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Autore: Deliquium    16/06/2015    3 recensioni
Raccolta di racconti ispirati ai 22 Arcani Maggiori.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Il crollo della torre

Ho sfiorato le mie guance. Un gesto rapido, mentre tenevo la testa bassa.
Ho sempre provato vergogna per le lacrime. È come se attraverso esse venisse fuori la parte segreta di me. Per questo non ho mai pianto davanti agli altri.
Perché non volevo sentirmi nuda.
Fa caldo e la maggior parte delle persone è vestita di nero.
Anche io lo sono.
Nonostante quello che ero solita dire, ho indossato l’abito nero e ho messo persino le calze per evitare che le scarpe di vernice mi mordessero il calcagno.
Il lamento di Maria è esploso in un urlo ed è stato in quel momento che non sono più riuscita a trattenere le lacrime.
Mi affretto ad asciugarle con un gesto distratto perché non voglio che altri vedano il mio dolore.
Il vecchio se ne sta in disparte.
Indossa un panciotto d’altri tempi, rosso come fragole mature e porta una giacca verde.
Non so perché sto notando il modo in cui la gente è vestita.
Forse è il mio modo per affrontare il dolore.
Erigere un muro di dettagli inutili sperando che sia solido.
Sono effimera.
Come il mio nome.
Aria.
Anna aveva gli occhi come le stelle di sera. Brillavano e sembrava che racchiudessero tutto il destino del mondo.
Le volevo bene … forse l’amavo.
Non sono mai riuscita a capire la differenza. Mi piaceva abbracciarla. Sentire i suoi seni contro i miei. Respirare il suo profumo.
Una volta l’ho persino baciata. Volevo sapere cosa si provasse.
Le sue labbra le ricordo ancora. Così come ricordo il suo sapore. E il battito del mio cuore.
Alzo gli occhi, proteggendoli con la mano. Il cielo è sgombro di nuvole. Poche parole sussurrate, una pacca sulla spalla, un abbraccio.
Provo pena per Giorgio.
Con Maria che è stata portata via, è lui a dover fronteggiare quegli assalti.
È un uomo alto. Ha spalle larghe, da nuotatore e un volto ancora aitante nonostante l’età. L’ho sempre visto ridere. Non avrei mai creduto che potesse fare un’espressione così dolorosa.
Anna era la loro unica figlia.
Era sola a casa, quando è successo.
Un colpo di pistola. Preciso. A bruciapelo. Dritto in mezzo alla fronte.
Chi è entrato conosceva la combinazione dell’allarme di casa.
Maria non si dà pace.
Avevano messo quell’allarme tre anni prima e non avevano mai cambiato il codice d’accesso.
Non hanno portato via niente.
Anna non ha potuto fare nulla.
È venuta la polizia. Hanno sigillato tutto. I M*** sono andati in albergo. Non volevano vedere. Non volevano sapere.
Quelli delle pompe funebri hanno fatto un bel lavoro. Quando l’ho vista credevo che dormisse. Le gote leggermente arrossate, i boccoli castani che le incorniciavano il volto.  Un’Ofelia arida, in un’alcova di legno e raso bianco.
Il vecchio è comparso il giorno dopo la morte di Anna. Ero passata dalla casa, ma non per entrare. C’ero passata perché  … non lo so perché. Forse avevo bisogno di sapere, di rendermi conto.
Il vecchio fumava una sigaretta.
Mi fece un cenno con il capo e io rimasi immobile.
Lui scosse la testa e spense il mozzicone contro il palo della luce, poi lo fece volare via con uno scatto delle dita.
Credevo mi dicesse qualcosa, ma lui rimase zitto.
Sembrava … rassegnato.
Mi avvicino alla fossa. Ho ancora il fiore in mano e non lo sapevo. L’ho tenuto stretto per tutto il tempo.
Guardalo, adesso!
È piegato verso il basso. Era un giglio un tempo, ma adesso è spezzato.
Guardatela, adesso!
Non riesco a fermare le lacrime. Mi mordo le labbra. Inspiro, ma non c’è più aria.
Era la mia migliore amica.
Io l’amavo.
Credevo che ci saremmo diplomate insieme.
Leggeva sempre.
Si dimenticava persino di mangiare.
Avrebbe studiato Lettere all’università. Sarebbe diventata un’insegnante. Sarebbe stata un’insegnante meravigliosa e avrebbe insegnato agli altri ad amare quello che avrebbero voluto odiare.
Meritava di più.
Meritava una vita.
I capelli bianchi.
Tre figli.
Un marito in giacca e cravatta che le regalasse mazzi di fiori e promesse d’eternità.
Mi guardo attorno.
Scorro un volto dopo l’altro, ma so già che non lo vedrò.
Lui non è venuto.
Non ha chiamato.
Non si è più visto.
Lo odio.
Qualcuno mi ha preso tra le braccia.
Riconosco la stretta di mio padre.
Lascio scivolare il giglio verso la tomba.
Sollevo la testa.
I suoi occhi sono arrossati.
Ha pianto per me che sto piangendo per lei.
Aveva pianto per lei.
Ho chiuso gli occhi e ho appoggiato la testa al petto di mio padre. Lo stringo forte, aggrappandomi alla sua giacca. Cammino così, senza vedere dove sto andando. Affidandomi completamente a lui, incapace persino di decidere la direzione di una manciata di passi.
   
 
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