicurezza nei suoi occhi, che John si ritrovò ad invidiare.

E soprattutto, una sicurezza che lo fece arrendere, come se armato di quel semplice ombrello rotto, Paul si fosse fatto strada dentro di lui, fino al nucleo più profondo del suo cuore, per leggere tutto ciò che lì era stato nascosto da John.

John non avrebbe mai potuto né voluto contrastare qualcuno che aveva mostrato di possedere quel potere e di saperlo usare.

“E tu sai sempre tutto, vero?”

“Ovvio.” esclamò Paul, alzando gli occhi al cielo, “Che domande fai?”

“Perciò credi che la tua sola presenza basti per farmi stare meglio?”

“Decisamente sì.”

“Non sei un po’… come dire, presuntuoso?”

“Forse.” disse Paul, scrollando le spalle, “Ma comunque, sei contento che io sia qui, lo so bene.”

“Ah sì?”

“Sì, e ora possiamo anche smetterla con queste smancerie e prendere il tè.”

Paul fece per alzarsi, ma proprio in quell’istante il rumore di un tuono che squarciò il cielo e illuminò brevemente la sala, fece sussultare entrambi. Per questo motivo John lo trattenne giù e quando Paul lo guardò, sorpreso, si limitò a sorridergli.

“Aspetta.” gli disse e subito dopo fu lui ad avvolgerlo tra le sue braccia.

Paul rise dolcemente, sottomettendosi volentieri alle sue azioni, “Te l’avevo detto che avevi paura dei temporali.”

“E va bene, hai vinto.” esclamò John, sporgendosi verso di lui alla ricerca di un bacio, “Ora però sta’ zitto un attimo.”

“Ma il tè si raffredda.” protestò vivacemente l’altro ragazzo.

“E che importa? Ho qualcosa di molto più caldo fra le braccia.”

“Non mi dire…”

“Sì, è venuto qui affrontando un forte temporale solo per tranquillizzare me.” spiegò John, molto orgoglioso, sollevando una mano per spostargli il ciuffo di capelli dalla fronte.

“Che vuoi che ti dica?” sospirò Paul, arrossendo lievemente quando John sfiorò il suo collo con le labbra, “Deve essere un bravo ragazzo. Molto premuroso.”

“Oh sì, e io ne voglio approfittare.” mormorò John, la voce soffocata dalla pelle calda e umida di Paul.

“Ora?”

“Ora.”

“Che duro lavoro.”

*****

Un lampo accecante illuminò tutta la città di New York e subito dopo il rombo del tuono fece vibrare i vetri della finestra.

Anche John si sentì tremare proprio come quei vetri.

Assisteva a quello spettacolo della natura, appollaiato sulla seduta annessa della finestra del suo appartamento che dominava su Central Park.

Yoko era chiusa in studio da giorni e da giorni quel temporale imperversava sulla metropoli.

Continuava a non piacergli, il temporale, anche ora che si era allontanato da tutte quelle costrizioni che, nella sua opinione, rappresentavano dei guinzagli, o peggio, i fili dei burattini.

John non ammetteva spesso di sbagliare: se poteva evitarlo, beh, evitava. Il problema era che ammettere di sbagliare aggiungeva altra insicurezza a quella già presente e troppo ingombrante in lui.

Tuttavia in questo caso doveva proprio ammetterlo. Aveva pensato che cambiare aria, lasciare l’Inghilterra, lasciare i suoi amici avrebbe dato nuova linfa, nuovo vigore alla sua vita. Ma mai e poi mai, nel momento della decisione, avrebbe immaginato che i suoi problemi l’avrebbero seguito, come un bagaglio invisibile sull’aereo.

Perciò eccola lì, la paura del temporale. Quel temporale che lo spaventava terribilmente perché ora lo sapeva: il temporale è la paura di restare soli.

E John era solo ora. Glielo mostrava chiaramente il lieve riflesso sul vetro. Quell’uomo di quasi quarant’anni, con il viso pallido, smunto, forse troppo magro, con le prime rughe che decoravano i suoi lineamenti, i capelli appena più diradati… proprio quell’uomo era lui. Ma più di tutto questo, era solo.

Maledettamente solo.

E faceva male, rivedere nel fuoco che bruciava ancora nei suoi occhi, il focolare di casa sua, presso cui si accoccolavano lui e Paul, quando arrivava il temporale e pochi minuti dopo, Paul arrivava a casa sua.

Quando sdraiati sul pavimento del salotto, tutto ciò che John poteva sentire era il battito del cuore di Paul, i suoi occhi, i suoi capelli neri, il calore del suo corpo che, come la coperta più calda, lo avvolgeva completamente.

In quel momento, con le braccia di Paul intorno alla sua vita e i suoi dolci sussurri che sfioravano il suo viso, John sapeva di non essere solo perché Paul aveva questa straordinaria abilità di allontanare il temporale dal suo cuore.

La straordinaria abilità di fargli credere che non sarebbe stato mai più solo, fintanto che ci fosse stato Paul a correre da lui ogni volta che John ne avesse bisogno.

Ed era vero, perché ora era solo e Paul non poteva raggiungerlo. Paul era ad un oceano di distanza da lui. Anche se avesse voluto, non sarebbe mai arrivato in tempo.

Non ci sarebbero più state le braccia aperte di Paul, pronte ad avvolgerlo, né il suo corpo caldo, a cui John poteva aggrapparsi quando i tuoni lo facevano sussultare per lo spavento.

Era rimasto solo il freddo intorno a lui, invisibili braccia gelate gli accarezzavano la schiena, mentre tra le sue c’era il vuoto.

Per questo motivo, forse, John si lasciò andare alla voglia di abbracciare le sue gambe.

E se chiudeva gli occhi, poteva aggrapparsi con forza a quel ricordo.

Se chiudeva gli occhi, veniva trasportato nuovamente nella sua casa.

Se chiudeva gli occhi, Paul era lì, per lui, con le sue braccia aperte, per dirgli…

“Posso entrare, John?”

 

 

Note dell’autrice: madonna, è tipo un mese che non pubblico. Non ci sono abituata, ma è un periodo super stressante. E questo ovviamente si riflette in meno tempo per scrivere e soprattutto, meno ispirazione. Argh… odio non avere ispirazione quando voglio scrivere.

Comunque questa dovevo scriverla come ultimo regalo di compleanno di Anya, che è stato più o meno due settimane fa e io sono una pessima persona a fare le cose in ritardo. ç_ç

Il bello è che, oltre a prendere ispirazione dalla canzone Open arms dei Journey,  i prompt della storia li ha dati proprio lei, lol. Ovvero: tè che si raffredda, temporale, coccole. Con la speranza forse di ritrovarsi una totally fluff, invece bam, fluff+puntina di angst.

*prende ombrello di Paul per ripararsi dalla furia di Anya*

*getta ombrello perché fa schifo*

Grazie a SillyLoveSongs per la correzione e a workingclassheroine per la consulenza. Io vi adoro perché mi avete salvato la vita. Letteralmente. *^*

Auguri ancora, in ritardo, e anche un grazie grande quanto una casa ad Anya.

Capita raramente di trovare un amico che possa imparare a conoscerti anche senza la possibilità di vedersi tutti i giorni. O che ti accetti e supporti comunque, nonostante le stupide paturnie che ci facciamo. O ancora che ti sia accanto, anche da lontano, anche con un solo “Messaggio da…”, quando tutto sembra andare a rotoli. O che in così poco tempo abbia imparato a conoscerti, prevedendo le tue reazioni, sapendo rivolgerti le parole più giuste o trovando anche il coraggio di strigliarti per bene quando è necessario.

Ecco, proprio questa è una grande fortuna e penso che uno debba saperle cogliere e apprezzare, queste piccole grandi fortune della vita. In questo senso sono decisamente fortunata. E lo sono grazie ad Anya. Ti voglio bene, mia cara. Per i motivi, vedi sopra. :3

Detto ciò, ahh, non voglio lasciare efp, ma probabile mi prenderò un periodo di pausa, dalla pubblicazione, non dallo scrivere. Ho ancora un po’ di idee da sistemare. O comunque se proprio dovesse venirmi una super ideona, allora potrei pubblicare.

In realtà tutta ‘sta manfrina significa: probabilmente mi rivedrete tra un mese, eh? xD Come faccio ad abbandonare John e Paul? Non posso. Punto.

Sto parlando troppo, dio mio. Meglio togliere baracca e burattini.

Grazie per todo, e a presto. Spero… :D

Kia85

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




   
 
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