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Autore: Yvaine0    15/06/2015    1 recensioni
« Nessuno di voi si è accorto che Giovanna se n'è andata? »
« Davvero? Finalmente! »

Quando Giovanna abbandona il 3b di via Marconi a Urbino, gli abitanti dell'appartamento misto si trovano spaesati e del tutto disorganizzati, alle prese con una routine e delle faccende di cui si era sempre occupata lei sola. L'equilibrio di spezza e loro devono imparare da capo a condividere i propri spazi, con una nuova coinquilina per di più.
Come se se le cose non fossero abbastanza complicate così, ecco che le vite private di ognuno di loro iniziano a penetrare gli invalicabili confini delle loro camere singole per intrecciarsi con quelle degli altri.
E poi era divertente, secondo Marco; insomma quanti avrebbero potuto dire di convivere con una giovane promessa del pallone, la reincarnazione di Cicciobello, l'Anticristo e il futuro Presidente della Repubblica? Mica roba da poco!
STORIA SOSPESA (scusate)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Flat



IV. Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate

 
Il trasferimento di Francesca fu preannunciato da un timido sole mattutino, che illuminando le strade di una Urbino invernale donava loro un po' di allegria per la prima volta dopo quasi un mese. Al 3b di via Marconi erano quasi tutti concordi sul fatto che si trattasse di un buon presagio per la nuova convivenza, tutti a parte Marco, che, ancora sconvolto dal primo incontro con la ragazza, continuava a borbottare l'imminente caduta di un fulmine a ciel sereno che lo avrebbe colpito in pieno.
Di fatto non aveva proprio tutti i torti: fu lui ad aprire la porta quando alle cinque del pomeriggio si presentò all'appartamento e fu lui a beccarsi su un piede il trolley di Francesca quando lei, inciampando di nuovo nelle scarpe di Sonia all'entrata, lo fece cadere.
« Ve l'avevo detto » sibilava Marco contrariato non più di dieci minuti dopo, mentre con eccessiva perizia si fasciava il piede ormai non più dolorante usando una sciarpa del Milan; « questa mi uccide entro la fine del semestre ».
« Non vedo l'ora! » commentò Cristina con un sorriso allegro; poi chiuse il libro che stava cercando di studiare in cucina e scivolò in camera proprio sotto lo sguardo imbronciato di Marco. Con l'allontanarsi di Cristina, si trovava solo e fisicamente infortunato: era ingiusto che nessuno si prendesse cura di lui nel momento del bisogno. L'Anticristina era sparita non appena lui aveva cominciato a lamentarsi, Cicciobello era in camera con la sua nuova compagna di stanza per aiutarla a sistemarsi e Dalle era di nuovo sparito nel nulla senza avvisare nessuno. Non che si aspettasse di conoscere tutti i suoi affari personali, certo che no – se non altro perché Orfeo non glielo permetteva –, ma si sentiva sempre un po' abbandonato quando l'altro uomo di casa lo lasciava solo nelle grinfie di tutte quelle femmine. Si sentiva in minoranza e indifeso, un po' più del solito.
E si annoiava, soprattutto. Cosa poteva fare quando nessuno – nessuno – era nei paraggi? Non avrebbe fatto ridere nessuno con le proprie idiozie e non aveva un compagno di videogiochi. Anche se forse avrebbe potuto approfittare dell'assenza di Orfeo vincere qualche partita e guadagnare punti – barando, okay, ma in qualche modo doveva pur sopravvivere alle continue sconfitte che gli venivano inferte! Magari lo avrebbe fatto, più tardi però. Una volta annodato un bel fiocco voluminoso come chiusura della sua fasciatura improvvisata, si decise ad alzarsi e a preparare il caffè: Maurice II, infortunata proprio come lui, sembrava essere la sua unica gioia al momento.
Nella camera doppia dell'appartamento, intanto, Sonia aveva capito che si erano liberati di una ragazza logorroica solo per accoglierne un'altra e doveva ammettere che la cosa non le dispiaceva nemmeno un po': era come se lo pseudo-equilibrio a cui erano abituati, almeno in questo frangente, si fosse ristabilito.
Francesca tuttavia era evidentemente molto più solare di Vanna, lo si poteva evincere anche solo dai vestiti che, canticchiando e chiacchierando, stava estraendo dalle valigie perché fossero riposti nell'armadio con l'aiuto volontario di Sonia: abiti a fiori, camicette a fiori, gonne a fiori, magliette a fiori... e tutti gli indumenti non fiorati sfoggiavano tinte accese – giallo, rosso, verde chiaro, rosa...
Dopo aver riposto i vestiti cominciò a svuotare gli scatoloni dei suoi effetti personali: riempì un intero scaffale di piante grasse tutte diverse, accoccolate in vasetti colorati – alcuni tenuti insieme dal nastro adesivo – e rese riconoscibili da etichette con su scritto il nome della specie e quello di battesimo donato loro da Francesca. Prima di passare al borsone successivo, si premurò di nominarle a Sonia una per una, mostrando un tenero orgoglio per quel suo vivaio.
Il passo successivo fu la sistemazione di penne, pennarelli, evidenziatori e post it, tutti dai colori più svariati, sulla scrivania assieme ad un montagna – letteralmente – di quaderni, blocchi e libri di testo, che Sonia si chiese come avesse fatto a trasportare in giro per Urbino senza rotolare giù per qualche discesa.
Infine, dopo aver rifatto il letto con l'aiuto della compagna di stanza, Francesca appiccicò alle ante dell'armadio un poster di Kit Harington – con intima approvazione di Sonia – e le due estremità di un lungo spago a cui erano appese svariate polaroid che la ritraevano assieme ai suoi più cari affetti. Francesca indugiò qualche istante, accarezzando con lo sguardo e un sorriso nostalgico alcune delle figure nelle foto, poi si voltò a sorridere raggiante alla nuova compagna di stanza: « Finito! » esclamò allegramente.
L'altra sorrise di riflesso al suo entusiasmo, poi notò un borsone che ancora non avevano svuotato e lo indicò: « E quello? », in fondo aveva già intuito a che livello giungesse la sua sbadataggine.
Francesca tuttavia scosse il capo, mentre già si gettava sul letto e abbracciava l'enorme pupazzo di Winnie Pooh che aveva portato con sé da casa: « Quello mi serve, domani mattina parto e torno a casa » spiegò; « non vedo il mio ragazzo da quasi due mesi, fino ad ora non siamo mai riusciti a coordinarci. Lui studia a Bari ».
Il sorriso di Sonia si addolcì; capiva fin troppo bene come doveva sentirsi Francesca: vivere lontano dalle persone che più amava era ormai un'abitudine per lei, dopo cinque anni di studi fuori sede, ma per una ragazza che aveva appena iniziato l'università la nostalgia doveva essere ben difficile da gestire. Non che per lei fosse particolarmente facile: ancora non era in grado di stare sola con se stessa, nonostante i mesi di allenamento.
« Come mai studi così lontano da casa? » le venne automatico chiedere, mentre si sedeva ai piedi del proprio letto.
Francesca strinse le labbra in un sorrisetto e inarcò le sopracciglia accennando una stretta di spalle: « Informatica Applicata non sta in molte altre città » disse; dopodiché, senza accorgersi dell'improvvisa caduta della mascella di Sonia, balzò a sedere e gettò l'orsetto di nuovo accanto al cuscino. « Ho fame, facciamo una torta? » propose e trotterellò fuori dalla camera senza aspettare una risposta.
Sonia rimase seduta sul plaid con gli occhi sgranati e la bocca spalancata, sconvolta dalla nuova scoperta: Informatica Applicata! Tra tutte le opzioni che si era data quando aveva sentito Orfeo e Marco scommettere sulla facoltà che pensavano Francesca frequentasse non le era nemmeno passato per la mente che la risposta potesse essere quella. Tutti ci si aspettava da una ragazza così goffa e apparentemente sempliciotta fuorché che fosse un cervellotico genio dell'informatica! Tutto d'un tratto non vedeva l'ora di informare i coinquilini che entrambi avevano torto e i dieci euro in palio sarebbero finiti nel barattolo della cassa comune – le loro espressioni sarebbero state di certo impagabili.
Si alzò dal letto, mentre già le lamentele di Marco riguardo all'invasione di campo di Francesca si facevano sentire fin dall'altro capo della casa, ma prima di uscire e raggiungerli pensò bene di spostare il computer della sua compagna di stanza dalla cima di una pila pericolante di libri ad una posizione più sicura al centro della scrivania.
Era confortante sapere di non essere più sola lì dentro, l'esplosione di colori portata dagli effetti personali di Francesca dava un'aria molto più vitale e serena alla camera e Sonia sentiva che la convivenza sarebbe stata piacevole. Era fiduciosa. Come si poteva non andare d'accordo con una persona solare come Francesca?
 
All'ora di cena, per la prima volta dopo giorni di take away e cibo spazzatura in isolamento, finalmente tutti i coinquilini si ritrovarono seduti attorno allo stesso tavolo con un piatto di pasta al sugo davanti e un torta al cioccolato ancora calda ad aspettarli.
Mentre Francesca ciarlava allegramente raccontando loro la propria settimana, Marco aveva tutta l'aria di qualcuno che, nonostante i precedenti, era disposto a perdonare la sua aguzzina: « A quanto pare ora abbiamo una donna che sa fare il proprio lavoro in casa! » esclamò a bocca piena, masticando una forchettata esageratamente grande di pasta.
Mentre Sonia alzava gli occhi al cielo e la diretta interessata rideva, a lui andò di traverso il boccone e si ritrovò a tossire piegato in due sul tavolo, il volto arrossato e le lacrime agli occhi. Grazie ai (violenti) colpi che Orfeo si degnò si picchiargli sulla schiena, Marco riuscì a liberare le vie respiratorie e a riprendere fiato dopo aver sfiorato la morte per soffocamento.
« Sai che cos'è questo? » lo stuzzicò Sonia ridendo sotto i baffi.
« Il karma? » Il tono piatto e disinteressato di Cristina emerse dal volume di studio che si era portata a tavola, senza che però il suo sguardo si spostasse dal testo.
« L'ennesimo tentativo di Francesca di Troia di uccidermi? » suggerì Marco, fulminando una dopo l'altra tutte le ragazze al tavolo. La sua disposizione al perdono era appena svanita nel nulla, veloce come il profumo della torta l'aveva evocata qualche ora prima.
« Il fantasma di Vanna che ti punisce per il tuo commento misogino e maschilista » fu la risposta di Sonia, accolta da un sogghigno compiaciuto di Orfeo, che prese ad annuire come a dirsi d'accordo.
Marco ci provò a non ridere, ma ogni suo tentativo di darsi un contegno fu vano: scoppiò in una risata incontrollata e vagamente isterica che coinvolse, senza che nemmeno lei sapesse il perché, anche Francesca e poi Sonia, che si accasciò accanto al piatto con la testa fra le braccia e le lacrime agli occhi, mentre nella sua testa prendeva forma l'immagine di una Giovanna fatiscente che, braccia incrociate ed espressione contrita, giudicava aspramente la misoginia (ironica) del coinquilino.
E con quel momento di quotidiana scemenza per Sonia inizava ufficialmente la nuova avventura al 3b di via Marconi. La solitudine era durata poco, grazie al cielo, e sapere il letto accanto al proprio non più vuoto, sentire Marco e Francesca ridere con lei, vedere il sogghigno divertito di Orfeo e intuire il sorrisetto nascosto dietro il libro di Cristina non faceva che aumentare le sue speranze per una serena convivenza. Nonostante le scenate di Marco e l'iniziale mancanza di confidenza, infatti, l'estroversione di Francesca lasciava presagire un'atmosfera molto più rilassata rispetto a quella che aveva portato con sé Giovanna. Forse questa nuova squadra, si diceva, avrebbe funzionato meglio della precedente, magari addirittura bene.
 
Il venerdì al 3b di via Marconi, come forse in ogni altro appartamento universitario, era sempre stata giornata di partenze.
Cristina usciva dalla facoltà alle quindici e quarantacinque, correva a casa a sistemare gli ultimi oggetti nella valigia e poi si fiondava a prendere il pullman che l'avrebbe riportata a Pesaro. Dopo di lei, di solito, era Vanna a lasciare l'appartamento, ma non prima di aver nascosto il barattolo della cassa comune e raccomandato a chi trovava in giro per casa di spegnere il gas prima di andare a dormire, di chiudere a doppia mandata il portoncino all'ingresso e di non portare a casa sconosciuti.
Orfeo, invece, era sempre un'ingognita. C'erano venerdì in cui Marco lo aspettava per andare a lezione insieme ma scopriva che se n'era già andato, altri in cui lo vedeva sparire a metà mattinata o durante la pausa a pranzo; certe volte partiva il giovedì sera saltando direttamente le lezioni del venerdì o ancora aspettava il sabato mattina per trascorrere una serata fuori con i compagni di facoltà.
Quel venerdì, poi, scoprirono che Francesca aveva l'abitudine di svegliarsi prestissimo per arrivare a Pesaro prima delle sette. Lo scoprirono quando alle cinque e mezza la sentirono cantare sotto la doccia e alle sei e cinque litigare in dialetto foggiano col portoncino all'ingresso finché Cristina non l'aveva raggiunta imprecando ad alta voce: « Non si apre, mia gioviale cerebrolesa, perché devi girare la chiave due volte e non una! »
Come di routine, quindi, nel weekend all'appartamento rimanevano solo Marco e Sonia. Il primo perché rimandava il ritorno a casa il più possibile ogni volta, angosciato dagli interrogatori e dai tentativi materni di riportarlo stabilmente in patria che lo aspettavano una volta messo piede a Bologna; la seconda perché, per motivi a nessuno ben chiari, preferiva tornare a Cremona non più spesso di una volta al mese.
Il venerdì trascorreva sempre piuttosto in fretta tra lezioni, saluti, sessioni di studio e uscite con gli amici, poi il sabato mattina al tavolo della colazione, intorno a mezzogiorno, si trovavano loro due soli a quattrocchi, a fare i conti con le occhiaie e il mal di testa post sbronza e post nottata di studio.
Nemmeno nelle tempie che pulsavano di dolore Marco trovava un buon motivo per tenere la bocca chiusa, quindi cominciava a parlare, parlare, parlare di tutto quello che aveva combinato la sera prima – o almeno della parte che ricordava – mentre Sonia lo ascoltava solo a metà, la mente costantemente attirata verso il capitolo che aveva lasciato in sospeso quando si era addormentata alla scrivania.
« Oh, e indovina chi ho visto? » le domandò Marco con entusiasmo, prima di mordere una fetta della torta che aveva preparato Francesca il giorno prima – perché in fondo il suo odio non era abbastanza forte da indurlo a boicottare quella meraviglia di dolce.
Sonia gli diede a malapena un'occhiata per dimostrare che lo stava ascoltando, esageratamente stanca per una che aveva dormito comunque una decina d'ore.
« Clizia! » gioì lui, sputacchiando briciole sulla tavola; « Mamma mia, ha un culo canta! »
La ragazza sbadigliò, troppo pigra anche solo per versarsi altro caffè nella tazza; certe volte riteneva una vera e proprio fortuna che Marco fosse così ossessionato dalla caffettiera da far sì che ce ne fosse pronto abbastanza per tutti a qualunque ora del giorno, altrimenti dubitava che lei avrebbe mai avuto voglia di prepararlo da sé. Mugugnò di falso interesse in tutta risposta, mentre lui continuava: « Penso che prima o poi le chiederò di uscire. Non posso lasciarmi sfuggire una figa del genere ».
Sonia annuì, poi si decise a versarsi il caffè prevedendo una lunga giornata di studio.
« Dici che ho qualche speranza? »
« Uhm » mormorò lei incerta: qual era la domanda?
« Che palle, odio il tuo pessimismo. Sai una cosa? Credo che il problema siate voi. Voglio dire, le uniche ragazze che pensano che io sia uno sfigato sono quelle con cui convivo. Forse siete voi ad avere poca fiducia in me, di solito alle altre piaccio ».
O forse, lo corresse Sonia mentalmente, alle sconosciute piaceva perché non lo conoscevano per l'infantile che era; però decise di non scoraggiarlo: « Se paghi tu, Clizia accetterà qualunque cosa ».
Marco rise, apprezzando quel commento pungente: « Vero. Però per un corpo del genere sono disposto anche a pagare ».
Sonia alzò gli occhi al cielo.
« Oh, avanti! – protestò lui appena si rese conto dell'ambiguità della propria frase, fraintendendo il gesto della ragazza; – Non le stavo dando della prostituta ».
L'altra scosse il capo e ridacchiò; la promiscuità di Marco e la naturalezza con cui ogni weekend le raccontava le sue avventure l'avevano sempre messa un po' a disagio, per cui si affrettò a cambiare discorso prima che cominciasse a descrivere qualche scena che proprio non le interessava. « Hai sentito Francesca ieri mattina? »
Lui sbuffò; « scusa, ma chi non l'ha sentita? Se non mi avesse preceduto l'Anticristina l'avrei buttata fuori io a calci ».
Sonia alzò di nuovo gli occhi al soffitto, ridacchiando. « Io, – confessò; – io non l'ho sentita. Ha fatto molto rumore? » Aveva sempre avuto un sonno molto pesante, l'unico suono in grado di destarla era l'allarme della sveglia, rumore che esercitava su di lei una suggestione tale da costringerla a volte ad alzarsi prima che suonasse. Non esisteva niente al mondo, probabilmente, che lei odiasse più della propria sveglia e forse era questo il motivo per cui il suo orecchio risultava tanto sensibile ad essa ed ad essa soltanto.
Il pugno di Marco si abbatté con immotivata foga sul tavolo: « Ma come fai!? » sbottò contrariato; « Vorrei dormire io così bene, cazzo ».
« Non mi risulta che tu soffra d'insonnia » osservò lei in tono gentile, come a consolarlo per quella piccola delusione.
Lui si imbronciò comunque, gli occhi ridotti a due fessure rabbiose. « Sì, però devo essere una calamita per i casini che combina quella ».
Sonia evitò di fargli notare che difficilmente qualcuno sarebbe mai riuscito a sottrargli il ruolo di combinaguai della casa. « In realtà è simpatica, è solo un po' goffa ».
« Si vede lontano un miglio che è una cretina, altro che simpatica. Però ha delle belle tette ».
Ovviamente. « Oh, stupida non è. Sai cosa studia? »
« Scienze delle merendine? »
« Informatica Applicata ».
Un silenzio denso di incredulità cadde su di loro, mentre Marco fissava Sonia con un misto di aspettativa e scetticismo. « Stai scherzando ».
« No, giuro ».
A quel punto lui spinse all'indietro la sedia con foga, facendola stridere contro il pavimento. « Che palle! Ho perso la scommessa! »
« Già ».
« Potremmo non dirlo ad Orfeo, no? »
« No ».
« Eddai, So! Che ti costa? »
« Sono un giudice imparziale, barare non è- »
« Che palle che sei. Non ti farò più fare l'arbirtro ».
« Lo dici ogni volta ».
« Questa volta davvero! »
Sonia scoppiò a ridere, divertita dal broncio contrariato dell'altro. Bisticciare con lui era sempre divertente, ma lo diveniva ancora di più quando erano soli e Marco non sentiva il bisogno di nascondersi dietro una patina di distacco e arroganza per farsi grosso agli occhi degli altri – atteggiamento che, comunque, non aveva mai impressionato nessuno.
Marco le fece una linguaccia, per poi riavvicinare la sedia al tavolo e tagliarsi un'altra fetta di torta. « Comunque questo conferma la mia teoria » decretò, la fronte corrugata di serietà.
« Quale teoria? » domandò lei curiosa, ma già sicura della totale infondatezza di ciò che stava per sentire.
« Se studia Informatica Appagata significa che è intelligente, no? »
« Applicata, Marco: Informatica Applicata ».
« Sì, quello. Se non è stupida, significa che sta seriamente cercando di uccidermi ».
« Oh, ma ti prego! » Sonia rise scrollando il capo e si alzò in piedi. « Ne ho sentite abbastanza, torno a studiare ».
« Sì, certo, deridimi! Ma quando mi avrà ucciso “per sbaglio”, » e nel dirlo mimò le virgolette in aria, « ti sentirai in colpa e il mio fantasma verrà a tirarti i piedi! »
« Ah-ha. Paranoico » sghignazzò lei, mentre se ne andava lungo il corridoio. Prima di chiudersi la porta alle spalle fece giusto in tempo a sentirlo dire: « Che poi non ti farebbe male, se ti tirassi i piedi: magari diventeresti un po' più alta... »
 
Una volta rimasto solo, Marco si alzò in piedi e si stiracchiò pigramente, emettendo mugolii di soddisfazione, poi studiò con aria critica la tavola ingombra chiedendosi se fosse il caso di sistemare tutto oppure no. Gli bastarono pochi istanti per optare per la seconda opzione; dunque afferrò la caffettiera semivuota, la propria tazza e andò a tuffarsi sul piccolo divano sfondo nel salotto. Solo dopo che si fu sistemato lungo e steso – con le gambe che penzolavano dal ginocchio in giù al di là del bracciolo – si rese conto con un moto di disperazione che “qualche cretino” aveva lasciato il telecomando sopra il televisore. « Soooooniaaaaaaa » cominciò quindi a gridare, nella speranza che quella rispondesse alla richiesta di aiuto. La chiamò una, due, tre... sei volte, prima che una porta si aprisse e la voce flebile della ragazza dicesse: « Prenditelo da solo », poi la comunicazione fu interrotta da uno “stoc” e un “clang” di serratura chiusa.
« Che stronza » borbottò lui scontento. Si era appena disteso sul divano, di alzarsi non ne aveva alcuna voglia e costringerlo a farlo era una vera e propria violenza. Se ci fosse stata Giovanna, probabilmente a quel punto avrebbe cominciato a urlargli contro quanto fosse immaturo e viziato: come osava disturbare gli altri per un capriccio così sciocco? Lo avrebbe invitato ad alzarsi e prendere il telecomando da solo, lui l'avrebbe sfidata senza muoversi di lì e alla fine Sonia, esasperata dal loro rumoroso battibeccare, sarebbe emersa dai meandri della propria camera, gli avrebbe consegnato l'oggetto della contesa e poi sarebbe tornata a studiare. Senza Vanna, però, non c'era gusto a gridare: nessuno sarebbe accorso a litigare con lui. Per quanto fosse fastidiosa, bisognava ammettere che a volte Giovanna era divertente, anche se in maniera del tutto involontaria. Era così prevedibile che tutti loro avevano imparato a sfruttare i suoi scatti d'ira a proprio favore – tutti a parte Sonia, che era troppo pacifista per far infuriare qualcuno di proposito.
Chissà se sarebbe stato altrettanto facile raggirare Francesca a proprio piacimento. Tutto d'un tratto non vedeva l'ora che lei tornasse all'appartamento per metterla alla prova con qualche scherzo – era il genere di persona che si arrabbiava, rideva o scoppiava a piangere di fronte a un tiro mancino? Era curioso. Mise subito in moto il cervello alla ricerca di qualche giochetto da mettere in atto. Si disse che a conti fatti qualunque scherzo sarebbe stata una piccola e meritata vendetta dopo tutti i dolori che Francesca le aveva, volontariamente o meno, inferto.
Spinto da questo nuovo spirito di iniziativa, trovò la forza di alzarsi dal divano e correre in camera, dove accese il pc e cominciò a cercare spunti sul web.
Così trascorse il pomeriggio tra episodi di The Walking Dead, video comici, studio intensivo del profilo facebook di Clizia Ranieri, con conseguente svuotamento dell'ingorgo che gli aveva ristretto il cavallo dei pantaloni, e notizie deludenti dell'ultima partita della società sportiva per cui giocava prima di trasferirsi. A quel punto, del tutto dimentico dell'intento iniziale di cercare scherzi da fare a Francesca, cominciò a sentirsi solo e quindi ad annoiarsi. Avrebbe voluto poter invadere i profili facebook di Cristina e Giovanna di commenti inopportuni come un tempo, ma la prima lo aveva bloccato dopo i primi due giorni, mentre la seconda nel momento stesso in cui se n'era andata di casa. Sbuffò e spinse all'indietro la sedia, facendo stridere le gambe contro il pavimento. Maledisse la signora Nicolì per non aver fornito le stanze di poltroncine girevoli: se non fosse stata così tirchia, per lo meno a questo punto lui avrebbe potuto girare su stesso fino a vomitare lo pseudo-brunch nel cestino dei rifiuti. Ma no, questa distrazione gli era stata negata, ora non gli rimaneva che convivere con la nostalgia di casa, dei suoi compagni di squadra e... e tutto il resto. Tutto d'un tratto sentiva una strana sensazione nebbiosa opprimergli il petto dall'interno, come se fosse pieno di qualcosa di incosistente e inutile; pesante e leggero al tempo stesso, gli impediva di alzarsi dalla sedia o di divertirsi leggendo quelle stupide barzellette online che lo avevano sempre fatto ridere fino alle lacrime. Si trattava di quel senso di inutilità e dubbio che lo spingeva a mettersi in discussione, a denigrare le proprie scelte, riconoscere le sciocchezze che stava facendo giorno dopo giorno. Aveva lasciato Bologna senza un piano preciso, subito dopo aver trovato una facoltà senza test di ingresso che potesse trovare anche solo vagamente interessante, pur di allontanarsi da casa il prima possibile. E ora si trovava lì a perdere tempo davanti al computer, sprecando i soldi dei suoi genitori per affitto, bollette e rette universitarie; aveva dato un terzo degli esami che avrebbe dovuto e ancora si ostinava a rimandare il momento dello studio, ingrato e incosciente fino al midollo. Se ne era andato per sentirsi grande e ora, chiuso nella propria stanza a sprecare tempo e denaro, si rendeva conto di non essere nulla più che un bambino capriccioso e viziato.
Fu quasi senza pensarci, come tante volte prima di allora, che si trascinò fuori dalla propria stanza per bussare alla porta di Sonia. Contò mentalmente fino a cinque, tempo secondo lui ragionevolmente sufficiente per interrompere qualunque operazione in atto, poi entrò senza aspettare che lei rispondesse. La trovò a guardarlo con aria tranquilla, per nulla sorpresa, perché come al solito sembrava sapesse già che lui sarebbe arrivato. Sonia sapeva sempre tutto e questo a volte lo faceva incazzare, altre ne era grato perché rendeva innecessarie scomode spiegazioni. « La mia squadra ha perso » disse solo.
« Il Milan? »
« No, la mia squadra » ripeté, questa volta marcando il possessivo in modo che lei capisse quanto la faccenda lo riguardasse da vicino.
E Sonia capì, se non altro perché avevano già avuto quella conversazione in passato, ma indugiò ancora un attimo prima di invitarlo ad accomodarsi. Il suo sguardo si posò involontariamente sul libro di testo, trainato dal senso di colpa, poi però lei sospirò e fece cenno a Marco di entrare: c'erano cose più importanti dello studio di cui occuparsi.
Marco si tuffò sul suo letto, lei voltò la sedia per poterlo intravedere al fascio di luce della lampada da tavolo. Non fu necessario dirgli niente perché cominciasse a parlare, iniziò da solo come se nulla fosse: « Hanno bisogno di me, manca il giocatore migliore. Dovrei essere con loro » disse in tono di finta arroganza; gli riusciva difficile essere sincero all'inizio, preferiva nascondere le proprie fragilità dietro una patina di forza che piano piano andava scemando – almeno per un certo lasso di tempo.
« Oh, sono sicura che se la cavano bene anche senza nessuno che li rimbambisca di chiacchiere » commentò lei in una risatina.
Marco rise e scosse il capo. « Mica tanto: hanno perso cinque a uno, nemmeno da bambini succedeva! » esclamò indignato, poi tacque per qualche secondo. « Pensi mai di aver fatto una grandissima puttanata con l'università? »
Bam. Eccolo venire al dunque.
Sonia non rispose subito, colpita su un nervo scoperto da quella domanda. Prima della specializzazione in Storia dell'arte aveva frequentato Lettere Moderne; non era passato giorno durante il suo primo anno di università che non si fosse sentita ricordare dai genitori, in un modo o nell'altro, quanto la direzione da lei presa fosse stata sciocca: portava ad un vicolo cieco. « Pensi di averlo fatto? » gli chiese.
Marco sospirò e rotolò supino. « Non lo so. A me della pubblicità non frega niente, non mi ci vedo a fare un lavoro del genere. Mi sono rotto di studiare e sono praticamente già fuoricorso ».
« Se il problema sono gli esami, con un po' d'olio di gomito puoi metterti in pari. Mi duole dirlo, ma sei tutto fuorché stupido, Marco ».
« No », il suo problema non erano gli esami. Il suo problema era quella sensazione di intima inutilità cosmica che lo attanagliava ogni qual volta rimanesse da solo e si trovasse a fare i conti con ciò che stava facendo della propria vita: assolutamente niente. Trattenne uno sbuffo di insofferenza verso se stesso e nascose la testa sotto il cuscino di Sonia. Profumava di vaniglia, notò; un odore che tuttavia non aveva mai notato emanasse lei stessa. Era un odore confortante tuttavia.
La ragazza lo osservò in silenzio ancora qualche istante, prima di sussurrare la domanda che riteneva essere l'unica giusta in quel momento: « Pensi di aver scelto la facoltà sbagliata? »
La risata di Marco giunse ovattata attraverso gli strati di tessuto, poi scostò il cuscino dal viso e parlò in tono profondamente e amaramente divertito: « Io non ho scelto un bel niente, So: mi sono buttato a capofitto sulla prima possibilità che mi si è presentata ». Informazione, media e pubblicità gli era sembrata la soluzione perfetta a tutti i propri problemi: era all'interno di un altro polo universitario, ragionevolmente lontana da Bologna e sua madre non avrebbe potuto ribattere che “di certo l'Alma Mater offriva un corso di laurea simile e più soddisfaciente”, visto che tra le scelte dell'unibo quella non figurava. Era una scusa perfetta per andarsene da casa e, in più, il nome prometteva qualcosa di non troppo noioso.
Sonia rimase in silenzio nel tentativo di non giudicarlo. Era incredibilmente fiduciosa nei confronti di Marco, ecco perché era piuttosto certa che non avesse seriamente scelto la facoltà a caso – o, per lo meno, che sotto ci fosse una motivazione di qualche genere, più o meno valida che fosse. « E non c'è qualcosa che ti piacerebbe fare? » continuò in tono gentile.
« Detesto quando mi tratti come un bambino » protestò lui con una smorfia, probabilmente con l'unico obiettivo di eludere la domanda.
Non è colpa mia se ti comporti come un bambino pensò lei, ma anche questa volta tacque. Nel corso della propria vita aveva imparato che giudicare era inutile e offensivo, senza contare che in tutta probabilità lei non poteva permettersi di giudicare nessuno, visti i suoi retroscena. « Quindi? »
« Be', quante possibilità ci sono che abbia scelto quella giusta sorteggiando? » replicò lui risentito, dopo aver sospirato. Era proprio necessario infierire e fargli ammettere di aver combinato un casino? Con un gesto infantile mentre parlava cercò di coprirsi gli occhi scuri – troppo sinceri a detta sua – con qualche ciuffo di capelli mossi.
« Conosco persone che hanno trovato la propria strada in maniera del tutto casuale ».
« Perché tu frequenti i matti ».
« Eh, lo so, ne ho anche uno nel mio letto ».
Marco a quella risposta scoppiò in una fragorosa risata che fece arrossire Sonia nel momento stesso in cui intuì il doppio senso del tutto involontario; lui continuò a ridere a lungo, poi ammiccò nella sua direzione: « Che ne dici di raggiungerlo, Cicciobello? »
La ragazza inspirò a fondo roteando gli occhi ed espirò una risatina rassegnata; si alzò pigramente dalla sedia per poi prendere posto a seder ai piedi del proprio letto. Nel momento stesso in cui la distanza fisica fu ridotta e portata entro i confini della confidenza, Marco si sentì anche emotivamente più vicino a lei; così, come tante volte prima di allora, capovolse le propria posizione per poggiare la testa sulle sue gambe e chiudere gli occhi. « Grattini » fu il suo perentorio ordine, che, pronunciato in tono deciso ma soffice, attivò immediatamente la mano sinistra di Sonia: prese ad accarezzargli con leggerezza la nuca e lui si sciolse fin dal primo tocco emettendo un mugolio di profonda soddisfazione.
La ragazza fece per riprendere il discorso, ma le parole le si incastrarono in gola: pur sapendo che Marco era troppo impegnato a farsi coccolare per poter protestare, aveva la sensazione che non fosse giusto costringerlo a parlare di sé senza dargli niente in cambio – sempre che i suoi consigli potessero considerarsi nulla. A fatica, dunque, disse: « Io... ci ho pensato su a lungo, prima di prendere questa strada. Per tutta la triennale, a dire il vero. Alla fine mi sono detta che se avessi passato questi anni a studiare qualcosa che non mi piaceva sarebbero stati anni buttati, ma non così. Se non è quello che vuoi fare nella vita, perché non cambi? Non c'è nulla di vergognoso nel cambiare idea ». Lei lo avrebbe fatto senza troppi, se si fosse svegliata una mattina rendendosi conto di aver scelto il sentiero che non faceva per lei.
Lasciò vagare lo sguardo per la stanza in attesa di una risposta, mentre il silenzio regnava sovrano; erano gli unici abitanti della casa e nemmeno il solito ronzio della televisione in lontanaza faceva loro da sottofondo. Se solo non ci fosse stato Marco con lei in quel momento, Sonia probabilmente sarebbe stata presa da uno sconforto non dissimile dal suo. A conti fatti, nonostante fossero così diversi per dimensioni, colori, atteggiamento, abitudini e tanto altro, non c'era dubbio che avessero entrambi un grosso problema con lo stare soli con loro stessi.
« Quello cos'è? » Invece di rispondere, Marco allungò il braccio destro ad indicare uno degli scaffali nella parte di stanza di Francesca; nella penombra tutto ciò che si vedeva lì sopra erano sagome scure dalle linee geometriche proiettate contro la parete – cilindri, più che altro, e qualche triangolo qua e là. Persino Sonia ebbe bisogno di strizzare gli occhi per qualche istante e poi, senza essere riuscita a veder alcunché, se ne ricordò: « Ah! Sono piante grasse, quasi tutti cactus. Francesca sembra adorarli, ha dato un nome ad ognuno ».
Non vista, si lasciò sfuggire un sorriso mentre Marco rideva e borbottava qualcosa a proposito di quanto sarebbe stato bello nascondere qualche spina sulla sedia di Cristina – o nel piumone o nelle scarpe! Correva da lei ogni volta che qualcosa andava storto, ma le impediva di vedere la ferita per disinfettarla con qualche scusa; lei non era sicura del perché lo facesse, di quale fosse il senso di tutto ciò, ma accettava senza obiezioni quel periodico controsenso dal momento in cui sembrava far star bene entrambi. Non calcava la mano per farsi raccontare cose che non era pronto a rivivere e al tempo stesso gli era quasi grata dell'innato egocentrismo per cui non le veniva mai proposto di parlare di sé. Non era forse un'amicizia convenzionale la loro, Sonia non era nemmeno del tutto sicura che si trattasse di una vera amicizia, ma a loro bastava.
 
« So? »
« Dimmi ».
« Avremmo dovuto scegliere Clizia ».
« Stai scherzando? Non voleva pagare le bollette! »
« Appunto! Avremmo potuto fare la doccia in due per risparmiare! E dormire insieme per scaldarci! »
« Condivisione – che grande idea, potresti proporglielo! »
« Penso che lo farò! »
« Forse unendo i vostri cervelli ne fate uno normale ».
« Non essere gelosa, Cicciobello! Lo sai che c'è abbastanza Federzoni per tutte! »
« Oh, ce n'è fin troppo ».
Due sorrisi silenziosi si accesero nella penombra.



 


Chi mi conosce lo sa, che le mie commedie sono commedie solo in parte. Non che questo sia un capitolo particolarmente triste, ma nemmeno molto divertente, temo. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate, davvero tanto, e spero che l'abbiate apprezzato almeno un po'. Personalmente sono molto legata al rapporto tra Marco e Sonia, non perché io abbia mai provato qualcosa di simile (fortunatamente, perché sono sempre disponibile per tutti, ma gli egocentrici che non ricambiano l'interessamento a lungo andare mi stanno stretti), ma lo trovo particolare e... forse realistico, nel totale egoismo che lo caratterizza. 
C'era un'altra cosa di cui volevo parlare... ah, già. La piccola crisi esistenziale di Marco. Non so quanti di voi studino all'università e quanti di voi abbiano mai avuto problemi del genere -- si siano sentiti fuori luogo, sulla strada sbagliata, abbiano avuto paura di cambiare o di non combinare niente. Per quello che vale, io la penso seriamente come Sonia. Non voglio dilungarmi sull'argomento, perché ci tengo molto e potrei parlarne ore (e spesso lo faccio ahaha), ma sarei felice di discuterne con chiunque ne avesse voglia (non su ask, perché l'ho disattivato, ma sul mio profilo efp trovate i miei contatti, a voi la scelta).
Okay, al momento non so che altro dire.
Vorrei ringraziare chi di voi mi segue e fare l'in bocca al lupo a tutti per gli esami, qualunque tipo di esame! ♥
Spero che il capitolo vi piaccia e di poter aggiornare presto!

PS: una mia enorme pecca è la scarsità di descrizioni fisiche, per cui mi scuso; non mi piacciono quelle troppo dettagliate (proprio mi annoiano, sia da lettrice che da """scrittrice"""), ma cercherò di inserire spunti perché possiate farvi un'idea dell'aspetto fisico dei miei personaggi. Sono contraria ai prestavolto, per cui non posso nemmeno usare questo escamotage, mi toccherà impegnarmi! xD
  
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