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Autore: Ladyriddle    17/05/2015    14 recensioni
Semplicemente una raccolta di storie, momenti, personaggi e coppie.
1. Indice
2. Al di là del bene e del male [Tom O. Riddle- flash fic] Terza classificata al contest 'Soldati' di Rosmary; Prima classificata al contest ''In Character - perché vero è meglio" e vincitrice del premio IC valutato da Merion Selene; Prima al “Flash Contest – Only Old Generation” e vincitrice del miglior personaggio maschile indetto da Himeko Kuroba
3. Un sentiero per i Campi Elisi [OS -Regulus Black]
4- Alphard Black/Bilius Weasley (Flash fic)
5 ''Prometeo Incatenato'' (Flash Fic- Grindeldore) Prima classificata al contest ''Il peggior giorno della mia vita'' e vincitrice del premio Feels, indetto da Mary Black
6 ''Sogni andati a male'' Merope Graunt - Seconda classificata al contest ''Viva la mamma'' di Nuel
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Harry Potter, Tom O. Riddle, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Albus/Gellert
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
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Seconda classificata al contest ''Viva la mamma di Nuel'';
Terza classificata al contest ''Un'edita per Serpeverde'';
Quarta classificata al contest ''Make it simple, make it memorable.
 Make it inviting to look at, make it fun to read'' di Stratovella, vincitrice del premio speciale ''Inviting to look'' per il miglior titolo.
 

Sogni andati a male



fan art by WunderVogel

 
I sogni, come gli incubi, sono destinati a divenir leggiadra polvere al tenero e caldo sorgere del sole. 
- Anonimo 

 
 
Merope conservava pochi sbiaditi ricordi di sua madre; ricordava il suono della sua voce mentre le narrava storie che a sua volta aveva imparato da bambina. Parlavano dell'avarizia dei folletti ai danni dei maghi, di streghe che vivevano ai margini di grandi foreste e che usavano la loro furbizia ai danni degli uomini o di sprovveduti Babbani. 
    Essere donna, nella casa dov'era cresciuta, equivaleva a essere una disgrazia inutile; ma le streghe di quelle fiabe erano potenti, astute e soprattutto bellissime coi loro lunghi capelli castani e le labbra rosse come sangue.
    Merope era una Maganò, come le ripeteva almeno una dozzina di volte al giorno suo padre, e non era neanche bella, come le ricordava Orfin con espressione maligna tra un sibilo e una risata gracchiante.
    Calde lacrime scendevano lungo i lineamenti disarmonici di una Merope bambina e avrebbero continuato a scendere durante tutta l'adolescenza, quando le fanciulle sbocciavano come rose di maggio, lei continuava ad avere i capelli stopposi come paglia e i lineamenti duri e marcati. 
    Non c'era magia nella sua vita se non in quei sogni in cui si abbandonava quando, finalmente, riusciva a posare il capo sul cuscino duro e da lì guardava fuori, attraverso il vetro delle finestre. Teneva lo sguardo fisso sulle stelle, cercando quella da cui prendeva il nome. 
    Sognava di essere liberata da un cavaliere che avrebbe ucciso il drago posto a difesa della torre in cui era rinchiusa, immaginava di danzare come una Veela o di essere ammirata e temuta per la sua capacità di distillare pozioni. 
     
“Sudicia piccola Maganò, traditrice del tuo sangue!!” 
Marvolo colpiva sua figlia e lei piangeva e a ogni lacrima la collera dell'uomo cresceva. Sciocca e debole, inutile donna e indegna di essere considerata l'erede di Salazar. 
Orfin rideva con quel suo ghigno storto, gli occhi strabici lucidi dal divertimento.


Una notte, la risata di suo fratello aveva infestato i suoi sogni. La sentiva da lontano flebile eppure insistente, tanto che non riusciva più a immaginarsi con lunghi capelli che si muovevano nel vento mentre camminava sull'acqua, aggraziata come una libellula.
      Aveva cominciato a sentire la risata gracchiante anche di giorno: scandiva il tempo quando la mano di Marvolo calava sul suo viso e Orfin non era in casa, poi, anche nei momenti di quiete, quando la testa le faceva male per le percosse subite e la vista le si appannava. Non riusciva più a distinguere se i suoi incubi fossero reali o sogni andati a male. 
    

 
Aveva i capelli tanto neri e opachi che non riflettevano la luce che filtrava dalle foglie che circondavano la catapecchia dove Merope viveva.
Era fiero ed elegante sul suo cavallo bianco ed era più bello di qualsiasi cavaliere avesse sognato.


Merope aveva smesso di guardare le stelle di notte, ma aveva comunque continuato a guardare fuori dalla finestra. 
    Tom passava vicino casa di Merope ogni volta che andava al villaggio, quindi tutti i giorni. In quei pochi secondi, da dietro le tende logore che dalla cucina davano sul vialetto, Merope osservava il giovane uomo sul suo destriero, desiderosa di scorgere i piccoli dettagli del suo viso. 
    Aveva ripreso a sognare a occhi aperti o chiusi, di giorno e di notte, e la risata del fratello non infestava più i suoi incubi, le percosse di suo padre non facevano più male. C'era Tom con il suo cavallo bianco, Tom che le si avvicinava per cingerle la vita e sfiorarle le labbra dolcemente. 

 
La Babbana aveva le labbra piene e rosse, lunghi capelli dorati che le scendevano in morbide ciocche che le coprivano il seno appena accennato.
Tom le parlava e le sorrideva teneramente, gli occhi scuri che brillavano come stelle.
 Merope non sentiva la sua voce per via della risata di Orfin che le rimbombava nella testa. 


Merope era sola, finalmente sola – libera!
   Si era portata le mani alle labbra per nascondere il sorriso mentre osservava la porta chiudersi alle spalle degli uomini che avevano portato via suo padre e suo fratello. Aveva squittito una risata tremula, poi aveva cominciato a ridere: una risata bassa e poi via via più forte, tanto ruvida da assomigliare allo sferragliare di un treno sulle rotaie. 

 
“Cecilia, tesoro.”

''L'ha chiamata tesoro, quindi non ti vorrebbe comunque!''

“Sudicia traditrice del tuo sangue!”
 
“Soffia, soffia, serpentello”


Merope aveva zittito le voci le voci nella sua testa e abbandonato in un cassetto i suoi sogni di fanciulla. C'era Tom ed era reale, era tutto ciò che desiderava dalla vita. 
     Prima o poi, Marvolo e Orfin sarebbero tornati e Merope aveva deciso di dare uno spintone al destino: voleva Tom accanto a sé e lo avrebbe avuto a qualunque costo.
     Una frenesia mai provata le scivolava nelle vene mentre cercava gli ingredienti con cui avrebbe confezionato la pozione che avrebbe portato Tom tra le sue braccia. Lei era una strega Purosangue, erede della nobile stirpe di Salazar Serpeverde.
Era una strega, nonostante ciò che aveva sempre affermato suo padre, la magia scorreva in lei e avrebbe potuto avere tutto ciò che voleva.

 
Tom la stringeva tra le sue braccia e la cullava dolcemente, 
le baciava le labbra e le accarezzava i capelli. 
La stringeva  facendola sentire protetta, desiderata e amata come mai in vita sua. 


Aveva smesso di sognare, in realtà aveva smesso persino di dormire. Trascorreva ore, intere notti, a osservare il viso perfetto di suo marito e ne tracciava i contorni con la punta di un dito, lieve, per non svegliarlo. 
    Tom aveva le ciglia lunghe che vibravano a ogni suo respiro, le labbra piene e rosee e la pelle pallida anche se con una leggera ombra a scurirgli la mascella squadrata – adorava quella leggera ruvidezza sulla pelle. 
     Ciò che più di ogni altra cosa Merope amava di Tom erano però le sue mani: grandi, con lunghe dita da pianista. Erano delicate e gentili mentre le accarezzavano i seni e il ventre gonfio.
     

 
Tom sarebbe tornato, non era andato via. 
Sarebbe tornato per lei e per il loro bambino. 
Le avrebbe sfiorato con le labbra il collo per poi chinarsi a baciarle la pancia. 
Avrebbero fatto l'amore, sarebbero stati insieme per sempre.
Non era andato via – era solo un incubo, un altro. L'ultimo. 


Sentiva movimenti concitati, i colori intorno a lei che sfumavano l'uno nell'altro insieme alle voci nella sua testa – i volti le danzavano come fiammelle consunte davanti agli occhi e le sussurravano nella lingua dei serpenti. 
    “Avanti, cara, spingi! Forza… Avanti, un bel respiro!” Qualcuno urlava da sopra i sussurri mentre un dolore mai provato le dilaniava la carne. 
    'Tom? Tom, dove sei?' Respirava a fatica e continuava a sentire solo qualcuno che urlava tra i sussurri e mani sottili – Tom?  –  che le premevano il ventre. Credette di urlare e forse lo fece e per un secondo, un secondo soltanto, i sussurri sparirono sostituiti dal pianto vigoroso.

 
“Non ti vorrebbe comunque”

“…traditrice del tuo sangue.”

''Soffia, soffia serpentello”

Stava guardando il suo bambino attraverso le palpebre grevi e stanche – non riusciva a tenerle completamente aperte e ancora stralci di lucidità ed illusione le appannavano la vista. Riuscì comunque a scorgere una zazzera di capelli neri e piccole labbra arricciate e rosee – Tom?
     “Come si chiama?” le chiese qualcuno in quello che doveva essere un sussurro, ma che le arrivò come un grido che le squarciò in due la testa. Si sentiva così stanca, senza forze.
“Tom come suo padre. Marvolo come il mio” sussurrò mentre sentiva che il peso tra le braccia le veniva portato via. “Il cognome dev'essere… dev'essere Riddle. Per favore” sussurrò debolmente.
    “Come si chiama?” Merope aprì gli occhi, riconoscendo la voce di Tom, del suo Tom. Mise a fuoco il suo viso, i capelli neri e il sorriso che gli increspava le labbra sottili e che rendeva il suo viso ancora più bello. 
Tom le allungò la mano e Merope sentì tutta la stanchezza scivolarle via mentre l'uomo che amava le prendeva una mano per portarsela alle labbra. 
    Merope rise mentre Tom le stringeva la vita e la sollevava e la faceva sentire leggera in quella mezza piroetta e le risate e la voce di Tom le riempivano le orecchie. Stava ancora affannando per la risata quando Tom si chinò, avvicinando il viso al proprio e Merope sorrise. 
    Chiudendo gli occhi, si abbandonò a quel bacio. 

 
 
*

Note:
Mi sono resa conto durante la stesura della storia che il personaggio di Merope è più difficile di quanto immaginassi, questa OS mi è costata molta fatica, molti cambi di prospettiva e stilistici.
Ho scelto un'impostazione stilistica particolare, cercando di confondere il lettore nell'inserire il testo rientrato che dovrebbe dare l'impressione degli incubi di Merope o (una volta letto il finale) di quello che prova durante il parto o di momenti salienti che si sovrappongono ai pezzi di quella vita che è allo stesso tempo un incubo e un sogno.
Oppure si possono leggere da soli, come se fossero slegati alla storia. 
Volevo dare un filo narrativo alla storia, pur mantenendo un carattere confusionario e spero di aver raggiunto l'obbiettivo.
Ho potuto scrivere di Merope solo vedendo in lei una persona profondamente disturbata e, alla fine, ho empatizzato molto con lei. Grazie a questa storia l'ho rivalutata. 

Il risultato finale mi piace e sono contenta di aver sperimentato qualcosa di nuovo per me.
  
   
 
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