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Autore: Tigre Rossa    25/05/2015    4 recensioni
“Non piangere. Se davvero esiste una vita dopo la morte come sostieni, ci vedremo lì. Saremo di nuovo io e te contro il resto del mondo, in un’altra vita.”
“Ci rincontreremo, Sherlock. è una promessa.”
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“Non c’è bisogno che ci presenti, Mike. Ci siamo già incontrati.”
“Davvero? E quando?”
“In un’altra vita.”
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ho attraversato gli oceani del tempo
per trovarti
 
 
 
 
 
“Mi troverai in un'altra vita, se non sarà in questa”
- cit.
 


1895
 
 
“Lei crede nella vita dopo la morte, Holmes?”
 
Credo che fosse una buia sera di novembre quando questa domanda, così inusuale ed insolita, mi sfuggì dalle labbra quasi senza che me ne accorgersi.
 
Non so perché lo dissi. Non ne ho proprio idea. So solo che lo feci, come spinto da uno strano presentimento, una oscura sensazione.
 
Holmes mi squadrò con i suoi occhi magnetici, sfilandosi con eleganza la pipa dalle labbra, mentre la nostra padrona di casa gli porgeva il the. Se la mia domanda l’aveva sorpreso, non lo diede affatto a vedere.
“Watson, mi conosce meglio di chiunque altro. Sa che io credo solo nella ragione e nella logica, e né la ragione né la logica ammettono la vita dopo la morte.”
“Ma nemmeno l’escludono.” ribattei prontamente, poggiando su un tavolino i miei appunti per il racconto che stavo completando.
Alzò gli occhi al cielo, sbruffando lievemente “Oh, Watson, per favore . . .”
“L’uomo non può conoscere tutto, per quanto lei sembri pensare il contrario. E i misteri della vita e della morte sono enigmi che nemmeno le sue beneamate logica e ragione possono risolvere. Quindi, tornando alla mia domanda: vita dopo la morte, si o no?” aggiunsi prontamente, fissandolo con attenzione.
Il mio coinquilino fece segno alla signora Hudson di lasciarci. Quando quest’ultima se ne fu andata, sbruffando, con la teiera ancora mezza piena, rimase in silenzio per qualche secondo a rigirarsi la pipa tra le lunghe dita da musicista.
“Non mi sono mai soffermato su tale interrogativo. Lei cosa ne pensa?” mi rispose infine, piegandosi verso di me e poggiando la pipa accanto ai miei scritti.
Sorrisi e mi misi a parlare velocemente, spostandomi sul bordo della mia poltrona “Sinceramente, io ci credo. O meglio, non credo in regni ultraterreni come l’inferno o il paradiso, ma penso che debba esserci qualcosa dopo la morte. Un’altra vita, magari, dove incontrare di nuovo coloro che abbiamo amato, dove rimediare a quello che abbiamo sbagliato in passato. O altre cento, mille, infinite, chissà. Non lo so. Ed è proprio questo il punto: nessuno sa. Ma se non ci fosse nulla, se la nostra esistenza non avesse un fine ultimo, una ragione, che senso avrebbe? Per quanto io sia un uomo di scienza, non posso credere che le nostre vite siano solo un capriccio chimico dell’universo.”
A questa mia appassionata spiegazione Holmes sorrise lievemente, come se quelle parole l’avessero divertito.
Scosse al testa, con le labbra pallide ancora piegante in quel sorriso ironico “Ah, è sempre il solito romantico. Per lei, anche il più piccolo fiore dovrebbe avere una ragione per sbocciare.”
Mi sentii punto sul vivo da quelle parole e mi affrettai a ribattere “Perchè, per lei le nostre vite sono forse senza senso né ragione? Tutte le nostre esperienze, le nostre emozioni, i nostri dolori, le nostre passioni sono insignificanti, semplici illusioni per riempire un’esistenza inutile?”
“Esattamente.”
Quella risposta secca mi lasciò di stucco. Sapevo che il mio compagno aveva poca considerazione dei sentimenti e dell’esistenza in generale, ma non pensavo fino a quel punto.
“Quindi per lei la vita non è altro che un’illusione senza senso?” obbiettai, incerto.
“Si.”
“E niente in essa è così importante da poter diventare lo scopo della vita stessa o da renderla più importante di un insulso inganno?”
“Esatto.”
“Nemmeno i casi?”
“Nemmeno.”
“Nemmeno le indagini?”
“Nemmeno.”
 “Nemmeno . . .” esitai, con un groppo in gola “ . . . nemmeno ciò che ci lega? Nemmeno noi?”
Holmes si voltò di scatto verso di me, gli occhi chiari stupiti e fissi su mio volto, e io mi morsi le labbra, maledicendomi per la mia debolezza e per quella stupida domanda.
“Mi scusi, Holmes.” mi sbrigai a dire, distogliendo lo sguardo da lui “Ho parlato senza pensare.”
Mi alzai dalla mia poltrona e, sempre senza guardarlo, mormorai “Col suo permesso, vado a stendermi, sono un po’ ...”
La sua voce, bassa, seria, ma in qualche strano modo dolce, mi bloccò.
 
“John.”
 
Un brivido mi attraversò la spina dorsale, come ogni volta che mi chiamava con il mio nome, nei rari momenti in cui eravamo solo noi due.
Lo sentii alzarsi, dietro di me, e poi lo avvertii avvicinarsi col suo passo da segugio.
Rimasi fermo, immobile, al centro della stanza, con gli occhi fissi sul pavimento, incapace di fuggire come un vigliacco quale ero, ma anche di voltarmi verso di lui ed affrontare lui e ciò che mi bruciava dentro.
La sua mano mi afferrò con delicatezza il braccio e mi costrinse con dolcezza, ma allo stesso tempo con decisione, a voltarmi.
Continuai a tenere gli occhi fissi per terra, certo che se avessero incontrato i suoi avrebbero rivelato più di quanto volessi.
La mano del mio compagno risalì con studiata lentezza lungo tutto il mio braccio, la mia spalla e il mio collo, per poi raggiungere il mio mento.
“Guardami.” sussurrò, sollevandomi con le dita il volto verso il suo.
A malincuore, feci come mi aveva chiesto, e i nostri sguardi si incontrarono.
I suoi occhi brillavano al centro del viso pallido ed affilato, ed erano così ricolmi di ciò che la mia anima provava costantemente che per un attimo mi persi dentro quell’infinità senza limite.
“Quello che ho detto prima è vero.” iniziò pacatamente, senza interrompere quel contatto di sguardi e d’anime “Mi conosci meglio di chiunque altro, e sai che per me la vita non ha senso, che ritengo i sentimenti un difetto chimico che si trova dalla parte perdente del mondo, ossia il genere umano, e che non ho mai dato davvero uno scopo alla mia esistenza, né l’ho mai cercato.”
Nell’udire quelle affermazioni, il mio cuore ebbe un tremito di dolore e tentai di sottrarmi a quel contatto, ma egli non me lo permise e continuò, mozzandomi il respiro “Ma sai anche che, quando si parla di noi, quando si parla di te, tutto cambia. Quello che ci lega è qualcosa che va contro la mia comprensione, contro quella del mondo intero, e basta a rendere la mia vita molto di più di un’insulta illusione, a darle quello scopo che non ho mai cercato.”
Mi accarezzò delicatamente il mento, e sotto il suo tocco la mia pelle prese a bruciare, così come stava ardendo la mia anima a quelle parole.
“Tu sei inestimabile per me, John Hamish Watson, e per niente al mondo rinuncerei al nostro legame, anche se non possiamo viverlo come vorremmo, apertamente. Forse esiste davvero un’altra vita dopo di questa, forse ce ne sono altre dieci, cento, mille, ma sinceramente non mi interessa. Non fino a quando ho te in questa.”
Mi sorrise e io ebbi paura di perdermi in quel sorriso, così raro ed inestimabile, ed avvertii le sue parole depositarsi nel mio cuore, a lenire con il loro sapore le sue continue bruciature.
Scossi appena la testa, mentre un piccolo e spontaneo sorriso si formava sul mio viso, stupito traditore “Sei un maledetto manipolatore, lo sai, vero Holmes?”.
Egli arricciò un angolo della bocca, divertito “Si, e ne vado fiero.” Abbassò il suo viso verso il mio, tanto che i nostri respiri si fusero “E poi, Jawn, ti ho detto mille volte di chiamarmi con il mio nome quando siamo soli.” mi sussurrò piano, con quella sua voce penetrante e magnetica, mentre la distanza tra noi diminuiva pericolosamente.
Chiusi lentamente gli occhi, e le nostre labbra si unirono in un bacio proibito, nascosto dall’oscurità della notte.
 
Quel bacio durò poco, come sempre del resto.
Non sapevamo che sarebbe stato l’ultimo per un lungo tempo.
Ci staccammo appena l’uno dall’altro, e il mio compagno posò la sua fronte sulla mia, guardandomi con dolcezza negli occhi.
 
Non potevamo permetterci di rischiare troppo, ma a noi bastava, era sempre bastato. Fin da quando la nostra amicizia si era trasformata, quasi senza che noi ce ne rendessimo conto, in qualcosa di diverso, di profondo, di proibito, avevamo sempre dovuto essere estremamente cauti.
Ma andava bene così.
 
Sollevai la mano e la posai sulla sua guancia, per accarezzargli lo zigomo, affilato come una spada.
“Ti amo, Sherlock Holmes.” mormorai a voce così bassa che nessun altro avrebbe potuto udirmi, anche volendo.
 
Era un legame pericoloso, il nostro.
Spaventosamente pericoloso.
Se fosse stato scoperto, se qualcuno avesse avuto anche il minimo sospetto . . .
 
Egli mi sorrise, e i suoi occhi color dell’eternità brillarono come diamanti.
“Lo so.”
 
Non era destinato a durare in questa vita, lo sapevamo.
Eravamo nati nel momento sbagliato, nell’epoca sbagliata, eppure era stata proprio quell’epoca maledetta ad unirci e a legarci per l’eternità.
Eravamo nati in un tempo nel quale eravamo costretti a nasconderci, a celare a quel mondo impuro e pieno di ombre ciò che ci univa, a mascherare ciò che guidava i nostri spiriti, quel sentimento infuocato che ci rendeva vivi.
Non potevamo amarci, non come avremmo voluto, non in quella vita.
Ma noi ci amammo lo stesso, nascosti agli occhi di tutti.
Ci amammo in modo goffo, quasi spaventato, ma sincero, e profondamente.
Eravamo spaventati, eppure allo stesso tempo ci sentivamo pronti ad affrontare da soli il resto del mondo.
Tremavamo, eppure i nostri cuori ardevano.
Ci amammo come nessuno aveva mai amato qualcuno in cento anni, e come nessuno avrebbe mai più fatto per altri cento anni ancora.
Ci amammo, anche se eravamo consapevoli che non sarebbe durata, che prima o poi qualcosa, qualcuno, avrebbe distrutto quello che avevamo costruito in una vita di inganni
 
E quel giorno arrivò prima di quanto avevamo immaginato.
 
 
“Addio Holmes, Watson.”
 
Quando giunse, il professore James Moriarty era lì, di fronte a noi, a scrutarci con un lieve sorriso sulle labbra.
Era il nostro acerrimo nemico, il nostro avversario più grande. La più grande mente criminale dell’ultimo secolo, il burattinaio di Londra. L’uomo che avevamo più volte cercato di sconfiggere, senza mai riuscirci. Ed adesso lui aveva vinto.
Ci aveva attirato in un medesimo gioco, che si era rivelato essere una trappola mortale.
Attorno a noi, le fiamme, alte, calde, letali, bruciavano e ardevano come se fossero giunte direttamente dall’inferno.
Io lo fissavo con odio, incapace di fare qualsiasi cosa e cercando di controllare il dolore che la mia gamba destra, ferita profondamente, mi infliggeva.
Tra le mie braccia stringevo il mio compagno, ormai senza più forze a causa della lunga lotta che avevamo sostenuto e delle ferite che aveva riportato. Un lungo ed argenteo pugnale era conficcato nel suo fianco, macchiato del suo stesso sangue scarlatto.
“Grazie per aver giocato con me.” Il sorriso di Moriarty, se è possibile, si fece ancora più diabolico, prima di voltarsi e di sparire nel fumo, come uno spirito demoniaco, accompagnato dalle sue ultime parole “è stato un onore essere la causa della vostra caduta.”.
Quando fu scomparso, mi lasciai scivolare a terra con un ringhio, ed osservai con ansia la ferita di Holmes, mentre lo sentivo gemere dal dolore. Era profonda, dannatamente profonda, e io non potevo fare niente per aiutarlo.
“John ...” mi chiamò egli, mentre cercava il mio sguardo con i suoi occhi, che diventavano sempre più velati. Stava perdendo troppo sangue, veramente troppo. “L-lasciami qui . . . forse tu puoi ancora salvarti, se vai via subito.”.
Io scossi la testa con decisione. Non sarei mai stato capace di andarmene di lì, non in quelle condizioni, e anche se ne avessi avuto le forze non l’avrei mai abbandonato. Mai.
“Non se ne parla nemmeno.” mormorai, mentre tossivo. Le fiamme si avvicinavano sempre di più, e il fumo stava diventando ogni secondo più forte. “Non ho alcuna intenzione di abbandonarti, Sherlock. Se dobbiamo morire, moriremo insieme.”.
Holmes sollevò con fatica il volto verso di me, mentre lo stringevo con più decisione tra le mie braccia. Il suo volto era una maschera di dolore, le labbra erano spaccate ed esangui, gli occhi lontani. Sarebbe morto molto prima dell’arrivo del fuoco, ed entrambi lo sapevamo.
Un fredda lacrima scivolò silenziosa sulla mia gota, mentre dentro di me il mio cuore gridava dall’agonia.
Stavo vedendo l’uomo che amavo più di qualunque altra cosa al mondo morire tra le mie braccia senza che io potessi fare niente per impedirlo.
Shelrock sollevò con enorme sforzo la mano destra e con le lunghe dita raccolse quella piccola perla di dolore .
“Non piangere.” con le ultime forze che gli erano rimaste, mi fece un ultimo, fragile sorriso “Se davvero esiste una vita dopo la morte come sostieni, ci vedremo lì. Saremo di nuovo io e te contro il resto del mondo, in un’altra vita.”.
I nostri occhi si incontrarono e io annuii, mentre poggiavo la fronte sulla sua.
“Ci rincontreremo, Sherlock. è una promessa.”.
 
 
2009
 
 
“Perché non ti cerchi un coinquilino?”.
 
Quella domanda, per quanto non mi avesse urtato come le altre, mi fece irrigidire.
Aveva incontrato Mike Stamford, vecchia conoscenza dei tempi del Barts, da circa dieci minuti, e il fastidio che provavo per lui e per le sue domande aumentava di secondo in secondo.
Non che io non fossi felice di rivederlo, ma non potevo fare a meno di provare fastidio per quella pietà mal camuffata che traspariva dai suoi atteggiamenti e dalle sue parole. Quella stessa pietà che leggevo negli occhi e nei gesti di chiunque incontravo.
Ero da poco tornato dalla guerra, certo, ma questo non significava che non fossi più capace di badare a me stesso.
Però, quella domanda era sensata, e in fondo non volevo prendermela con Mike per qualcosa che, a quanto pare, nessuno poteva evitare di fare; essere dispiaciuto per il povero ex soldato zoppo.
“Oh, andiamo. Chi mi vorrebbe come coinquilino?” risposi scettico, indicando quasi inconsciamente la gamba ferita.
Alla sua risata divertita aggrottai la fronte e lo fissai confuso.
“Cosa?”
“Sei la seconda persona che me lo dice, oggi.” si spiegò il medico, sorridendo.
Qualcosa, dentro di me, non so nemmeno adesso cosa, si accese. Fu come se qualcuno mi avesse dato una spinta, all’improvviso. Come se stessi aspettando quel momento, quella precisa frase, da tutta una vita. O forse anche da più.
“Chi è stato il primo?”
 
Mike mi guidò attraverso i corridoi del Barts, fino alla porta del laboratorio.
Prima di aprirla, si voltò verso di me e mi disse, con aria affabile “Dovrebbe essere qui. Ci passa ore, a volte giornate intere. Un po’ strano, in realtà, ma ... beh, capirai quando la vedrai.”.
Aprì la porta e entrò, mentre io lo seguivo zoppicando e guardandomi attorno con aria curiosa.
Dentro il laboratorio, chino su un microscopio, c’era un giovane uomo, vestito elegante e dai capelli scuri e ricci.
All’improvviso mi fermai, stupito, mentre il mio cuore prendeva a battere più forte di quanto avesse mai fatto prima di quel momento.
Non era possibile, ma per un attimo pensai di aver già visto quell’uomo. Non sapevo nemmeno chi fosse, ma era come se l’avessi già incontrato, come se l’avessi già conosciuto. Quella figura, quelle mani, quei capelli mi erano così straordinariamente familiari da mozzarmi il respiro. Ma non era solo quello, no. C’era qualcos’altro, lì, all’altezza del cuore, che gridava e premeva, un’emozione improvvisa, strana, antica e allo stesso tempo sconosciuta.
Al saluto che Mike gli rivolse, l’uomo alzò gli occhi verso di noi e si immobilizzò di botto, gli occhi chiari fissi su di me.
Sbiancai, mentre osservavo quel volto, già visto, già conosciuto, già amato. Quegli zigomi, quelle labbra, quegli occhi . . .
I nostri occhi si incrociarono, e fu come se fossimo attraversati da un fulmine. O, almeno, per me fu così. All’improvviso mi sentii come trascinato indietro, in un altro tempo, in un altro luogo. Rividi altre persone, altri posti, altri eventi. Ma al centro, c’era sempre lui.
 
Sherlock Holmes.
Il mio Sherlock Holmes.
 
Sbattei le palpebre, mentre tutti i tasselli tornavano a loro posto, mentre quel sentimento che mi esplodeva nel petto trovava finalmente un nome, mentre quella vita passata ed a lungo dimenticata mi tornava alla memoria.
Feci un passo verso di lui, piano, quasi temendo che si trattasse di un sogno, di un’illusione capace di spezzarsi al minimo movimento.
Mike mi osservò ed aprì la bocca per presentarmi, ma l’uomo –Sherlock- lo bloccò.
“Non c’è bisogno che ci presenti, Mike. Ci siamo già incontrati.” disse con la sua voce profonda, alzandosi ed avvicinandosi a sua volta lentamente a me, senza mai osare staccare gli occhi dai miei.
“Davvero? E quando?” domandò questi, confuso.
 “In un’altra vita.” risposi al posto del mio compagno, in un sussurro.
 
Il medico probabilmente ci fissò come se fossimo impazziti, ma non posso dirlo con certezza, perché in quel momento tutta la mia attenzione era fissa su Sherlock e la sua su di me.
Ci avvicinammo ancora e ancora, e quando ormai eravamo circa ad un passo l’uno dall’altro Holmes sussurrò “Potresti lasciarci da soli?”.
Mike esitò, ma poi sentii i suoi passi allontanarsi e la porta chiudersi silenziosamente, e io e Sherlock restammo da soli.
 
Non so per quanto tempo restammo a guardarci negli occhi, a riempirci l’anima l’uno della presenza dell’altro, ma sembrò passata un’eternità quando Sherlock, finalmente, parlò.
“A quanto pare, avevi ragione, John.”.
E rieccolo, di nuovo, come allora. Lo stesso brivido. Lo stesso fuoco.
Erano passati anni, secoli, vite, ma quello che ci legava aveva resistito a tutto, anche alla morte, anche al tempo.
Con un sorriso, colmai la ormai poca distanza che ci separava.
“Elementare, Holmes.” mormorai, alzando il viso verso il suo e perdendomi nel suo odore “Devo avere ragione anche io qualche volta, non ti sembra?”.
Lui sorrise e si abbassò lentamente verso di me, chiudendo gli occhi.
Io feci lo stesso, e quando le nostre labbra si sfiorarono mi sentii finalmente di nuovo a casa.
 
Ci baciammo per un tempo lunghissimo, e quando Sherlock sciolse quel contatto e poggiò la fronte sulla mia non potei fare a meno di sospirare.
“Ti ho detto mille volte di chiamarmi con il mio nome quando siamo soli, Jawn.” mi sussurrò all’orecchio, con un accenno di sorriso nella voce.
A quelle parole sorrisi, ma sentivo gli occhi bruciarmi di lacrime represse.
Presi tra le mie mani quelle affusolate di Sherlock e le strinsi forte, mentre il desiderio di stringerlo a me e di non lasciarlo andare mai più bruciava nella mia anima come un incendio.
Probabilmente lui lo capì, perché mi sussurrò dolcemente, come mai aveva fatto prima “Siamo qui, adesso. Siamo di nuovo insieme. E niente potrà dividerci, questa volta.”.
Con il cuore che batteva come se fosse impazzito, aprii gli occhi e incontrai i suoi, perdendomi in quell’infinità che per me valeva più di qualsiasi altra cosa.
Avrei aspettato anche altre diecimila vite per quel singolo momento perfetto.
 
“Ti amo, Sherlock Holmes. Ti ho amato nella mia vita passata, ti amo in questa vita e ti amerò anche in una vita futura.” mormorai, senza riuscire a spezzare quel contatto di anime.
Sherlock mi sorrise, quel sorriso che tanto il mio cuore desiderava, e prima di unire di nuovo le nostre labbra in quello che sarebbe stato l’inizio della nostra nuova vita, sussurrò piano “Lo so.”.
  
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