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Autore: Jess2792    02/06/2015    1 recensioni
La fine della Guerra Civile tra Iron Man e Captain America, vede quest'ultimo vittima di un sicario. L'agente Romanoff, incaricata dal Capitano Rogers, consegna una lettera nelle mani dello storico amico, Bucky Barnes. La lettera contiene i ricordi di Rogers condivisi con Barnes, prima, durante e dopo la guerra, oltre ad altri dettagli... quali saranno?
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
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“Molto probabilmente tu non ti ricordi di me, ma mi conosci.
So che ora avrai le idee confuse, ti starai ancora chiedendo chi io sia ma ogni cosa a suo tempo. Ti parlerò di te, di noi, della guerra e della relativa pace che lo S.H.I.E.L.D. si ostina a proteggere, la stessa pace che volevamo a tutti i costi noi a quel tempo.
Ti conobbi a scuola eri un anno più grande di me. Non ti importava. Mi prendesti in simpatia: io ero un involucro di carne minuto e asmatico. Non capisco tutt’ora cosa vedessi in me. Avevi lo sguardo da fabbricante di illusioni, quelle illusioni di cui avevo bisogno, e ti avvicinasti a me.
Era la fine degli anni ’30. Si, ora ti chiederai com’è possibile, ma si, io e te non apparteniamo in alcun modo o contesto a questo presente. Mi chiedesti come mi chiamavo e io ti risposi “Steve Rogers!”. Sorridesti, lo facevi spesso, in un periodo come quello per il mondo, lo facevi sembrare facile e semplice.
-“James Buchanan Barnes, ma tu caro amico mio puoi chiamarmi Bucky.”, ti presentasti.
Ci stringemmo le mani. Per me era un nome troppo lungo da ricordare ma ignoravo che da lì all’infinito ti avrei chiamato semplicemente Bucky, nome che porto ancora oggi dentro di me. Nelle vene. Nel cuore. Credevamo di poter cambiare questo malmesso e sconsiderato mondo. Credevamo che questo mondo meritasse un'altra occasione. La prima guerra era finita, ma una seconda incombeva ed il nostro paese doveva dare una mano. Come potevamo tirarci indietro quando l’opportunità di una vita ci si presentava davanti? Io ero forse a livello fisico meno idoneo di te, ma avevo bisogno di sentirmi occupato, di proteggere a modo mio, o a modo loro, quel nostro malmesso mondo. Era metà degli anni ’30, avevi diciotto anni. Volevi arruolarti e io volevo seguirti a ruota. Tu attendevi solamente la conferma di arruolamento mentre cercavamo un lavoro, ma quel lavoro lo cercavamo per me, perché eri sicuro che nessun commando di arruolamento mi avrebbe ritenuto idoneo. Volevi proteggermi.
-“Steve, non deprimerti. Ce la faremo.”.
Mi bastavano quelle poche parole di conforto. Eppure mi serviva la tua presenza nella vita. Eri aria. Eri tutto ciò che avevo, anche quando non avevo niente; quando tutto il mondo mi sembrava andar contro ogni cosa e principio, io avevo te.
Non ricordo bene che giorno fosse, era un altro noioso giorno in cui cercavo impiego. Quando tornai a casa, eri li con il tuo portamento da bullo difensore dei deboli, addormentato sulla poltrona. Sicuramente avevo fatto tardi ed eri crollato dal sonno. Avevo già chiuso da qualche minuto la porta dietro di me ma ero imbambolato sull’entrata a guardarti. Ti osservavo, avevi le ciglia lunghe eppure non erano affatto occhi da donna. Avevi le labbra carnose e chissà quante donne le avevano già sfiorate e quante ancora avrebbero potuto farlo. Mi limitavo a contemplare un corpo che non era il mio, di un uomo con cui vivevo, un amico con cui dividevo il tetto e il cibo. Mi limitavo a osservarti. Avevi le sopracciglia crucciate. Forse stavi sognando. Non ti chiesi mai che cosa, ma me lo chiedevo spesso. Decisi di muovermi e fare quel passo per andare avanti che avrei dovuto fare minuti prima e cercai di svegliarti.
-“Bucky, su dai. Sono tornato. Svegliati. Scusa, ho fatto tardi.”.
Sembravamo una coppia di sposini, e tu cercasti di alzarti mentre eri ancora in stato comatoso. Mi guardasti disperato con uno sguardo che chiedeva pietà e desideroso di dormire.
Mi misi a cucinare e tu mi guardasti.
-“Steve, perché non sei una donna?”.
Mi misi a ridere, forse un po’ preoccupato, forse un po’ desideroso di esserlo. Avrei avuto meno problemi e sicuramente non saremmo stati amici. Ti alzasti e mettesti una mano sulla mia spalla destra.
-“Tranquillo, vai bene cosi come sei, asma e altezza mancante compresa.”.
Non capii ma sorrisi ugualmente. Mi girai per risponderti ma eri andato in camera a cambiarti, perciò non dissi nulla.
Si avvicinavano gli anni ’40. Questa guerra non sembrava voler finire. Quella mattina sapevo che ti saresti alzato presto per andare ad arruolarti definitivamente e in cuor mio sperai che il destino avesse finalmente mosso i suoi ingranaggi. Da due anni a quel giorno avevo falsificato nome e cognome pur di entrare nell’esercito. Io e te non vivevamo più sotto lo stesso tetto ormai da tre anni. Mi sentii di troppo, per tutto quel periodo assieme. Tu non avevi bisogno di me, eri autosufficiente ed io mi aggrappavo alla vana speranza che quel desiderio di toccare le tue labbra (che capii solo dopo perché mi fermavo così tanto a guardarle) cessasse.
Andai al cinema. Durante il film ogni tanto proiettavano qualche scena di guerra con propaganda di arruolamento, e si sentivamo persone che disprezzavano il gesto. Intimavano di tornare al film.
-“State zitti, portate rispetto!”.
Ottenni solo un uomo burbero e bastardo che mi spinse fuori dal cinema e minacciò di suonarmele di santa ragione. Mi difesi, a mio parere, piuttosto bene. D’un tratto, quando per l’ennesima volta mi ritrovai steso a terra, tu spuntasti, come un dio salvatore dei poveri disgraziati come me. Lo fermasti e, nel mandarlo via, ricordo che gli avevi assestato un bel calcio nel sedere, così forte che se ne andò a gambe levate. Solo in un secondo momento notai la divisa.
-“Ti hanno arruolato?”.
Mi aiutasti a tirarmi su e mi accompagnasti al mio nuovo appartamento.
-“Steve, non devi occuparti di questo. Quante volte hai falsificato nome e cognome? Non puoi giurare il falso. Ti prego Steve, puoi fare un umile lavoro anche qua.
-“E cosa posso fare, andare in fabbrica?
-“Sempre meglio che morire in guerra.”.
Cercai invano le chiavi. Tu mi conoscevi così bene che sapevi pure dove fosse la chiave di riserva, sotto il mattone. Me la porgesti e mi accorsi: volevi proteggermi ancora, ma non mi servivano le tue parole gentili o quello sguardo che uccideva, e come se non bastasse, ero tornato a fissare quelle labbra per cui ero scappato.
-“No, Bucky! Non mi arrendo!”.
Mi invitasti ad uscire con te e altre due belle ragazze, a una fiera che, come la chiamavi tu, era una finestra sul futuro, poiché vi erano degli stand riguardanti prototipi ed esperimenti tecnologici, oltre alle giostre.
Anche se non era quello che volevo, eravamo innanzitutto in tempo di guerra e in un paese poco tollerante. Per di più ero spaventato dall’idea che se te lo avessi detto, tu saresti scappato e che questi piccoli momenti, in cui potevo osservarti, anche se da lontano, non sarebbero più esistiti.
Howard Stark stava mettendo in mostra la sua nuova invenzione, ma ero troppo occupato a pensare a un modo per arruolarmi e salvare questo beneamato mondo. Mi allontanai e mi avviai nello studio medico per l’arruolamento che avevo notato dove mi avrebbero detto se ero o no idoneo. Ero scoraggiato e quando notai l’espressione del dottore, decisi di rivestirmi. In quel momento una donna entrò nell’ambulatorio e il medico si allontanò; nel frangente entrò un uomo, un medico, forse uno scienziato, in quel momento non sapevo chi fosse. Mi disse di seguirlo, mi fece alcune domande e sottolineò:“Non avrai il fisico, ma hai ciò che un soldato dovrebbe avere.”.
Mise il timbro sulla cartella, mi arruolarono.
Iniziò il periodo di ‘allenamento’. Ero il più minuto e più magro di tutta la divisione, ero stato già perso in giro, ma ero troppo felice per deprimermi. Davanti a noi si presentò una donna, una bella donna, veramente, e sapeva farsi rispettare. Aveva uno sguardo simile al tuo. Non era te, ma era una consolazione accettabile. Era l’Agente Carter. Successivamente arrivò un uomo che subito commentò il mio aspetto, ma il professore che mi aveva arruolato era là e gli bisbigliò qualcosa. Notai solo il braccio di quell’uomo che si fletteva. I miei compagni iniziarono a urlare.
-“Bomba a mano!”, tutti scapparono. Io non pensai a nulla, se non a lanciarmi sulla bomba col corpo. Solo dopo scoprimmo che era un falso e si trattava di un test.
Il giorno dopo iniziò il vero addestramento. Una corsa kilometrica. Ero naturalmente il più lento, ma non mi arrendevo. Il nostro addestratore ci fece fermare davanti a una bandiera issata su un bastone altissimo, l’Agente Carter ci raggiunse in macchina. Ci seguiva e ci studiava. L’addestratore ci sfidò: se fossimo riusciti a prendere la bandiera, avremmo potuto raggiungere il traguardo in macchina assieme all’Agente Carter. Si ammassarono tutti nel tentativo di arrampicarsi, fallendo. Io non feci altro che avvicinarmi al palo, togliere i fermi e lasciare che il palo, al quale era issata la bandiera, cadesse. Raccolsi la bandiera e la consegnai all’addestratore.  Salii stanco e soddisfatto in macchina con Carter.
Mi prelevarono dallo squadrone d’allenamento e mi portarono in un laboratorio.
-“Sei disposto a tutto, Rogers?”, chiese lo scienziato. Annuii deciso. Mi sottoposi ad un esperimento, ad una prova.
Mi iniettarono un siero, sentii un dolore lancinante, ma mi teneva cosciente solo la speranza che ti avrei rivisto. Ero diventato un super uomo: più alto, più forte, ma rimasi lo stesso di prima, almeno nell’anima. Successivamente ci fu un’irruzione, subito dopo la conclusione dell’esperimento, all’interno del laboratorio, da parte del Teschio Rosso. Venne assassinato il professore e l’attentatore, dopo un intenso inseguimento, si suicidò avvelenandosi.
Venni a sapere del rapimento di alcuni soldati americani. Ebbi un brutto presentimento e chiesi se nella lista dei soldati risultasse anche il tuo nome. Pregai invano.
Sotto la supervisione di Carter, con l’aiuto di Stark, progettai una missione di salvataggio: da solo, senza aiuti, mi addentrai in una delle basi segrete del Teschio Rosso, trovai e liberai i soldati prigionieri. Tu però non eri tra loro. Ti ritrovai successivamente in un’altra stanza, confuso e disorientato.
-“Credevo fossi morto.”, ti dissi sollevato.
-“Credevo fossi più basso.”, mi risposi come tuo solito.
Insieme cercammo la strada per uscire dal luogo infernale. Tu, con le tue poche forze riuscisti a difendere entrambi, proteggendomi ancora una volta. Riuscimmo a raggiungere un ponte in metallo che conduceva all’uscita, ma un’esplosione spezzò il ponte. Ci separammo nuovamente contro la nostra volontà. Tutto stava andando a fuoco. Capii poco e niente. Sentii solo la tua voce chiamarmi.
-“Bucky! Và, non preoccuparti! Mettiti in salvo!
-“No! Non senza te!”.
I nostri occhi s’incrociarono. Avevo rivisto il mio vecchio amico e quella mia ossessione per te sembrava tornare. La paura era troppa.
Qualche giorno dopo ci ritrovammo alla base.
-“Steve, ora sei pronto a prendere a calci in culo i Nazisti?
-“Lo ero anche prima.
- “Steve, ti faccio una promessa: prenderemo a calci in culo questi stronzi assieme. Sempre insieme, fino alla fine della linea!
-“Sempre!”.
Mi fidavo di te. Eri il mio guarda spalle. Dov’ero io, c’eri tu. La mia più grande ambizione era diventata realtà e assieme a me, in questo nuovo viaggio, avevo te, che non te ne eri mai andato. Si vedeva l’orgoglio nei tuoi occhi quando mi guardavi, quando per una volta erano i tuoi occhi che osservavano me, forse con la stessa intensità con cui ti guardavo io, o almeno lo speravo.
Andammo definitivamente in guerra, non solo contro i nazisti, ma anche contro l’H.Y.D.R.A., che aveva rubato un energia inesauribile di cui si sapeva ben poco.
Ci preparammo a vincere questa distruttiva e inutile guerra e, per farlo, assemblai una squadra speciale d’assalto, che si sarebbe occupata dell’arresto dell’H.Y.D.R.A..
Sentivo che nell’aria cche qualcosa non andava.
-“L’inverno sta arrivando.”, dicesti, come se al posto dell’inverno volessi dire l’inferno. Ti raggiunsi e la missione ebbe inizio, ma la sensazione che qualcosa di storto stava per accadere non se ne voleva andare. Saltammo sul tetto del treno merci dei nemici e lì arrivò il problema: tutto troppo in fretta, non ebbi nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo e partì uno sparo. La mia rabbia si mischiò alla paura. Non capii se ti avessero colpito o no. Mi avvicinai e ti vidi, sofferente, mi dicesti di non preoccuparmi, che tutto andava bene, insieme avremmo dovuto lasciare il treno, ma non avevamo via di fuga. Partì un colpo e tu ti ritrovasti aggrappato a una maniglia esterna. Mi avvicinai per aiutarti.
-“Sempre insieme, fino alla fine della linea.” –  ti urlai – “Tieniti forte!”.
Il mio cuore batteva cosi forte in petto che avevo paura esplodesse. Tu perdesti la presa e cadesti nel vuoto. Il mio cuore si bloccò, la mia più grande paura si era avverò. Ti avevo perso, non c’eri più.
 Mesi dopo, durante l’inseguimento di Teschio Rosso, con Carter e il Comandante, io decisi di tenere da parte la mia piccola ossessione per te e dare una possibilità a lei, a Peggy, Peggy Carter, che mi aveva baciato nel frattempo, ma per quanto lei mi piacesse, lei non era te.
Sconfitto il Teschio Rosso, mi ritrovai alla guida di un aereo in caduta libera e pronto ad esplodere. Al microfono Carter mi urlò di buttarmi, ma non avevo più un motivo per tornare e decisi almeno di fermare l’aereo. Qualcosa andò storto, come se non bastasse, mi schiantai e caddi nelle acque gelide dell’Atlantico, dove mi ritrovarono settant’anni dopo, congelato. Scoprii che la guerra era finita, che l’America aveva vinto e che il mondo che conoscevo non esisteva più. Il mondo che ora aveva preso piede somigliava, forse, o in parte, al mondo che volevamo, un mondo relativamente in pace. Stark e Carter avevano contribuito alla fondazione dello S.H.I.E.L.D. e il direttore Nick Fury mi aiutò a reintegrami e, tra il progetto Avengers, il figlio di Stark e altri “colleghi”, decisi di proteggere quel mondo anche per te. Peggy era ancora viva, ma non era certo una fanciulla. L’andai a trovare in ospedale, ma le avevano diagnosticato l’Alzheimer e si, mi riconosceva, ma a fatica.
Ero convinto tu fossi morto, che tutto quello in cui volevo credere, tutto quello di cui avevo bisogno, era morto con te.
Quando ti rividi quel giorno il mio cuore tornò a battere, con la speranza di avere almeno te nel nuovo mondo che si era andato a creare. Ero felice, anche se eri il mio nemico. So che una parte di te ricorda, forse non tutto, ma ricorda.
Natasha mi ha fatto avere il tuo fascicolo: sono a conoscenza di ciò che ti hanno fatto. Se solo avessi saputo prima, avremmo potuto evitare tutto quanto.
Bene, ora sai anche dei miei sentimenti per te.
Bucky, non l’ho mai detto, ma credo che si capisca: io ero innamorato, lo sono e lo sarò sempre di te.
Nella speranza che almeno la mia lettera ti sia arrivata e che ti abbia almeno fatto ricordare qualcosa, già questo mi rende molto felice. Mio caro Bucky, infondo se la stai leggendo, significa che non ho mantenuto la promessa del “per sempre insieme fino alla fine della linea”, ma ti aspetto e lo farò in eterno.
Sempre.
Tuo Rogers.
 
P.S.: trattali bene, so che sono dei danni, Stark per primo; Thor e molto forte e leale; Natasha è una grandissima alleata e su di lei potrai sempre contare; Bunner perdilo per quello che è; e infine Barton, bhe, lui è il fulcro: ci ha aiutati parecchio a restare uniti. Veglia su di loro e saluta Fury da parte mia. Digli pure della lettera, se vorrai.
Arrivederci.”
 
 
 Ho richiuso la lettera, non mi ero reso conto di piangere. Natasha piangeva insieme a me. Dietro di lei due guardie dello S.H.I.E.L.D. che ci coprivano.
-“Oh Steve, gran figlio di una puttana. Dopo tutto questo tempo. Quando tutto quello che dovevi fare era baciarmi, grandissimo stronzo!”.
-“Bucky, lui ha scritto questa lettera con me davanti, sapeva che sarebbe successo qualcosa durante questa ‘guerra’ e c’è un’altra cosa che mi ha chiesto di darti.” disse la donna rossa, mentre si avvicinava al SUV.  Aprì la porta e prese il tuo scudo; stavo già piangendo e un nodo immenso in gola mi bloccò il respiro. Chiuse la macchina e mi porse lo scudo.
-“Eccolo. È per te. Ha chiesto in modo esplicito che fosse tuo.”.
E ora mi ritrovo qua, con te esamine, senza vita. Tu non potevi saperlo, ma anch’io ti amavo, e ti amo. Si, quel giorno ricordai tutto, ti salvai per questo, perché tu, mio caro Rogers, eri la chiave dei miei ricordi e, se dovessi tornare indietro, sarei ancora il tuo guarda spalle. Non cambierei niente, se non quel pizzico di coraggio che non abbiamo avuto. Tu dormivi, una sera, e io ti osservavo: i tuoi occhi addosso li avevo sempre notati, ma per paura non feci mai nulla, se non quella sera. Eri stanco, l’avevo notato, e dormivi profondamente. Mi avvicinai piano a te, con la paura di svegliarti, e senza accorgermene le mie, come le chiami tu, dannate labbra toccarono in un bacio le tue. Non te lo dissi mai, il giorno dopo avevi cambiato appartamento. Ho sempre avuto paura che fosse per quel motivo, ma grazie a Dio no.
Potrai mai perdonarmi?
 
-“Neo Captain America, Nick Fury la sta cercando.
-“Sto arrivando.”.
Ora vado. Ops, un ultimo bacio.
Il Soldato d’Inverno non esiste più, una nuova era sta arrivando.
Arrivederci mio amato capitano.
   
 
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