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Autore: Eowyn 1    02/06/2015    7 recensioni
Era passata una settimana da quando aveva fatto ritorno a Casa Baggins, dopo la sua avventura con la compagnia dei Nani, ed era una settimana che almeno una decina di volte al giorno frugava nella sua tasca alla ricerca di quel piccolo oggettino per osservarlo con aria assorta, pensando che forse era venuto il momento di trovargli una collocazione...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PLANT YOUR TREES, WATCH THEM GROW
 
 
 
Bilbo aprì la mano ed osservò il piccolo tesoro che teneva appoggiato sul palmo.
Era passata una settimana da quando aveva fatto ritorno a Casa Baggins, dopo la sua avventura con la compagnia dei Nani, ed era una settimana che almeno una decina di volte al giorno frugava nella sua tasca alla ricerca di quel piccolo oggettino per osservarlo con aria assorta, pensando che forse era venuto il momento di trovargli una collocazione, ma poi lo infilava nuovamente in tasca, scuotendo la testa. Ed ogni volta un senso di profonda tristezza lo coglieva e lo lanciava in un baratro scuro e di profonda solitudine.
Lo hobbit non riusciva davvero a capire di cosa si trattasse: era abituato a vivere da solo. Da quando i suoi genitori erano mancati era sempre stata quella la sua vita e gli piaceva. Pace, tranquillità, orari fatti su misura per lui senza dover mai aspettare o correre per qualcuno che avesse un ritmo di vita diverso dal suo.
Eppure, da quando era tornato, qualcosa era cambiato. Fino a quando era rimasto ad Erebor, nonostante il lutto per la morte di Thorin, Fili e Kili, c’era sempre stato qualcuno che gli girava attorno: i suoi amici Nani, Gandalf… Durante il viaggio di ritorno lo stregone era sempre stato al suo fianco e avevano fatto diverse tappe, prima presso la casa di Beorn, poi a Granburrone. La compagnia non gli era di certo mancata e anzi, nonostante tutto, continuava a non vedere l’ora di scorgere da lontano il dolce territorio della Contea con i suoi campi, i suoi fiori, le sue colline, la sua tranquillità.
 
Bilbo si tastò il petto a livello del cuore, scuotendo la testa: ma ora che cos’era quella lama che sentiva trafiggergli il petto? Quel dolore acuto che gli prendeva il cuore per poi espandersi a tutto il suo essere? Nell’ultimo anno, aveva passato ogni singolo istante a reclamare la sua pace ed ora che finalmente era a casa qualcosa non andava, qualcosa non funzionava più. Se ne era accorto nel preciso istante in cui si era lasciato alle spalle Gandalf ai confini della Contea, ma non ci aveva fatto caso più di tanto. La voglia di rivedere la proprio casa era così grande che l’emozione che aveva guidato i suoi ultimi passi verso Casa Baggins aveva zittito ogni altro sentimento.
La presa di coscienza effettiva era avvenuta quella sera quando, cacciati gli ultimi Hobbit impiccioni (Sackville-Baggins primi della lista), si era chiuso la porta alle spalle ed era rimasto solo. E nell’osservare la sua casa spoglia, disordinata e silenziosa aveva sentito nascere nel suo cuore un senso di malessere che dopo una settimana ancora non se n’era andato. E le finestre continuavano a rimanere chiuse. E la casa buia.
“Abbi pazienza, Bilbo” si diceva “passerà, devi solo riabituarti alla tua vita, alle tue comodità”. Ma questa litania che si ripeteva non convinceva nemmeno lui. Come si può trovare difficoltà nel riabituarsi alle comodità della propria caverna Hobbit, della propria vita tranquilla e agiata?
Bilbo sbuffò, stringendo con forza la camicia a livello del cuore dove continuava a sentire un vuoto gelido. Era un freddo strano, un freddo che non aveva mai provato nemmeno quando con i nani aveva attraversato le Montagne Nebbiose, o quando aveva passato una notte immerso nell’acqua del fiume cavalcando un barile e quella volta si era pure presso un brutto raffreddore! Bilbo fece una smorfia e scosse la testa: possibile che ogni pensiero, alla fine, tornasse sempre al suo viaggio e ai suoi amici?
E il freddo persisteva, mentre lui stropicciava senza alcuna cura la camicia che continuava a stringere nel pugno. Era un freddo strano, diverso, un freddo che non aveva origine da nessun evento esterno. A nulla sarebbe servito coprirsi o sedersi davanti al fuoco, quel freddo veniva da dentro, Bilbo lo stava realizzando col passare dei giorni, eppure vi era in lui una non accettazione, quasi una resistenza ad accogliere quel dolore che rischiava di congelare la sua vita.
 
Non sapeva cosa fare.
 
Era confuso e più si affannava nel tentativo di trovare una soluzione plausibile, più aveva l’impressione che non vi fossero vie di fuga.
Si sedette sulla sua poltrona lasciandosi cadere pesantemente, come stremato da un lungo sforzo.
 
Era stanco. Vuoto e stanco.
 
Vuoto di un vuoto che non avrebbe potuto colmare col suo buon cibo hobbit. Stanco di una stanchezza che non sarebbe passata nemmeno dormendo per una giornata intera.
 
Stanco, vuoto e con una voragine nel cuore.
 
Senza che se ne accorgesse, una calda lacrima scivolò lentamente lungo la sua guancia paffuta e, nel silenzio della sua casa, a questa ne seguirono molte altre. Erano lacrime calde, quasi bollenti tanto che, non appena realizzò di avere il volto completamente bagnato, Bilbo si spaventò. Come potevano quelle gocce di fuoco provenire dal suo corpo? Lui, che si sentiva così stanco, così vuoto, così freddo.
Portò le mani al volto e tentò di asciugarsi le lacrime. Sfregò più volte le guance e gli occhi con stizza. Era arrabbiato, solo ora se ne rendeva conto. Arrabbiato con se stesso per quella confusione di sentimenti che stava provando e che non riusciva a comprendere, arrabbiato con l’intero universo per come erano andate le cose: per essere svenuto durante la battaglia e non essere riuscito ad impedire che accadesse il peggio, arrabbiato con Thorin e con la sua testardaggine che lo aveva condotto alla morte, arrabbiato con Dain, con Gandalf, con Thranduil, con Bard e con tutti i suoi amici Nani.
Il suo pianto, all’inizio silenzioso, si trasformò ben presto in un pianto disperato. Forti singhiozzi scuotevano il suo piccolo corpo. Singhiozzi che fino a quel giorno Bilbo aveva represso ogni volta che si sentiva triste e confuso proprio come in quel momento.
Continuò a piangere per un quarto d’ora abbondante mentre una marea di pensieri tempestava nella sua mente fino a quando, piano piano, si ritrovò raggomitolato sulla sua poltrona a respirare profondamente, mentre il battito del cuore gli rimbombava nelle orecchie e la mente sembrava, finalmente, un po’ più sgombra e silenziosa.
Rimase a lungo in quello stato. Senza pensare, senza muoversi, senza fare nulla.
Forse era di quello che aveva bisogno, constatò. Dopo la morte di Thorin aveva pianto una sola volta, poi l’organizzazione dei funerali, l’addio ai suoi amici, il viaggio di ritorno e le varie tappe che lo avevano costellato lo avevano assorbito così tanto che non si era più concesso un momento per riflettere, per respirare, per riordinare i pensieri e le emozioni che aveva provato negli ultimi mesi.
Forse, avrebbe solo dovuto concedersi più tempo. Forse avrebbe solo dovuto cercare di accettare ciò che costantemente respingeva: il pensiero che i suoi amici e le giornate insieme a loro gli mancavano. Non tanto l’avventura, non tanto le peripezie, i draghi sputafuoco e le notti insonni passate esposti alle intemperie, ma l’allegria, la testardaggine, l’ostinazione, il coraggio, la gentilezza, la lealtà e, perché no, anche le cattive maniere di quei tredici nani che aveva imparato ad apprezzare. Era la loro compagnia, che gli mancava. E l’idea che dopo tutte quelle peripezie, Thorin e i suoi nipoti non avevano nemmeno avuto l’opportunità di vivere godendo della casa per la quale a lungo avevano viaggiato e combattuto, lo faceva stare ancora peggio.
Per quanti errori Thorin potesse aver commesso, Bilbo aveva imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo. Thorin era morto con onore, sul campo di battaglia, così come aveva vissuto con onore, facendo di tutto per la sua gente. Il problema dovuto all’influsso negativo che il tesoro di Erebor aveva avuto su di lui, Bilbo lo vedeva solo come una parentesi all’interno di un discorso più ampio. Come quando una nuvola passa in un cielo azzurro, lo oscura per un po’, poi il vento la spazza via e tutto torna a scorrere brillante come prima. Sì, anche per Thorin era stato così.
Ma la vita a volte è ingiusta e il suo amico non c’era più.
 
Il suo amico.
 
Le labbra di Bilbo si distesero leggermente. Se quello voleva essere un sorriso, non gli era uscito molto bene, ma almeno ci aveva provato. La tristezza e il pianto lo avevano distrutto fino al punto che gli era difficile muovere un solo muscolo. Era esausto. Troppo stanco per fare qualsiasi cosa.
Bilbo sollevò a fatica una mano, andando a fregare nuovamente le guance ancora umide. Fu in quel momento che sentì qualcosa scivolargli fuori dalla tasca dei pantaloni e cadere con un piccolo suono sordo sul cuscino della sua poltrona.
Si sporse in avanti, per controllare cosa fosse, rimanendo sorpreso e interdetto nel ritrovare il suo piccolo tesoro sul cuscino accanto a lui.
 
La ghianda. Quella ghianda. La sua ghianda.
 
Bilbo la raccolse delicatamente e la sollevò sul palmo della mano.
« E tu? Che cosa ci fai in giro? » sussurrò, accarezzandola con un dito.
Il suo volto tornò triste e gli occhi di nuovo lucidi, prima che un sorriso amaro gli comparisse sul volto.
Stava per cedere nuovamente alle lacrime, quando percepì un tocco leggero sulla propria testa. Si voltò e osservò un punto indefinito sopra la poltrona, alle sue spalle.
“Sciocco di un Bilbo! Chi vuoi che sia? Ora ti immagini pure le cose?” pensò, mentre si voltava e si raggomitolava di nuovo.
Tornò a fissare la piccola ghianda che teneva ancora in mano e il problema che in quegli ultimi giorni lo aveva afflitto gli si ripresentò:
« Che senso ha, eh? Che senso ha tutto questo? »
 
 
Torna ai tuoi libri e alla tua poltrona.
 
 
Il cuore di Bilbo perse un battito, mentre il piccolo hobbit rimaneva immobile, come paralizzato, a fissare il vuoto davanti a sé. Forse stava impazzendo, anzi, doveva sicuramente essere così. Tutto quel dolore lo stava facendo impazzire, perché altrimenti non avrebbe saputo come spiegarsi quella voce che aveva appena udito.
« Non è divertente… » bisbigliò « Non lo è affatto… »
Eppure non aveva paura.
Sbuffò.
« Che cosa me ne faccio io ora di te? » domandò ancora alla ghianda.
 
 
Pianta i tuoi alberi, guardali crescere.
 
 
No, non aveva paura.
Fissò la ghianda ancora per qualche secondo.
« Pianta i tuoi alberi… guardali crescere… » bisbigliò.
Forse ora aveva capito.
Raccogliendo le poche forze che gli erano rimaste, Bilbo si alzò ed infilò la ghianda nella tasca dei pantaloni.
Uscì in giardino e recuperò un vaso che fosse delle dimensioni adatte ad accogliere i primi germogli di una giovane pianta. Lo riempì di terra ed estrasse quel piccolo tesoro che ancora nascondeva in tasca. Lo osservò a lungo, in silenzio.
Se proprio non si poteva tornare indietro, se proprio doveva ricominciare, allora sarebbe ripartito da lì: da una piccola vita, destinata a diventare grande e resistente, come solo una quercia può fare.
« Ci vorrà del tempo e non sarà facile, ma ci proverò, Thorin. Te lo prometto, ci proverò. »
Premette leggermente sulla superficie della terra e vi posò la ghianda, circondandola con foglie secche, in modo tale che fosse riparata e non rimanesse esposta agli agenti atmosferici o alla vista di qualche animale che avrebbe potuto mangiarla.
« Rimani qui e cresci in fretta. Non appena sarai abbastanza grande ti pianterò in cima alla Collina, così che tutti possano vederti. Così che io possa ricordare sempre ciò che ho imparato… dai miei amici. »
 
Bilbo tornò in casa, tra le mani teneva stretto il vaso come fosse il più prezioso dei tesori sulla terra. Si diresse in camera sua, spalancò la finestra e posò sul davanzale la sua piccola ghianda, respirando l’aria fresca che presto invase Casa Baggins e lasciandosi accarezzare dalla luce del sole.
Bilbo sorrise.
Finalmente, di nuovo.
 
Sorrise.
 
 
 
 
Se più persone considerassero la casa prima dell’oro, il mondo sarebbe un posto più felice.
 
 
 
 

 
Ok… avevo cominciato con l’intenzione di scrivere una storia comico/demenziale dovuta a un fatto che mi è capitato due giorni fa. Poi sono finita così… Non picchiatemi, ma è tutta colpa di quella ghianda. Credo che abbia provocato seri danni ai feels di ogni persona all’interno di questo fandom.
Alla fine, mi sono trovata ad immaginare come possa essersi sentito Bilbo nei primi giorni dopo il suo ritorno. Lui è un hobbit forte, si riprenderà, ma penso che come ogni persona abbia avuto bisogno di un po’ di tempo per rielaborare tutte le grandi cose che gli erano capitate… poi va beh, questa è la mia interpretazione. Spero, se non di aver centrato, almeno di essermi avvicinata all’obiettivo. ;) Per ogni eventuale danno ai vostri sentimenti non prendetevela con me, ma con gli esami imminenti che mi provocano seri scleri di questo genere (no… non sto cercando di lavarmene le mani…) :P
A parte tutto, spero che la storia vi sia piaciuta! Grazie per aver letto! Un abbraccio! :*
Ora scappo, domani ho il primo esame e dovrei essere con la testa sui libri… la pausa si è prolungata anche troppo :’(
Eowyn 1
 
   
 
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