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Autore: Mela Shapley    26/05/2015    3 recensioni
Hogwarts, inverno 1997-98. L’intera scuola è caduta nelle mani di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; un piccolo gruppo di studenti continua a lottare per una libertà che non avrebbe mai creduto di perdere. Ma come puoi combattere quando il pericolo è soprattutto dentro la tua stessa testa?
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ginny Weasley, Luna Lovegood, Neville Paciock, Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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FF a tema: "I sogni e gli incubi"
Mese: Marzo 2015
Sito: Lumos.it

A/N: Questa fanfiction ha partecipato alla Coppa delle Case 2014/2015 tenutasi nel forum di Lumos.it. Il tema mi ha attirata fin da subito: mi sono ritrovata praticamente costretta a dedicarla a una dei miei pairing preferiti, Tom/Ginny. Nonostante questo, non si tratta di una storia romantica, quanto piuttosto di uno sguardo alla vita di Ginny Weasley in una Hogwarts occupata dai Mangiamorte mentre il Magico Trio è alla ricerca degli Horcrux.

I paragrafi dedicati ai sogni e quelli alla realtà sono scritti usando tempi verbali diversi: presente per i sogni, passato per la realtà.
Lasciatemi una recensione! Buona lettura.


 

Quando la sua voce le parla di nuovo, è un tuono che squarcia la quiete.

“Sono qui. So che mi senti. Perché piangi, cara?”

No. No no no. Lei sta volando, volando libera sopra le colline di Ottery St. Catchpole, senza alcuna scopa a farle d’appoggio – non ne ha bisogno. Il sole le accarezza dolcemente la pelle: la giornata è limpida, luminosa. Librare senza peso nel vento le dà una gioia profonda, che colora di pace ogni fibra del suo essere. E’ bellissimo. Non vuole scendere giù.

Ma ora la voce si è intromessa nella sua solitudine, e il paesaggio sta cambiando: un’ombra scura soffoca la luce del sole. L’aria si fa più fredda e pone resistenza ai suoi movimenti, come se avesse cambiato idea sul suo volo. Le case sotto di lei spariscono in un baratro senza fondo. Lei cerca di concentrarsi con tutte le sue forze sull’inebriante sensazione di libertà, afferrando a dita nude brandelli d’aria. Ma è inutile; non può aggrapparsi a nulla, e cade giù. Ora non c’è più nulla sotto di lei, se non pietra fredda e scivolosa. Attorno, un buio penetrante e ostile; e quella voce che continua a parlarle.

Lui è di nuovo qui.

E’ terrorizzata; la paura la investe come una secchiata d’acqua gelida. Vorrebbe urlare, scappare – ma non c’è nessun luogo dove lei possa rifugiarsi, perché lui la troverebbe. Ma lei deve smettere di tremare e cercare un modo per andarsene da lì, presto, altrimenti accadrà qualcosa di terribile. Non sa esattamente cosa, ma è certa che è così. E’ il buio a suggerirlo con malizia – l’oscurità la nasconderebbe agli occhi di chi volesse aiutarla, ma non a lui. Mai a lui.

“Davvero credevi che non sarei più tornato da te?”

La voce arriva da tutte le direzioni, come un eco proveniente dalle profondità dell’inferno. Aggiunge qualcos’altro, ma lei si rifiuta di ascoltare e inizia a correre veloce verso il nulla. Corri, corri come il vento. E’ una porta quella? La apre e passa oltre. C’è un’altra porta. E’ cadente; brulica di paura e corruzione come un arto infetto. Lei ha il cuore in gola.

(“Non puoi fuggire.”)

Allunga una mano e apre anche quella porta. Ne apre altre due, altre dieci, altre cento, e sono tutte una più nera e malata della precedente. Passerà oltre infinite porte fino alla fine della sua esistenza, ma non importa, se questo le permetterà di non farsi mai raggiungere da lui. Il pensiero che forse in realtà lui non è dietro di lei – potrebbe trovarselo oltre la prossima porta, ad aspettarla con un sorriso canzonatorio – la fa rallentare, ma è solo per un momento.

(“Ti troverò sempre.”)

Incespica nel buio e scivola a terra, graffiando mani e ginocchia. L’oscurità le comprime i polmoni, togliendole il fiato e soffocandola. E’ perduta. Non riuscirà ad alzarsi in tempo. Lui la raggiungerà.

(“Ginevra.”)

Qualcuno le sfiora una guancia, e Ginny Weasley si sveglia urlando.

 
* * *


Erano trascorse diverse ore dalla fine dell’incubo, e Ginny si era imposta con la forza di non pensarci più.

Il ricordo della sua voce implacabile la rendeva nervosa, instabile, e lei in quel momento non poteva permetterselo. Non quando così tante persone facevano affidamento su di lei - non quando Harry faceva affidamento su di lei.

In piedi a braccia conserte, la schiena appoggiata al freddo muro in pietra, Ginny osservava con attenzione i ragazzi raggruppati davanti a lei. Erano in numero esiguo, una decina scarsa. Certo, più di quanti se ne fosse ragionevolmente aspettata all’inizio – ma meno di quelli che il suo cuore aveva ingenuamente sperato. Non era sorpresa: quando la propria sicurezza è in bilico su un baratro, le persone tendono a non invischiarsi in qualcosa che possa metterla ancora più a rischio. Era esattamente il genere di atteggiamento che, prolungato per anni, li aveva incastrati tutti in quell’orribile situazione.

I ragazzi si muovevano in modo determinato, dandosi da fare con tenacia ammirabile. L’attuale allenamento era incentrato sull’Incanto Protego, e la Stanza delle Necessità risplendeva a intermittenza in un gioco pirotecnico di lampi azzurri. Aveva perso il conto di quante volte quell’incantesimo fosse stato provato e riprovato nel corso delle ultime settimane, ma quando Seamus, al primo incontro, aveva proposto di rispolverare velocemente gli incanti base ad ogni lezione, erano stati tutti d’accordo. Di quei tempi, sapersi proteggere con velocità ed efficacia era diventato imprescindibile. Un Incantesimo Scudo al posto giusto e al momento giusto poteva salvare la vita a te e a chi ti stava attorno.

Ma non è abbastanza, pensò Ginny in quel momento. Non contro una Cruciatus. Non contro un Sectumsempra. Anche su questo erano stati tutti d’accordo, ma nessuno aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce.

“La lezione sta andando bene,” le sussurrò con entusiasmo Neville, in piedi accanto a lei. “Dennis piega un po’ troppo il polso, ma sono diventati tutti molto bravi. Penso che potremmo passare presto ad uno Scudo più avanzato.”

L’ottimismo nella sua voce suonava forzato, e Ginny si chiese se Neville avesse per caso indovinato i suoi pensieri e stesse cercando di sollevarle il morale. L’idea le suscitò un vivido moto d’affetto nei suoi confronti. Doveva ammetterlo: non sapeva se sarebbe mai riuscita a superare gli ultimi mesi senza il costante supporto di Neville.

Era stato Neville a lanciare l’idea di riaprire il reclutamento per l’Esercito di Silente. Inizialmente Ginny non era stata del tutto d’accordo: se la sentivano davvero di mettere in pericolo i loro amici coinvolgendoli in un’organizzazione considerata illegale? Al contrario di quanto era avvenuto due anni prima, stavolta il rischio era ben più grande di una possibile interferenza da parte del Ministero della Magia.

Seduto sulla sedia dell’aula polverosa in cui si erano rifugiati per tenere quell’incontro segreto di sole tre persone, Neville l’aveva guardata negli occhi con determinata serietà.

“Se non lo facciamo, saranno ancora più in pericolo.”

Era vero, naturalmente, e anche Luna la pensava come Neville. Poi il ragazzo aveva aggiunto un’altra cosa.

“Ed è esattamente quello che farebbero Harry, Ron ed Hermione in una situazione come questa.”

Quello le aveva fatto male, anche se non l’aveva dato a vedere. Era diventata brava a dissimulare le fitte dolorose che sentiva al cuore ogni volta che qualcuno nominava suo fratello, il suo ex ragazzo o la sua amica.

“Allora facciamolo,” aveva stabilito Ginny con decisione. Luna, la sua solita espressione imperturbabile in viso, era impallidita leggermente, ma le aveva sorriso. Neville aveva annuito con forza.

E così, Ginny si era buttata anima e corpo nel loro progetto di resistenza. La sensazione di fare qualcosa che si opponesse al regime dei Mangiamorte ad Hogwarts, seppure una cosa così piccola, le consentiva di superare gli orrori a cui assisteva durante il giorno e di dormire la notte.

Preferirei non dormire, se l’alternativa è sognare lui.

No, non doveva pensarci. Scosse lievemente la testa tra sé. Si era ripromessa di dimenticare.

“Vado a correggere i movimenti di Dennis,” disse a Neville, e si avviò verso il gruppetto di studenti senza notare l’occhiata pensierosa che le rivolgeva l’amico.

 
* * *

 
Weasley! Ferma! Non fare un altro passo, o ti faccio schizzare fuori dalla testa quel tuo cervellino di schifosa traditrice del sangue!”

Ginny si bloccò in mezzo al corridoio, il cuore che batteva a mille. Si girò lentamente verso Amycus Carrow, l’attuale professore di Difesa Contro le Arti Oscure. Dietro di lui due membri della Squadra d’Inquisizione cercavano di tenerne il passo, e lei riconobbe Draco Malfoy e Vincent Tiger. Magnifico.

 “Posso esserle utile, signore?” gli chiese, sulle labbra un sorriso cortese imparato da Luna. Con la coda dell’occhio, vide gli studenti attorno a lei allontanarsi il più velocemente possibile. Quando inquadrò bene l’espressione sul viso di Carrow il suo sorriso serafico vacillò lievemente, ma tornò in fretta al suo posto.

Le dita del Mangiamorte le artigliarono inaspettatamente la spalla, forzandola a chinarsi.

“Sì, sì che puoi essermi utile!” urlò l’uomo, facendole il verso. “So che sei stata tu, feccia! Tu e i tuoi amichetti – pensate che non sappiamo cosa fate? Pensate di essere più furbi?”

Ginny strinse i denti, ignorando il dolore alla spalla. Non aveva mai visto Carrow così fuori di sé. Il suo viso appuntito era rosso di rabbia; urlava e sputacchiava, gli occhi iniettati di sangue fuori dalle orbite. Per un momento, Ginny sentì l’irrefrenabile impulso di scoppiargli a ridere in faccia. Sapeva  che se l’avesse fatto sarebbe morta lì, in mezzo a quel corridoio.

“Non capisco, signore,” rispose lei, e riuscì a trattenere un grido quando lui la afferrò malamente per i capelli. La sensazione di imminente pericolo le provocava scariche elettriche lungo le braccia.

Non capisco!” ripetè lui con una vocina stridula. Le strattonò con rabbia la chioma rossa, e Ginny strinse i denti. “Vorresti dirmi che tu non c’entri nulla col bel lavoro di incantesimi sopra la Torre di Astronomia? Eh, stupida?”

Le diede un colpo secco ai capelli e Ginny precipitò a terra, sbattendo un lato della testa sul pavimento. Stavolta non potè impedirsi un’esclamazione di dolore.

Sentì la folla impaurita attorno a sé trattenere il respiro. Nessuno si mosse per aiutarla.

Meglio così, si disse massaggiandosi la testa, cercando di non pensare che se solo tutti si fossero mossi insieme avrebbero potuto sopraffare i suoi aggressori - ma poi le conseguenze sarebbero state troppo gravi. Dopo Carrow, sarebbe arrivato qualche altro Mangiamorte, e poi un altro, e poi un altro ancora, e tutti quelli che l’avevano aiutata sarebbero stati puniti, e allora sarebbero tornati al punto di partenza. Era una fortuna che Neville non fosse lì, altrimenti si sarebbe cacciato di sicuro nei guai.

Un brutale calcio nello stomaco interruppe i suoi pensieri. Il suo fiato si mozzò.

Luna era lì, e la stava guardando con grandi occhi spaventati. Ginny le fece cenno di non intervenire. Mi sono beccata Bolidi più violenti di così, si disse stringendo i denti. La paura stava iniziando ad annebbiarle la mente.

“Chi ti credi di essere, maledetta? ‘Proprietà di Albus Silente’, scritto là in cima, così luminoso che è visibile fin da Hogsmeade, e non si cancella più! Pensi che sia divertente?”

Onestamente sì, Ginny l’aveva trovato divertente. Era stata lei a suggerire di colorare la scritta di fucsia. Era convinta che il defunto Preside avrebbe apprezzato. Mentre lo pensava, si tirò su a sedere con calma.

“Mi spiace, professore, io non ne so nulla,” mentì fissandolo dritto negli occhi. Carrow la guardò con odio, e abbassò il tono della voce.

“So benissimo cosa combinate tu e i tuoi amichetti, Weasley. Non so proprio perché il Preside Piton vi abbia permesso di tornare a Hogwarts.”

L’uomo sputò per terra, mancandola per un soffio. Ginny si trattenne a stento dall’arricciare il naso.

“Ma se pensate di poter continuare a fare quello che vi pare e a imbrattare la scuola con le vostre sporche bugie…”

“Non sono bugie.”

Come hai detto?

“Non. Sono. Bugie.” ripetè Ginny, riuscendo a non far tremare la voce. Carrow digrignò i denti ed estrasse la bacchetta, e lei seppe con certezza cosa sarebbe seguito. Ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi.

Crucio!

Il dolore la colpì mille volte più intensamente di quanto avrebbe mai potuto pensare. Una forza maligna le torceva con violenza ogni parte del corpo su cui riuscisse a mettere le invisibili mani. Aghi appuntiti le infilzavano ogni millimetro di pelle, in un’agonia senza fine e senza limiti. Non ce l’avrebbe fatta a sopportare ancora; stava per rompersi, lo sentiva. Voleva rompersi. Tutto, pur di mettere fino a quel dolore straziante.

Improvvisamente tutto finì, e Ginny si ritrovò stesa sul pavimento, con le lacrime agli occhi e la gola roca per il gran gridare. Udì vagamente Carrow dire ad alta voce “E che questa sgualdrina sia da esempio per tutti voi!” e allontanarsi.

Ginny chiuse gli occhi, cercando di trattenere i singhiozzi. Ogni muscolo, ogni osso, ogni pezzetto di carne le doleva come se stesse disperatamente tentando di staccarsi dal suo corpo. Detestava il fatto che tutti la stessero guardando mentre era così debole e inerme, ma non riusciva a muoversi, tantomeno ad alzarsi. Pregò che il pavimento trovasse la misericordia di inghiottirla.

Riaprì gli occhi quando sentì un’altra voce esclamare: “Piantala, Lovegood!”.

Faticosamente, Ginny cercò con lo sguardo la sua amica e la trovò a fianco di Draco Malfoy, che aveva l’aria di averle impedito fisicamente di venire in suo soccorso durante la Cruciatus. Il Serpeverde teneva in mano la bacchetta di Luna.

“Ginny,” mormorò Luna sgomenta, incurante dei capelli biondi tutti arruffati.

“Sto bene,” fece Ginny da terra, ma dalla sua bocca fuoriuscì solo un tenue filo di voce.

“Sto bene,” ripetè, per farsi sentire.

Pian piano si costrinse ad alzarsi, trascinando prima una gamba e poi l’altra. Luna corse verso di lei e la sorresse per un braccio. Tutti gli altri studenti, tra un’occhiata impaurita e una colpevole, cominciavano a dirigersi verso le aule. Ginny non ci fece troppo caso.

Quello a cui fece caso, invece, fu l’espressione di Draco Malfoy mentre la guardava rialzarsi: disagio e pietà. Ma fu solo un attimo. Malfoy lanciò di malagrazia la bacchetta a Luna, che la prese al volo, e diede le spalle a entrambe.

“Andiamo, Tiger.”

“Che ti serva da lezione, stupida traditrice!”

Andiamo, Tiger.”

“Ti accompagno alla tua Sala Comune,” le disse Luna in tono insolitamente fermo.

“No, non serve. Ora ho Incantesimi.”

“Ginny…”

“Sto bene, Luna. Davvero. Andiamo.”

 
* * *
 

Neville era furioso.

“Come ha osato!” esclamò irrompendo in Sala Comune dove Ginny era seduta con un libro in mano, i suoi occhi che guardavano le parole senza capirle davvero.

Quindi qualcuno gliel’ha raccontato.

“Quel lurido verme!” continuò Neville sbattendo la borsa dei libri per terra. “Ginny, mi dispiace, mi dispiace così tanto. Se solo fossi stato presente…”

“Ti saresti fatto torturare anche tu,” completò Ginny in tono neutro. Allungò le gambe verso il fuoco che scoppiettava allegramente nel camino, tentando invano di sciogliere il gelo che aveva dentro.

Tortura. Quella parola risuonava in modo bizzarro nella sua mente, come se non si fosse mai aspettata di doverla utilizzare in un contesto quotidiano.

“E a cosa sarebbe servito? A niente. A niente, Neville,” rincarò, prima che lui potesse interromperla con la sua indignazione.

“Ma non è giusto. Sono stati Michael ed Ernie a fare quell’incantesimo, non tu!”

“Lo so, ma non potevo certo dirglielo, ti pare?”

Neville si sedette sulla poltrona davanti alla sua, tirando un lungo sospiro.

“Senti, Neville, va bene così. Carrow era arrabbiato perché sapeva che, se non fosse riuscito a togliere quella scritta, Piton l’avrebbe punito. E’ già una fortuna che se la sia presa solo con me. E poi erano mesi che aspettava solo una scusa per poterlo fare, lo sai che odia me e la mia famiglia.”

“Lo so,” fece Neville in tono sconfitto. “E non avremmo dovuto incantare quella scritta. Non avremmo dovuto dargli quella scusa. Se Harry lo sapesse…”

Ginny chiuse di scatto il libro, sentendo la rabbia soffocare per la prima volta l’apatia. Si accorse delle teste che si giravano nella loro direzione, e la cosa la fece infuriare ancora di più.

“Ma non lo sa, e non lo saprà. Harry ha altro a cui pensare,” commentò in tono duro.

Era la verità. Harry era impegnato in una missione folle in cui si era rifiutato di trascinarla – per tenerla al sicuro. Al sicuro? Oh, Harry, se potessi vederci adesso.

Avrebbe dato un braccio pur di poterlo rivedere, anche solo in fotografia. La Gazzetta del Profeta non pubblicava più la sua foto da ricercato, e in ogni caso lei non aveva il permesso di tenerla. Il primo settembre, i Mangiamorte e la Squadra di Inquisizione si erano premurati di ispezionare i bagagli di tutti gli studenti per rimuovere eventuali oggetti “illegali”. Le avevano portato via la sua Puffola Pigmea… e ogni singola fotografia che lei possedesse di Harry, Ron, Hermione, della sua famiglia e di tutti gli altri amici che non erano tornati indietro. Se gliel’avessero detto mesi prima ne avrebbe riso. Trovava ancora incredibile che fosse bastato un gesto così semplice e così vigliacco per farla sentire sola al mondo.

“Sei andata in Infermeria?”

“Non ho bisogno dell’Infermeria.”

Neville si chinò nella sua direzione, appoggiando i gomiti sulle gambe. Gli sguardi degli altri Grifondoro le perforavano la nuca.

“Ginny, per favore, non essere cocciuta.”

“Non sono l’unica a essermi beccata una maledizione, Neville, ok?” esplose Ginny. Sentì le guance avvampare. “Quei bastardi lanciano Cruciatus come Pix lancia Caccabombe. Non venire qui con la tua aria da eroe a dirmi che ti dispiace di non essere stato lì, quando sappiamo entrambi che, se ci fossi stato, l’unica differenza sarebbe che adesso saremmo doloranti in due! E’ stato brutto, molto brutto, e ora tutti mi guardano come se da un momento all’altro mi stessi per trasformare in un Nargillo peloso gigante, o che so io! Ma sto bene, ok? Senti, sono stanca, ora vado a dormire.”

“Ginny,” Neville alzò entrambe le mani in un gesto inoffensivo. “Va bene. Ma se - se non hai voglia di stare da sola, io sono qui.”

Ginny annuì brevemente, sentendosi già in colpa per la mezza sfuriata che gli aveva appena fatto. Neville cercava solo di esserle amico: non era colpa sua se la loro scuola era finita in mano a una setta di psicopatici.

“E, Ginny?” la richiamò ancora Neville non appena lei mise piede sulla scalinata che portava al dormitorio. Ginny si girò verso di lui con un sopracciglio alzato; Neville la stava guardando con un ampio sorriso in volto. “Un Nargillo peloso gigante? Qui qualcuno ha passato troppo tempo in compagnia di Luna.”

Inaspettatamente, Ginny rise. Per un attimo rimasero a fissarsi negli occhi, poi lei si girò e risalì le scale.
 
Quella sera, nei suoi sogni, Ginny non si limitò a sentire la sua voce. Quando si ritrovò in un buio fatto di paura e dolore e aghi che le trafiggevano il cervello, il suo proprietario era lì accanto a lei.

Quella sera, Tom Riddle era venuto a farle visita di persona.

(“Non sei sola, Ginevra, mia cara. Io sono sempre con te.”)

 
* * *

 
“Vattene.”

“Perché dovrei, se non desideri davvero che io me ne vada?”

E’ esattamente come Ginny lo ricorda. I brillanti occhi neri

(non sono ancora rossi)

il perfetto ovale del viso, le labbra carnose piegate in un sorriso rivolto solo a lei. La voce seducente, intrisa di fascino e segreti. I capelli neri che le ricorderebbero così tanto quelli di Harry, se solo Harry fosse in grado di tenerli in così perfetto ordine.

(chi è Harry?)

Harry. Il suo ricordo sta inesorabilmente sbiadendo per lasciare il posto a lui, il ragazzo che anni fa le ha rubato il cuore e l’anima per poi restituirglieli tutti ammaccati.

Non è possibile che Tom sia lì. Se n’è andato da tempo.

“Sono tornato. Per te. O forse sono sempre stato qui. Fa differenza?”

Di nuovo quel sorriso che lascia leggermente scoperti i denti bianchi e perfetti. Ginny vorrebbe urlare.

Non puoi farmi questo. Sono quasi morta pur di mandarti via.

Tom ignora la sua repulsione. Per lui è indifferente essere accolto con gioia o con astio.

“Parliamo di quello che è successo oggi, Ginevra.”

“No.”

“So come ti senti, cara. Quello che stai passando è così ingiusto. Stai solo cercando di difendere ciò che è tuo, non è vero? La tua vita, la tua scuola, i tuoi amici. Gli invasori sono loro; sono loro che dovrebbero soffrire.”

Ginny non risponde. L’ansia l’attanaglia, minacciando di farle esplodere il cuore. Sa di essere in grave pericolo. Sa di non doversi fidare dell’aspetto piacevole di Tom, non importa quanto disperatamente vorrebbe farlo. Come fa a parlarle in tono così dolce e comprensivo, e allo stesso tempo a nascondere il cuore di un mostro?

Non vuole guardarlo, così osserva ciò che li circonda, e scopre di trovarsi sulle rive del Lago Nero, di notte. Hogwarts è alle loro spalle, senza alcun barlume di luce, e li spia dai suoi muri morti. Non c’è anima viva attorno a loro; Ginny è completamente sola.

(“Ci sono io con te, Ginevra. Sempre.”)

Vorrebbe tapparsi le orecchie per impedire a quegli echi di entrare, ma sa che sarebbe inutile. Così come è stato inutile supplicare Amycus Carrow di smettere.

“Lo odio,” dice Ginny senza riflettere.

“Chi, Ginevra?”

“Carrow. Lui, e sua sorella. Piton. Voglio vederli tutti morti.”

Ginny non lo sta guardando, ma intuisce che Tom sta annuendo con approvazione.

“E che dire delle persone in corridoio che ti guardavano mentre venivi torturata? Non hanno mosso un dito per aiutarti. Carrow poteva ridurti ad un ammasso di carne e sangue, e loro sarebbero rimasti immobili come armature vuote.”

“No,” replica debolmente Ginny. “Loro… non hanno colpe. Non sarebbe servito a nulla.”

“Forse no,” le sussurra Tom. Il suo fiato caldo le accarezza un orecchio. “O forse . Avrebbero distratto Carrow, avrebbero sospeso temporaneamente la tua sofferenza – bastava un piccolo sacrificio da parte loro. E pensare che stai combattendo anche per salvare le loro miserevoli vite. La verità è che stai lottando invano. Perché devi essere solo tu a sacrificarti? Cos’hanno fatto per meritarti?”

“Tom, smettila –”

“Cos’ha fatto Harry per meritarti?”

Ginny fissa l’acqua nera del lago privo di riflessi. Non riesce a muovere un muscolo. I capelli rossi le solleticano il viso – quando Tom la sfiora con una mano per scostarli, lei sussulta.

“Harry,” continua Tom a voce bassa piena di disprezzo. “Harry, che prima ti rifiuta, poi ti accoglie tra le sue braccia, e poi ti rifiuta di nuovo. Harry che parte per una missione suicida senza rivelarti nulla, perché in confronto a Ron e ad Hermione, tu cosa sei? E’ stato bello finchè è durato. Non posso, Ginny, è troppo pericoloso, Ginny, sei solo un peso, Ginny. Addio, Ginny. Ti lascio a scuola, al sicuro, come la bambina che sei. A scuola, dove nessuno oserebbe toccarti con un dito, non importa che tutti i più infimi dei Mangiamorte sappiano del tuo rapporto col Prescelto. A Harry non importa.”

“Tom. Tom, per favore, basta. Io – io non sono d’accordo con quello che dici.”

L’acqua del lago si ostina a restare immobile. Tom le accarezza delicatamente la schiena, e si china per sussurrarle di nuovo nell’orecchio.

“Invece sì, Ginevra. Io sono -”

(qui, sempre)

“- nella tua testa. Conosco tutti i tuoi segreti.”
 

Stavolta Ginny non si sveglia urlando. Apre gli occhi e resta a fissare il soffitto per ore, mentre la luce del sole rischiara pian piano il Dormitorio delle ragazze del sesto anno di Grifondoro. Rimane stesa lì, in quella finzione di luogo sicuro. Perché ora lo sa: non è al sicuro fuori dalle tende di quel letto a baldacchino, e non è al sicuro nemmeno (soprattutto) dentro la sua stessa testa.

 
* * *

 
Stavolta, Ginny non riuscì a fingere con se stessa di non aver sognato Tom Riddle. Né riuscì a fingere i giorni successivi, dopo che lui si ripresentava puntuale quasi ogni notte. A volte restava in silenzio, apparentemente appagato dalla semplice compagnia – perfettemente conscio di come la sua presenza fosse sufficiente a metterla a disagio. Più spesso, però, le parlava. Erano molti gli argomenti che toccava, ed erano tutte cose che Ginny non voleva sentirsi dire. Perché in fondo - certe volte - era d’accordo con lui, e l’idea la faceva rabbrividire.

(“Io mi limito a dire ad alta voce ciò che tu hai troppa paura di pensare.”)

Sì, era vero, Neville avrebbe finito col farsi uccidere, se avesse continuato a osteggiare pubblicamente i Mangiamorte. Sì, i loro cosiddetti “atti di resistenza” erano sciocchi e infantili, e non sarebbero mai stati più di un piccolo disturbo in sottofondo. Dovevano fare di più, lottare di più, diventare più scaltri e più violenti. Sì, rubare la spada di Grifondoro era stato un tentativo idiota. Si erano esposti a rischi enormi senza avere nulla in cambio. Probabilmente Piton e gli altri trascorrevano le serate a ridere di loro e a discutere di quali divertenti maledizioni usare per punirli.

Sì, la sua famiglia non sarebbe sopravvissuta alla guerra. Sì, sapeva che non avrebbe mai più rivisto Harry, Ron ed Hermione.

La parte peggiore era che Tom sembrava così reale. Vederlo in sogno non era molto diverso dall’incontrarlo di persona: era esattamente identico a come lo ricordava. Cinque anni prima, l’aveva visto dal vivo solo per i pochi minuti trascorsi da quando lui era spuntato fuori da quel maledetto diario, fino a quando lei era svenuta per consentirgli di riprendere sostanza. Quel poco tempo le era stato sufficiente per imprimere i suoi lineamenti nel cervello.

Ma non era stato solo quello. Non l’aveva mai raccontato a nessuno, ma, pochi mesi dopo gli avvenimenti nella Camera dei Segreti, quando era ancora una studentessa del secondo anno tormentata dagli incubi e dai traumi,  si era recata in Biblioteca e aveva afferrato con mani tremanti l’almanacco degli studenti diplomati nel 1945. Aveva fissato la foto di Tom Riddle per quelle che erano sembrate ore. Poi aveva rimesso tutto al suo posto e non l’aveva riaperto mai più. Sarebbe stato divertente, pensò in quel momento, aver tenuto la foto, e vedere le facce dei Mangiamorte quando l’avessero trovata durante l’ispezione di inizio anno. Una Weasley che conserva la foto del Signore Oscuro da adolescente come un'ammiratrice segreta? Sarebbe stato come se Harry Potter avesse bussato al loro Quartier Generale per chiedere di ricevere il Marchio Nero.

In ogni caso, Ginny non aveva bisogno di una foto per ricordare ogni dettaglio dell’aspetto di Tom Riddle.

 
* * *

 
“Hai dormito male anche stanotte?” le chiese Luna in tono sognante, continuando a sfogliare la pagine del libro di Trasfigurazione.

Ginny alzò lo sguardo dalla pergamena. Lei e Luna erano sedute in Sala Grande per studiare. Era un cupo pomeriggio di fine novembre, e il soffitto imitava le gocce d’acqua che cadevano fitte all’esterno. Era proibito che membri di Case diverse trascorressero del tempo insieme, ma in quei frangenti, quando tutti gli studenti si riunivano sui quattro lunghi tavoli con i compiti del giorno, i sorveglianti tendevano a chiudere un occhio. A parte gli incontri dell’Esercito di Silente, erano gli unici momenti in cui Ginny riusciva a parlare con Luna in relativa privacy.

Questo però non spiegava cosa sapesse Luna sul suo sonno notturno. Forse l’aveva capito dalle occhiaie cupe, o dalla sua perenne stanchezza, o dalle espressioni scure che Ginny ultimamente non riusciva a togliere dal viso. Ma non aveva importanza: in un modo o nell’altro, Luna osservava e intuiva tutto.

“Già,” rispose Ginny. Trascorsero alcuni istanti di silenzio, in cui entrambe aggiunsero altre frasi ai propri temi. Ginny si accarezzò il mento con la piuma, pensierosa, e si gettò un’occhiata veloce intorno. Nessuno le stava guardando.

“Faccio degli incubi,” confessò all’amica. Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, spiegare i dettagli, ma aveva la gola improvvisamente arida.
Luna annuì comprensiva, con quegli occhi chiari dall’aria onnisciente.

“Hai provato con la Pozione del Sonno Senza Sogni?”

“Sì. Madama Chips me ne ha data qualcuna, ma ora si rifiuta di darmene altre.”

L’occhiata di commiserazione che l’infermiera le aveva lanciato giorni prima era stata più di quanto Ginny potesse sopportare. Sospettava che Madama Chips le avesse fornito più Pozioni di quante normalmente fosse tenuta a dare agli studenti, ma ora erano finite, e l’infermiera sosteneva che abusarne le avrebbe causato sonnolenza, delirio e assuefazione. Se l’alternativa era vedere Tom, Ginny avrebbe preferito mille volte gli effetti collaterali, ma Madama Chips non aveva voluto sentir ragioni.

“E perché questi incubi ti fanno sentire così in colpa?”

Ginny abbassò gli occhi castani sul tema di Incantesimi, senza vederlo davvero.

“Perché – perché si tratta di Tom,” sussurrò. Luna non replicò.

Luna sapeva tutto di Tom. No, si corresse Ginny: Luna sapeva molte cose di Tom. Ginny aveva preferito tenersi qualche segreto per sé. Ma una volta Luna, quando entrambe erano al quarto anno, aveva iniziato a blaterare di un fantomatico Cannolo Balbuziente che apparentemente viveva di nascosto nella Camera dei Segreti, e Ginny, che l’ascoltava impietrita e a disagio, non era riuscita a tacere. All'epoca Luna sapeva, ovviamente, quello di cui tutti a scuola erano a conoscenza: che il mostro della Camera aveva rapito Ginny e che Harry l’aveva eroicamente salvata. Davanti alle domande di tutti gli altri, Ginny non era andata più in là di un “non ricordo”. Eppure c’era qualcosa, in Luna, che le ispirava fiducia - o forse lei aveva solo davvero bisogno di confidarsi con qualcuno - e così aveva finito col dirle la verità su Tom Riddle e sul proprio ruolo in quella vicenda.

(carnefice, non vittima.)

“E’ tornato,” aggiunse Ginny con voce incolore, perché dire il suo nome non era sufficiente a sottolineare la gravità della cosa. Luna si mordicchiò un labbro, pensierosa.

“Quando dici ‘tornato’, non intendi sul serio, vero? Sono pur sempre incubi.”

Chiunque altro avrebbe dato a Ginny una risposta simile a “Sì, beh, è tornato anni fa, è per questo che siamo in guerra”, ma Luna capiva che lei si stava riferendo al suo Tom Riddle. Mio? Merlino, perdonami.

“Sì. Ma non ne avevo da anni. E mi dice cose… cose brutte, a cui non voglio pensare. Mi fa notare dettagli che mi destabilizzano, che mi tolgono ogni motivazione per andare avanti. Mi sta facendo il lavaggio del cervello come l’ultima volta, e stavolta non è nemmeno reale!”
Ginny si sforzò di abbassare la voce, e si nascose dietro i ciuffi di capelli rossi per evitare che un osservatore casuale potesse notare la sua espressione turbata.

“Ginny, stai passando un periodo difficile. Sei invischiata in cose che nessuno vorrebbe mai affrontare,” la confortò Luna con delicatezza. “E’ del tutto plausibile che gli ultimi avvenimenti abbiano portato a galla vecchi traumi.”

Ginny non aprì bocca, ma annuì debolmente. Luna inclinò la testa.

“Ma questo lo sai già, vero? Tu hai paura che Tom sia reale.”

“Non può esserlo - il diario è stato distrutto. Ma se in qualche modo fosse riuscito a… a lasciare una traccia dentro la mia testa?” Ginny spalancò gli occhi castani. “Se non fossero solo incubi? Io – io non posso andare avanti in queste condizioni, Luna. Ho tanto da fare. Tu e Neville e gli altri fate affidamento su di me. Harry ha bisogno di me. C’è questa guerra da portare avanti, e devo proteggere la mia famiglia, devo assicurarmi che non accada niente a nessuno, o che uno dei miei dannati professori non decida su due piedi di Cruciarmi o uccidermi, e se non posso nemmeno fidarmi di quello che c’è dentro la mia testa – chi mi dice che un giorno non ricomincerò a perdere il controllo di me stessa e a far del male alle persone -”

Non ricordava di aver iniziato a piangere, ma quando Luna le prese una mano tra le sue si accorse di avere le guance bagnate. Imbarazzata, si nascose ancora di più tra i capelli.

“Ginny,” le disse Luna con un piccolo sorriso. “Tu non sei così. Non sei più la bambina spaventata che eri all’epoca, e Tom non è altro che un vecchio fantasma senza sostanza. Ha potere su di te solo nella stessa misura in cui gliene dai. Ti conosco, e so che non faresti mai del male ad altri… a meno che non ti abbiano fatta davvero arrabbiare.”

Ginny sorrise, e annuì. Con una certa dose di vergogna, si asciugò gli occhi.

“Grazie, Luna. Mi spiace di essere scoppiata così.”

“Nessun problema. Siamo amiche, no?” Luna le lasciò la mano e riprese la piuma, recuperando anche la sua solita espressione svagata. “Però, se lo vedi ancora, magari potresti chiedergli se sa niente del Cannolo Balbuziente che vive nella Camera dei Segreti.”

"Lo farò senz'altro."

 
* * *
 

“Hai parlato di me con qualcuno. Sono veramente impressionato, Ginevra. Questo dice molto su quanto sei cresciuta negli ultimi anni. Non tieni più tutti i segreti per te… non tutti, almeno. Ce ne sono alcuni di cui siamo a conoscenza solo tu ed io, non è così?”

Ginny non risponde. Appoggia le mani sulle mura della Torre di Astronomia, sentendo il freddo della pietra risalire dalle braccia. Non è reale. Alza lo sguardo verso il cielo: sopra di lei, si stende una sterminata distesa di stelle.

Al suo fianco, anche Tom alza gli occhi scuri per osservare il firmamento.

“Non sei davvero qui, Tom. Non hai potere su di me, se io non te ne do,” mormora Ginny, riecheggiando le parole di Luna. Tom ride di una risata aspra.

“Allora è una fortuna per entrambi che tu, in realtà, penda dalle mie labbra.” Ginny si rifiuta di distogliere lo sguardo dal luccicare delle stelle, ma con la coda dell’occhio vede il sorriso ironico del suo fantasma personale. “Trovo divertente che tu sia andata a farti consolare dalla persona più priva di senno nel tuo cerchio di amicizie.”

“Luna è molto intelligente.”

“Per favore, Ginevra. La sua testolina è un costante frullio di vaneggiamenti e assurdità. Hai deciso di confidarti con lei perché sapevi che una qualunque persona dotata di un briciolo di buon senso ti avrebbe dato una risposta che non ti sarebbe piaciuta. Ma Luna? Lei è stata ben felice di sguazzare nella tua piccola pozza di follia.”

“Non è vero.” Ginny stringe le mani a pugno, sentendo la pietra graffiarle le unghie.

“Come dici tu, mia cara. Fonda pure la tua sanità mentale sulle parole di Lunatica Lovegood.”

Ginny abbassa lo sguardo verso i cortili di Hogwarts. Sono troppo distanti per distinguere i dettagli dell’erba e degli alberi. Pochi mesi fa, Silente è caduto proprio da quel punto. Se mi buttassi giù, forse mi sveglierei.

(“Forse mi troveresti con te anche al risveglio.”)

Ginny si volta, si dirige verso la porticina delle scale e comincia a scendere. Tom la segue.

“Dimmi, Ginevra, come pensi che stia Harry?” chiede Tom con aria incuriosita, ma suona più come una domanda retorica. Ginny continua a scendere le scale in silenzio, e arriva finalmente in fondo. “Credi che ti rivolga un pensiero, di tanto in tanto, o pensi che abbia già iniziato a dimenticarti come hai fatto tu con lui?”

Ginny si morde la lingua per non parlare. Harry, non ti ho dimenticato. Ma non è vero, realizza Ginny, e questa consapevolezza la fa bloccare di colpo nel corridoio fiocamente illuminato.

Ricorda con precisione la sfumatura verde smeraldo degli occhi di Harry. Ricorda i suoi capelli neri sempre arruffati. Ricorda la sensazione di accarezzarli con la mano. Ricorda il modo sicuro in cui vola su una scopa, come se facesse parte integrante del vento.

Ma non ricorda i dettagli che lo rendono una persona vera. E’ come vederlo attraverso la nebbia. I lineamenti si confondono. Come sono fatti il suo naso, le sue mani? Ginny non ricorda. Sono passati pochi mesi, eppure l’ha già dimenticato.

Tom le si para davanti, scuotendo la testa con rammarico. Ginny fissa lo sguardo sui suoi occhi scuri, sul suo sorriso perfetto, sulla sua divisa immacolata. Sono state sufficienti poche settimane per dimenticare Harry, eppure è bastata una manciata di minuti, quasi cinque anni fa, per imprimerle per sempre nella memoria le fattezze di Tom. Ginny inizia a respirare affannosamente.

“Basta! Lasciami in pace! Voglio svegliarmi,” grida Ginny, pizzicandosi freneticamente le braccia. Tom la guarda con espressione compassionevole. “Perché non ci riesco?”

“Perché sei già sveglia, Ginevra."

Un sussulto, uno sfarfallio di luci. Ginny sbatte le palpebre una, due volte. Il respiro si trasforma improvvisamente in aria gelida. Si guarda intorno, impietrita dalla paura. Non capisce dove si trova: sono luoghi familiari, ma inizialmente non riesce ad associare nessun nome. Poi la consapevolezza ritorna, pian piano. E’ sveglia. Le cose attorno a lei non hanno più la morbida inconsistenza del sogno. Tom non è più nel corridoio alla base della Torre di Astronomia. Ma lei sì.

 
* * *

 
Ginny sentì le forze abbandonarla. Per un momento le sue gambe minacciarono di farla accasciare a terra, ma riuscì a restare in piedi. Il cuore minacciava di uscirle dal petto, ma era troppo terrorizzata per muovere un solo muscolo. Si sentiva come un animale sul procinto di finire in una trappola mortale. Rimase lì, irrigidita, a pensare che l’ultima cosa che aveva fatto prima di addormentarsi era stata rifugiarsi nel suo letto a baldacchino su nella Torre di Grifondoro. Come aveva fatto a finire lì, da tutt’altra parte del castello?

Ricordava il sogno. Ricordava che Tom l’aveva accompagnata nel suo peregrinare, cercando incessantemente di demotivarla, di demoralizzarla, di farla dubitare di tutto e di tutti.

Non era stato un incubo, evidentemente. Non del tutto. Aveva camminato nel sonno.

Per Merlino, ero a tanto così dal buttarmi giù dalla Torre di Astronomia.

Il respiro le si fece nuovamente affannoso, e lei si rese conto di tremare. Indossava solamente il pigiama con cui era andata a letto, senza alcun mantello sopra a ripararla dal freddo. Era congelata. Incrociò le braccia, nel tentativo di scaldarsi.

Non poteva restare lì. Era ancora debole e confusa, ma rischiava di farsi beccare dalla sorveglianza, e in quel caso chissà cosa le avrebbero fatto. Se l’avesse trovata Carrow… Ginny si tastò le tasche alla ricerca della bacchetta, ma non la trovò. Fantastico.

Camminando a piedi scalzi, si diresse risolutamente verso il bivio più vicino, cercando di rimanere il più possibile nelle zone d’ombra. Quasi trattenne il respiro quando passò oltre alcuni ritratti, che rimasero silenziosi e ostili. Doveva ritornare in fretta in un luogo sicuro, senza farsi vedere da nessuno. Grazie a Fred e a George, conosceva perfettamente tutte le scorciatoie che portavano alla Torre di Grifondoro. Proseguì, tendendo bene le orecchie per cogliere eventuali rumori. Con circospezione, sbirciò da dietro un angolo… e si ritrovò davanti l’ombra scura di una persona. Ginny sussultò.

“Chi c’è lì?”

Imprecando sottovoce, Ginny fece per tornare rapidamente sui suoi passi ma, prima che potesse cercare un qualunque rifugio, la luce prodotta da una bacchetta la abbagliò. Per un istante dovette schermarsi gli occhi con una mano. Quando la tolse, Draco Malfoy era davanti a lei e la fissava con espressione fredda.

Beccata in pieno.

Ginny sentì una scarica di adrenalina. Poteva farcela, doveva solo essere veloce. Poteva correre cercando di schivare le maledizioni…

“Weasley?”

Il tono di Malfoy la fece esitare, e Ginny perse l’attimo cruciale. Fece qualche altro passo indietro. Malfoy le aveva parlato in modo meno ostile del solito, aveva abbassato la bacchetta per non abbagliarla, e al momento non sembrava intenzionato a risollevarla per lanciarle contro una maledizione.

“Che diamine ci fai in giro conciata così?”

“Non sono affari tuoi, Malfoy.”

Malfoy lanciò un’occhiata calcolatrice alle spalle di Ginny.

“Se sei andata di nuovo a vandalizzare la Torre di Astronomia, questa volta ci rimetti la pelle.”

Ginny deglutì. Il tono di Malfoy non era minaccioso. Sembrava più… una costatazione.

“Non vedi l’ora, eh?” replicò lei duramente. L’altro scrollò le spalle. Per un momento la fissò come se volesse scrutarle la mente con i suoi occhi grigi, poi distolse lo sguardo.

“La Professoressa Carrow in questo momento sta pattugliando il corridoio di Incantesimi. Ti conviene fare un giro largo per tornare al tuo Dormitorio.”

Ginny spalancò la bocca e rimase lì come un pesce, incapace di trovare una risposta.

“Mi – mi stai lasciando andare?”

Draco Malfoy non rispose; invece, le diede le spalle e si avviò verso un altro corridoio, la luce della bacchetta che gli rischiarava il cammino. Per un istante si fermò, piegò la testa nella sua direzione e le disse nel solito modo strascicato:

“La prossima volta che intraprendi una delle tue attività illegali, ti consiglio di indossare qualcosa di più pesante.”

E se ne andò, lasciandola impietrita in mezzo al corridoio. Ginny lo osservò allontanarsi, pensando che di sicuro ora si sarebbe girato a bacchetta spianata gridando ‘ci sei cascata, feccia!’. Non avvenne nulla del genere. Ginny guardò la schiena di Malfoy scomparire dietro un angolo, rimuginò brevemente su quello che era appena accaduto, e infine si avviò in direzione opposta rispetto al corridoio di Incantesimi.

 
* * *

 
“Buonanotte, ragazzi.” Hannah Abbott fece un sorriso timido. “E’ stata una bella lezione. Ne… ne avevo bisogno. Grazie per l’aiuto con l’Incanto Paralizzante, Neville.”

“Oh. Ehm, nessun problema. Buonanotte.”

Neville ricambiò il sorriso di Hannah e alzò una mano in un cenno di saluto, ma sembrò cambiare idea a metà gesto. Rimise la mano nella tasca e si schiarì la voce. “Ci vediamo.”

Ginny, che aveva osservato lo scambio con interesse, salutò Hannah a sua volta. Non appena la Tassorosso uscì dalla Stanza delle Necessità, Neville rimase a fissare imbambolato la porta da cui era sparita.

“Ehi, lassù! Ginny chiama Neville!” Per buona misura, Ginny gli rifilò anche una gomitata nelle costole. Quando Neville si girò a guardarla, gli rivolse un ampio sorriso. “Devi deciderti ad invitarla ad uscire una buona volta, Nev.”

Neville arrossì.

“Sì, non so. Vedremo,” balbettò. Ginny scosse la testa divertita. La riunione dell’Esercito di Silente era appena finita, e lei e Neville erano finalmente rimasti da soli.

“Ti devo raccontare una cosa.”

Ginny gli fece un resoconto degli eventi della sera prima, evitando accuratamente di menzionare Tom. Per diverse volte, Neville sembrò sul punto di interromperla, ma conservò tutte le sue repliche per la fine.

“Non so neanche da dove iniziare. Sei andata alla Torre di Astronomia? Camminando nel sonno?! Ginny, ma questo è gravissimo! Come fai ad essere così tranquilla? Se ti avesse vista qualcuno…” Neville allargò le braccia. “Draco Malfoy ti ha lasciata andare?! Cioè, non ti ha denunciata al resto della Squadra d'Inquisizione?”

Ginny annuì.

“Sono incredula quanto te.”

“Perché l’avrà fatto?”

“Non lo so.”

Ginny ripensò all’espressione turbata che aveva letto negli occhi di Malfoy dopo essere stata torturata da Carrow, ma non ne fece cenno. Non era ancora sicura di non averla immaginata.

“Ti capita spesso di camminare nel sonno? Forse non te ne rendi conto, Ginny, ma poteva capitarti qualcosa di molto brutto. Dobbiamo prendere precauzioni.”

“Me ne rendo perfettamente conto, e no, non mi capita spesso, che io sappia. Non mi succedeva da anni.”

“Dirò alla Signora Grassa di non aprirti la porta dall’interno senza prima assicurarsi che tu sia sveglia. Tu dovresti chiedere alle tue compagne di stanza di controllarti. Metti qualche incantesimo di allarme sulla porta.”

“Ci ho già pensato.”

“Ok.”

Ginny si diresse verso un angolo della stanza per recuperare la sua borsa coi libri, e quando si girò si accorse che Neville la stava ancora scrutando.

“Cosa c’è?”

“Niente, Ginny.” Neville scosse la testa. “E’ solo che… ultimamente ti comporti in modo diverso. Penso che tu abbia qualche problema di cui non mi vuoi parlare. Ma è un tuo diritto decidere con chi confidarti,” aggiunse frettolosamente quando lei aprì la bocca per replicare. “Sono solo preoccupato, tutto qui. E’ un periodo difficile per tutti, e mi sembra sempre che ci sia qualcosa o qualcuno sul punto di esplodere. Harry ha fatto del suo meglio per prepararci con l’ES, ma… ma… non a questo. Io non ero pronto, e non so se lo sarò mai.”

Ginny lo ascoltò con attenzione. Alla fine, appoggiò con delicatezza una mano sul braccio del ragazzo.

“Ce la faremo, Neville,” gli disse in tono calmo. “Forse non ora, ma presto cacceremo quei Mangiamorte dentro Azkaban a suon di maledizioni nel sedere. E poi butteremo via la chiave.”

Neville le rivolse un sorriso sghembo, e si mise a frugare nella borsa.

“Senti, ho una cosa per te.” Estrasse una busta bianca e gliela porse. “Questa è di Demelza Robins. E’ riuscita a Trasfigurarla e a nasconderla dalle perquisizioni. Me l’ha mostrata, e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere averla.”

Ginny prese la busta, incuriosita. La aprì con cautela. Quando ne estrasse il contenuto, impiegò qualche secondo per ritrovare l’uso della parola.

“Di quand’è?” chiese, senza distogliere gli occhi da ciò che aveva in mano.

“Dell’anno scorso. L’ha scattata Colin subito dopo un allenamento di Quidditch.”

Si trattava di una fotografia. Aveva qualche piega agli angoli e l’aspetto generale di una cosa maltrattata a lungo, ma le figure si distinguevano perfettamente. Al centro dell’immagine c’erano sette persone, una di fianco all’altra: la squadra di Quidditch di Grifondoro dell’anno precedente. Suo fratello Ron svettava sopra tutti gli altri, con la scopa appoggiata di traverso su una spalla e un goffo sorriso rivolto alla macchina fotografica. Nel vederlo, Ginny sentì inumidirsi gli occhi. Accanto a Ron c’erano Jimmy Peakes e Ritchie Coote, che continuavano a incrociare le loro mazze da Battitori in una finta gara di scherma. Dean Thomas, che all’epoca sostituiva Katie Bell come Cacciatore, li guardava ridendo. Demelza Robins faceva facce buffe all’obiettivo e continuava a buttarsi di lato la frangia scura: era un vizio per cui tutti la prendevano bonariamente in giro. Nella foto, Ginny era accanto a lei. I lunghi capelli rossi erano raccolti in una coda di cavallo, e sul viso aveva un’espressione stanca ma spensierata. Aveva la divisa sporca di fango e teneva sottobraccio la Pluffa.

E al centro, in mezzo a tutti, c’era Harry. Harry, che alternativamente spiava Jimmy e Ritchie con un misto di preoccupazione e ilarità, e poi sorrideva alla macchina fotografica. Un braccio di Ron gli cingeva le spalle con fare cameratesco, e nelle mani teneva saldamente la sua preziosa Firebolt. La spilla da Capitano rifletteva la luce del sole. In volto aveva l’aria felice di chi si trova nel suo elemento, in un luogo prezioso e in compagnia di persone care.

Ginny esaminò con calma anche il resto della foto. Alle spalle della squadra di Quidditch si innalzavano gli spalti, dove alcune persone si erano riunite per guardare gli allenamenti. Strizzando gli occhi, riuscì a distinguere la figura di una ragazza dai capelli cespugliosi, seduta sulle panche con un libro aperto sulle ginocchia. Ginny sorrise.

Aveva in mano un tesoro.

Rimase a fissare la foto per minuti interi, beandosi delle espressioni felici sul volto di tutte quelle persone, soprattutto di quelle che non erano più con lei. Era in peccato che le figure fossero silenziose, ma Ginny udiva nella sua testa la confusione e le risate che erano echeggiate quel giorno. Studiò Harry più di tutti, e un’ondata di ricordi le invase la mente. Ecco come il sole si rifletteva sui suoi occhiali. Ecco come si piegava la sua bocca quando sorrideva in modo imbarazzato. Ecco come si muovevano le sue mani, com’era fatto il suo naso, come il ciuffo di capelli gli ricadeva sulla fronte.

Alla fine, Ginny alzò lo sguardo su Neville.

“Grazie,” disse semplicemente. Il ragazzo annuì sorridendo.

“Non dovresti portarla in giro,” la avvertì.

“Hai ragione.” Dopo aver riflettuto, Ginny si avvicinò verso la parte di muro dove gli altri membri dell’ES avevano appeso alcune vecchie foto e ritagli di giornale per ripararli da occhi indiscreti. “La lascerò qui. Qui sarà al sicuro, e tutti potranno vederla.”

Ginny estrasse la bacchetta, pronunciò un incantesimo e la fotografia si incollò in uno spazio al centro tra le altre immagini. Rimase a fissarla ancora per un po’, mentre un assurdo, improvviso, inaspettato barlume di speranza le ballava nel cuore.

Ora ricordava, e nessuno le avrebbe più portato via quelle memorie.   

 
* * *
 

Da quel giorno, con suo grande sollievo, Ginny riuscì ad avere maggiore controllo su ciò che sognava. Era come se l’invisibile crepa che Tom sfruttava per comparire nella sua mente si fosse improvvisamente assottigliata. Tutto ciò che ora Ginny sentiva erano echi lontani, pensieri estranei che di tanto in tanto fluttuavano per la sua mente come onde solitarie sulla superficie del Lago Nero. Sapeva che l’ombra di Tom era ancora in agguato da qualche parte, in attesa dell’occasione per visitarla nuovamente nei suoi incubi. Ogni volta che il sonno si faceva più agitato e i pensieri negativi più potenti, Ginny andava di fronte al muro dei ricordi nella Stanza delle Necessità e ammirava la fotografia che le aveva dato Neville. Ormai la conosceva a memoria, fin nel suo più piccolo dettaglio, tanto che se avesse avuto una minima dote artistica sarebbe stata in grado di ridisegnarla a occhi chiusi. La vista di Ron, di Harry e della figura sfocata di Hermione che si muovevano in quella piccola finestra sul passato la riempiva di serenità, e lei passava minuti interi a fantasticare sul momento in cui li avrebbe rivisti. Perché sì, non importava quello che diceva Tom: lei li avrebbe rivisti.

Non sapeva se quella temporanea interruzione degli incubi fosse merito della foto, ma le piaceva pensare di sì. Ginny guardava le espressioni felici di tutti i ragazzi raffigurati, e si riprometteva di combattere per far ritornare nelle loro vite quella felicità, un pezzettino dopo l’altro.

Gli altri membri dell’ES si accorsero presto che, di tanto in tanto, Ginny si soffermava davanti a quel muro con un piccolo sorriso in volto, e uno alla volta iniziarono a farle compagnia, fino a che non divenne un piccolo rito riservato per la fine delle loro lezioni: guardare insieme le foto, i ritagli di giornale, le notizie del passato; ricordare insieme i bei momenti. Col passare del tempo, quella parte di parete si riempì di altre foto, altri disegni e altri ricordi. Ginny si ritrovò spesso a ridere a crepapelle di fronte ai racconti dei suoi compagni e ai loro ‘vi ricordate quella volta che…?’.
Vi ricordate quella volta in cui Michael Corner ha cercato di dare un calcio ad un gatto e quello si è trasformato nella Professoressa McGranitt? Vi ricordate quella volta che Lily Moon ha provato a versare una pozione d’amore nel calice di Piton? E quella volta che Megan Jones e Wayne Hopkins si sono fumati l’Algabranchia su in Guferia? Quei poveri gufi hanno confuso i destinatari delle lettere per due settimane.

Le lezioni dell’ES non ne risentirono, anzi: gli incantesimi divennero più potenti, la mira più precisa, la mano più ferma. Nessuno dei membri dell’ES aveva mai smesso di lottare, ma ora tutti ricordavano di nuovo perché e per chi lottavano.  

 
* * *

 
Le settimane trascorsero senza portare grossi cambiamenti nel regime instaurato ad Hogwarts dai Mangiamorte. Il clima di odio e paura manteneva studenti e professori in uno stato di cauta tranquillità, come se tutti attendessero con ansia la scintilla che avrebbe fatto esplodere la situazione. I membri dell’ES, su invito di Neville, cercarono di mantenersi sotto un profilo ancora più basso per evitare eventuali ripercussioni; nonostante questo, lo stesso Neville era sempre il primo ad accendere discussioni con Alecto Carrow durante le pseudo-lezioni di Babbanologia, e a beccarsi per questo punizioni su punizioni. Ginny gli ripeteva con rabbia che esporsi in quel modo non sarebbe servito a nulla, se non a far infuriare i Mangiamorte oltre il punto di non ritorno. Neville, ovviamente, non era d’accordo; sosteneva che qualcuno doveva pur sfidare i discorsi razzisti dei Carrow, almeno per dare buon esempio agli studenti più giovani. Ginny scuoteva la testa, e attendeva con timore il momento in cui l’ira dei professori si sarebbe impetuosamente riversata su Neville.

Al contrario di quanto Ginny si attendesse, tuttavia, non fu Neville il primo bersaglio. Ernie venne scoperto mentre trafficava in cucina con gli Elfi Domestici per convincerli a far apparire copie illegali de Il Cavillo in tutta Hogwarts. La sua punizione fu esemplare. Quando Ginny andò a trovarlo in Infermeria giorni dopo, Madama Chips non le era mai sembrata tanto desolata.

Tuttavia, fu durante le vacanze di Natale che avvenne l’irreparabile. Ritornare ad Hogwarts fu traumatico, ma il vero colpo di grazia accadde quando Ginny e Neville si resero conto che le loro paure erano fondate: Luna, che durante gli ultimi giorni non aveva risposto ai loro gufi, non si presentò mai al binario 9 ¾. Non ebbero bisogno delle vaghe risposte contenute nelle lettere inviate nei giorni successivi da Xenophilius Lovegood per capire cos’era successo: i Mangiamorte avevano rapito Luna per manipolare le pubblicazioni del padre su Il Cavillo, sperando così di mettere definitivamente a tacere una delle poche voci contrarie al loro regime.

Neville reagì alla notizia chiudendosi in un’ostilità cupa e feroce, sfidando le parole dei professori con crescente sarcasmo. Ginny si sentiva costantemente senza fiato, come se la perdita dell’amica le provocasse gli stessi effetti fisici di una serie costante di pugni nello stomaco. Le faceva male pensare all'ingenua, svagata Luna alle prese con le maledizioni dei Mangiamorte, rinchiusa chissà dove, senza nessuno che potesse aiutarla. Sempre che fosse ancora viva.

La crepa nella sua mente ricominciò ad aprirsi, nonostante lei continuasse a fissare la foto appesa nella Stanza delle Necessità con tutta la disperazione di cui era capace. Tom riapparve pian piano nei suoi incubi: prima i suoi occhi sardonici, poi il suo perfetto sorriso crudele, infine le sue parole taglienti. Era arrabbiato con lei, questo Ginny lo sapeva. Attendeva con rassegnazione il momento in cui sarebbe tornata ad essere preda delle sue fantasie, in cui si sarebbe nuovamente risvegliata in un luogo buio di Hogwarts dopo aver camminato nel sonno. Non sapeva se stavolta sarebbe riuscita a combattere Tom; le forze le si stavano lentamente prosciugando.

Ginny, però, non aveva fatto i conti con Draco Malfoy.
 
 
* * *
 

Avvenne qualche settimana dopo il rientro degli studenti dalle vacanze invernali. Ginny si era rifugiata in Biblioteca per completare i suoi compiti alla meno peggio – la media scolastica ormai non le importava più; finchè i professori la detestavano, sarebbe rimasta scadente nonostante tutti i suoi sforzi. Per puro caso gettò un’occhiata all’orologio e si rese conto che stava rischiando di sconfinare pericolosamente oltre l’orario di coprifuoco. In fretta e furia, si alzò e si diresse verso l’uscita della Biblioteca. Le lunghe scansie erano deserte – o almeno così credeva.

“Weasley.”

Ginny si girò di scatto, allertata dal tono strascicato che conosceva così bene. Draco Malfoy era emerso da dietro alcuni scaffali, l’immagine stessa della placidità. Ovvio, era un membro della Squadra di Inquisizione; il coprifuoco non si applicava a uno come lui.

“Sì?” chiese Ginny con più cortesia di quanta avrebbe voluto. Da quella sera in cui Malfoy aveva scelto, per qualche suo imperscrutabile motivo, di non denunciarla, i due si erano a malapena rivolti qualche sguardo.

Ginny lo vide lanciare cautamente un’occhiata attorno. Soddisfatto di ciò che aveva visto, le fece cenno di avvicinarsi. Con riluttanza, Ginny obbedì. Avrebbe voluto estrarre la bacchetta, ma si limitò a infilare una mano nella tasca dove la teneva.

“Ti interesserà sapere,” le disse Malfoy a voce bassa, “che qualche giorno fa tre persone somiglianti a tuo fratello e ai suoi amici sono state catturate da alcuni Ghermidori.”

Ginny si sentì sbiancare. Non aveva bisogno di chiedere a quale dei suoi sei fratelli si stesse riferendo. Il Serpeverde proseguì nello stesso tono incolore.

“Sono stati portati nel Quartier Generale dei Mangiamorte, dove sono stati esaminati da alcuni dei presenti, poichè esistevano dei… dubbi… sulla loro identità. Dopo un breve dibattito, è stato deciso di convocare il Signore Oscuro in persona.”

Ginny sentiva il sangue pulsare nelle tempie.

“Cosa stai…?”

“Tuttavia,” la interruppe Malfoy, fissandola dritta negli occhi, “prima che l’Oscuro avesse modo di arrivare a destinazione, i tre prigionieri sono riusciti ad evadere dalle loro celle, a distruggere un pregiatissimo lampadario del ‘500, e a fuggire dal Quartier Generale verso un luogo ignoto. Tutt’ora, nessuno ha idea di dove possano essersi rifugiati.”

Ginny lo guardò a bocca aperta, pendendo dalle sue labbra. Lo vide prendere un respiro.

“Inoltre, i tre ricercati hanno portato con sè altri prigionieri detenuti nel Quartier Generale.”

Ginny trattenne il respiro, sperando

“Tra questi, c’era anche la tua amica svitata.”

Ginny espirò. Congiunse le mani davanti alla bocca, in un inconscio gesto di preghiera. Poi sussurrò:

“Non so cosa tu stia cercando di fare né perché, Malfoy, ma… grazie.”

Malfoy si limitò ad un breve cenno col capo.

“Ah, Weasley, dimenticavo. Venti punti in meno a Grifondoro per essere fuori dalla tua Sala Comune appena prima del coprifuoco.”

“Forse non lo sai, ma attualmente Grifondoro ha zero punti, Malfoy.”

“Forse non lo sai, ma togliere punti a Grifondoro non sarà mai non appagante.”

“Sai che ti dico? Per quel che me ne frega, possiamo anche andare in negativo.”

Detto questo Ginny scoppiò a ridere di gusto. Dopo un istante vide Malfoy allontanarsi scuotendo la testa, ma non le importava. Sentiva un enorme sollievo scuoterle il petto, come se le catene che la legavano si fossero rotte all’improvviso e lei fosse ora libera di correre e saltare. Stanno bene. Probabilmente stanno bene. Stavano bene fino a pochi giorni fa.

Non vedeva l’ora di dirlo a Neville.
 
 
* * *

 
“Ginevra,” sussurra Tom.

La sua voce è morbida, quasi affettuosa, come di chi non vede una persona amica da molto tempo. Il paragone solletica la mente di Ginny: certo, per un periodo ha pensato che lui fosse il suo migliore amico. Ma quel sentimento non è mai stato ricambiato, e lei lo sa.

“Tom,” replica lei.

I due si fronteggiano in piedi nella grande sala. Stavolta Ginny non vuole scappare. Lui è a poca distanza da lei: la vicinanza la confonde, ma Ginny non ha intenzione di cedere. Nonostante sia così vicino, lui appare poco definito, meno nitido del solito. Probabilmente perché non è reale. Forse non lo è nemmeno lei.

“Non immaginavo che avresti scelto proprio questo luogo per il nostro ultimo incontro,” mormora Tom con un sorriso.

“E’ davvero l’ultimo, Tom? Me lo prometti?”

Lui si limita a sospirare.

“Questa storia,” Ginny indica con una mano quello che sta loro intorno, “deve finire.”

“Stai cercando di dirmi che non hai più bisogno di me, Ginevra?”

“Non ho mai avuto bisogno di te.”

“Così mi ferisci.” Il sorriso di Tom si allarga. “Allora, non mi vuoi dire perché hai scelto proprio questo posto? Pensi davvero che sia giunta l’ora per affrontare le tue paure più profonde?”

“Hai completamente frainteso,” Ginny alza un sopracciglio. “Sono qui solo per cercare un Cannolo Balbuziente. Non è che ne hai visto uno?”

E scoppia a ridere, mentre Tom fa un verso irritato. Il buio della Camera dei Segreti lo inghiotte per un momento.

“Addio, Tom,” dice Ginny tornando seria. Tom scuote la testa.

“Lo sai che non puoi liberarti di me, vero, Ginevra? Sono una cicatrice che porterai per sempre nella tua mente. Quando sarai di nuovo in situazioni difficili, io ti verrò a trovare. Quando avrai la testa piena di dubbi, quando dovrai lottare per la tua vita o per il tuo lavoro, quando sarai nervosa per il tuo matrimonio, in pena per un figlio, addolorata per la morte di un amico – io sarò là, fino a che non chiuderai gli occhi per sempre. Non potrai mai tagliare il filo che ci unisce.”

“Sì, lo so,” Ginny annuisce. “Ma io sono più forte di te, e saprò conviverci. Scatterò migliaia di fotografie, una per ogni momento felice, e trascorrerò ore a riguardarle, e ogni secondo che riuscirò a immortalare sarà un millimetro aggiunto a quel filo.”

Tom la osserva in silenzio per quelli che sembrano secoli, poi alza un angolo della bocca in un mezzo sorriso.

“Arrivederci, Ginevra.”

Ginny si sveglia e apre gli occhi di scatto. La luna piena illumina le tende scarlatte del suo letto a baldacchino. Resta a fissarle per qualche minuto, la testa piena di ombre; poi si gira sull’altro fianco e si abbandona in un sonno senza echi.
  
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