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Autore: Anonimadelirante    02/06/2015    3 recensioni
“Chissà di cosa sono fatti, poi, i segreti. Se sono fatti di nebbia, di aria o di immaginazione.
Sono mezze verità, le ha detto una volta. Sono omissioni, Ginevra, non bugie.
Chissà se, i segreti, si possono toccare. Se possono essere 
troppi. Se una persona con troppi segreti possa scoppiare. Come una bolla, pof. Sparita. Magari, dopo che la bolla di segreti esplode, non sparisce proprio del tutto. Magari rimane qualcosa. Mezze verità. Un velo di sangue che la separa dalla realtà. Magari, se scoppiasse, quel velo cadrebbe. Magari lei è il velo. Chissà. Mezze verità.
Non devi preoccuparti, dice Tom.
È la prima volta che Ginny disobbedisce.
[…] «Sei tu che torni sempre, mia Ginevra.» […]
È notte fonda, James ha sedici anni e il pigiama gli si è incollato alla schiena. È nella Sala Comune, appoggiato ad una poltrona color geranio. Avvicina la mano al fuoco che sta spegnendosi lentamente, nel camino.
Chi è Tom? Nessuno gli risponde.”
[Prima classificata al “Satura Lanx Contest” e vincitrice del ‘Premio Giuria’]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, James Sirius Potter, Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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Nickname: Anonimadelirante
Titolo della storia: Mezze verità
Elemento/i scelto/i: – Frasi/Cit: 2) ''Il mazzo era bianco come un bouquet da sposa e parlava di preghiera, verità e di un cuore acerbo. Ma nessuno lo avrebbe capito.'' (il linguaggio proibito dei fiori) Obbligo, dev'essere inserita nella storia.  (+1)

4)E' lontano solo ciò che non ci interessa veramente raggiungere. [P. Melis]

10)Poi tutto torna come prima. Ma non è più la stessa cosa.[A. Baricco]

12)E' più facile di quanto si creda odiarsi. La grazia è dimenticare. [G. Bernanos]

Coppie: 30) Tom Riddle/Ginny Weasley
→ Prompt: sangue;
→ La storia deve chiudersi in tragedia.

Promt: fuoco, velo (e sangue, naturalmente)
Avvertimenti: Dub-con, Tematiche Delicate, Violenza, perversioni dilaganti, maltrattamento di poveri galli innocenti e di un Tassorosso di passaggio.
Rating: Arancione (scuro, ma ancora nella fascia.)
Genere: Angst, Dark, in alcuni passi forse un po' horror, introspettivo... non lo so, frammentato, visionario e estraniato sono generi?
Pairing e/o personaggi: Ginny/Tom con diverse sindromi di contorno. Un'OC appena accennato, Samantha Hake, che ha la sola funzione di essere mal sopportata da Ginny.

Harry (e un po' di Harry/Ginny, con tanto di perversioni anche qui, perché sì), appena accennata la famiglia Weasley al completo – in particolare la mamma, Molly, e il papà, Arthur. Ma anche i fratelli e tutta la baracca. Hermione, che viene nominata un paio di volte, di sfuggita.
Intro:Chissà di cosa sono fatti, poi, i segreti.

Se sono fatti di nebbia, di aria o di immaginazione.

Sono mezze verità, le ha detto una volta. Sono omissioni, Ginevra, non bugie.

Chissà se, i segreti, si possono toccare. Se possono essere troppi.

Se una persona con troppi segreti possa scoppiare. Come una bolla, pof. Sparita.

Magari, dopo che la bolla di segreti esplode, non sparisce proprio del tutto. Magari rimane qualcosa. Mezze verità. Un velo di sangue che la separa dalla realtà.

Magari, se scoppiasse, quel velo cadrebbe. Magari lei è il velo.

Chissà. Mezze verità.

Non devi preoccuparti, dice Tom.

È la prima volta che Ginny disobbedisce.

[…] «Sei tu che torni sempre, mia Ginevra.» […]

È notte fonda, James ha sedici anni e il pigiama gli si è incollato alla schiena.

È nella Sala Comune, appoggiato ad una poltrona color geranio.

Avvicina la mano al fuoco che sta spegnendosi lentamente, nel camino.

Chi è Tom?

Nessuno gli risponde.
Note: infondo -al mar-, giù, giù.









 

Mezze verità

 

 

 

 

Il fuoco moriva lento nelle braci; davanti al camino, avvolta in un plaid e appallottolata su una poltrona color garofano, stava una bambina – occhi marroni, capelli di fiamma, undici anni e un diario.

L'indice ripassò lento un solco, un graffio, sulla copertina di pelle nera, scolorita, consulta. I suoi palmi erano scivolati su di essa, soppesando il fascicoletto alla luce tremula della Sala Comune. Poi, sul dorso, si erano fermati.

I diari, gliel'aveva detto la mamma, i diari sono fatti per raccogliere i segreti.

Ginny, di segreti, non pensava di averne poi molti – non ci aveva mai ragionato, fin quando quel libretto di fattura Babbana non le era pesato sulle ginocchia.

Anzi. Per essere del tutto sinceri, le facevano un po' paura, i segreti. Scrollò le spalle, intorpidita, e lo aprì. Le sue pagine – oh, quanto le piaceva sfiorarle, guardarle – le sue pagine, ingiallite dal tempo, sapevano di vecchie verità nascoste – alberi morti, foglie secche; erano autunno e inverno, e primavera e estate. Erano assuefazione, sorriso suadente.

Si mordicchiò l'interno guancia, tentennante: le sarebbe piaciuto così tanto aver qualcosa da raccontare – da scriverci.

Ma era solo una bambina – e le bambine non hanno segreti; ma era Ginny, era soltanto Ginny.

 

Ci aveva messo un po', a decidersi, e se poi lo rovino?, ma alla fine si era fatta coraggio.

Con una trepidazione che non comprendeva del tutto, aveva fatto scivolare via il tappo ad una penna. Era una penna nuova, gliel'aveva regalata papà, ed era una penna Babbana – era fantastica, l'inchiostro rosa profumato di fragola, riempiva le parole con scariche di brillantini luccicanti.

Ginny, aveva scritto sul frontespizio, con la grafia un po' incerta e tondeggiate di un'appena-undicenne.

Ginny, perché era piccola piccola – troppo piccola, perché qualcuno la chiamasse Ginevra.

Aveva scarabocchiato un cuoricino, vicino alla gambetta storta della y, e poi aveva stretto i denti attorno al cappuccio della bic, cercando cosa mancasse – perché, ne era certa, mancava qualcosa.

Aggrottando le sopracciglia, alla fine, aveva aggiunto sopra – un po' storto, ché non c'erano le righe – diario segreto di.

Diario segreto.

Segreto.

Perché segreto?, s'era chiesta vagamente perplessa, mentre scavava disperatamente nella testa, alla ricerca di un significato concreto.

Segreto – cosa servono, i segreti?

Perché, poi, doveva averne? Erano... preoccupanti – ecco, sì, preoccupanti. Nelle favole era sempre per colpa loro, che andava tutto a rotoli.

Eppure, nascosta da una tendina di capelli color del sangue, il brivido che la scosse fu tutt'altro che di inquietudine.

Fascinazione.

E Ginny sorrise, senza accorgersene.

 

 

Salve, Ginevra, aveva risposto il diario, come se fosse una cosa del tutto normale. Ginevra, non Ginny – Ginevra.

Era questo che l'aveva colpita, non le pagine che tornavano intonse, non l'inchiostro che s'assorbiva, profumo di fragola e brillantini compresi.

Ginevra.

Ginevra, che era un nome da regina, secondo Tom.

Sei destinata ad esserlo, avrai tutto ciò che vuoi – ti aiuterò io.

A Ginevra erano brillati gli occhi ed era arrossita.

Puoi davvero?

Ma certo. Te lo prometto.

E Tom – oh, Tom – le rispettava sempre, le promesse.

 

Ginny, le aveva spiegato Tom, paziente, era un nome da bambina.

Ed è per questo, Ginevra, che ti chiamano così.

Loro, gli amici, i genitori, i fratelli, la vedevano ancora come la bambina che non era più – che forse non era mai stata. Tom, Tom che sapeva e notava tutto, no – Tom le sussurrava che era una regina.

Ma non devi arrabbiarti con loro, non lo fanno per cattiveria: è che non ci arrivano. Loro non sono come noi – me e te – loro non capiscono.

Il cuore di Ginny, Ginevra, s'era scaldato di un calore piacevole, a quel noi.

Noi, Ginevra, faremo grandi cose. Poi, dopo un attimo – che avesse notato la sua esitazione?

aveva aggiunto:vedrai, ti insegnerò io.

E Ginny aveva annuito con un sospiro sollevato.

 

 

Scrivere a Tom, nascosta dalla tenda carminio del baldacchino del suo letto, era un po' come parlare a sé stessa. Tom la comprendeva; la capiva, ascoltava, annuiva. E, soprattutto, sapeva tenersi le cose per sé – non come quelle oche delle sue compagne, tanto per fare un esempio.

Caro Tom, cominciava sempre così. Tom, oh, Tom – le piaceva quel nome, il suono schietto e duro della ti, quello tondo della o e a seguire quello morbido della emme. Conciso, chiaro; netto. Aveva un che di cristallino – sincero.

Le piaceva Tom, che aveva poco più di lei – le piaceva Tom, che forse non aveva gli occhi verdi, ma li aveva grigi e profondi e il sorriso chiaro, sottile, comprensivo.

Ginny scriveva svelta, si lamentava dei fratelli, che la prendevano in giro, dei compiti, di quanto fosse insopportabile Samantha Hake e di una quantità d'altre cose.

Tom, ogni tanto, le chiedeva di Harry.

L'hai visto, oggi?

Sì, è sempre con Ron e Hermione, sai. Pens-

Cosa pensi, Ginevra?

Penso che mi abbia sorriso, Tom.

L'ha fatto di sicuro.

Come fai a esserne così certo?

Be', perché dici che Harry è intelligente – sarebbe uno scemo, se non gli piacessi.

E Ginny arrossì sulla punta delle orecchie.

 

 

Tom. Caro Tom, secondo te... Secondo te...

Harry sarà tuo, Ginevra.

Ma com-

Perché è lontano solo ciò che non ti interessa raggiungere. Quando diventerai una regina, Ginevra, Harry sarà tuo, se lo vorrai.

Davvero?

Certo.

 

Se Ginny ci pensava, Harry era già suo.

 

 

Tu mi vedi, Tom?

Sì. Sì, ti vedo, mia dolce Ginevra.

Come piacerebbe anche a me vederti, caro Tom!

Mi vedrai, un giorno.

Davvero? E quando?

Fra un po'.

Perché non ora, Tom?

Vuoi vedermi, Ginevra?

Sì. Certo che sì!

Allora mi dovrai aiutare – puoi farlo per me?

Oh, Tom. Ovviamente. È questo quello che fanno gli amici, no?

Gli amici. Sì, mia Ginevra. Chiudi gli occhi, da brava.

D'accordo, Tom.

Ginny abbassò le palpebre e crollò il capo contro la spalliera della poltrona color geranio.

 

 

Ginny – no, Ginevra – cammina piano, in un prato – non sa perché, ma lo fa; punto.

C'è qualcosa che la inquieta, e vorrebbe tanto capire cosa, ma non sa; c'è qualcosa di tremendamente stridente – se solo individuasse cosa.

O chi.

Tom, la divisa di Hogwarts con la cravatta un po' molle, l'aspetta appoggiato a un masso, un sorriso serafico a rigargli il volto da angelo.

Tom, prova a gridare Ginny, mentre sospira sollevata – ma non riesce. Tom – ripete, in uno stridio attutito dall'aria.

Eppure lui la sente comunque, si volta, la fissa; sorride – solo per lei. Le tende la mano, vieni qui, Ginevra, sembra dirle. E lei corre, rallentata dallo sbuffo gelatinoso del sogno.

Ti insegnerò, bella Ginevra, ma tu dovrai aiutarmi, mormora il vento con la voce di Tom – lui muove appena le labbra.

Vedrai, Ginevra, insieme faremo cose inimmaginabili. Devi solo darmi una mano.

Tom è un bravo insegnate, lei un'allieva attenta, insieme mantengono sempre le promesse.

Cosa devo fare?, prova a chiedere, ma, di nuovo, non riesce a parlare.

Non importa, Tom capisce comunque: sogna per me, Ginevra – ricorda questa vita per me.

Tom capisce tutto. E Ginny è una brava allieva.

 

 

I segreti, piccola Ginevra, sono come piccoli boccioli di fiori nascosti. Devi accudirli, capisci? Proteggerli. Dimmi, piccola Ginevra, raccontami i tuoi – io ti dirò i miei.

Sarà bello, mia dolce Ginevra, sarai regina, come io sono re.

Tom, le promesse, le manteneva sempre. E Ginny raccontava.

I segreti, mia cara Ginevra, sono fatti di sangue. È per questo che sono così importanti, hai capito?

E lei, pronta: sì, ho capito.

E aveva capito davvero.
Tom, scrisse una volta, durante l'ora di Trasfigurazione, grazie, Tom. Per tutto.

E lo scrisse con l'inchiostro rosso, più rosso dei suoi capelli.

Lo scrisse col rosso del sangue che le scorreva nelle vene.

 

 

Caro Tom, esitò un istante, poi, scossa da un brivido, raccontami una storia.

Che tipo di storia, Ginevra?, l'inchiostro rosso era riaffiorato.

La tua.

 

 

 

Tom non raccontava soltanto, no – lui narrava.

Ed era così bravo, con quella sua grafia obliqua, sintetica; ed era così bravo, con quell'inchiostro rosso che sembrava sangue. Ed era così bello, farsi cullare.

Per lo più erano storie di sogni – erano storie di un mondo migliore, più dolce, più chiaro; perfetto. Come Tom.

Erano paranoie visionarie di cose tremende e bellissime: solo le regine, Ginevra, diceva lui – e lo diceva in quel modo lì, solo suo, con cui avrebbe potuto convincerla di qualunque cosa. Solo le regine possono.

Ma, obbiettava Ginny, ogni tanto, quando riemergeva dal caleidoscopico sogno di sangue e carne, ma- non finiva mai la frase, forse le mancava il coraggio, forse non sapeva neanche lei cosa dire.

Ma, la imitava Tom con simpatia, ma Ginevra, non devi interrompermi, lo sai.

Scusami, Tom – il cuore sbatacchiava contro il macigno improvvisamente calato sul petto – scusami. Non sei arrabbiato, vero, caro Tom?

No, mia dolce Ginevra. No. Posso continuare?

Sì, sol-

Dimmi, Ginevra. Che c'è che non puoi dire al tuo amico?

Ginny neanche lo sapeva, quando, Tom, era passato da un amico ad essere L'Amico.

Quando potrò rivederti?, scrisse comunque.

Presto, assicurò lui.

E Ginny si lasciò trascinare di nuovo in quella storia fatta di sangue: in fondo, Tom, manteneva sempre le promesse.

 

È buio, è notte; la testa le pulsa.

Cammina scalza, barcollando sui pavimenti di marmo dei corridoi – piano, devi fare piano, sussurra Tom, nella sua testa, non ci devono scoprire.

Avvolta in una vestaglia dismessa, raggiunge lentamente, passo dopo passo, la fine della scalinata. Affonda i piedini bianchissimi nel terriccio e si guarda intorno.

Si morde le labbra violacee di freddo, gemendo in silenzio – perché? Perché è lì?

Succede così, la prima volta: le ginocchia che cozzano contro il selciato, lo schiamazzo improvviso degli animali – intruso, intruso!, sembrano dare l'allarme.

Annaspa, agitando le mani nel vuoto, strappa piume, lacera, ringhia.

Uno le si rivolta contro con particolare veemenza, ed improvvisamente Ginevra è in piedi.

Ma perc-

Il braccio descrive un'ellissi perfetta, nell'aria, la testa del gallo si schianta contro il legno della parete del pollaio.

Perch-

Oh, mai lo dimenticherà, no, non lo farà mai, il suono secco del cranio che si frantuma, il rosso delle cervella che schizzano via davanti agli occhi.

La manina di bimba sozza di sangue si apre di scatto e il cadavere d'uccello cade a terra come uno straccio troppo usato.

...perché?!

Che ti importa, stupida? Lui lo vuole.

Socchiude le labbra, sottili e vermiglie, l'odore aspro la invade – non la lascerà più, mai più.

Dopo, è anche più veloce. Vorrebbe, Merlino, non ne conosce il motivo, ma lo vorrebbe così tanto, ucciderli tutti in quel modo; purtroppo non può. Deve fare alla svelta, o l'alba la coglierà impreparata – e chissà.

Ginny serra gli occhi, Ginevra sorride.

Dopo, è tutto un acchiappare e tirare e schiacciare appena sul collo – dopo, non sente il dolore dei graffi e delle ferite ai palmi, non vede altro che piume, odiose piume di gallo. E sangue, tanto sangue – sangue non suo.

Ginevra sorride.

 

 

Non so, Tom, dici che dovrei dirlo a Madama Chips? Perché non mi ricordo assolutamente quello che ho fatto ieri.

Tom, il bel Tom, scosse la testa: non serve, me lo ricordo io, piccola Ginevra, non preoccuparti. È solo che sei un po' stressata, è comprensibile, sai, ma presto passerà – le cose andranno ancora meglio, te lo prometto.

Allora lei, con un sorriso storto da bambina stanca: grazie Tom, per tutto.

È questo che fanno gli amici, mia Ginevra.

Ginny vedeva appannato, ma, se lo dice Tom, era tranquilla. Crollò il capo sulla poltrona: aspetto un po' qui, Tom. Aspetti con me?

Cosa aspetti?

Io- io non lo so.

Tom le sorrise, rassicurante. Ma certo, mia piccola Ginevra, dormi: veglio io su di te.

E Ginny chiuse gli occhi davanti al fuoco morente, sul tappeto rosso, ai piedi della poltrona color geranio. E Tom mantenne la promessa, come sempre.

 

(È più facile di quanto si creda odiarsi. La grazia, mormora il vento dei sogni, la grazia è dimenticare.

 

 

Grazie. Grazie, Tom, scrive Ginny, con inchiostro rosso sangue – di nuovo.

Di cosa, mia Ginevra?, domanda lui, questa volta.

Di tutto, caro Tom, risponde lei, come al solito.)

 

 

Chissà di cosa sono fatti, poi, i segreti.

Se sono fatti di nebbia, di aria o di immaginazione.

Sono mezze verità, le ha detto una volta. Sono omissioni, Ginevra, non bugie.

Chissà se, i segreti, si possono toccare. Se possono essere troppi.

Se una persona con troppi segreti possa scoppiare. Come una bolla, pof. Sparita.

Magari, dopo che la bolla di segreti esplode, non sparisce proprio del tutto. Magari rimane qualcosa. Mezze verità. Un velo di sangue che la separa dalla realtà.

Magari, se scoppiasse, quel velo cadrebbe. Magari lei è il velo.

Chissà. Mezze verità.

Non devi preoccuparti, dice Tom.

È la prima volta che Ginny disobbedisce.

 

 

Ginevra, dice la brezza con la voce di Tom, che le sorride e le accarezza i capelli. Ginevra. Ti avevo detto che ti avrei insegnato, no?

Lei annuisce, piano.

I segreti, piccola Ginevra, sono come i fiori: parlano, a chi li sa ascoltare. I segreti sono petali di stoffa che nascondono un frutto, mi segui Ginevra?

Un frutto rosso, domanda lei, allora, con gli occhi. Come il sangue?

Tom le porge qualcosa, Ginevra arrossisce, davanti alla sua soddisfazione.

Sono fiero di te, Ginevra, diventerai una regina. Il vento si fa più forte. Physalis alkekengi, mormora, mentre le stringe il piccolo pugno su qualcosa.

Come?, prova a domandare lei, ma è troppo tardi: è già l'alba.

 

(Come il sangue?)

 

 

Di notte Ginny diventa Ginevra, ma di giorno, Ginevra, torna ad essere Ginny – la debole Ginny. Si odia, odia tante cose e fa di tutto per non dormire; ma com'è difficile.

Non sa neppure se lo vuole.

 

Ginny ciondolava per il castello, sfatta, con occhiaie viola troppe marcate. Nessuno se ne accorgeva.

Non Ron, non Percy, non i gemelli. Non i professori, non Hermione.

Non Harry, ch-

Non Harry.

Harry. Harry che non si accorgeva neanche di lei, figurarsi di come stava.

Har- Tom. Lui sì, lui era sempre attento a lei.

E poi, Tom assomigliava un po' ad Harry, ad un Harry migliore, più attento e più dolce. Ad un Harry re, che l'avrebbe fatta regina. Solo con gli occhi grigi, profondi come pozzi.

 

Era stato un bel sogno all'inizio.

Con fiori piccoli e azzurri e erba così verde da far male agli occhi.

Era stato un bel sogno.

Il problema era che non riusciva a svegliarsi.

Forse non voleva neanche.

Ho paura.

Ribellarsi.

Chissà.

 

Ho paura.

Tom, Tom, dove sei?

Ma Tom non rispondeva.

 

Ginny sussultò, spalancando gli occhi rossi.

Anche i palmi erano rossi, macchiati. Come sporchi di sangue, come le scritte sul diario di Tom.

Come sang-

Physalis alkekengi, ripeté la voce di Tom, nella sua testa, con lo stesso tono di una promessa. Quello chiaro e cristallino che faceva tremare il cuore. Quello delle verità. Quello con cui la chiamava Ginevra – e sorrideva.

Il frutto rosso come i segreti fatti di sangue, che aveva stretto troppo, per non svegliarsi. Ginny annuì, stordita.

Ecco. Ora sei pronta. Diventa regina.

Ginevra chinò il capo e sorrise il sorriso chiaro di Tom.

Diventa regina.

 

Le altre sognavano di diventare principesse.

Sognavano principi azzurri e cavalli bianchi.

Le altre – Tom l'aveva sempre detto che erano delle stupide.

Le altre non erano mai nemmeno paragonabili a lei.

Lei era regina, avvolta in un velo di mezze verità.

 

(Sognava frutti rosso sangue e Tom.

Occhi verdi, che forse erano grigi.)

 

I segreti, Ginevra, sono mezze verità. Sono come il sangue. Sono rossi e bruciano di fuoco.

Sono il velo, che ti protegge dalla realtà. Perché le regine vanno protette, capisci?

Era stato un bel sogno, finché non si era trasformato in un incubo.

 

 

***

 

 

Poi, tutto era tornato come prima. Ma non era più stata la stessa cosa.

Ginny, Ginevra, era cresciuta. S'era fatta più alta, più coordinata e meno paurosa.

Della vecchia Ginny era rimasto poco – le mani sempre in movimento s'erano fermate di colpo, il fare arruffato da cucciolo di drago s'era acquietato. Erano rimasti gli occhi nocciola, marroni e sinceri. Era rimasto il mare di lentiggini, che dalle gote scendeva sotto il colletto della divisa – e poi. E poi, chissà dove.

Portava i capelli rossi come il sole morente, lisciati fino a metà schiena e il sorriso chiaro e limpido delle (mezze) verità.

Grifondoro, schietta, decisa. Della vecchia Ginny era rimasto il tono dolce e la risata allegra.

Di Ginevra erano le labbra rosse come il frutto sanguinolento dei segreti e la testa mai del tutto china, la frangia di ciglia che celava gli occhi marroni, caldi – luminosi.

Harry l'aveva salvata, le avevano detto, Harry era così buono, e dolce e carino – bello, ai suoi occhi. D'altronde, perché accontentarsi di qualcuno carino, se c'era del bello, in lui?

Harry l'aveva portata via, l'aveva svegliata da quell'incubo di fuoco, aveva strappato il velo delle mezze verità.

E lei era rimasta un po' stordita, forse leggermente squarciata, come se quel velo, alla fine, fosse diventata un'indispensabile seconda pelle.

(Tom.)

Ma Harry l'aveva salvata – l'aveva salvata da Tom – e quindi Harry era buono. Sì, sì. Harry era buono.

Ma allora perch-

Forse era colpa sua, sì, doveva essere così, se si sentiva barcollante, a metà. Squarciata.

Tom – ogni tanto lo chiamava ancora; non poteva fare a meno di chiamarlo – Tom.

Ma Tom non rispondeva.

 

(Ed era tutta colpa di quel velo macchiato del succo di sangue dei segreti e dei frutti, ne era sicura.)

 

 

 

 

 

Tom tornò una sera d'inverno, così com'era arrivato e se n'era andato: sconvolgente come il fuoco soffocato dalle braci. E tornò con il sorriso sincero di sempre; e Ginevra ricambiò.

La Sala Grande deserta, la poltrona color geranio appena scostata. Sedici anni e sentirsi tutta la guerra pesare addosso. Ginny chinò piano il capo, avvolta in una coperta rossa.

Ginny calò le palpebre – e sognò.

 

È frustata e non è una novità.

È colpa di Piton, dei Carrow, della guerra.

È colpa della sua preoccupazione per i suoi, per i fratelli, per Hermione.

È colpa di Harry – che chissà dov'è, chissà come sta. Di Voldemort. Di Tom.

È soprattutto colpa di Tom.

Tom... perché sta pensando a lui e perc-

È su un prato. Verde salvia, piccoli fiori azzurri. Gli occhi grigi di Tom che le sorridono.

Cos-, Ginny ormai non si preoccupa più della voce che raschia nel fondo gola, come succedeva prima.

Tom la osserva e sorride, è quasi dolce e Ginny non può crederlo.

Com- chi... vorrebbe chiedergli tante cose – urlagli contro, per la verità.

Ma quando la sua mano fredda e liscia come il marmo – ed è proprio la sua, non ci sono dubbi: è proprio Tom. È tornato, è tornato per lei – si posa sulla guancia piena di lentiggini di lei, l'unica cosa che riesce a fare è inghiottire a vuoto.

Perché ci hai messo tanto?

 

Di giorno Ginny ringhia e scalcia, scalpita contro il preside – non può fare a meno di pensare a Piton con un brivido di disprezzo; faceva parte dell'Ordine, ha ucciso Silente, è un Mangiamorte. Lo odia, lo odia – i Carrow e i Serpeverde come Draco e tutta la sua setta di futuri servitori del Lord.

Di notte, Ginevra, lascia che Tom la culli fra le braccia e le racconti.

Tom, con voce liscia di velluto, bisbiglia segreti al suo orecchio, sfiorandola con le labbra pallide di ricordi.

 

 

Era una melodia strana, un po' pedante.

Aveva un che di salvifico – sì, insomma, era salva, no? – di buono. Ma Ginny la trovava irritante, insopportabile. Si svegliò di soprassalto, ansante, gli occhi iniettati di sangue: voleva qualcosa per tapparsi le orecchie – basta, basta, non la sopportava più.

Era una musica leggera, a tratti, quasi ultraterrena. Era il coro degli angeli del Paradiso dove, se avesse fatto la brava, la zia le aveva promesso che sarebbe andata, a suo tempo.

Ginny si piantò le unghie all'altezza delle tempie singhiozzando – ti prego, ti prego, Tom, falla smettere!

O forse era la melodia furiosa dell'Inferno, ghiaccio e fuoco che si univano in un unico, strabiliante, gioco di potere. Cenere e rinascita. Il lamento estatico dei demoni. E lei ne era il fulcro.

Tom!, ma Tom non faceva tacere il verso d'incanto della fenice, che, a distanza di anni, tormentava i suoi incubi.

Tom!, ma Tom si cibava del suo terrore – e sorrideva.

 

È un Tassorosso infreddolito, tremante e preoccupato.

Sarà del primo, del secondo anno o giù di lì.

Sorride, Tom, con gli occhi di Ginevra, mentre lo guarda contorcersi sul pavimento della Guferia, in preda agli spasmi di dolore.

Sorride, mentre sente il suono secco delle ossa che di spezzano, gli strilli disperati del bimbetto.

Sorride, Ginevra, a lasciare una scia rossa di sangue, con le unghie.

Perdonami, sembra dire Ginny, mentre bisbiglia in un singulto: «Oblivion.»

 

 

Torna nel prato ogni notte e non sa dire perché.

Odia Tom, lo odia, davvero.

Però... però, nel prato, il Tom perfido di adesso torna ad essere il Tom dolce di prima e Ginny non è proprio sicura dei tremiti del suo cuore.

Tom?, domanda, titubante. Tom, perché fai così?

Mia Ginevra, sussurra lui, mentre la brezza le accarezza la pelle, mia Ginevra, ma come? Ti sei già dimenticata?

Ginny rabbrividisce, ma non di freddo e neppure di paura – non proprio.

No, Tom, risponde, alla fine. Non è neppure sicura di sapere cosa dovrebbe avere dimenticato.

No, non ho dimenticato.

Lui le sorride, gli occhi profondi che non sono verdi.

Brava, Ginevra.

Come regina hai ancora molto da imparare, però.

Non vorrebbe dirlo, davvero, non vorrebbe. Non sa perché lo fa: insegnami, Tom.

È un mormorio che si perde nel vento.

 

 

La tenda del baldacchino è come quel velo fatto di sangue e inchiostro rosso che li aveva separati dal resto del mondo, quando lei aveva solo undici anni e lui era un ricordo sbiadito intrappolato in un vecchio diario.

Adesso, che Ginny è una ragazza forte, che sa quello che vuole, che non si fa piegare da nessuno, Tom non è più chiuso in un libercolo di fattura Babbana, ma si agita fra le pieghe dei mondi esistenti, di quelli finiti e di quelli solo sognati.

Adesso, il velo di mezze verità – che assomigliano più a mezze bugie, pensa Ginny, quasi con terrore – si è infittito e si è fatto tenda rosso fuoco di letto.

Ginny aspetta che le altre dormano, prima stirare le labbra in un sorriso.

Se socchiude gli occhi è nel prato verde, grigio e azzurro con Tom che le mormora all'orecchio.

Se li tiene spalancati, quasi quasi riesce a sentirlo, in un sussurro caldo: ricorda per me, Ginevra – immagina questa vita per me.

Fa scivolare una mano sotto la camicia da notte – lei sospira, spezzata.

 

Sei diventata una regina bellissima, Ginevra.

Ora, sii anche potente.

 

(Rendimi potente, disse il vento, mentre lui non schiudeva le labbra.)

 

 

Io ti odio, fece Ginny, incrociando le braccia.

Lo capisco, Tom stava seduto sul solito sasso, ma lei, questa volta, era ben più alta.

Vattene, perché continui a tornare?

Quasi le sorrise, nel sollevarle un lembo di gonna.

Sei tu, che torni sempre, mia Ginevra, poi si allungò a baciarla con delicatezza, quasi esitante, ma in maniera straordinariamente lenta – solenne – fra le gambe.

 

 

(Non le chiese di non odiarlo.

Non le chiedeva mai niente che non fosse meno che fattibile, lui.)

 

 

***

 

 

Si sposarono un giorno d'autunno, con la luce del sole morente alle spalle e quella degli innamorati riflessa negli occhi. Ginny strinse forte la mano di Harry, un istante prima che lui sollevasse il velo bianco per baciarla.

«Ti amo.» sussurrò lui. Lei non rispose: crollò la testa sulla sua spalla e sorrise.

 

 

È ovvio lo ama anche lei. Non c'è nemmeno bisogno di rispondere.

Lui l'ha salvata.

Il minimo che lei possa fare è amarlo.

 

Lui l'ha salvata.

Se lo ripete mentre si sfila il vestito di raso bianco e lo guarda sorriderle.

Lui l'ha salvata.

È solo un istante – un istante che rimpiangerà per il resto della vita, ma, davvero, è meno di un battito di ciglia; la mano di Harry le scivola sulla coscia e l'interrogativo la colpisce in faccia, molto più violento di uno schiaffo.

Perché l'ha salvata?

Si strappa il velo bianco dal capo e lo bacia.

(Perché?)

Gli artiglia la pelle con le unghie e non respira, mentre serra gli occhi. Sente qualcosa salirle alla gola, quando vede una goccia di sangue scivolargli sulla schiena.

(Harry, perché lo hai fatto?)

È una risata.

(Perché hai ucciso Tom?)

 

 

La fenice continua a cantare, nelle notti buie e senza sogni di Ginny.

Lei non dorme, appoggia la fronte alla spalla di Harry e stringe le labbra.

 

Questa volta lo riconosce subito.

È il prato di Tom, non ci sono dubbi. Non è sorpresa, anche se dovrebbe: sono anni che non lo sogna più.

 

(Perché si tratta tutto di un sogno, vero?)

 

Si mordicchia l'interno guancia, mentre cammina piano sull'erba, a piedi scalzi. È tutto così verde – è accecante, quasi. Gli alberi – non sa bene perché stia facendo caso a tutti questi particolari, in realtà – gli alberi sono quasi tutti ulivi. Vecchi, dai tronchi contorti e le foglie argentate.

L'erbetta tenera le sfiora le caviglie, mentre le dita le affondano in cuscinetti di trifogli e non-ti-scordar-di-me.

Tom, il nome le corre alle labbra veloce, prima che possa fermarlo, ma ovviamente non le esce un filo di voce. Tom.

È chiaramente Tom.

Chi altri potrebbe in un giardino così bello – è pieno di non-ti-scordar-di-me, come può non essersene accorta prima?

Myosotis. Un bisbiglio limpido.

Ginevra sgrana gli occhi.

Tom?

Non ti sarai dimentica, Ginevra.

Scuote la testa con foga: come potrebbe?

 

Ginny mormora qualcosa, nel sonno, Harry se la stringe addosso; il ventre di lui che si sfrega contro le reni di lei.

 

Le labbra di Tom sono più morbide di quello che ricordava.

Lui è dolce in una maniera sbagliata, velenosa.

I ricordi non cambiano. Tom, che succede?

Le mano di Tom le corre al collo e la stringe in una stretta quasi dolorosa mentre la fa stendere.

Ginevra, fammi un favore.

Cos- Ginny tenta di alzarsi mentre la camicia da notte le scivola via dalle spalle. No, Tom: no.

Oh, Ginevra, sei diventata una vera regina.

Lei si blocca. Lo fissa, e guarda i segreti assopiti nei suoi occhi non verdi.

Me lo devi.

Le labbra di Ginevra si stirano in un sorriso rapido, limpido. Fatto di sangue e succo rosso.

Ti devo tutto, Tom.

 

Qualcosa le dice che non lo rivedà mai più.

Non lo sognerà più.

La fenice smette di cantare.

«Ginny. Ehi, Ginny. Tutto bene?»
 

Gli si rannicchia addosso e nasconde il viso contro la sua spalla: «Tutto bene.»

chiude gli occhi, marroni e caldi, sinceri in un modo sbagliato.

Come se il velo che l'aveva tenuta separata da resto del mondo, ora, fosse scomparso.

Come se non sapesse più sussurrare mezze verità.

 

Nel pugno stringe un alkekengi.

Lo schiaccia contro il palmo.

Si bea del fuoco soffocato nelle braci.

 

 

 

Nove mesi dopo nacque James. James Sirius Potter, che portava il nome di due dei più grandi Re delle Risate che Hogwarts avesse mai conosciuto.

 

 

 

 

 

Nella quiete di camera sua, con il lettino della piccola Lily al suo fianco e il respiro calmo di Al, Jamie vicino, ammonticchiati sul lettone, addossati a Harry, Ginny sorrise.

Era tutto finito.

La guerra era conclusa da anni e poco importava, ormai, delle ferite che ancora faticavano a cicatrizzarsi – avevano vinto.

(Non aveva mai più sognato Tom. Non che ricordasse.)

Passò una mano sulla fronte sudaticcia di James: «Mh- Ma'?»

Ginevra non rispose. Si limitò a portargli un ciuffetto dietro l'orecchio e posargli un bacio fra i capelli. «Non riesci a dormire?» fece, dopo un po'.

James si mordicchiò un labbro.

«Perché avete proibito ad Albie di tenere un diario?»

«Perché? Volevi tenerlo anche tu?»

«Cos- no! È Al il nerd di casa.»

«Allora cosa ti turba?»

James aveva otto anni e un paio di mesi, era più grande di Albus di due e Lily era ancora talmente piccola che quasi scompariva, sotto quella zazzera di capelli rosso fuoco che non si sapeva bene se fosse ereditata dalla madre o dalle nonne.

«Mh.» serrò le palpebre. «Niente. Buonanotte.»

Ginny gli accarezzò il braccio.

«Perché papà ha gli occhi grigi, di notte?» per James fu appena un soffio, nel limbo del dormiveglia.

Ginevra, ben sveglia, sentì il sangue nelle vene farsi di lava.

Cullò la testa di James sul suo grembo, come il più dolce dei segreti. La più delicata delle mezze verità.

Gli altri non avrebbero capito.

 

Quando James tornò dal suo primo anno ad Hogwarts, scese dal treno con la divisa tutta stropicciata, i capelli sparati in direzioni semplicemente inumane e un sorriso milledenti che sarebbe potuto benissimo passare per paralisi facciale.

Lasciò scivolare quella che a prima vista era una palla di pelo bianco e arruffato – si dimostrò poi essere il risultato della recentissima cucciolata di Mimì, la gatta di Dominique – in braccio a Lily, si fece passare una mano fra i capelli da Harry e stritolò in un abbraccio frantuma costole Albus.

Fra le mani teneva un mazzolino di fiori. Lo porse a Ginny. Ginevra lo fissò, la gola secca, poi sfiorò la guancia del figlio con le labbra rosso-sangue.

Il mazzo era bianco come un bouquet da sposa – come quello che Ginny aveva portato all'altare, sorridendo ad Harry – e parlava di preghiera, verità e di un cuore acerbo. Ma nessuno, a parte loro due, lo avrebbe mai capito.

 

 

La fenice riprese a cantare.

 

 

Secondo Harry – secondo una moltitudine di gente, in realtà – James era la copia sputata del nonno e di Sirius. Aveva lo stesso atteggiamento, lo stesso sorriso e la stessa risata.

Si scompigliava in capelli in quell'identico modo Potter che tanto aveva mandato in bestia Lily Evans ai tempi e ghignava malandrino.

Ginny sapeva che non era così. James aveva qualcosa di diverso.

Il modo di fissare le persone dritte negli occhi, ad esempio e di sorridere ampio, sincero. Le palpebre calate a mezz'asta. Gli occhi iniettati di sangue e segreti.

Ginny conosceva quello sguardo abbastanza bene da intravedere il velo di mezze verità che lo separava dal resto del mondo.

 

 

È notte fonda, James ha sedici anni e il pigiama gli si è incollato alla schiena.

È nella Sala Comune, appoggiato ad una poltrona color geranio.

Avvicina la mano al fuoco che sta spegnendosi lentamente, nel camino.

 

Chi è Tom?

Nessuno gli risponde.

 

 

Anche James, come Harry, ha una cicatrice.

L'ha sulla mano e non è a forma di saetta.

Al padre e a Lily ha detto che è stato un incidente, un caso – che è caduto giocando in Sala Comune con degli amici. Albus non ci ha creduto, ma non ha aperto bocca.

Ginevra l'ha capito e basta.

Impresso a fuoco sul palmo della mano, come disegnato sapientemente da un attizzatoio, James ha un fiore.

Myosotis.

 

 

Harry si toccò distrattamente la cicatrice, mentre entrava in casa.

Sbiancò: «Ginny!»

Ginevra giaceva riversa sul tappeto macchiato del suo sangue. Impressa nei suoi occhi cerac una luce opaca che Harry non poteva conoscere: mezze verità.

L'ultimo incantesimo della bacchetta rotolata lì vicino era un Sectumsempra.

Steso scompostamente sul sofà, James non respirava.

Fra le labbra socchiuse, era scivolato un alkekengi. Sul mento scivolò un rigagnolo di succo rosso.

 

(Come il sangue e i segreti e i veli di mezze verità.)




 

 




N/A:

L'alkekengi è il frutto che simboleggia i segreti e tradimenti secondo non-mi-ricordo-più-che-cultura. L'ho letto su un libro, ma il titolo non lo rammento. Il Myosotys è il fiore del ricordo.

Il resto dubito che si capisca, ma non fa niente, le note mi hanno occupato più tempo della storia e non sto dicendo niente di sensato/interessante, quindi-

Ginny era un personaggio che non mi dispiaceva (nel senso che non mi faceva ne caldo ne freddo, aveva la sua funzione – debole, ma l'aveva – e la lasciavo esistere come le pareva.
Questo, prima di leggere una delle tirate di Lady sulla suddetta. Da allora quel mal sopportazione che giaceva sopita in me s'è risvegliata e ha dato di matto. Ma di brutto anche. So, in pratica la detesto per osmosi.
E come tutti i personaggi che mal sopporto ho fatto parecchia fatica ad ucciderla. Sì, ho decisamente qualche problema XD
Il mio ritardo cronico, questa volta, è stato nocivo. Non penso sia più valido e me ne dispiace, non sai quanto. Ma lo pubblico lo stesso, soprattutto perché penso sia giusto che tu sappia che questi deliri sono, in pratica, tutti ispirati da te.

Nella speranza di fare in tempo, la prossima volta,

Anon_

  
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