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Autore: Vella    17/06/2015    3 recensioni
Tra la paura e l'essere posseduti, esiste l'amore.
Undici clown, undici partecipanti, dieci edizioni. La Siberia quest'anno ospiterà la decima edizione del Red Nose. L'evento che incarna il sadismo dell'essere umano e di cosa esso sia capace pur di autodistruggersi.
Grethel Hale ha diciannove anni, o forse qualcosa in meno, da un passato non troppo chiaro, dalle abitudini incoerenti e dal sorriso svampito, entra a far parte dell'evento, ritrovandosi davanti Clown 3. Un clown dagli occhi verdi, profondamente verdi che scuoierà la sua preda e le darà forza, coraggio, amore. Potrebbe salvarla o ucciderla.
Incontrerà Clown 9, incontrerà Juro, incontrerà Margherita.
Incontrerà la sofferenza, il sangue, la morte.
E sarà come il corvo che osservava da piccola nei cimiteri, si fermerà solo un attimo sulle lapide dei suoi orrori, ma poi spiccherà il volo verso il cielo, verso quell'amore che sarà la sua rovina, la sua macabra speranza e le donerà vita un attimo prima di impazzire.
Genere: Commedia, Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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3° Capitolo- La veglia nera.


Il castello di Krasnojarsk era un luogo angusto e buio, non si conoscevano precisamente i piani che lo costituivano e non era ben noto l'orientamento delle stanze e come raggiungerle, neanche quante rampe di scale salire o scendere, e quanti sotterranei si trovassero in fondo. Era tutto situato male e chi cercava un appiglio, un punto di riferimento, una minima organizzazione, veniva sconvolto e rimaneva confuso più di prima.
A tutto ciò, Juro Sakamoto era stato preparato, o almeno così credeva. Ora che si ritrovava lì, tra quelle macabre mura in pietra antica e dove la luce più remota non era altro che uno spiraglio d'inferno, sapeva che nulla sarebbe stato facile così come aveva sperato.
Aveva salito varie scale ed ora non riusciva a capire cosa lo circondasse. Il buio affranto invadeva le sue pupille e un odore di muffa distruggeva il suo apparato sensoriale. “Chissà da quanto tempo una cameriera non fa visita al castello...” era uno dei tanti pensieri che proprio non doveva affollare il suo cervello già abbastanza incasinato.
Si prese qualche attimo per ragionare sul da farsi e appoggiato alla parete poteva sentirne il tocco freddo e deciso.
Juro era un tipo abbastanza in gamba, era sempre stato alquanto ambizioso e non s'era mai immaginato in quella drastica e viscida situazione. Avrebbe preferito tante cose, come ad esempio starsene sul comodo e malandato divano di casa sua, guardarsi un drama giapponese o perdersi in qualche manga passato di moda.
E riflettendoci, avrebbe avuto il cuore anche più leggero, più vuoto e acerbo.
Invece no, era tutto diverso, tutto distorto, la stessa realtà gli appariva distorta, la sua precaria missione gli appariva distorta.
E la stupidità molte volte prendeva il sopravvento, come adesso che s'era appoggiato alla pietra levigata e riprendeva fiato, sull'attenti ad ogni singolo rumore. Aveva le mani in tasca e se le stringeva e contorceva; la paura si era impossessata del suo orgoglio e del suo strano senso di lucidità.
Avrebbe voluto liberarsi i polmoni con una decisiva imprecazione, la verità era appunto che non sapeva più come diamine ritornare indietro e non ci teneva neanche un po' a passare la notte in quel meandro di castello inquietante al massimo.
«Cosa faccio, eh? Cosa faccio adesso? Sì Juro, cosa fai? Dai bambino, metti in moto il cazzo di cervello...» Le piccole finestrelle in alto e quelle invece più grandi che riflettevano un certo stile gotico, davano pochi segnali di luce, non che fuori fosse bel tempo o brillasse la luna, però diamine... dov'erano le stelle? Non si diceva forse che a Krasnojarsk il cielo appariva più bello? No. Forse quella era una qualche città europea di cui confondeva la provenienza con proverbi.
Strinse i pollici così forte da farsi male e riprese a camminare. Tanto valeva cercare una possibile via di fuga, di certo se fosse rimasto appoggiato alla parete non sarebbe accaduto nulla. Non è che i passaggi segreti s'aprivano con lo schioccar delle dita: ce ne voleva per quello!
Fu così, un po' per errore, un po' perché non ci vedeva un beneamato nulla, che Juro affrontò il suo primo cadavere.
Scivolando lungo le piastrelle impolverate, qualcosa gli era urtato contro e con un precario equilibrio, quasi non ci cadeva sopra.
Questa volta imprecò e niente gli impedì di farlo, soprattutto quando si accorse che davanti a lui non c'era un sacco di patate o un clown svenuto ma una figura normale, rannicchiata su se stessa, in posizione fetale, piccola e indifesa.
«Cosa diamine...?» Nel buio pesto, accovacciandosi al suo fianco, Juro intravide un viso familiare e sconvolto dal sonno.
L'inerme corpo di Grethel era stato percosso, Juro però non riusciva a vedere molto o a capire molto della sua situazione clinica.
Se prima il problema era uno solo, ovvero come ritornare da dove era venuto, adesso ne sorgevano due di problemi. Per quanto fosse alta la sua percentuale di difetti, non si poteva considerare inetto e ciò lo spingeva ad un strano senso del dovere.
Avrebbe dovuto prendere quella giovane figura tra le sue braccia e brancolare nel buio. Ma... se fosse stata una trappola? Una trappola dei clown? In fondo nessuno sapeva ch'era uscito dalla Veglia Nera; nessuno aveva ancora visto i clown e forse tutto era stato previsto da quelle menti spregevolmente diaboliche.
Che orrore, che terribile dilemma.
Avrebbe dovuto svegliarla ma sembrava che si trovasse davanti ad un caso di svenimento proficuo. Sì. Gli svenimenti in casi del genere, dove manco lui sapeva come uscirne, diventavano proficui.
Tutto si complicava con lo scorrere degli istanti, di quel tempo che vi era stato proibito e Juro sapeva bene che seppur gli era stato tolto l'attimo, quello c'era sempre. Inesorabilmente.
L'oblio però ha sempre una fine ed ella giunse da lontano con una lentezza immane. La luce spettrale che il corridoio adesso emanava, destò Juro dai suoi marchingegni e i suoi occhi furono abbagliati da una torcia bianca; il silenzio si espanse come tentacoli di un polipo ed ora le gambe gli tremavano, perché così era giusto. Perché avere paura è lecito anche per un uomo.
Trattenne il fiato quando la luce si spostò sul corpo ch'era al suo fianco e lui poté vedere un viso bianco. Quei visi che aveva sognato la notte per troppe notti, quel pallore che lo aveva perseguitato insieme agli occhi ghiacciati di orrore. Sapeva adesso cosa si provava a ritrovarsi davanti un clown.
I clown, quelle figure tanto ignobili e meschine. Esseri viventi la cui umanità era sparita in un soffio di vento in una sera di tanti, troppi anni fa.
Il loro particolare fascino si univa alla voglia di ucciderli ora, adesso, in quell'istante inesistente.
Un istinto sconosciuto suggerì a Juro di proteggere il corpo inerme sul pavimento con se stesso; piazzatosi davanti aspettò che i passi del clown si fermassero e smettessero di avanzare verso di lui trascinando il peso e le pene.
«Posso... io posso spiegare». Il suo tentativo di parlare si affievolì man mano che la luce si avvicinava e per un attimo fu tentato di mettersi a correre.
Cosa accadde dopo, è difficile anche per lui ricordarlo. Sentì il tocco freddo di dita marmoree e subito una stretta attorno alla gola. La torcia cadde dalle mani del clown e rotolò sulla pietra. La voce di Juro si strozzò e tentò di portare tutto il suo peso sui polsi del clown, su quel freddo che s'insediava nelle ossa e le schiacciava lentamente. Traballante, capì che non aveva più ossigeno, che stava andando in apnea e poi forse sarebbe morto strozzato.
Gli occhi fuori dalle orbite ed un unico pensiero che volava alla sopravvivenza. Dov'era? Cosa... i pensieri si offuscarono e un attimo prima di perdere i sensi, il clown lasciò andare la presa e il corpo di Juro cadde su quello di Grethel con un sonoro tonfo.
Non lo aveva ucciso, si disse. Aveva solo fatto in modo che svenisse lì e venisse abbagliato dalla luce bianca. Lo aveva visto in faccia? No, credeva di no.
Il clown si accovacciò sul fianco di Grethel e ne scorse il viso martoriato. Cosa ci faceva lei lì? In quel corridoio? Si guardò intorno e riprese la torcia in mano, illuminando gli angoli che non riusciva a controllare finché non fu sicuro che nessuno per ora s'era fatto vivo.
Doveva assolutamente, in qualunque modo, portare entrambi i corpi fuori da quel luogo, riportarli nella Veglia Nera dove tutti i partecipanti si trovavano al momento.
Fu distratto però dai lineamenti pallidi della giovane ragazza e fu risucchiato dal rosso vivo dei suoi capelli.
Li ricordava corti e al vento, che si spostavano su un viso gioviale e un corpo da bambina.
La mano marmorea si posò sulla guancia tiepida di lei e gli sembrò di ritornare indietro di molti anni, in quel giorno di fine inverno; ma si riprese subito e alzatosi di scatto, issò entrambi sulla schiena. - La Veglia Nera era una stanza immensamente grande, luminosa, arieggiata. La prima cosa che colpiva erano gli specchi che la caratterizzavano. Le pareti, a differenza dell'intero castello, erano totalmente coperte con grandi lastre di vetro. Il pavimento era liscio e bianco, pulito.
Ai lati era possibile trovare dei tavoli in legno, dell'acqua, del cibo inscatolato con marche internazionali. Era una stanza di ristoro che porta un minimo di fiducia negli animi dei presenti.
Grethel si era svegliata e la circondavano con una nuova impronta di curiosità. Era stata affidata alle mani di Chitra Subram, origini arabe. Sembrava che la donna avesse una certa dimestichezza con le più basilari conoscenze dell'arte medica.
Di fatti, la giovane era stata svegliata con un forte odore di sali, ed anche Juro aveva ripreso conoscenza grazie ad essi.
In un mare di occhi indagatori, i due si ritrovarono spalla contro spalla con un atroce mal di testa post traumatico.
«Cosa vi è accaduto?» Fu una delle più ripetute domande espresse dai presenti.
Grethel si guardò in giro, aveva la vista un po' annebbiata e scorse lineamenti di tutti i generi; persone che mai in vita sua aveva pensato di conoscere.
C'erano un po' di etnie, o quasi. A quanto pareva, i partecipanti erano in tutto undici e solamente tre circondavano i pazienti, i rimanenti sei erano sparpagliati nella grande stanza e sembravano incomprensibilmente impegnati.
Talmente che fu scossa dalla luce forte della stanza che fu costretta a proteggere gli occhi con entrambe le mani e Chitra le consigliò di socchiudere per qualche minuto le palpebre.
«Così ti abitui a questa intensità», era gioviale e alquanto di bell'aspetto. La sua pelle olivastra faceva da contrasto a lunghi capelli di un nero ramato che arrivavano fin sotto al sedere, gli occhi nocciola brillavano di quiete ed era alquanto magra e flessuosa nei movimenti che faceva per aiutare Grethel a ridestarsi dal torpore.
Nel frattempo Juro si sentiva mancare l'aria, percepiva ancora le dita del clown sul suo collo e non riusciva a respirare bene. Al suo fianco vi si trovava Salimah Chukwu, origini nigeriane. Aveva un odore particolare che ricordava tanto frutti esotici mai mangiati, la sua pelle scura contrastava con quella giallognola del giapponese e la grandezza di un così strano evento vi si percepiva proprio in quello: il mondo diviso si univa sotto ad uno stesso tetto incredibilmente.
«Come sono arrivata fin qui?» Fu poco più di un sussurro ma deciso, così Grethel strinse il braccio alla gioviale Chitra e strizzò gli occhi, adesso più lucida.
La donna rimase interdetta.
«Io... non lo so». Rispose in un inglese un po' stentato.
Grethel lasciò la presa e permise così all'araba di allontanarsi; girò il busto e si ritrovò davanti Juro e Salimah che erano intenti a controllare le tracce sul collo del ragazzo.
La giovane fu abbagliata a sua volta dalla diversità d'etnia e strinse le labbra per non domandare anche a loro da dove fosse sbucata e chi l'avesse trascinata fin lì.
Grethel non ricordava nulla.
Aveva solo un vago ricordo di qualcosa che la punzecchiava permanentemente sul ventre e la tagliava, ma poi? Quanto tempo era passato e cosa stavano facendo adesso? Aveva dormito? Aveva bevuto, per caso? C'erano tante probabilità ma nulla sosteneva una situazione così.
Chitra ritornò da dov'era andata, muovendo sensualmente i suoi fianchi; c'erano uomini nella stanza che si girarono ad osservarla e Grethel fu sconvolta nel vedere quelle occhiate fugaci quando loro stessi erano stati catapultati in un'altra dimensione.
«Bevi dell'acqua, sarai disidratata». Era gentile almeno, e le persone gentili le aveva sempre in qualche modo rispettate.
«Dimmi ciò che sai, allora».
La donna si sedette sul pavimento al suo fianco, erano infatti sdraiati su dei sacchi a pelo non troppo comodi che puzzavano di nuovo.
«Io non so nulla, mia cara. Non so neanche il tuo nome».
Ed era vero, non si conoscevano affatto.
«Mi chiamo...» si schiarì la voce, «Grethel Hale e vengo dall'Inghilterra».
«Io sono Chitra Subram, dall'Arabia. Loro sono Juro Sakamoto, dal Giappone, e Salimah Chukwu, dalla Nigeria». Grethel si girò di nuovo e strinse la mano ad entrambi. Il giapponese la guardò un po' più a lungo del dovuto; il suo sguardo torvo non diceva nulla di buono.
«Perché siamo qui?» La prima domanda era sprofondata in un abisso di incertezze e la seconda sembrava sul punto di cadere lì dove era traballata la prima.
Chitra Subram si leccò le labbra per pensare forse ad una giusta risposta.
«Non so neanche questo, Grethel». La giovane scrollò le spalle, le pareva ovvio che non lo sapesse. Cosa in fondo si sapeva di ciò che era e stava per accadere?
«Cos'è questa stanza, allora? I clown... i clown dove sono?» Chitra sorrise, era lecito che Grethel avesse la mente tanto piena e sputasse fuori tutti i dubbi che sorgevano.
«Non ho risposte per te oggi. Nessuno ce le ha, stavamo tutti aspettando un tuo risveglio per sapere cosa ti fosse successo e cosa fossi disposta a dirci».
Quella pretesa rimase sbigottita la giovane che non aveva la più pallida idea a cosa si stesse riferendo. Se loro non sapevano niente, perché avrebbe dovuto saperne qualcosa lei?
«Neanche io so qualcosa. Dillo a tutti se questo stavate aspettando». S'imbronciò; vedeva meglio sì, era più sveglia sì, ma i muscoli le dolevano, perfino la testa le faceva male.
Chitra si morse le labbra e poggiò entrambe le mani sulle spalle della sua paziente rivolgendole un familiare sguardo materno.
«Sei sicura di non voler dire niente? Non eri con noi quando siamo stati portati qui, Grethel. Forse hai incontrato i clown? Sei stata trattenuta di più quindi qualcosa avrai pur... visto, non trovi?»
Le parole scorsero come un fiume in piena e Grethel rimase esterrefatta. Non erano innocue domande che si insinuavano pian piano tra due persone. Erano precise e dirette; ma cosa avrebbe dovuto rispondere adesso? Non c'era nulla di concreto nei suoi ricordi, non poteva soddisfare quella curiosità innata di Chitra ed iniziava anche a sospettare del suo buon animo.
«Non lo ricordo». Fu tutto ciò che riuscì a dire.
«In che senso non lo ricordi?»
Grethel tirò su le spalle e ripeté: «Non lo ricordo, non so cosa io abbia fatto. Sono alquanto confusa e credo che sia giusto così».
Chitra strinse le labbra e si ritrovò dopo poco ad annuire, non più sull'attenti.
Juro e Salimah avevano attentamente ascoltato la conversazione tra le due ma nessuno intervenne; il primo era sconvolto: come poteva non ricordare niente? Lui ricordava ogni singola cosa ed aveva sperato ardentemente che al suo risveglio ci fosse stata un minimo di chiarezza. La seconda continuava a massaggiare il collo del giapponese con dell'ovatta bagnata d'acqua e sembrava presa da ciò.
«Cosa si fa adesso?» Sussurrò Juro, girandosi verso Grethel che ricambiò il suo sguardo ed arrossì lievemente.
«Quello che stavate facendo prima del mio arrivo immagino...»
Chitra sbuffò ma si ricompose quasi subito con un sorriso compiacente.
«Siamo stanchi di aspettare Grethel. I clown non si sono ancora fatti vivi, siamo stati tutti sedati e portati in questa stanza tranne tu e... beh, Juro dice di essere stato assalito durante la dormiveglia qui. Poi sei comparsa e noi tutti, come giusto che sia, siamo confusi. Vogliamo spiegazioni proprio come le vuoi tu e non ci basta passare ore intere in questo luogo con scatolette in alluminio e questi... specchi che ci stanno col fiato sul collo».
Grethel abbassò lo sguardo sul pavimento ed affondò la testa nelle mani.
«Dimentichi che il tempo si è fermato, per loro non è un'attesa; siamo in bilico tra il nostro passato ed il nostro futuro». Rispose Salimah e Juro si stese sul sacco a pelo.
«Struggerci con queste domande non porterà a nulla di buono. Lasciateci dormire adesso, siamo entrambi alquanto esausti».
Salimah si ritrovò d'accordo con il ragazzo ma Chitra titubò ad alzarsi e a lasciare la sua paziente nelle mani di qualcuno che non si fidava troppo. Decise di postarsi in un angolo per riuscire ad osservarli meglio, nel caso non stessero dormendo.
Appena le due si allontanarono, anche Grethel si stese sul suo improvvisato letto e trovò sollievo poggiando la testa sul cuscino sintetizzato.
C'era un brusio di sottofondo, il suo corpo era rivolto verso uno dei tanti specchi e guardava il suo sfinito riflesso lanciare un'aura di pesantezza. Avrebbe tanto desiderato una doccia momentanea e lasciarsi andare un po' a quell'incoerente situazione.
Non era vero che non ricordava nulla; nella sua mente erano ancora impressi gli occhi di un verde smeraldo e la lucente pelle di un clown memorabile. Chi fosse non lo sapeva ma era presente, immerso nei suoi più custoditi ricordi.
E ricordava la stanza buia dove s'era procurata la fitta al ventre ma il resto era oblio finché non s'era svegliata in quell'altra stanza piena di luce e piena di avvoltoi.
Il respiro regolare del ragazzo al suo fianco, la tranquillizzò ed era sul punto di lasciarsi andare ad un leggero pisolino, quando un sussurro la trascinò via.
«Non muoverti». Era Juro che aveva avvicinato il suo sacco a pelo e muoveva impercettibilmente le labbra contro la sua schiena.
«Se mi senti, annuisci lentamente».
Grethel si ritrovò ad annuire.
«Ora stammi bene a sentire: se stai mentendo, continua a mentire. Non fidarti, sii precisa e non lasciarti abbindolare. Stanno aspettando solo questo. Non fidarti neanche di me, soprattutto di me. Ripeto: se stai mentendo, continua a mentire. Siamo d'accordo?»
Ancora una volta, Grethel annuì.
Sentì il ragazzo che si muoveva sul sacco a pelo come se stesse vivendo un sonno agitato e lei fece altrettanto. Niente era accaduto. -- Hussein e Iesa erano gemelli omozigoti.
I loro tratti del viso non avevano nulla che li distinguessero. Erano confondibili come due gocce d'acqua; di origini arabe, provenienti dal sud di quella che un tempo era stata una florida Mesopotamia.
Non avevano più di quarant'anni, di statura bassa e una pelle baciata dal sole con grandi occhi scuri che incantavano chiunque. Una corporatura forte ma niente affatto grossa.
Erano seduti a gambe incrociate l'uno di fianco all'altro nella Veglia Nera, la stanza dove tutti i partecipanti si trovavano.
Avevano guardato a lungo i due ragazzi sotto le cure di Chitra e Salimah, si erano consultati attraverso brevi ed intensi sguardi ed adesso si ritrovavano circondati dagli altri uomini e donne che non sapevano come comportarsi. C'era chi non trovava logico la presenza di quei due, c'era chi diceva che avevano già avuto il piacere di incontrare i clown e c'era invece chi -come loro- se ne stava zitto, un po' in disparte a pensare tranquillamente.
Iesa stringeva tra le mani un narghilè ed ogni tanto avvicinava la bocca e ne traeva conforto.
C'era un'ala della stanza impregnata di fumo ed un'altra invece ch'era inebriata dei profumi esotici di Salimah.
Entrambi i gemelli consideravano una saggia e bella iniziativa quella di creare un luogo che rappresentasse la loro vecchia vita. In fondo erano giunti fin lì per lasciar correre via l'animo e le tradizioni, ciò che era stato già vissuto e quello che avrebbero preferito mai vivere.
Hussein schioccò la lingua sotto il palato e fece scorrere il pollice lungo la guancia liscia e quasi niente barbosa.
«Cosa c'è che non ti convince, Iesa?» Fu poco più di un sussurro, suo fratello sospirò lasciando evaporare il fumo dalle sue narici.
«Vedo la distruzione, la percepisco». Hussein annuì e strinse la mano attorno al braccio di Iesa.
«Si stanno avvicinando, lo sento. Crollerà tutto». Fu la sua risposta e lentamente si girò dietro, verso gli specchi ed il suo calmo riflesso.
Le labbra si toccarono e le sue dita si posarono sul vetro.
In quel momento, tutti i presenti in sala si fermarono a guardare quel gesto. Chitra e Salimah si erano avvicinate, gli altri erano già lì.
Tranne Juro e Grethel.
Fu un attimo, un eterno attimo che si imporporò di terrore. L'aria ribolliva di segretezza, il sudore colava dalle tempie e c'era una sottospecie di batticuore che tenne tutti sul filo di un rasoio.
Non appena la mano di Hussein fu appoggiata sulla lastra in vetro, emise fumo bianco. Non ci fu rumore, non ci furono parole. Sbalordimento ed accanimento allo stupore si innalzarono come sentimenti umani.
Senza indugiare la ritrasse e Iesa fu il primo a vedere l'imminente ustione del palmo.

Angolo Autrice: In ritardo? In ritardo! Insomma, chi è che non è mai in ritardo? Non io, questa è una cosa appuratissima.
Vivendo i miei alti e bassi, ecco a voi il terzo capitolo della Giostra Umana.
Non so quanto possa esservi piaciuto e non so neanche se la piega che sta prendendo la storia, vi stia annoiando o meno.
Nel dubbio, vi assicuro che ce la sto mettendo tutta, che è mio compito portare a compimento le storie dei clown e quella di Grethel,
Spero con tutto il cuore che entriate a far parte del gruppo facebook, così da essere sempre aggiornati sulle storie e su ciò che potrebbe ipoteticamente accadere.
E spero sempre di non avervi deluso.
Ringrazio tutti per il sostegno, siete fantastici e non credo di meritare lettori come voi <3.
Un bacio!
Il prossimo aggiornamento avverrà il più presto possibile!
   
 
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