Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: felsah    15/06/2015    4 recensioni
“Che cosa succede?” chiese lei, si chiuse la porta alle spalle e camminò verso di loro. Poggiò le mani sulle spalle di Hans, da dietro. Gli tirò su il mento con due dita, esaminando la guancia, e lui si ritrasse per la vergogna, continuando a premervi la mano sopra per cercare di fermare quel tremendo dolore.
“Succede che non ascolta mai” sentì la voce profonda del fratello ribattere. “ E’ buono solo a combinare guai, questo ragazzo. Mi stava già causando troppi problemi, senza che si aggiungesse anche questo”.
Hans sentì che le lacrime cominciavano a scendere, minacciose, allora si liberò dalla presa della regina con uno strattone, e corse via per il corridoio.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elsa, Fratelli di Hans, Hans
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti quanti decideranno di venire a dare un'occhiata! Non so se qualcuno si ricorda di me in questo fandom (spero di sì). Sono stata via così tanto tempo che penso di non poter biasimarvi se mi avete creduto morta :') Adesso, quei pochi che mi conoscono sanno che di solito scrivo le note alla fine, ma questa volta temo di dovervi assolutamente disturbare prima che leggiate la storia e spero tanto che lo farete, altrimenti penso potreste rimanere...boh. Potreste rimanere boh, mai espressione fu più perfetta. Ecco. Questa storia è nata principalmente perchè, dite quello che volete, ma io amo Hans. Lo amo, basta. Come tutti personaggi che durano cinque minuti o che sono cattivi e psicopatici, sapete anche questo. Quando ho iniziato a scriverla, senza farvela troppo lunga, volevo fare una specie di narrazione a episodi della sua vita fino a quando non è spedito ad Arendelle per l'incoronazione di Elsa e esplorare un pochetto il suo animo e le motivazioni dei suoi gesti. Principalmente sentimenti come la gelosia, l'invidia e la solitudine ecc. Mentre la scrivevo ho però commesso un errore madornale. Eh già. Ho chiamato Elsa la regina delle Isole del Sud, perchè volevo che fosse un personaggio centrale, e una delle motivazioni principali di Hans e siccome tutti i nomi che avevo scelto in precedenza non mi piacevano e mi rendevano impossibile scrivere, ( ne ho provati taaaanti, Olga, Astrid, Helga) l'ho chiamata così, sperando di concentrarmi e cambiando il nome quando tutto fosse finito.
Il fatto è che mi sono lasciata prendere dall'entusiasmo e mentre componevo, nella mia testa la regina Elsa è diventata quella regina Elsa, e così ho cominciato a inventare pittoresche descrizioni che facessero capire che sì, era proprio la nostra deliziosa principessa di Arendelle. Così, è uscita una cosuccia di cui sono abbastanza soddisfatta, anche se come potrete notare ho lasciato libero spazio alla fantasia, in quanto forse le età dei personaggi, o meglio le loro differenze di età sono un po' impossibili...insomma, non mi sono persa a fare calcoli, sappiate solo, per non rimanere traumatizzati, che all'inizio del racconto la regina ha 21 anni e il fratello di Hans che diventerà re ne ha pochi di più. Sono entrambi giovani e freschi come fiorellini. Poi, le cose importanti. Le due citazioni in corsivo sono della poetessa Alejandra Pizarnik, che io adoro e il titolo...beh. La ninna nanna che cito alla fine, è una vera ninna nanna dei paesi nordici, danese per essere precisi e la traduzione è "la mamma è accanto al tuo letto e ti canta una ninna nanna, la mamma è tanto stanca e ha proprio bisogno di riposare" (capirete leggendo ;D)
Che altro...? Beh, non vi rubo altro tempo, e se avete qualche dubbio sarò felicissima di rispondere. Spero che vi piaccia!
felsah







 

Il brutto anatroccolo
________




 
So poco della notte
ma la notte sembra sapere di me,
e in più, mi cura come se mi amasse,
mi copre la coscienza con le sue stelle.




 
I suoi fratelli ormai non facevano altro che parlare della Principessa da settimane. Hans non era riuscito a capire da dove sarebbe sbucata questa straordinaria fanciulla dai mille pregi e le mille virtù, nonostante lo avesse desiderato più di qualsiasi altra cosa al mondo per diversi giorni. Di non certo non avrebbe mai osato chiedere, e così si era dovuto accontentare di sentire parole sconnesse che per lui non avevano di certo il gran significato che vi avevano deciso di applicare i suoi fratelli: ai suoi occhi, alleanza, potenziamento, estensione, unione di reami, sembravano solamente parole forti e potenti, così grandi da risultare spaventose nella loro maestosità e importanza. I suoi fratelli sembravano felici come dei bambini quando si riunivano per discutere della Principessa. Anche il suo nome era stato sulle bocche di tutti per molto tempo, e almeno quello, era riuscito a capirlo anche lui. Elsa, quello il nome della fanciulla.

“La principessa è a Rosenborg, fratello!” annunciò un giorno Gustav, entrando nel salone. Stranamente, ad Hans era stato concesso di rimanere lì con tutti loro, a patto che rimanesse in silenzio e finisse i suoi esercizi di matematica. Gustav diede una pacca sulla spalla del principe ereditario, scoppiando in una fragorosa risata. “Non ti vedo ballare di gioia, Aleksander! Dovresti ballare. Vieni qui che siamo pronti a rallegrarti”.
Insieme ad un altro dei fratelli lo sollevarono dalla poltrona su cui era steso in malo modo, complice il caldo che in quei giorni sembrava non dare tregua.
“E smettila, idiota” lo ammonì subito il principe, tornando nella posizione precedente.
“Ci disdegna Albert, preferirebbe ballare con la Principessa”.
“Certo che sì” mormorò Aleksander contrariato, “ se si decidesse ad arrivare. Stanno prendendo la strada più lunga”.
“Quanto ci vorrà ancora?” si lasciò sfuggire Hans, che ormai li stava fissando da qualche minuto. I tre si voltarono verso di lui come si fossero ricordarti solo in quel momento di non essere soli.

“E’ più impaziente di te, il piccoletto” latrò Gustav in direzione del fratello maggiore, “ forse è meglio se la sposa lui la Principessa”. Rise ancora e ancora in quel suo modo sinistro che ad Hans aveva sempre messo i brividi. Lo faceva sembrare così cattivo.
“Sposerai la Principessa?” domandò Hans, rivolto al futuro re.
“Cosa credi che ci faccia, cretino, che venga per aiutarlo a fare i conti? Vedi di finire i tuoi piuttosto, e stai zitto”.
Aleksander alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Sì, la sposerò” rispose poi, tornando a fissare il minore dei suoi fratelli, “ penso che ci voglia ancora qualche settimana Hans, e forse poi tutti potremmo ammirare la mia futura moglie”. Sospirò stancamente, e nell’uscire dalla stanza gli scompigliò i capelli in uno slancio affettuoso.
“Grazie” mormorò lui, e cercò di tornare ai suoi affari, ma davvero non riusciva più a capire come si potesse risolvere un problema di quel tipo. Ebbe bisogno di riaprire il sussidiario e sbirciare la soluzione per poter finalmente andare a letto. Passarono altre due settimane prima che la ragazza arrivasse.

Nel giorno dell’arrivo al porto erano stati scelti due dei suoi fratelli perché accompagnassero Aleksander a ricevere i loro ospiti. Lui ovviamente, non aveva sperato nemmeno per un secondo di poter partecipare: sei troppo piccolo, gli avrebbero detto, se solo avesse chiesto. Così non chiese. Aspettò per un po’ con gli altri nella sala dei ricevimenti, ma la balia venne a prenderlo per riportarlo nelle sue stanze prima che fossero arrivati. La seguì tutto imbronciato, e sentì dalla sua stanza il trambusto dei nuovi arrivati.
“Non sei tu che devi conoscerla, né devi parlarle, ragazzino” lo ammonì la servitrice quando chiese di poter restare ancora per pochi minuti.
“Ma io voglio conoscerla!” ribatté Hans, forse a voce un po’ troppo alta. “Beh…vederla almeno” si corresse timidamente all’occhiata di rimprovero.
“Quello potrai senz’altro farlo, se ti lasceranno stare a cena con loro questa sera, la vedrai”.
La vide. Quella sera, suo padre volle attorno al grande tavolo dei ricevimenti la famiglia al completo.
Hans si ritrovò nella sala, imbandita come non ricordava di averla mai vista. Avevano decorato i tavoli con fiori e nastri, candelabri d’argento e posate tra le più raffinate. Quando entrò tutti sembravano aver già preso posto, e gli unici ancora a mancare all’appello, erano suo fratello e la misteriosa principessa. Entrarono poco dopo, a braccetto, seguiti da uno stuolo di cortigiani e dame che sembravano aver formato una piccola corte e Hans poté guardarla per la prima volta. Alta, bionda, bella. Come le fanciulle delle favole. Di lei registrò gli occhi cerulei  e il portamento elegante, poi le labbra rosse e il sorriso caldo che rivolgeva a suo fratello quando si guardavano. Il suo aspetto esteriore era freddo e composto quanto erano caldi e dolci quei sorrisi.
Anche lui lo avrebbe voluto pensò, e per qualche attimo ne fu quasi geloso. Anche lui avrebbe voluto essere importante, e avere una ragazza dolce e regale come quella appoggiata al suo braccio.
Come la balia aveva preannunciato, la vide e basta. La guardò da lontano. Nessuno ritenne opportuno fare presentazioni, e così, mentre lui sapeva quasi tutto di lei, si domandava se lei sapesse qualcosa di lui. O fosse a conoscenza della sua esistenza. Quella sera quasi non riuscì a dormire mentre ripensava alla cena, alla principessa, ai compiti di matematica che non era riuscito a capire, di nuovo.



La rivide nei giardini, qualche settimana dopo. Era incredibile come potessero vivere tutti insieme in quel grande palazzo e non incontrarsi mai. Di quel secondo incontro ricordava il suo odore, e le presentazioni, che finalmente vennero affrontate. Si ricordava intento a rincorrere il volo di una farfalla arancione, guardando il cielo e le nuvole cambiare forma, e le sue mani sudate che sfuggivano ogni volta alla presa. Sarebbe dovuto tornare dentro qualche ora dopo, per incontrare il maestro di musica, ma era davvero l’ultima cosa che voleva fare quel giorno.
Finì contro il corpetto morbido del suo vestito, e nell’urto chiuse gli occhi, per poi riaprirli avvolto nell’azzurro della stoffa.
“Oh”. Sentì le mani di lei sulle spalle, mentre lo scostava dolcemente. “Ti sei fatto male?” chiese con un sorriso. Lui riusciva solo a sentire le sue mani sulle spalle e il suo sguardo dentro ai suoi occhi.
“Elsa, cara, dove sei finita?”. Aleksander sembrò spuntar fuori dal nulla, e li colse proprio un attimo dopo la domanda di lei. “Che cosa è successo?” chiese il fratello, avvicinandosi con sguardo confuso.
La Principessa si scostò definitivamente, e si voltò verso Aleksander con quel suo dolce sorriso rassicurante, “ Ci siamo solo scontrati” spiegò, “ non guardavo dove mettevo i piedi”.
Hans si chiese perché lo avesse difeso, e non riuscì a trovare una risposta, per quanto si fosse sforzato di trovarne una. Forse era semplicemente gentile. Troppo gentile. O forse ancora non lo conosceva, decise. Poi forse l’avrebbe odiato, come tutti gli altri.

“O forse era lui a non prestare attenzione?” chiese il principe ereditario con fare inquisitorio, “ Non sarebbe una novità. Chiedi scusa Hans”.
“Oh, ma non è necessario, davvero. Non è successo niente” protestò Elsa.
Hans”. Il fratello lo squadrò dall’altro in basso, notando solo allora i calzoni sporchi di fango per il troppo correre. Il suo nome suonò come una minaccia.
“Io volevo solo prendere la farfalla”.
“La farfalla?” domandò la Principessa, stupita.
Hans semplicemente indicò la preda, che luccicava arancione nel mare del verde dei giardini di palazzo.


 
**
 

Elsa e Aleksander si sposarono verso dicembre, dopo che i genitori di entrambi ebbero appurato quanto quell’unione fosse effettivamente soddisfacente, sotto tutti i punti di vista. Loro per primi, appena facevano il loro ingresso in qualsiasi posto, sembravano essere Marte e Afrodite scesi in terra, circondati dalla gloria e dal senso di potenza divino che emanavano, e che avrebbero ottenuto, una volta diventati re e regina. Avrebbero unificato con il loro matrimonio due dei due regni più potenti, sigillando con la loro unione una potentissima alleanza, e creando un solido regno che sarebbe durato nel tempo e ricordato per altrettanto. Ma per quello avrebbero dovuto aspettare un bel po’.
O almeno, questo fu ciò che rimase sulla bocca di tutti nelle settimane successive al loro matrimonio.
“E’ pronta?” mormorò nervosamente Gustav. Poi sbuffò. “Le donne”. 
Lui, Hans e Tobias la stavano aspettando fuori dalle sue stanze, mentre uno stuolo di servitrici entrava e usciva come un mucchio di api dall’alveare. Ognuna portava con sé stoffe e gioielli. Hans sapeva che avrebbe seguito la sposa come parte del corteo nuziale, mentre Gustav e Tobias, essendo il secondo e terzo dei fratelli, secondo una tradizione vecchia di secoli, avrebbero accompagnato la Principessa all’altare, uno alla sua destra e l’altro alla sinistra. Quando finalmente fu lei ad uscire, accompagnata dai dignitari del suo paese, che avrebbero preso le veci dei suoi genitori, ormai ripartiti, uscì avvolta in una nuvola di tulle bianco.
La vide chiudere gli occhi per un attimo e respirare profondamente, tenendosi una mano sullo stomaco coperto dal corpetto più riccamente ornato che avesse mai visto. A differenza del resto della stoffa, completamente bianca, il corpetto era blu, ricoperto di gemme. Hans si concentrò sui suoi capelli albini, e sulle perle incastrate tra le trecce della sua acconciatura. Guardò il velo candido che la copriva, facendola sembrare appena scesa dal paradiso.
“Siete un incanto, sorella” le disse Tobias, avvicinandosi per porgerle il braccio. Lei lo prese, e sorrise forzatamente, come fosse in procinto di smettere di respirare, cercando comunque di essere cordiale. Uscirono senza degnarlo di uno sguardo, e lui rimase lì, aspettando con gli altri di poter fare la sua parte in quella giornata. La cerimonia fu solenne e lunga, solo questo riusciva  a ricordare. Fu interminabilmente lunga.
Elsa fu accompagnata all’altare, prese la mano di suo fratello e la strinse, fissandolo e lasciando che dai suoi occhi spuntasse tutto il terrore che stava provando in quel momento. Si scambiarono i voti e il suono delle loro voci riempì la Chiesa, e si diedero un breve bacio, come previsto dal protocollo.
(Il loro primo? Hans si chiese se l’avesse già baciata prima di allora, e si rispose che probabilmente si erano già scambiati qualche bacio, dato che avevano avuto occasione di rimanere soli molte volte. Si chiese se fossero innamorati, o stessero abilmente recitando la loro parte).

Dopo la cerimonia nuziale, si svolse una breve cerimonia con cui il re delle Isole del Sud nominava i due novelli sposi come suoi successori. Delle corone d’oro furono sospese per qualche attimo sulle loro teste, e loro furono costretti a ringraziare il re per quel grande onore e promettere di difendere la loro patria da qualsiasi pericolo.
Promisero, e Hans li guardava, affascinato dalla cerimonia e dalla gloria che sembrava permeare ogni angolo della stanza. La voleva anche lui.


 
**
 
 
Ma accade che ascolto la notte piangere nelle mie ossa.
La sua lacrima immensa delira
 e grida che qualcosa se n'è andato per sempre.


Quando Hans compì dodici anni, suo padre morì. Nessuno lo pianse troppo a lungo. Quando Hans compì dodici anni il Principe Ereditario e la Principessa di Arendelle diventarono il re e la regina, accolti con grande gioia da tutta la nazione, convinta che avrebbero portato al paese una ventata d’aria fresca. Poi suo fratello decise che era giunto per lui il momento di andare a fare pratica con le armi e l’esercizio militare, spedendolo in un posto che era a quasi una settimana di viaggio dal castello della famiglia Westerguard.
La verità nascosta sotto quella nobile facciata, era che a breve si sarebbero svolte delle suntuose feste e alcuni balli e l’ultimo pensiero che Aleksander voleva avere era quello di trovare un posto al fratello minore durante quelle serate.
 “No! Non voglio! Non ci andrò mai!” si stava lamentando lui, convocato nello studio del re.
“Farai come ti è stato detto” commentò suo fratello con voce disinteressata, “è tutto, puoi andare”. Sospirò e abbassò lo sguardo per sistemare un paio di carte, e Hans strinse i pugni per la rabbia.
“Io non ci vado laggiù” ribatté ostinato, guardando suo fratello con tutta la rabbia di cui era capace. “ Io rimango qui ”.
“ Tutti noi ci siamo andati, tu non sarai da meno. Farai come ti dico”.
Suo fratello ricambiò lo sguardo di sfida, convinto che avrebbe avuto la meglio. Sicuro che avrebbero avuto la meglio. Qualcosa in quello sguardo lo inquietò e lo fece arrabbiare ancora di più.
“NO!”.

Aleksander si alzò dalla sedia con uno scatto rapido, pronto per dargli uno schiaffo, quando Elsa entrò e sbarrò gli occhi per la sorpresa. Il tempo sembrò fermarsi in quello stesso istante: Aleksander in piedi, con i muscoli tesi, Hans con l’insopportabile bruciore alla guancia sulla quale era stato colpito e Elsa ferma sulla porta, con un piede dentro e uno fuori.

“Che cosa succede?” chiese lei, si chiuse la porta alle spalle e camminò verso di loro. Poggiò le mani sulle spalle di Hans, da dietro. Gli tirò su il mento con due dita, esaminando la guancia, e lui si ritrasse per la vergogna, continuando a premervi la mano sopra per cercare di fermare quel tremendo dolore.
“Succede che non ascolta mai” sentì la voce profonda del fratello ribattere. “ E’ buono solo a combinare guai, questo ragazzo. Mi stava già causando troppo problemi, senza che si aggiungesse anche questo”.

Hans sentì che le lacrime cominciavano a scendere, minacciose, allora si liberò dalla presa della regina con uno strattone, e corse via per il corridoio. Per un po’ riuscì ancora a sentirli litigare, fino a quando raggiunse la sua stanza, e non sentì più niente se non il suono dei suoi singhiozzi. Rimase accucciato su se stesso accanto alla finestra per un tempo che gli parve interminabile, fino a quando non sentì la mano di qualcuno accarezzargli dolcemente i capelli. “Su, su” lo incoraggiò la balia, picchiettando piano sulla sua schiena.
Lui continuò a piangere, sentendo di non poter fare proprio nient’altro in quel momento, soffocato dalla tristezza che provava. “Non sarà comunque per sempre” stava tentando di rassicurarlo, quando l’ombra della regina percorse la stanza. Non appena apparve sulla soglia, la servitrice s’inchinò, mollando per qualche attimo la presa.

La regina sorrise, calda. “Puoi lasciarci un attimo da soli?” chiese. Quella non fece altro che scostarsi definitivamente, trovando la sua via per uscire. Mentre Elsa gli si avvicinava, Hans la odiò. Gli aveva portato via l’unica persona che avrebbe mai potuto pensare anche solo per un attimo di consolarlo, e probabilmente, avvelenata dalle parole di suo fratello, l’avrebbe rimproverato.
“ Non fare così, Hans”. Gli sembrò di essere percorso da una scarica elettrica quando sentì la sua voce pronunciare il suo nome; doveva essere la prima volta che succedeva, e lui fu quasi stupito di sentire che lei sapeva come si chiamava.
“Non sto piangendo” fu la prima cosa che gli venne in mente di dire, rendendosi conto solo dopo di quando fosse stupida. Alzò un poco la testa e la voltò, in modo che lei non potesse vedere le lacrime che gli scorrevano lungo le guance. Aveva davanti agli occhi i ricami della sua gonna.
“Ti ho portato del ghiaccio”.
Si voltò di nuovo verso la regina, fissandola piano da dov’era accucciato. “ Perché?” domandò poi.
Lei sorrise dolcemente, “ Per dare un po’ di sollievo a quella guancia! Fa’ vedere”. - “Posso?” domandò avvicinandosi ancora.

Lui si alzò ancora un po’ così che lei potesse premergli l’impacco sulla guancia dolorante e continuò a fissarla mentre lei teneva premuto e gli accarezzava i capelli, guardando altrove. Gli venne voglia di toccarle la mano, e così premette la sua su quella di Elsa, che stava ancora tenendo il ghiaccio.
“Lo tieni tu?”.
Lui annuì e lei mollò la presa. Hans decise che dopo tutto, non voleva che se ne andasse. “Non dovresti stare dalla sua parte?” chiese, quando riuscì a ritrovare la voce per poter porre una domanda sensata.
“Portarti un po’ di ghiaccio mi fa automaticamente diventare una nemica?” chiese lei.
Hans scrollò le spalle, “Penso…non lo so. Vi ho sentiti litigare. Non dovresti, in ogni caso?”.
“Quando ha ragione” rispose Elsa, sedendosi sul pavimento accanto a lui. “Quando non la ha…”.
La frase rimase in sospeso, e il resto fu sostituito da un occhiolino che restituì al piccolo principe il buon umore.
“Allora avevo ragione io?”.
Lei sorrise con sufficienza, “Avresti comunque dovuto obbedire o…non mettere in discussione così apertamente le sue parole. Sei proprio un monello, eh?”.
“Non voglio andare così lontano, Maestà. Se mia madre fosse stata qui non lo avrebbe mai permesso”.
Ci fu qualche minuto di silenzio, un silenzio pesante e insopportabile. “Forse posso provare a convincerlo io” propose Elsa. Hans la fissò per un attimo come se non avesse capito nulla di ciò che gli aveva appena detto.
“Davvero?”.
“Davvero”.
“Grazie, Maestà” mormorò, ancora troppo sorpreso per dire qualcos’altro.
Lei sorrise, “In cambio, se il mio piano andrà a buon fine, non dirai a nessuno che mi sono seduta per terra. In caso contrario, sei libero di fare un po’ di pettegolezzi a corte”.
Lui rise di cuore.

Ovviamente, Elsa riuscì a convincerlo. Il fratello accettò a condizione che Hans si facesse vedere il meno possibile durante i ricevimenti, e furono previste per lui molte più lezioni e molti più impegni durante la giornata, che tuttavia lui accettava di buon grado, grato alla regina per l’aiuto che gli aveva dato. Riuscì anche a vederla un po’ di più quando lei propose di prendere il posto del suo maestro di musica, congedatosi temporaneamente dalla corte a seguito di un lutto.
Le lezioni di musica diventarono le sue preferite, sicuramente meno noiose, e con Elsa imparò un sacco di cose che prima non sapeva. La regina ordinò spesso dei pranzi in giardino e delle lunghe passeggiate lungo la costa. La corte la seguiva entusiasta, affascinata dalla nuova sovrana e stregata da lei almeno quanto sentiva di esserlo anche Hans.

Tre mesi dopo, fu annunciato a corte con somma gioia che la regina aspettava un bambino, e in seguito, quando la gravidanza fu troppo avanzata, le lezioni di musica terminarono.
L’erede al trono nacque in una giornata afosa, così calda che Hans ricordava la camicia di suo fratello appiccicata al suo corpo mentre passeggiava avanti e indietro davanti alla stanza della sua consorte, così freneticamente da sembrare impazzito. Era tanto ormai che era là dentro, troppo, anche senza contare l’obbligatorio periodo di isolamento, e il medico aveva chiaramente detto che c’erano state delle complicazioni. Hans era arrivato lì un po’ dopo degli altri, tutti fuori ad aspettare.
Si sentivano le urla di Elsa, all’interno della stanza, e lui si scoprì più preoccupato di quanto pensava. Sarebbe voluto entrare per vederla, e invece rimase lì, con i nervi tesi. Vicino a lui sentiva le dame di corte chiacchierare di cose inutili in quel momento, come il nome del nascituro o il sesso. Si chiese come potessero pensare a cose così sciocche in un momento come quello.

“Sarà una femmina” mormorò ridacchiando uno dei fratelli, “solo le femmine ci mettono così tanto”. Trascinò in una risata collettiva tutti gli altri, ma il re che fissava qualcosa di indefinito fuori dalla finestra, li zittì tutti quanti.
“Non m’importerebbe” rispose, “basta solo che lei non muoia. Non deve morire”.               
Vide Aleksander passarsi le mani tra i capelli fradici di sudore, e accasciarsi sulla sua poltrona e pensò che non l’aveva mai visto così preoccupato in vita sua. Anche gli altri non si sentirono più in vena di scherzare, e per un attimo rimasero tutti in silenzio. In sottofondo, le urla della regina accompagnavano quel silenzio carico di tensione. Guardò suo fratello battere nervosamente il piede a terra e finalmente riuscì a intravedere un essere umano sotto tutta quella patina di compostezza e rigidità. Si chiese come si comportasse quando era solo con Elsa.
Poi, improvvisamente come erano cominciate, le urla di Elsa finirono, e il suo bambino prese il suo posto per informare il mondo del suo arrivo. Passò del tempo prima che le porte della sua stanza si aprissero,  ancora una volta troppo tempo, e il medico chiamò Aleksander dentro, chiudendo ancora una volta tutti gli altri fuori, persi nella loro curiosità. Quando si riaprì e ne uscì di nuovo il medico, i suoi fratelli gli si accalcarono intorno a caccia di notizie. “Come sta la regina?” “E’ un maschio?”.
“E’ un principe, sì. E la regina è in perfette condizioni, ha solo bisogno di risposo ”.
“Hai perso la scommessa Gustav, è maschio! Ora mi dovrai quelle corone d’oro che abbia scommesso” – “Possiamo entrare adesso?”.
“Sarebbe meglio aspettare, e dovrete entrare uno alla volta. Per ora, Sua Maestà ha chiesto del principe Hans”. Tutti si voltarono verso di lui, l’unico a essere rimasto seduto.
“Vengo” sussurrò intimidito, e seguì il medico all’interno degli appartamenti della regina.

Quando entrò all’interno della camera, vide Elsa sdraiata, con la camicia da notte arrotolata fino ai polsi e i capelli che erano stati raccolti dalle sue domestiche in una treccia terribilmente scompigliati. Suo fratello era seduto sul bordo del letto, con il bambino in braccio, avvolto in una coperta bianca ricamata e si guardavano sorridendo, i loro volti così vicini che sembrava fossero sul punto di darsi un bacio. Ad Hans sembrò un sacrilegio interrompere un momento così intimo. Guardava suo fratello e quasi non lo riconosceva. Suo fratello non era affettuoso, non così.

Li guardò entrambi e fu colto da un moto di gelosia. Avrebbe voluto anche lui che i suoi genitori l’avessero guardato almeno una volta come loro guardavano il loro bambino. Così, quando il dottore lo spinse all’interno della stanza e i due si voltarono, non si sentì più nemmeno molto in colpa. Elsa sorrise e lui si sentì verde più dell’erba per la gelosia.
“Vieni” mormorò e dal suono della sua voce riuscì a capire quanto fosse stanca. Li raggiunse.


 
**

Non appena la regina fu di nuovo in piedi, fu subito costretta a essere la protagonista di una serie di ritratti – come se i pittori di corte non gliene avessero già fatti fare abbastanza. In quelle settimane, lei cercava di vedere il suo bambino il più possibile, e Hans cercava disperatamente di vedere lei, ma la sua routine quotidiana era cambiata drasticamente. Il più giovane principe, per quanto poteva saperne lui, non aveva ancora un nome, e tutti continuavano a riferirsi a lui come al bambino, o il principino.
Elsa, aveva già segretamente scelto il nome che preferiva, avrebbe voluto chiamarlo come suo padre, e litigò duramente con Aleksander che avrebbe voluto dare al figlio il proprio nome. Così, qualche settimana dopo il bambino fu battezzato con una cerimonia solenne, e gli venne imposto il nome di Håkon Agdar Aleksander, in modo tale che i nomi ci fossero entrambi, ma nessuno dei due prevalesse.
I genitori della regina, che l’avevano informata tramite corriere che sarebbero stati partecipi al lieto evento, non erano arrivati in tempo. Elsa seppe da quello stesso corriere che la loro imbarcazione era naufragata durante una terribile tempesta, e nessuno aveva potuto fare nulla, perché si trovavano ancora troppo lontani dalle loro coste.

Lei rimase impassibile, ringraziando l’ambasciatore della triste notizia, mentre cullava il suo bambino stringendolo un po’ più forte al suo petto. Ma quando finalmente fu sola nel buio delle sue stanze, poté finalmente scoppiare in un pianto disperato, liberatorio. Hans, nascosto dietro a una porta socchiusa, sgusciò all’interno della stanza non appena Aleksander se ne andò, lasciando sua moglie nelle sue lacrime. L’aveva rimproverata, dicendo che un comportamento del genere non si addiceva alla sua posizione, e lei gli aveva urlato contro quanto fosse insensibile e che non capiva niente di quelle cose. Lei piangeva, distesa sul letto. Hans  si avvicinò piano e le toccò una mano, “Mi dispiace” mormorò, quando lei alzò la testa e lo guardò.

Elsa si riaccucciò nella stessa posizione di prima, tenendo stretta la mano del ragazzino e Hans si scoprì così desideroso di darle conforto, anche solo un poco, che provò ad abbracciarla, ma rinunciò quasi subito, troppo spaventato per provare. Sentiva il profumo dei suoi capelli albini, vicinissimi al suo viso. Qualche giorno dopo, lei scrisse a sua sorella, dicendo che l’avrebbe raggiunta ad Arendelle il prima possibile. Aleksander sarebbe andato con lei, e lì si sarebbero svolte altre cerimonie e convenevoli. “Vi somiglia?” chiese Hans, incuriosito, fissando Elsa da dietro lo scrittoio.
“Oh, no” rise lei, “siamo l’una l’opposto dell’altra…ma le voglio molto bene. Dovrebbe avere quasi la tua età, adesso”.
Lui sgranò gli occhi. “Non vorrete che la sposi, vero?”.
“Non ci avevo nemmeno mai pensato” ridacchiò lei, “ non siete entrambi un po’ troppo giovani per sposarvi?”.
“Già”. Hans sorrise  e tornò a fissare i suoi fratelli, che nei giardini si stavano radunando per una battuta di caccia.

L’anno seguente, non appena Gennaio cominciò, Hans fu nuovamente informato dal fratello che sarebbe dovuto partire. Questa volta, Elsa si trovava ad Arendelle ormai da qualche mese, intenta a sbrigare delle trattative, e non aveva potuto salvarlo dal suo destino. Partì con il cuore pesante, in una mattina fredda e gelida come non gli sembrava di averne mai viste. Ai lati dei sentieri che percorreva a cavallo con gli ufficiali di corte era rimasta un po’ di neve, sporca e gelida.
S’impose di non piangere e sperò succedesse qualcosa, qualunque cosa che gli avrebbe fatto sembrare quell’assurdo obbligo un po’ meno orribile. Aveva sentito le storie dei minori dei suoi fratelli, che si erano recati prima di lui a fare esercizio e addestramento con i soldati del re: tutti tornavano a casa tristi e abbattuti dopo tre o quattro settimane, per una breve pausa, e le ferite di quell’addestramento per ognuno di loro si erano rimarginate solo dopo qualche anno. Ricordava i suoi fratelli lamentarsi con la madre quando il padre non era nei paraggi, e la graziosa regina che faceva portare loro dolcetti e regali di nascosto, poco prima di andare a dormire.
Lui non li avrebbe avuti. Si domandò se Aleksander ci avrebbe mandato suo figlio, e si chiese se Elsa l’avrebbe permesso.

Era già lì da quasi un mese quando il capo delle guardie li informò di una visita della regina. Sua Maestà stava tornando al Palazzo, e avrebbe fatto una breve sosta alla residenza estiva, poco distante da lì. Lui aspettò tutto il giorno di vederla, così trepidante che nessun esercizio lo spaventò. Quando lei si accorse di lui, senza che Hans se ne fosse accorto, ordinò che preparassero la sua roba perché potesse portarlo via con lei.
Lui si spaventò quando andarono a chiamarlo e ancora di più quando vide che la sua roba era stata ristipata in dei bauli. Pensò che l’avrebbero mandato ancora più lontano e deglutì rumorosamente, tentando con tutte le sue forze di non piangere. Non si rese conto di nulla nemmeno quando fu portato all’esterno, davanti alla carrozza sulla quale viaggiava la regina. Fu aiutato a salire all’interno, e solo quando la vide si rese conto che doveva avergli salvato la pelle ancora una volta.
“Dove andiamo?” chiese, gettando un’ultima occhiata alle sue spalle.
“Ti porto con me al Palazzo Estivo” rispose lei e gli sembrò così arrabbiata che non osò più aprire bocca per tutta la durata del viaggio. Si fissò le scarpe, giocando silenziosamente con i merletti della sua camicia. Poi, lei lo chiamò e lo invitò a sederle accanto. Mentre la carrozza li faceva ballare a destra e a sinistra, lui si spostò e finendo contro il suo petto trovò la scusa per poggiarle la testa sulla spalla.
Elsa gli prese la mano, concedendogli un piccolo sorriso, e quando scesero dalla carrozza le loro mani erano ancora intrecciate.
La sera, dopo che lei gli aveva fatto preparare un bagno dalle sue cameriere, si ritrovarono nella stessa stanza, in abiti da notte, di fronte al rossiccio scalpitare delle fiamme. Fuori aveva cominciato a piovere e il ticchettio delle gocce d’acqua sul vetro producevano un suono piacevole, rilassante. Avevano deciso di leggere Victor Hugo.
“Sei felice di essere qui?” domandò la regina interrompendosi improvvisamente, “ Qui con me?”.

“Sì” rispose lui senza esitazione. Non si girò per guardarla, ma riusciva a sentire lo sguardo di lei bruciargli sulla schiena. Sapeva ciò che gli avrebbe domandato, perché aveva visto gli sguardi pietosi delle domestiche mentre gli preparavano il bagno, ed era più che certo che le avessero riferito di tutti i lividi che aveva sul corpo. Inaspettatamente, lei non parlò di tutto quello.
“Ho deciso di portarti a casa con me” si limitò a dirgli, “riprenderei gli studi e avrai un posto nella marina”. Mai come prima di allora, Hans sentì di non avere alcuna possibilità di scelta, e si domandò che senso avesse tutto quello, che senso avesse respirare e mangiare e vivere. Avrebbero deciso sempre gli altri per lui.
“Grazie, Maestà”.

Quella notte, steso in un letto per lui troppo grande, si lasciò prendere dai singhiozzi, come non faceva ormai da mesi. Pianse per tutte le sere in cui non aveva potuto farlo, si strinse al cuscino e desiderò mai come prima di allora l’abbraccio caldo di sua madre. Era passato tanto tempo da quando aveva potuto stringerla per l’ultima volta, e ormai non riusciva nemmeno più a ricordare il suo della sua voce. Si arrabbiò e più si arrabbiava più si rendeva conto che non ricordava quasi nulla di lei: era solo una figura sfocata, che si stava allontanando.
Pianse per la rabbia e la frustrazione e urlò, e se ne rese conto solo dopo averlo fatto. Urlò ancora ancora e ancora, affondando le unghie nel cuscino. Soffocò le urla nella stoffa quando alcune cameriere entrarono con le loro candele in mano, per controllare cosa stava succedendo. Le guardò oltre le lacrime, mentre si scambiavano occhiate spaventate.
“Se non la smettete con questo baccano, sveglierete Sua Maestà” mormorò una di loro, fissandolo con fare severo.
“Cosa è successo?” gli domandò un’altra.
“Voglio mia madre” trovò la forza di biascicare lui dopo averle fissate per un po’. Quelle continuarono a fissarsi senza sapere cosa fare, e poi lui urlò più forte, urlò fino a non avere più il respiro che voleva sua madre, voleva sua madre, che dovevano mandarla a chiamare.

Una di loro, spaventata nel vedere il corpo esausto del bambino, sudato, tremante come una foglia, si sollevò velocemente le gonne e corse verso gli appartamenti di Elsa, chiedendo alla sua  domestica personale di svegliarla, con la faccia più mortificata che riuscì a mettere su. La regina arrivò poco dopo, seguita dalla domestica e da una contessa, sua dama di compagnia.
“Hans…?” chiamò, non appena girò il pomello della porta. Lo vide in ginocchio sul letto, le lenzuola orribilmente disfatte. Lui voltò la testa al suono della sua voce e quando la vide tese le braccia nella sua direzione. Lei fece segno alle domestiche perché se ne andassero, e quando furono rimasti soli si avvicinò al letto e lo prese tra le braccia, sedendosi contro lo schienale.
Lui si schiacciò contro il suo petto, odorando il suo odore materno e confortante, stringendo le dita nelle pieghe della sua veste da notte. Emise un ultimo, piccolo gemito disperato e poi chiuse gli occhi. Elsa prese a cullarlo con un movimento ritmico e regolare, così come faceva con il suo bambino. “ Non viene ” sussurrò Hans dopo qualche minuto con la voce impastata per il troppo pianto, e gli occhi che cercavano qualcosa nell’oscurità.
Qualcosa nel cuore di lei si spezzò. “Shh” intimò.
“Non viene perché non le importa niente di me” continuò lui, incurante dell’ammonimento, “ non viene mai”.
“Oh Hans, lei ti vuole molto bene, non devi dire queste cose”.
“ Ma ora è morta” ribatté lui, “ e io non posso saperlo. Tu sei venuta però, tu vieni sempre”.
“Sono qui” mormorò Elsa, lasciando che lui le stringesse le dita. Gli cantò quella ninna nanna tanto dolce, quella che lui aveva sentito mille volte da dietro le pareti sottili di palazzo, quella che cantava al principino, che faceva mue hon sedde ve di seng, synge bysselow mue hon æ få dawen træt, trænge hått te hvill, e si godette il fatto che per una volta, era tutta per lui e non la stava semplicemente origliando. 

Quando al compimento dei suoi diciotto anni fu costretto a partire, senza che questa volta potesse in alcun modo ritardare, partì con quella melodia nelle orecchie, sperando di stare via il più a lungo possibile. Di quando era rientrato ricordava l’enorme baccano che aveva sentito provenire dal giardino e lo stupore che aveva provato quando avvicinandosi lo aveva visto addobbato a festa come quando era bambino, ricco di tavoli pieni di prelibatezze.
Le dame si occupavano di lodare ogni cosa, facendo commenti ad alta voce sulla torta, gli abiti di quell’altra donna, le scarpe di quest’altra.
Gli ufficiali discutevano di politica, sommessamente, e un mucchio di bambini giocava con dei buffoni in travestimenti colorati. Fu assorbito completamente da quell’immagine fino a quando non sentì la voce della regina, che aveva cercato con lo sguardo fino a qualche attimo prima. La sentì ridere divertita, e la vide in piedi, affacciata al castello di legno che avevano fatto costruire per il principino. Aleksander era con lei e il bambino proprio sotto di loro, con alcuni compagni di gioco, e reggevano in mano spade finte, galoppando su bastoni con le sembianze di possenti destrieri.
“ Liberami mio principe, mi tengono prigioniera! ” la sentì ridacchiare, tendendosi verso il figlio.
La fissò fino a quando lei non incrociò il suo sguardo e gli sorrise. Il ragazzino intanto si era arrampicato e insieme a compagni finsero di trafiggere il re, che cadde a terra con fare melodrammatico, tenendosi le mani premute contro il petto. “Oh, mi hanno ferito”.
“Venite fanciulla, vi condurrò al mio palazzo! ”.
Li guardò correre mentre sparivano tra la folla di persone sontuosamente abbigliate e ascoltò le urla divertite dei bambini quando Aleksander si rialzò, inseguendoli e fingendo di voler nuovamente rapire la fanciulla. Li guardò correre finché si persero nella folla.

 
  
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