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Autore: Tigre Rossa    21/06/2015    3 recensioni
“Ti avevo detto che l’avrei piantato a casa mia, quando sarei tornato. In quel momento, lo ammetto, pensavo a casa Baggins e alla Contea. Ma tutto quello che abbiamo passato mi ha fatto capire che non è veramente quella la mia casa. Si, ci sono nato e cresciuto, ma non è il mio posto, il luogo a cui appartengo. Il mio posto è al tuo fianco, Thorin. Ovunque tu sia, ecco, quella è casa, per me. Tu sei la mia casa, ed è a te che appartengo.”
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Balin, Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Home - questo è il mio posto
 
 
 
 
 
Dove tu sei, quella, è casa.
- Emily Dickinson
 
 
 
 
Bilbo si rigirò la piccola ghianda tra le dita, osservandola con aria pensierosa.
Se la portava dietro da tantissimo tempo ormai, fin da quando l’aveva raccolta nel giardino di Beorn, il mutapelle. Per lui era diventato quasi un talismano contro la malinconia e la nostalgia, un modo per farsi coraggio e ricordarsi di cosa lo attendeva alla fine del suo viaggio.
Sospirò appena, mentre il pensiero volava alla Contea.
Gli mancava, la sua casa. Gli mancavano le verdi colline della sua terra, il cielo azzurro ed infinito, il suo buco hobbit caldo ed accogliente, il suo giardino curato ed eternamente fiorito, i suoi amati libri, la sua comoda poltrona. Tante volte ci aveva pensato con nostalgia e un pizzico di rimpianto, ma doveva ammettere che viaggiare lungo la Via con i nani era bello, anzi, meraviglioso. Nonostante tutto quello che avevano passato, i pericoli e le difficoltà che avevano affrontato, Bilbo era felice di vivere quella avventura, ormai quasi al termine. Se pensava che era stato sul punto di rifiutare quella che si era rivelata essere l’esperienza più straordinaria della sua vita, gli venivano i brividi.
Un rumore improvviso lo distolse dai suoi pensieri e subito lo hobbit si affrettò ad infilarsi la ghianda in tasca, per poi voltarsi verso il punto dal quale era giunto il rumore.
Thorin era lì, in piedi di fronte alla finestra della stanza che il Governatore degli Uomini del Lago aveva dato loro per la notte. Come lui, anche il principe dei nani doveva aver difficoltà a dormire, con la Montagna Solitaria così vicina. Anche se gli dava le spalle e quindi non poteva vederlo in volto, poteva facilmente immaginare il suo sguardo serio e preoccupato fisso su quella vetta, ormai così incredibilmente vicina e allo stesso tempo così stranamente lontana.
Attento a non svegliare Bofur, che dormiva nel letto accanto al suo, Bilbo sgusciò fuori dalle coperte e si avvicinò silenziosamente al nano dai capelli corvini.
“Dovresti provare a riposare, Thorin.” sussurrò piano lo hobbit, cercando di non spaventarlo “Devi conservare le forze per domani.”.
Thorin non si voltò neppure, ma nella sua voce c’era un accenno di dolcezza “Potrei dirti lo stesso, signor Baggins.”.
Bilbo si avvicinò ancora di più al compagno e rimase ad osservarlo in silenzio per qualche minuto.
Proprio come aveva immaginato, aveva l’aria stanca e tesa, e la speranza e la determinazione che avevano illuminato il suo sguardo per tutto il viaggio sembravano quasi scomparse, oppresse com’erano dalla preoccupazione che man mano era divenuta sempre più forte. Il giorno seguente avrebbero finalmente raggiunto Erebor, ma ciò non rassicurava minimamente l’animo del guerriero. Il solo pensiero di non riuscire a trovare la porta in tempo, di dover rinunciare alla sua casa dopo tutto ciò che avevano passato, di fallire dopo essere stati così vicini a riprendere quello che gli apparteneva lo terrorizzava, anche se tentava di non darlo a vedere. Eppure Bilbo riusciva a capirlo, riusciva a vederlo; per lui era così facile, leggere l’animo di quel principe dagli occhi di ghiaccio. E vederlo così angustiato, così preoccupato, gli faceva terribilmente male.
Inconsciamente gli si fece più vicino, per poi mormorare piano “Ce la faremo, vedrai. Arriveremo in tempo. Vi riprenderete la Montagna. Ti riprenderai la montagna. E io ti farò tutto ciò che posso per aiutarti a farlo. Te lo prometto.”.
Thorin si voltò di scatto verso di lui, guardandolo lievemente stupito. Lui gli restituì lo sguardo, stringendosi ansiosamente le mani per paura di aver fatto un passo falso, e con suo grande stupore il nano sorrise – un sorriso vero, caldo, quel sorriso che sembrava riservare solo a lui, e che gli scaldava il cuore ogni volta -, gli occhi finalmente più sereni.
“Ti ringrazio, mastro scassinatore.” rispose, la voce bassa e dolce, mentre quel sorriso si faceva ancora più grande “Averti al mio fianco ancora quest’ultima volta sarà un onore, per me.”.
Il cuore del piccolo hobbit tremò a quelle parole, e Bilbo si ritrovò costretto a distogliere lo sguardo, mentre le sue guance assumevano una lieve tonalità di rosa.
“P-per me è un onore. Seguirti, intendo.” balbettò, passandosi una mano tra i riccioli ramati “Dovresti saperlo, ormai, che ti seguirei ovunque.”.
Le pupille del nano si dilatarono, colpite da quelle parole, ed egli non poté fare a meno di tornare indietro, a quando Bilbo si era lanciato, armato solo del suo pugnale e del suo coraggio, contro l’orco che stava per ucciderlo, e l’aveva difeso dall’Orco Pallido con gli artigli e con i denti. E a quando li aveva liberati dalle ragnatele dei ragni, e dalle prigioni degli Elfi Silvani, da solo, contro qualsiasi aspettativa. Per proteggere loro. Per proteggere lui.
“Lo so.” sussurrò dolcemente, mentre la sua anima tremava al pensiero che tra poche ore avrebbe mandato quel piccolo hobbit coraggioso nella Montagna, mettendolo più in pericolo di quanto avesse mai fatto durante la durata dell’intero viaggio.
Bilbo alzò sorpreso lo sguardo, mentre le sue guance assumevano una tonalità ancora maggiore di rosa.
I due rimasero così per un po’, vicini, le anime unite dai loro sguardi, fin a quando il mezz’uomo si voltò verso la sagoma della Montagna Solitaria e mormorò timidamente “Posso chiederti una cosa?”
Il nano, un po’ sorpreso, annuì.
Lo hobbit prese a tormentarsi nuovamente le mani, continuando a guardare fuori dalla finestra mentre l’altro l’osservava con aria attenta “Come mai mi chiami sempre e solo ‘mastro scassinatore’, ‘signor Baggins’ o ‘mastro Baggins’? Sono dodici mesi che viaggiamo insieme, e non hai mai usato il mio nome. Mai, nemmeno una volta.”.
Il nano sollevò un sopraciglio. Era vero, non l’aveva mai chiamato per nome, ma non credeva che l’avesse notato, né che avrebbe mai chiesto spiegazioni per quello che, ai suoi occhi, appariva come un gesto di rispetto.
“Ti da’ fastidio?”
L’imbarazzo del mezz’uomo, se è possibile, crebbe ancora di più “Beh, no, certo che no, ma è un po’ . . . strano, ecco. Tutti, nella compagnia, mi chiamano semplicemente ‘Bilbo’, compreso Kili, anche se è ancora convinto che mi chiami ‘signor Boggins’. Tu, invece, sei sempre così ... formale. Freddo, quasi. Come se non ci conoscessimo nemmeno e io, beh, ecco . . . oh, lascia perdere, ok? Dimenticati di quello che ho detto.” farfugliò, indietreggiando ansiosamente e quasi inciampando nei suoi stessi piedi “Io . . . credo che proverò a dormire, adesso. Se hai bisogno di me, sono qui. Buo-buonanotte, Thorin.”.
Dopo aver detto quelle parole, si riavvicinò al suo giacinto e senza osare più voltarsi verso il principe dai capelli corvini ci si infilò dentro, le gote ormai rosse come mele mature.
Thorin rimase a guardarlo a lungo, con un lieve sorriso divertito sulle labbra, fino a quando questi si addormentò.
Se lo hobbit riusciva a leggerlo dentro, lui riusciva fin troppo bene a cogliere i significati nascosti dietro le sue parole o i suoi piccoli gesti. Significati che gli riempivano il cuore di emozioni e calore mai provati prima di quel momento, ed a lui particolarmente cari.
“Buonanotte ... Bilbo.” sussurrò all’oscurità, prima di voltarsi a scrutare di nuovo Erebor.
Bilbo. Quel nome aveva un suono stranamente dolce, sulle sue labbra.
 
 
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La voce penetrante ed improvvisa del Re sotto la Montagna fece sobbalzare il giovane hobbit, che stava seduto in un angolo silenzioso e solitario di Erebor a riflettere.
“Che cos’è?”
Subito il mezz’uomo si alzò di scatto, voltandosi allarmato, per vedere Thorin venirgli incontro quasi di corsa, mentre esclamava con voce imperiosa “Nella tua mano?!”
Bilbo indietreggiò appena, chiudendo in un gesto spontaneo i pugni.
“No-non è niente.” borbottò, preso alla sprovvista da quello strano comportamento.
“Mostrami!” gli ordinò il nano, fissandolo con i suoi occhi di ghiaccio.
Bilbo osservò il volto serio e tormentato del re. Da quando il drago era morto, anzi, da quando avevano raggiunto la Montagna Solitaria, il temperamento del nano dai capelli corvini era diventato sempre più violento, sospettoso, e così dannatamente diverso da quello che aveva conosciuto tanto tempo addietro. Così diverso da renderlo irriconoscibile. Così diverso da fare male.
Il mezz’uomo accennò ad un sorriso e allungò la mano chiusa verso di lui.
“è . . .” aprì la mano, rivelando all’interno di essa una ghianda, il suo piccolo talismano “L’ho raccolta nel giardino di Beorn.” spiegò semplicemente, deglutendo appena.
Thorin, che aveva osservato la ghianda con sospetto, alzò lo sguardo e, quasi confuso, domandò “E l’hai portata fino a qui?”.
Lo hobbit annuì, sulle spine come non era mai stato negli ultimi tempi “La pianterò nel mio giardino, a Casa Baggins.”.
A quelle parole, un sorriso spontaneo, il primo da giorni, si formò sulle labbra di Thorin, l’ansia finalmente assente dai suoi occhi limpidi. Il pensiero della Montagna e dei suoi mille tesori, prima tra tutti l’Arkengemma, per un attimo scomparve dalla sua mente, per essere sostituito solo da Bilbo e da quella sensazione di pace e serenità che la sua presenza e la sua vicinanza gli ispiravano.
“Un misero premio da riportare nella Contea.” commentò dolcemente, senza riuscire a staccare gli occhi dal suo scassinatore. Per un attimo, sembrava essere di nuovo il Thorin di una volta.
“Be’, un giorno crescerà, e ogni volta che la guarderò ricorderò.” spiegò Bilbo, sorridendo al re “Ricorderò quello che è successo. Il brutto, il bello, e la fortuna che ho avuto a tornare a casa.” Thorin non poté fare a meno di continuare a sorride, dentro di sé ancora un volta sorpreso di quanto profonde potessero essere le emozioni e i pensieri di quella piccola creaturina, una persona che considerava casa sua importante più della ricchezza, alla pari della lealtà, del coraggio, dell’amicizia. E di quel sentimento, prima di quel momento sconosciuto, che legava entrambi.
Lo hobbit osservò il nano dai capelli corvini, e quel sorriso e quegli occhi improvvisamente sereni gli bruciavano dentro, facendolo annegare nel senso di colpa.
“Thorin, io ...” provò a dire, ma la voce di Dwalin lo interruppe, e lo hobbit vide negli occhi del re svanire quella luce che per pochi, fragili attimi era tornata a brillare, oppressa dall’oscurità che la malattia gli aveva portato nel cuore e che lo stava allontanando sempre più da tutti loro e, soprattutto, da lui.
 
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Bilbo si affacciò dalla Montagna, guardando di sotto e stringendo con forza la corda tra le sue mani.
Doveva andare, e lo sapeva bene. Aveva poche ore per agire, sperando di non essere scoperto prima che il suo piano andasse in porto, ma comunque esitava.
Sospirò, mentre tastava con una mano la gemma preziosa, causa di tutti i loro mali, attraverso la tasca delle sue vesti.
Stava andando ad offrire all’esercito che sostava di fronte ad Erebor e che minacciava di distruggerli tutti quella che forse sarebbe stata l’unica loro occasione di salvezza. Stavo portando l’ Arkengemma a Bard e a Thranduil, strisciando come un insulso ladro alle spalle dei suoi amici.
Alle spalle di Thorin.
Si voltò versò l’interno della Montagna, mentre il suo cuore tremava al pensiero del grande dolore che il suo gesto gli avrebbe inferto. Lo stava tradendo, e nel modo più spregevole e disgustoso possibile.
Pensò all’espressione che avrebbe avuto quando l’avrebbe scoperto. Al suo volto trasformato in una maschera di sofferenza. Ai suoi occhi morti e stranamente lucidi. Alle sue labbra strette in una smorfia di delusione. Al suo dolore che l’avrebbe colpito al cuore come una, anzi, no, mille spade.
Chiuse gli occhi, mentre dentro di sé sanguinava.
Era l’unico modo per proteggerlo.
Era l’unica cosa che poteva fare per salvare il suo re.
E lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvarlo.
Anche tradirlo.
 
 
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Thorin osservava Bard infilarsi nella giacca l’ Arkengemma, la sua Arkengemma, e un fuoco di rabbia e di incredulità prese a bruciargli nel petto.
Non poteva essere. Non poteva e basta.
“L’Arkengemma è in questa Montagna!” gridò furioso “è un trucco!”.
“No, non è un trucco. La gemma è vera. Gliel’ho data io.”
Quando sentì quella voce pronunciare quelle parole, il mondo per lui si fermò.
Non erano stati i suoi amici a tradirlo. Non era stata la sua famiglia.
Era stato lui.
La persona a cui teneva di più. La creatura che era diventata la più importante di tutte. L’unico ad avere la sua più profonda e totale fiducia. Colui che aveva le chiavi della sua anima.
Lentamente, si voltò, il dolore negli occhi, sperando dentro di sé che si trattasse solo di un inganno, di un’illusione, pregando Mahal che non fosse reale, che non sarebbe stato lui ad incontrare il suo sguardo.
Ma così non fu.
Bilbo era lì, con gli occhi pieni di rimorso e di sofferenza, di fronte a lui.
Il suo Bilbo.
“Tu.”
Il suo cuore, in quel momento, smise di battere.
 
 
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Lo hobbit percorse quasi di corsa lo spazio che lo separava dal corpo martoriato e in fin di vita del Re sotto la Montagna e subito si inginocchiò accanto a lui, mentre egli voltava con difficoltà la testa verso di lui e cercava i suoi occhi con lo sguardo.
“Bilbo...” lo chiamò ansimando, cercando faticosamente di respirare.
“Non muoverti.” gli sussurrò dolcemente lo hobbit, guardandolo in volto come per rassicurarlo e poi distogliendo velocemente lo sguardo per osservare la sua ferita.
“Non muoverti, sta fermo. Oh!” gemette, quando vide quello che Azog gli aveva fatto. Era una ferita profonda, troppo profonda perché lui potesse fare qualunque cosa. Si portò una mano alla bocca, cercando di reprimere quella sensazione di panico e disperazione che lo stava travolgendo come una tempesta infuocata.
Il nano dai capelli corvini spostò appena la mano per stringere debolmente il braccio dello hobbit e portarlo più vicino a sé.
“Sei qui, sono contento.” mormorò debolmente, muovendo appena le labbra.
In quel momento, con le spire della Morte che lo avvolgevano sempre di più, il volto del suo Bilbo era l’unica cosa che voleva vedere.
“Shh!” il mezz’uomo prese a premere sulla ferita, cercando quasi disperatamente di fermare l’emorragia. Non poteva permettere che perdesse altro sangue. Doveva guadagnare tempo. Doveva . . .
“Voglio separarmi da te in . . . pace . . .” ansimò il re morente, cercando il suo sguardo.
Solo allora Bilbo alzò il viso e i loro occhi si incontrarono e si legarono come tante volte, prima di quel momento, avevano fatto. Ed egli lesse così tanto in quei pozzi di ghiaccio, così tante cose che mai era riuscito a leggere, che dentro di sé qualcosa si ruppe.
“Non andrai da nessuna parte, Thorin.” disse con decisione, il cuore che gli bruciava nel petto, per poi tornare a concentrare la sua attenzione sulla ferita “Tu vivrai. Devi vivere.”.
Thorin esitò, alla ricerca delle parole giuste. Non sarebbe mai riuscito a dire tutto quello che si era tenuto dentro, lo sapeva fin troppo bene.
“Mi rimangio le mie parole e le mie azioni. Perdonami.” esitò, quasi titubante, mentre gli occhi blu di Bilbo tornavano ad incrociare i suoi. “Ero troppo cieco per vedere.” Ispirò, alla ricerca d’aria e di coraggio “Mi dispiace tanto di averti messo in un tale pericolo.” Quelle parole, che a un altro sarebbero parse quasi scontate, colpirono l’anima del mezz’uomo con così tanta intensità da farlo tremare dentro di sé.
Il nano tossì forte e voltò il viso verso l’alto, quasi a voler nascondere il suo dolore alla creatura che gli stava accanto, come se non si sentisse degno della sua pietà, o del suo perdono.
Ma Bilbo si strinse contro di lui, avvicinandosi al suo corpo come rare volte aveva fatto prima di quel momento.
“No, sono contento di aver condiviso i tuoi pericoli, Thorin.” esclamò, la voce che gli tremava “Dal primo all’ultimo.” Thorin si voltò lentamente verso di lui, un’espressione stupita impressa nel volto sofferente. I suoi occhi, grandi e spalancati come non mai, divoravano ogni dettaglio del volto dello hobbit, mentre il suo cuore, quasi a volersi prendere beffe di lui, iniziava a battere più forte di quanto avesse mai fatto nel corso della sua lunga vita.
“E...” il mezz’uomo si inumidì le labbra, mentre dentro di sé il suo mondo cadeva a pezzi “... sarei lusingato di condividere tutti quelli che verranno, Thorin. Quindi, non azzardarti a morire, d’accordo?”.
Le pupille del re si dilatarono, mentre un accenno di sorriso si formava sulle labbra esangui “Bilbo, i-io . . .” cercò di dire, ma si interruppe, socchiudendo appena gli occhi, mentre i sensi gli venivano meno e tutto, intorno a sé, diventava più flebile e da contorni sfocati.
Lo hobbit sussultò “No! No, no, no! Tieni duro, Thorin!” gridò, avvicinandosi ancora di più a lui “Non andare dove non posso seguirti! Thorin! Non lasciarmi!”.
Il nano, udendo le urla disperate dello hobbit, riaprì gli occhi e li posò sul suo volto, anche se per lui era ormai quasi del tutto nascosto dal velo della morte.
L’anima del mezz’uomo ebbe un tremito “Le aquile stanno arrivando, Thorin . . .” sussurrò, la gola stretta.
Una fredda lacrima gli attraversò la guancia mentre vedeva il suo sguardo, svuotato e fisso nel vuoto, farsi sempre più lontano.
In quel momento di disperazione, Bilbo fece l’unica cosa che il suo cuore straziato riuscì a urlargli.
Si spinse in avanti e premette le sue labbra contro quella gelate ed esangui di Thorin.
Fu un bacio disperato, che sapeva di morte e di disperazione, di lacrime e di addio, e quando poco dopo Bilbo si tirò indietro riuscì a vedere l’ultimo frammento di coscienza brillare negli occhi, ormai quasi senza vita, del nano, che sembrava attaccarsi alla vita con l’avidità con cui si era attaccato all’oro.
“Ti prego, non lasciarmi.“ gli sussurrò, l’anima che urlava di dolore e gli occhi così pieni di lacrime da non riuscire a vedere l’ombre delle aquile avvicinarsi sempre di più “Io ti amo . . .”
 
 
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“Oh Mahal, cosa . . .”
 
“Va a cercare Oin!”
 
“Thorin, resta con noi! Coraggio!”
 
“Qualcuno chiami Gandalf! Subito!”
 
“Forza, ragazzo, resisti!”
 
 
“Per favore, Thorin . . . non essere morto. Per favore . . .”
 
 
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Quando Thorin aprì lentamente gli occhi, la flebile luce della candela poggiata vicino a lui glieli bruciò.
Per qualche momento egli rimase, come accecato, a fissare il soffitto della tenda senza vederlo e a respirare profondamente, incapace di pensare.
Poi, lentamente, man mano che i suoi occhi riprendevano a vedere, frammenti degli ultimi avvenimenti gli tornarono alla memoria.
La battaglia.
Il ghigno malvagio di Azog.
La sua spada che gli attraversava il petto.
Il freddo che gli avvolgeva le membra.
Il dolore che gli straziava anima e corpo.
Gli occhi blu e terrorizzati di Bilbo fissi nei suoi.
La sua voce che lo chiamava e lo supplicava.
Le sue labbra disperate premute contro le proprie . . .
“Finalmente ti sei svegliato.”.
Una voce burbera ma allo stesso tempo dolce lo riscosse dai suoi pensieri, e il nano voltò faticosamente la testa nella direzione da cui proveniva, con il corpo che gridava la sua protesta per quel gesto brusco ed improvviso.
Gandalf era seduto lì, la pipa tra i denti e gli occhi stanchi ma sollevati. In quel momento, rannicchiato com’era al bordo di quel piccolo letto improvvisato e con i segni della battaglia ancora impressi addosso, sembrava dimostrare molti più anni di quanto avesse mai fatto prima. Ma il suo volto era sereno, nonostante la stanchezza.
Thorin aprì appena la bocca per provare a parlare, ma lo stregone lo fermò con un gesto della mano e, sfilandosi la pipa dalle labbra, gli disse con un accenno di sorriso “Non affaticarti, non è il caso. Non vorrai rovinare il nostro lavoro, con tutta la fatica che abbiamo fatto per riportarti indietro dal regno dei morti.”
Un lampo attraversò lo sguardo del vecchio, e la sua voce divenne improvvisamente dura quando continuò “Inutile dirti quanto hai rischiato, poiché penso che il tuo cervello non sia ancora messo così male da non riuscirci ad arrivare da solo. Se non fosse stato per l’arrivo tempestivo delle aquile dubito fortemente che saresti riuscito a farcela. Ma, a quanto pare, i figli di Durin hanno la loro buona stella e una certa dose di pellaccia dura.”.
Tamburellò con le lunghe dita sulla coperta “Sei stato in bilico tra la vita e la morte per tre giorni, un po’ più a lungo dei tuoi nipoti, ma alla fine ce l’avete fatta tutti e tre. Ora loro sono con Tauriel e Oin -devo dire che si stanno già riprendendo magnificamente, tra l’altro-, e Balin mi ha lasciato qui a controllare il tuo risveglio. Come se ce ne fosse bisogno, con lui presente.” Un sorriso, un vero sorriso questa volta, si formò sul volto di Gandalf, il quale spostò lo sguardo all’altro lato del letto.
Thorin aggrottò la fronte e seguì lo sguardo dello stregone, e quando vide chi era rannicchiato dall’altro lato per un attimo il suo cuore si fermò.
Bilbo era accanto a lui, profondamente addormentato, con la testa poggiata sulle braccia incrociate, vicino al suo torace, e con il volto teso e preoccupato anche durante il sonno.
Il nano trattenne il respiro, e lo stregone si affrettò a spiegare “Non si è allontanato dal tuo capezzale nemmeno una volta in questi giorni, né ha dormito o mangiato. Si è occupato di te notte e giorno, e probabilmente se non fosse stato per il suo aiuto Oin non sarebbe riuscito a mantenerti in vita fino al mio intervento. Sono certo che mi odierà a morte per aver fatto scendere questo sonno incantato su di lui ed avergli fatto perdere il tuo risveglio, ma ormai eri fuori pericolo, e lui aveva davvero bisogno di riposare.”.
Il cuore del re prese a battere forte, mentre i suoi occhi accarezzavano dolcemente il giovane scassinatore al suo fianco, i suoi capelli aggrovigliati, il volto ancora macchiato di sangue, gli occhi chiusi. Una mano, la mano destra, era stretta tenacemente attorno alla sua, come se volesse aggrapparsi a lui anche nel sonno.
Un altro piccolo sorriso si formò sulle labbra di Gandalf nell’osservare il volto di Thorin e la luce che in quel momento brillava nei suoi occhi. Si alzò silenziosamente e sussurrò, quasi avesse timore di rompere l’incanto di quel momento “Vi lascio soli. Gli altri saranno felici di sapere che finalmente sei di nuovo tra noi.”.
Il nano non diede segno di averlo sentito, preso com’era a contemplare quel piccolo miracolo che era ai suoi occhi quel giovane hobbit, e allo stregone non restò altro che uscire senza far rumore dalla tenda, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo sollevato.
Thorin rimase in quel modo a lungo, a riempirsi gli occhi e l’anima di lui e della sua presenza, fino a quando non resistette più e non gli accarezzò dolcemente la mano con il pollice.
“Bilbo . . .” lo chiamò piano, con la voce rauca.
A quel lieve tocco e al suono lontano della suo voce, il corpicino dello hobbit si riscosse dal suo sonno.
Bilbo sollevò piano la testa, ancora assonnato, aprendo lentamente gli occhi, per poi spalancarli dallo stupore.
“Th-Thorin . . . “sussurrò, sorpreso, lo sguardo che gli brillava di gioia “Ti sei svegliato!”.
Thorin sorrise, felice di risentire la sua voce, di vedere i suoi occhi blu illuminati, di averlo di nuovo lì, al suo fianco, ad annuì appena.
Gli occhi dello scassinatore diventarono improvvisamente lucidi, e pieni davvero di troppo, ed entrambe le sue mani si strinsero attorno a quella pallida ed ancora fredda del nano “Ho avuto. . . ho avuto davvero paura di . . . perderti, questa volta.” mormorò, lottando contro il nodo che avvertiva all’altezza della gola.
Il cuore del re tremò a quelle parole, mentre dentro di sé rivedeva gli occhi terrorizzati del giovane mezz’uomo e sentiva nuovamente la sua voce chiamarlo disperatamente.
‘Non andare dove non posso seguirti! Non lasciarmi! Ti prego, non lasciarmi. Per favore, Thorin . . . non essere morto. Per favore . . .’.
Dopo un attimo di esitazione, sollevò la mano libera e la posò sul collo dello hobbit, che sussultò appena a quel tocco delicato.
“Scusami se ti ho fatto preoccupare così tanto.” disse in un sussurro, la voce più dolce di quanto fosse mai stata, mentre gli accarezzava delicatamente la pelle “Sono qui, adesso, e non ho alcuna intenzione di lasciarti di nuovo da solo.”.
Bilbo sollevò lo sguardo, colpito da quelle parole, e il suo sguardo color dell’oceano incontrò quello di ghiaccio del re, per fondersi in quell’unione che era sempre stata loro, e che niente e nessuno avrebbe mai potuto portargli via.
Sorrise a sua volta, si abbassò lentamente verso il suo Thorin e poggiò le fronte sulla sua, chiudendo piano gli occhi, mentre dentro di sé tutte le sue ferite sembravano rimarginarsi.
“Allora bentornato, mio re.”
 
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“Fa male!” ringhiò per l’ennesima volta Thorin, stringendo i denti e lanciando un’occhiataccia a Bilbo, il quale alzò gli occhi al cielo e sbruffò.
“Se stessi un po’ fermo, farebbe meno male, non credi? “ lo rimproverò bonariamente, continuando a cambiargli le bende “E poi, da quando il grande Thorin Scudodiquercia si lamenta per una cosetta del genere? Credevo che potessi sopportare molto di più di un semplice graffietto.”.
Il guerriero strinse le labbra in un gesto di stizza e distolse lo sguardo dall’altro, anche se una luce divertita gli illuminava gli occhi.
Erano passate alcune settimane da quando Thorin si era risvegliato, e da allora scene simili si ripetevano regolarmente. Per quanto ormai il nano fosse quasi guarito e lo hobbit aiutasse il resto della Compagnia a gestire le varie faccende legate al governo di Erebor, Bilbo continuava puntualmente ad infilarsi nella stanza di Thorin ed a occuparsi di lui, compito che gli altri gli avevano ceduto quasi automaticamente fin dall’inizio. Così loro due avevano finito per trascorrere sempre più tempo insieme, chiacchierando, stuzzicandosi a vicenda, guardandosi, restando in silenzio uno accanto all’altro.
Lo scassinatore si alzò, tenendo in mano le bende usate “Ecco, abbiamo finito. Contento? ” lo prese in giro, mentre si avvicinava a una bacinella di acqua limpida e si sciacquava le mani.
Thorin trattenne a stento una risatina “Penso che tu ti stai divertendo un po’ troppo a fare il guaritore, Bilbo.”.
Lo hobbit si strinse nelle spalle, mentre si asciugava le mani con un asciugamano “Sicuramente è la parte più divertente di questa folle avventura.” ribatté, per poi lanciare uno strano sguardo al nano seduto nel letto.
Il re lo notò ed aggrottò la fronte “Cosa c’è?”.
Bilbo scosse la testa, impacciato “No, niente. Stavo solo pensando.”.
“A cosa?” insistette l’altro, posizionandosi più comodamente nel letto.
Lo scassinatore si mordicchiò le labbra, quasi nervosamente “Ecco . . . al fatto che stai finalmente usando il mio nome. è da un po’ che l’ho notato, a dire il vero, da quando . . .” la sua voce si spense, mentre il suo pensiero tornava a quando, la sera prima di raggiungere la Montagna, si era lamentato del fatto che non lo chiamasse mai per nome.
Thorin parve capire quello a cui stava pensando, e arricciò appena l’angolo delle labbra. “Ti da’ fastidio?” domandò, guardandolo negli occhi.
Bilbo arrossì lievemente, sotto lo sguardo profondo dell’altro.“No, no. Anzi.” mormorò imbarazzato, abbassando lo sguardo e torturandosi le mani “è . . . ne sono... fe-felice, ecco.”
Il nano dovette trattenersi dall’istinto di scuotere la testa davanti all’imbarazzo e al nervosismo dello hobbit, che nonostante tutto continuava a trovare spaventosamente dolce.
“Ah, Dwalin e Balin verranno a trovarti, nel pomeriggio, insieme a Fili e Kili. E Gandalf, forse.” esclamò Bilbo, voltandosi ad armeggiare con chissà che cosa e cambiando precipitosamente argomento, strappando così un sorrissetto al guerriero, che però scomparve quasi immediatamente “Vogliono discutere con te di una possibile data per l’incoronazione. Visto che ormai è passato quasi un mese da quando siamo arrivati qui e le tue ferite sono quasi del tutto guarite, non vedono più motivo di continuare a rimandarla, e mi hanno chiesto, ehm . . . di renderti più propenso all’idea.”.
Thorin annuì stancamente, lasciandosi cadere contro la spalliera del suo letto con un sospiro trattenuto.
Da circa una settimana, ormai, i suoi più fidati compagni continuavano a parlargli di cerimonie, e incoronazione, e progetti, e piani per il futuro, ma lui continuava a rimandare il più possibile.
Sapeva che era sciocco, ma per quanto in passato avesse desiderato con tutto sé stesso essere il nuovo Re sotto la Montagna, come lo era stato suo nonno, adesso era molto meno propenso ad accettare la corona. In fondo, i recenti avvenimenti non gli avevano forse dimostrato quanto fosse debole ed indegno di regnare su Erebor? Era caduto vittima della Malattia del Drago. Aveva quasi portato alla morte le persone a cui teneva di più. Era stato così cieco da rischiare di uccidere Bilbo. E se fosse accaduto di nuovo?
Lo hobbit lo osservò e gli si avvicinò silenziosamente, per poi sedersi sul letto accanto a lui “So quello che stai pensando, Thorin. Hai paura di fare di nuovo gli stessi errori. Hai paura di non essere all’altezza. Hai paura che la Malattia del Drago si impossessi di nuovo di te.”.
Il guerriero gli lanciò un’occhiataccia “I nani non hanno paura, hobbit.”.
Lo scassinatore scosse appena la testa, davanti alla medesima prova non tanto della mancanza di coraggio dei nani, ma di umiltà “D’accordo, allora diciamo che sei preoccupato. Ed è normale, davvero. Chiunque lo sarebbe, in fondo. Ma tu non hai nulla di cui preoccuparti. Abbiamo nascosto l’Arkengemma in un posto sicuro che nemmeno tu conosci, esattamente come ci hai detto di fare, e se mai i sintomi della malattia si ripresentassero chiunque, nella Compagnia, se ne renderebbe conto e correrebbe subito ai ripari. E poi, sono certo che tu stesso, dopo esserti liberato da essa una volta, faresti di tutto per non ricaderci una seconda.” gli sorrise e gli accarezzò delicatamente il dorso della mano “Quindi, non preoccuparti. Sarai un grande re, ne sono certo. Sei nato per esserlo.”.
Thorin si voltò verso di lui, l’anima in tempesta per quelle parole, ma rimase in silenzio.
“E, qualunque cosa accada, avrai sempre dei fedeli consiglieri al tuo fianco.” continuò con tono leggero lo hobbit, fingendo di non aver visto l’emozione negli occhi dell’altro “Sta certo che Balin e Dwalin non ti permetteranno il minimo errore, d’ora in avanti. Oh, non vedo l’ora di vederti alle prese con loro, all’incoronazione.”
Quell’ultima osservazione fece sobbalzare il re dai capelli corvini.
“All’incoronazione?” ripeté “Hai . . . hai intenzione di restare?” domandò, il cuore improvvisamente in gola e la voce roca.
Bilbo esitò, quasi preso alla sprovvista dalla serietà nel tono dell’altro, ma poi annuì lentamente “Sicuramente fino alla tua incoronazione, e anche un po’ dopo, magari. Devo controllare che tu non combini pasticci, no? E poi, voglio vedere come trasformerai Erebor; sarà splendida sotto il tuo regno, soprattutto se sfrutterai quelle zone adatte al giardinaggio che abbiamo scovato io e Bofur, ne sono sicuro.” Si passò una mano tra i capelli, improvvisamente imbarazzato “Solo se mi vuoi, comunque.”.
Qualcosa, nell’animo di Thorin, prese a bruciare con un’intensità tale da farlo quasi tremare.
“Certo.” sussurrò, mentre i suoi occhi si posavano sulle labbra di Bilbo “Certo che ti voglio.”.
Bilbo abbassò lo sguardo, le guance colorate da un lieve rossore, mentre improvvisamente si rendeva conto di quanto poca fosse in quel momento la distanza tra loro, e di tutto ciò che quelle parole potevano significare, e degli occhi stupefacenti del re fissi sulle sue labbra, e qualcosa dentro di lui si risvegliava e lo intrappolava tra le sue spire, impedendogli di respirare.
Avevano condiviso veramente tanto in quel periodo, era vero, ma mai prima di quel momento si erano ritrovati così vicini, non dopo . . .
Il pensiero del giovane hobbit tornò a quell’unico bacio, quel semplice e disperato sfiorarsi di labbra che sapeva di lacrime e di morte, a cui aveva cercato di pensare il meno possibile in quelle lunghe settimane e di cui mai, mai avevano parlato dopo il risveglio di Thorin, un po’ per imbarazzo, un po’ per timore, un po’ per non rompere quel delicato equilibrio che era venuto a formarsi e a cui nessuno dei due voleva rinunciare.
“Th-Thorin ...” mormorò piano, ma prima che potesse continuare un allegro bussare alla porta spezzò l’incanto del momento.
Thorin sobbalzò, e subito Bilbo scivolò velocemente via dal letto, lontano da lui, quasi come se il fuoco che vedeva bruciare nei suoi occhi l’avesse scottato.
Il nano gli lanciò uno strano sguardo e, notato l’imbarazzo e il rossore sul suo viso, con un sospiro disse “Avanti!”.
La porta non si era ancora aperta del tutto, che il piccolo hobbit, afferrate le bende e la bacinella, si infilò nell’uscio senza voltarsi indietro, mentre nelle sue orecchie udiva ancora la voce di Thorin.
 
‘Certo che ti voglio.’.
 
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“E con questo, abbiamo finito.” disse soddisfatto Balin con un sospiro, guardandosi attorno quasi con aria fiera “Domani sarà un gran giorno, Thorin.”.
Il guerriero dai capelli corvini annuì, guardando con un luccichio negli occhi la grande Sala del Trono, pronta per la grande cerimonia che, il giorno seguente, l’avrebbe ufficialmente proclamato Re Sotto la Montagna.
Erano passate quasi due settimane da quando si era convinto a cedere all’insistenza dei suoi compagni, due settimane di preparativi, e progetti, e prove che avevano coinvolto l’intera Compagnia. E, finalmente, era tutto pronto.
“Mi ripeti dove è finito il nostro scassinatore?” domandò improvvisamente Thorin mentre si apprestavano ad uscire dalla sala, fingendo quasi indifferenza. Gli hobbit, come avevano scoperto con loro grande stupore in quelle ultime settimane, erano degli ottimi organizzatori, e Bilbo aveva praticamente preparato tutta la cerimonia solo con l’aiuto volenteroso di Balin, Ori, Thorin e Gandalf,  riuscendo a coordinare gli sforzi e i progetti di tutti e tredici i nani del gruppo. Eppure, era praticamente scomparso prima che controllassero per l’ultima volta la Sala del Trono, cosa che il guerriero non aveva potuto fare a meno di notare.
Il vecchio nano gli lanciò uno sguardo divertito, e dentro di sé rise al lieve cipiglio che gli oscurava il volto.
“Ho costretto Bofur ad acciuffarlo ed a portarlo a provarsi gli abiti per domani. Il nostro Bilbo ha un’avversione particolare per gli abiti eleganti, temo.” spiegò per l’ennesima volta, con un piccolo sorriso sulle labbra.
Il re annuì, trattenendosi dallo sbruffare. Era stato lui stesso a ordinare che gli fossero cucito qualcosa su misura per lui, visto che aveva domandato a Bilbo di essere al suo fianco durante l’incoronazione insieme ai suoi nipoti, a Balin e Dwalin, ma la cosa lo infastidiva lo stesso. E parecchio, anche.
Doveva essere abbastanza evidente, perché l’anziano nano scosse appena la testa “Adesso abbiamo finito, potresti raggiungerlo.”commentò, agitando in modo distratto la mano.
Thorin gli lanciò un’occhiata “Non lo farei, se non fosse necessario, ma devo ancora provare l’abito anch’io.”.
Balin sollevò un sopraciglio a quella bugia così mal mascherata “Se non riesci a sopportare la sua assenza per un paio ore, mi chiedo come farai quando ripartirà per la Contea.” disse piano, fissandolo con i suoi occhi seri.
Il volto del re divenne di pietra a quelle parole, e il suo sguardo si oscurò come raramente aveva mai fatto in passato “Non capisco cosa tu voglia dire, Balin.” ribatté freddamente, cercando di controllare la tempesta di ghiaccio che quella semplice frase gli aveva scatenato dentro.
“Oh, io non credo, ragazzo.” il tono del vecchio nano era terribilmente serio “Sai fin troppo bene cosa voglio dire, semplicemente non vuoi ammetterlo né a te stesso, né a nessun altro. Sai bene che, presto o tardi, Bilbo partirà per non tornare mai più. Forse non sarà domani, né il giorno dopo, né il giorno dopo ancora, ma succederà, prima o poi. Tornerà nella sua Contea, ai suoi libri, alla sua poltrona, ai suoi alberi, e chissà, magari si farà anche una bella famiglia con cui trascorrere il resto dei suoi giorni. Partirà, perchè è quello il suo posto, il luogo a cui appartiene e da cui non può stare lontano. L’unico motivo perché ancora non l’ha fatto, be’, sei tu. è rimasto qui per te. Perché pensi che non sia ancora tornato a Casa Baggins, nonostante la forte nostalgia per la sua terra? Perché pensi che sia rimasto a darci una mano con il governo di Erebor ed ad organizzare l’incoronazione? Perché qui ci sei tu. Se fossi morto durante quella maledetta battaglia, se ne sarebbe andato via subito, senza nemmeno voltarsi indietro. Ma tu sei qui, vivo. E lui è rimasto per starti vicino. Ma se non farai nulla, se continuerai così, se non gli fai capire quanto la sua presenza sia importante per te, lui se ne andrà. Presto o tardi, lo farà.”
Sospirò, e prima di voltarsi e lasciare il re da solo gli lanciò un’ultima occhiata e sussurrò “Non perdere l’unico vero tesoro che valga la pena custodire, Thorin. Non te lo perdoneresti mai.”
 
 
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Bilbo osservava soprapensiero il cielo notturno e tentava di contare le stelle, appoggiato al parapetto dal quale, quasi un mese prima, aveva rischiato di essere buttato giù.
“Non riesci a dormire, mastro scassinatore?” una voce bassa ma dolce lo fece sobbalzare, e lo hobbit si voltò di scatto con un suono che sembrò terribilmente uno squittio.
“Thorin!” esclamò, portandosi una mano al petto “Mi hai fatto prendere un colpo.”.
Il nano dai capelli corvini sorrise divertito alla sua reazione e si fece più vicino, osservandolo con i suoi occhi di cristallo “Non volevo spaventarti.”.
“Tranquillo, non fa nulla.” disse il piccolo scassinatore con un sorriso imbarazzato, passandosi una mano tra i capelli “E poi, mi hai solo preso alla sprovvista, ecco. Stavo . . . . pensando.”.
“Capisco.” mormorò il guerriero, mettendosi al suo fianco e scrutando il cielo scuro alla ricerca di stelle, il cuore stretto in una morsa “Stavi pensando alla Contea?” domandò, lanciandogli uno sguardo penetrante.
Bilbo scosse la testa “No, a dire il vero no. Perché?” domandò, sorpreso.
L’altro si strinse nelle spalle, senza rispondere, e rimase a guardare la pallida luna, regina del cielo, illuminare la volta celeste.
Il mezz’uomo lo scrutò un po’, incuriosito dal comportamento del nano, e poi chiese “Non dovresti essere dentro a riposare? Domani è il tuo giorno.”.
Thorin accennò a un sorriso, stanco, quasi teso “Si, ma sinceramente non riuscirei a dormire nemmeno se volessi.”.
“Cattivi pensieri?” domandò lo scassinatore, facendosi più vicino e guardandolo attentamente in volto.
Il nano esitò “In un certo senso.” lanciò un altro sguardo al viso sereno dello hobbit e sussurrò piano “Io . . . volevo chiederti una cosa.”.
Bilbo inclinò appena la testa, sorpreso dal tono serio e dallo sguardo dell’altro “Che cosa?” domandò gentilmente. Non l’aveva mai visto in quel modo.
Thorin si voltò lentamente verso di lui e, dopo aver chiuso per un attimo gli occhi ed averli nuovamente riaperti, come a voler raccogliere tutto il suo coraggio, mormorò “Resta.”.
Lo hobbit sgranò gli occhi, preso alla sprovvista e convinto di aver capito male.
“Come?”
“Resta.” ripeté il re, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui “Non fino all’incoronazione o fino al mese dopo, ma per sempre. Rimani con me a Erebor. Resta qui, al mio fianco. Sarai trattato come un principe ed avrai i migliori alloggi, le più straordinarie ricchezze, i più grandi onori e poteri. So che ti sto chiedendo molto, so che questa non è la tua Contea, che non è casa tua, ma io . . .” esitò, il cuore che gli batteva come se fosse impazzito, incapace di vedere altro che gli occhi spalancati e stupiti della creatura di fronte a lui “. . . ma io non voglio che tu parta. Non voglio che tu vada via. Non posso sperare di sopravvivere, senza di te. Non posso farlo. Io ho bisogno di te, Bilbo Baggins.”.
Bilbo trattenne il fiato, incapace di credere a quello che stava succedendo.
Di fronte a lui c’era il nano di cui era follemente innamorato e gli stava chiedendo di non lasciarlo, di dire addio al suo mondo per lui, di restare al suo fianco, e lo guardava con quegli occhi così dannatamente pieni di troppo, come quel maledetto giorno in cui aveva rischiato di perderlo per sempre.
Dentro di sé sentì di nuovo quella splendida sensazione che provava solo al suo fianco, ma molto più forte, così tanto che pensava di essere sul punto di esplodere, e capì, esattamente come quando si era reso conto la prima volta di essersi innamorato di quel re dagli occhi di ghiaccio e dall’anima di fuoco, di essere finito.
Era troppo, troppo, per un semplice hobbit come lui.
Un sincero e spontaneo sorriso si formò sulle sue labbra.
Dopotutto, quello che provava non era mai stato semplice, né sarebbe mai stato troppo.
“D’accordo.” sussurrò, mentre allungava la mano per prendere quella del nano tra le sue.
“Resterò. Per sempre, se è questo che vuoi. Ma non voglio niente di tutto quello che mi hai offerto, né ricchezza, né potere, né onori. Voglio . . .” esitò e si mordicchiò il labbro inferiore, ma la luce di gioia che illuminava il volto del suo re lo spinse a continuare, con il cuore in gola “ . . . voglio solo te.”.
Thorin sorrise alla luce pallida della luna, e prima che le loro labbra si unissero in un dolce e tanto desiderato bacio, mormorò con il tono più sincero che avesse mai usato “Mi hai già.”.
 
 
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“Potrei sapere, di grazia, dove mi stai portando?”
Bilbo si voltò con un sorriso verso Thorin, che cercava di mascherare la sua curiosità con un tono di voce lievemente seccato e un sopraciglio alzato, senza realmente riuscirci.
I suoi occhi si soffermarono sulla corona che il nuovo Re Sotto la Montagna portava poggiata sui lunghi capelli corvini, e dentro di sé non poté fare a meno di stupirsi nuovamente di come fosse riuscito a trascinarlo via durante la festa per la sua incoronazione con tanta facilità, sotto lo sguardo divertito del buon Gandalf e della Compagnia.
“Lo vedrai quando saremo lì.” rispose enigmaticamente, aumentando appena la stretta attorno alla sua mano, per poi girarsi e continuare a camminare.
Il sovrano alzò lo sguardo al cielo, ma seguì lo scassinatore attraverso stretti ed interminabili corridoi senza lamentarsi, fino a quando i due non sbucarono in una specie di spiazzo naturale sul lato della montagna, illuminato solo dalla luce delle stelle.
Thorin aggrottò le sopraciglia, mentre si guardava attorno. Conosceva quel luogo – conosceva ogni singola pietra di Erebor, dopotutto- ma non riusciva a comprendere come mai lo hobbit l’avesse portato lì.
Il mezz’uomo si voltò verso di lui, guardandolo con gli occhi che brillavano quasi più delle stelle “Ho scoperto questo posto con Bofur, pochi gironi fa. è una delle poche zone coltivabili delle Montagna, ed è l’unica all’aria aperta.” spiegò semplicemente, continuando a stringere la mano del nano.
Egli gli restituì lo sguardo, ancora abbastanza confuso.
“E come mai mi hai portato qui?” domandò, non riuscendo a comprendere.
Il piccolo hobbit sorrise e, senza rispondere, scivolò via dalla stretta di Thorin e si infilò una mano in tasca, dalla quale estrasse qualcosa che il nano impiegò pochi secondi a riconoscere.
Bilbo si rigirò la piccola ghianda tra le dita “Ti avevo detto che l’avrei piantato a casa mia, quando sarei tornato.” sussurrò, senza riuscire a staccare gli occhi di dosso dal re “In quel momento, lo ammetto, pensavo a casa Baggins e alla Contea. Ma tutto quello che abbiamo passato mi ha fatto capire che non è veramente quella la mia casa. Si, ci sono nato e cresciuto, ma non è il mio posto, il luogo a cui appartengo. Il mio posto è al tuo fianco, Thorin. Ovunque tu sia, ecco, quella è casa, per me. Tu sei la mia casa, ed è a te che appartengo.”.
Si inginocchiò per terra vicino a un piccolo buco e ci depose dentro la ghianda sotto gli occhi attenti e stupefatti del sovrano, per poi ricoprirla di terra.
Sollevò nuovamente lo sguardo sul suo compagno e continuò piano “Un giorno questa ghianda crescerà, diventerà un albero e ogni volta che la guarderò ricorderò. Ricorderò questa nostra avventura, e tutto quello che ha portato con sé. Il bello, il brutto, e la fortuna che ho avuto a trovare la mia vera casa. La fortuna che ho avuto a trovare te.” abbassò gli occhi, improvvisamente incapace di continuare, ma Thorin sorrise e, dopo essersi avvicinato lentamente, si inginocchiò di fronte a lui e gli prese le mani tra le sue.
Bilbo sollevò il volto verso di lui, e il suo re gli sorrise di nuovo, gli occhi finalmente liberi da qualsiasi turbamento, paura o dolore, e poggiò la fronte contro la sua, silenziosamente e con dolcezza.
Non c’era bisogno di parole, non più.
Non adesso che entrambi erano finalmente a casa.
 
 
 
La tana dell’autrice
 
Due parole: UN PARTO.
Sul serio, ci ho messo un secolo a scrivere questa fic. Ogni scena, ogni frase, ogni singola parola è stata vista e rivista per settimane e settimane, a scuola durante le interrogazioni, al computer nei primi pomeriggi di libertà, a letto prima di scivolare nel mondo dei sogni . . . è stato un lavoro eterno e lunghissimo, e portarlo a termine non è stato molto facile per me. Sono abituata all’angst, purtroppo. Ma non potevo non scriverla! Questi due si meritano un lieto fine dopotutto -lieto fine che gli è stato crudelmente negato... arghhh!-.
Comunque, sono un po’ preoccupata per la caratterizzazione di Thorin. è un personaggio molto complesso, e ho sempre paura quando tento di scrivere di lui, mi sembra spaventosamente OOC quando è descritto da me. Per Bilbo, invece è tutta un’altra cosa! *-* Quando scrivo di lui posso stare moooolto più tranquilla, perché siamo così dannatamente simili – e non scherzo, all’inizio ne ero quasi spaventata! Una somiglianza, soprattutto a livello caratteriale, incredibilmente inquietante- che so quasi istantaneamente quello che farebbe o no. Bhe, più o meno.
Cos’altro dire? Spero solo che questa versione alternativa vi piaccia, perché davvero il finale che la storia ha destinato a questi due meravigliosi personaggi è troppo crudele ... tra loro e Sherlock e John della BBC non so chi, negli ultimi sei mesi, mi abbia fatto soffrire di più!
 
Un abbraccio
 
T.r.
  
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