Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: mamma Kellina    28/06/2015    9 recensioni
Primi anni del Novecento. Il mondo sta cambiando, ma le contraddizioni nate dal vecchio che stenta a morire e dal nuovo che fatica a nascere sono sempre più evidenti. Angela e Fabrizio sono figli del loro tempo dal quale sono pesantemente condizionati: timida e repressa da una rigida educazione lei, libero e insofferente alle costrizioni lui. Sono incompatibili e la loro unione sembra destinata a fallire. Eppure, nonostante le influenze del mondo esterno e i loro stessi errori, alla fine le loro anime si riconosceranno e sarà vero amore. Però non sarà facile perché:
… chi si conosce tanto a fondo da sapere chi è in realtà? Siamo tutti così. Però, anche se sembriamo solo alberi sbattuti dal vento, nel profondo le nostre radici stanno cercando a tentoni la strada nella terra per diventare più robuste e permetterci di resistere alle intemperie della vita …
Sullo sfondo di Napoli, Acireale, Firenze, Parigi, attraverso tanti personaggi, tutti di fantasia, ma che si muovono in un contesto storico ricostruito con grande cura sia per quanto riguarda avvenimenti realmente accaduti che personalità veramente esistite, un viaggio indietro nel tempo ricco di passione, di tradimenti, di gioia e di dolore, che spero possa essere appassionante ed avvincente.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Di certo Fabrizio non era più il giovanotto che aveva incontrato e amato sei anni prima eppure quello che era diventato adesso, se possibile, le piaceva ancora di più. Senza essere vista, Angela lo stava osservando mentre parlava con il portiere dell’albergo di Firenze dove era scesa la sera prima. Dall’ultima volta che lo aveva incontrato a Napoli era un po’ dimagrito e si era accorciato i capelli e la barba. Aveva un aspetto più autorevole e maturo, ma il suo volto dai lineamenti regolari e gli occhi dallo sguardo magnetico erano più che mai meravigliosi.
La donna sospirò al pensiero della cosa spiacevole che l’attendeva quel giorno dalla quale però non aveva potuto esimersi: erano stati convocati dal Tribunale Ecclesiastico per una udienza “di concordanza” nel corso della quale sarebbero stato stabilito il capo di nullità per cui volevano impugnare le nozze. Era il 2 ottobre del 1913, quasi un anno esatto da quando si erano incontrati in Sicilia e aveva firmato la richiesta. Non si poteva certo dire che i tempi della Sacra Rota fossero rapidi e l’eventuale annullamento era ancora lontano da venire eppure già la cosa le faceva tristezza. Anche se il loro matrimonio fino ad allora era stato solo come un bellissimo scrigno desolatamente vuoto,  in lei si era riaccesa la speranza di poterlo ancora riempire d’amore, forse perché ormai sapeva che Fabrizio era l’unico uomo con cui desiderava condividere la propria esistenza.
Quando gli fu alle spalle lo chiamò piano, quasi con la paura che la voce tradisse la trepidazione provata. Lui si girò e l’espressione sul suo volto fu quella di una persona in preda a una forte emozione che presto però si tramutò in manifesto apprezzamento. Ciò la rese contenta, tanto da farla sorridere mentre gli porgeva la mano. Lui gliela baciò e la trattenne tra le sue.
Non si era sbagliata, davvero in quel momento Fabrizio la stava guardando incantato e non riusciva a capacitarsi che quella creatura divina fosse proprio Angela. Sembrava più alta e indossava un tailleur a rendigote di un azzurro polvere che le metteva in risalto l’incarnato bruno. La gonna era stretta e le lasciava scoperte le caviglie e i piedini calzati in eleganti scarpe di vernice lucida, nere così come l’ampia fascia che le cingeva i fianchi. La toilette era completata da un sobrio cappello dalla larga falda, anch’esso azzurro polvere, ornato di una piuma nera che scendeva come una virgola a sottolinearle il visino dolce e gli occhi grandi.
Riprese fiato e le disse:
- Mamma mia, Angela,  come sei diventata elegante!
Lei rise e si schermì con un gesto del capo. In realtà era felice di quei complimenti che percepiva sinceri.
- Grazie, ma non è merito mio. Sono i consigli della mia amica Jeanne che è una vera maestra in materia di moda. Comunque anche l’aria buona della Svizzera ha fatto il suo.
- Già, a proposito, me lo dici cosa ci fai a Zurigo? Quasi non ci credevo quando mi hai scritto da lì. E ci sei rimasta quattro mesi!
- Sì, sono andata a Davos per riposare un po’ prima di decidere dove stabilirmi e lì ho conosciuto Jacques de Savigny che mi ha convinto a seguirlo a Zurigo.
- Si può sapere chi è? Non me l’hai mai spiegato bene  – le chiese, lo sguardo basso per non mostrarle il proprio turbamento.
Lei lo osservò con attenzione. Benché Fabrizio cercasse di dissimulare l’emozione, aveva notato una ruga che gli si era disegnata sulla fronte e un muscolo che gli guizzava nella mascella. Possibile che fosse gelosia?
- È il padre di Paul -  si affrettò a spiegargli - Te lo ricordi Paul?
Lui annuì, ma non era ancora contento e continuò lo strano interrogatorio – Stai con lui ora?
Angela scoppiò a ridere.
- Sei impazzito? Ha ben sessantotto anni! No – sorrise  come ad un ricordo piacevole, poi gli spiegò – è solo il maestro e io sono la sua allieva.
- Davvero? E cosa t’insegna, sentiamo.
La voce era incredula e Angela pensò di non essersi sbagliata: era proprio una punta di gelosia.
- A vivere, tanto per cominciare, e a guardare il mondo con occhi diversi. Gli sono molto grata per tutto quanto mi ha dato. È grazie a lui se sto ritrovando un po’ di equilibrio, ne avevo assai bisogno ultimamente.
Era contenta del suo interessamento, però le pareva strano visto quello che dovevano fare il giorno stesso. Ritenne giusto riportare la conversazione sull’argomento.
- Dimmi, a che ora dobbiamo essere al Tribunale Ecclesiastico?
- Alle diciassette.
- Alle diciassette!? Allora mi dici perché mi hai dato appuntamento alle otto del mattino? – protestò.
- Volevo stare un po’ con te prima, ti dispiace? – le confessò.
- No, figurati, tanto il treno che mi riporterà a Zurigo è prenotato per domani a mezzogiorno. Alberto ha giusto finito di sistemare le cose in Sicilia e passerà di qui domattina per fare il viaggio con me.
- Allora è vero,  vi  trasferirete tutti lì oramai?
- Sì, anche Maria e i bambini, Lucia e Giuseppe. Ci siamo portati persino Rosso e Luna. Comunque, tornando a noi, mi farà piacere visitare un po’ Firenze, ci sono passata sempre di sfuggita e vorrei vederla meglio. Andiamo allora,  fammi da guida.
Lasciato l’albergo, i due giovani si avviarono sottobraccio per le vie del centro, luminose e animate nel soleggiato e tiepido mattino autunnale. Fabrizio però si sentiva ancora un piccolo nodo alla gola che non andava né su né giù. Aveva bisogno di sapere.
- Quindi adesso non hai nessuno, se ho ben capito?
- Infatti.
- E il principe Vasilchikiov? Hai lasciato anche lui spezzandogli il cuore come hai fatto con Vittorio Orsini?
Angela si fermò un attimo, fingendo di interessarsi a una vetrina, ma giusto per trovare la calma per rispondergli.
- Spezzare il cuore? Esageravo quando ho usato queste parole. I cuori non si spezzano per amore. Ci può anche sembrare che non riusciremo mai a dimenticare coloro i quali ci hanno fatto soffrire, ma il tempo cancella tutto, niente è eterno, tanto meno l’amore.
Stette qualche minuto zitta, aspettando un commento, ma anche l’uomo se ne restò in silenzio  pensando che tali parole potessero essere state rivolte intenzionalmente a lui.
Intanto la ragazza proseguì:
- Vittorio si è fidanzato con la sua Annamaria e Michail se n’è ripartito per San Pietroburgo in attesa di incontrare qualche nuova donna che lo intrighi. A dire il vero ha insistito fino all’ultimo perché lo seguissi, ma non me la sono sentita.
- Perché? Non lo amavi?
- Guarda che non siamo mai stati amanti – si affrettò a precisare. – Mi attirava moltissimo, questo non posso negarlo e siamo stati, diciamo così, abbastanza in confidenza. Però tanti anni di indottrinamento socialista da parte del futuro onorevole Fabrizio Serra mi hanno impedito di innamorarmi di un uomo che ancora considera un affronto l’abolizione  della servitù della gleba fatta dallo zar nel 1861.
Aveva scherzato e lui, un po’ rassicurato, proseguì sullo stesso tono:
- Ah, così sarebbe per colpa mia se non sei andata a fare la principessa russa?
- Sì e poi non mi piace San Pietroburgo. Lo sai, io amo il mare.
- Ma che dici? Se è sul delta della Neva ed è chiamata la Venezia del Baltico!
- Il Baltico? Tu me lo chiami mare quello? Vuoi metterlo con il mio Mediterraneo? E poi lì ci fa troppo freddo per i miei gusti.
- Già, perché invece a Zurigo fa caldo.
- Uffa, ma quanto sei noioso! Sei peggio del professor Della Rocca.
- E chi è?
Lei non gli rispose. Erano arrivati in Piazza della Signoria ed era corsa a guardare da vicino la fontana del Nettuno. Quasi senza aspettare che la seguisse, andò anche al  David di Michelangelo e si mise a rimirarlo con il naso in su e la bocca aperta per lo stupore, come una bambina.
- Mio Dio, questa piazza è incantevole! - gli disse non appena Fabrizio le fu vicino. Gli si mise sotto braccio e si lasciò condurre a guardare tutte quelle meraviglie.
- Ti prego, portami a vedere gli Uffizi e Palazzo Vecchio, è tanto che desidero farlo – lo implorò poco dopo. 
Fabrizio le disse che dovevano fare prima una commissione a Ponte Vecchio e lei, desiderosa di vedere anche quell’altra bellezza della città, cedette di buon grado.
S’incamminarono di nuovo.
- Mi dici allora chi è questo professor Della Rocca?
- È lo psichiatra che mi ha esaminato a Napoli, quello che, come ti dissi per lettera,  per mia fortuna ha deciso che non sono scema.
Gli piaceva molto la sua vivacità e Fabrizio sorrise divertito.
- Infatti lo sapevo, ma non mi hai raccontato come andò. Era noioso?
- Faceva un mucchio di domande. La prima cosa che ho pensato quando l’ho visto è stata quanto fossero cattivi i miei zii – gli confidò.
- Perché? Spiegati meglio.
- Era un uomo che incuteva molta soggezione, con i capelli candidi, il pizzetto dello stesso colore e gli occhi come due lame d’acciaio che parevano volessero lacerarti l’anima. Era proprio il tipo  davanti al quale la timida Angela che ero stata una volta e che loro conoscevano, sarebbe morta di paura, facendosi prendere facilmente per deficiente.
- Però quella piccola indifesa non c’era più, non è vero? Ci avevano pensato i principi russi e le dame alla moda a svezzarla – suggerì tra l’ironico e l’infastidito.   
Angela non raccolse quella punta di perfidia.
- Certo. Seguii per filo e per segno i consigli di Jeanne. Mi vestii tutta elegante e raffinata -  mi avessi vista, sembravo una nave con il Gran Pavese! -  e mi misi a imitare i modi delle nobildonne amiche di Michail. Così … – cominciò a parodiare gli atteggiamenti affettati di un’aristocratica.   
Era talmente buffa che Fabrizio scoppiò in una sonora risata.
- E così l’esimio professore c’è cascato come un babbeo - commentò.
- Macché, quel noioso ha continuato a farmi domande. Non riusciva a spiegarsi come una persona che gli era stata descritta come una mezza selvaggia si fosse trasformata in una raffinata signora dell’alta società.
- Tu che gli hai detto?
- Niente, mi sono messa a descrivergli le trascinanti bellezze del mare di Trinacria e l’ho fatto talmente bene che non mi meraviglierei se la scorsa estate il professore l’avesse trascorsa tutta ad arrampicarsi mezzo nudo sugli scogli. Guarda questi dolci… chissà come devono essere buoni …
Si era fermata come una bambina golosa davanti alla vetrina di una pasticceria.  Fabrizio, sempre più rapito dalla sua spontaneità, la invitò a entrare per sedersi a un tavolino a consumarne uno. Mentre mangiava con gusto, lei proseguì il racconto.
- Però il colpo di grazia gliel’ho dato quando mi ha chiesto se sapevo che Giuseppe stava vendendo tutti i miei beni.
- Lo sapevi?
- Certo. Innanzi tutto, come già ti dissi, Giuseppe mi ha sempre tenuto informata di tutti gli atti compiuti a mio nome e poi l’ordine di vendere le miniere di zolfo ereditate dalla zia glielo avevo dato io stessa già tanto tempo prima. Hai mai sentito parlare del disastro di Trabonella?
- Mi pare. Non mi ricordo bene, però.
- Accadde nel 1911. Ci fu uno scoppio di grisou in miniera e un incendio che divampò per ben dieci giorni. Morirono almeno quaranta operai e ci furono anche molti feriti. Ne fui talmente turbata che volli essere accompagnata da Giuseppe a visitare i minatori che lavoravano per me nelle miniere di mia proprietà in provincia di Caltanisetta. Quello che vidi non lo dimenticherò mai più: sembrava una bolgia infernale dove al posto dei dannati c’erano i minatori. Non mi fecero neanche avvicinare ai pozzi perché quei poverini, per le elevate temperature, erano costretti a lavorare nudi. Comunque anche da lontano mi resi conto che in quel lavoro da bestie non c’era nessuna sicurezza e il biossido di zolfo che faceva lacrimare gli occhi e tossire anche me benché fossi così distante, era ciò che respiravano tutto il giorno quegli infelici. Mentre stavo andando via, il direttore venne a rendere omaggio con un mazzo di fiori alla “padrona” portando con sé due o tre bambini di circa sette o otto anni. Seppi che erano i “carusi”, quelli che portano il materiale estratto fino alla superficie attraverso stretti cunicoli dove solo i loro corpicini riescono a passare. Ti giuro, in quel momento mi vergognai come una ladra e non appena fummo andati via, ordinai a Giuseppe di vendere quell’obbrobrio.
- È molto encomiabile da parte tua, ma non hai certo risolto il problema. Qualcuno avrà comprato le tue miniere e quei poveretti staranno continuando a fare la stessa vita, magari con un padrone che li sfrutta ancora di più – osservò Fabrizio prendendola di nuovo sottobraccio mentre lasciavano il locale.
- Anche il  professore me lo disse, ma ti rispondo come feci con lui: non spetta a me cambiare il mondo, vorrei farlo, ma non posso. Per questo ci siete voi, i politici, gli intellettuali, quelli che contano. Io posso soltanto rifiutarmi di trarre profitto dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e cercare di usare il mio denaro per dare un po’ di benessere alla gente.
- Beneficenza?
- Oh no! Ho superato da un pezzo il concetto della carità pelosa per il quale è sufficiente portare ai poveri una zuppa calda e una coperta per sentirsi a posto con la coscienza. Bisogna creare le condizioni perché la gente possa procurarsi da sola di che vivere dignitosamente.
- Accidenti, qui stai diventando più brava di me! Perché non ci vieni tu a fare il comizio al posto mio domani?       
La strinse per la vita, ammirato dalla sensibilità d’animo della ragazza, di cui peraltro non aveva mai dubitato sin da quando l’aveva conosciuta.
- Dài, non prendermi in giro – protestò lei – te l’ho detto, non tocca a me cambiare il mondo. Però posso decidere cosa fare dei miei soldi ed è per questo che in seguito ho pensato di vendere anche tutto il resto, compreso le terre, ed investire in Svizzera. Ho tenuto solo la casa a Napoli e la villa della zia in Sicilia. Quella non potevo proprio venderla, la poverina ci teneva troppo.
- Davvero? E in cosa hai investito?
- Te lo ricordi il ristorante sul mare ad Acireale? È  da lì che mi è partita l’idea. Ho comprato un albergo a Davos che, come ben sai, è anche una stazione sciistica di prim’ordine. Ne farò un vero paradiso per chi vuole venirsi a godere la pace e l’aria salubre di quel posto incantato. Così almeno i soldi li guadagnerò con chi gode e non con chi soffre. Che ne pensi?
- L’idea è magnifica, ma tu non hai alcuna esperienza in materia.
- Non ti preoccupare, ho tutto l’appoggio necessario. Giuseppe ed Alberto si occuperanno della parte finanziaria, io della reception, Maria e Lucia della cucina,  il dottor Huber indirizzerà da me i clienti, Jacques de Savigny, che ha amicizie influenti a Zurigo, ci farà avere i vari permessi e ci farà una buona pubblicità. A dirigere il tutto verrà Jeanne che ha passato la vita intera negli alberghi. Naturalmente dovremo assumere parecchio personale, ma questo non è un problema.
- Non è che hai un posticino anche per me? Potrei fare anche il facchino e portare su i bagagli se a te sta bene.
Angela lo guardò con un sorriso impertinente.
- Non è possibile, hai altri impegni tu: devi salvare il mondo!
Intanto erano arrivati al Ponte Vecchio, laddove le botteghe degli orefici si affiancavano l’una all’altra. Sotto la soglia di una di esse c’era un simpatico giovanotto baffuto dagli occhi neri e vivaci che apostrofò subito Fabrizio con il suo pesante accento toscano:
- O’ bischero, finalmente ti si vede!
- Finalmente? Sono venti giorni che mi stai facendo venire qui tutti i giorni e quella cosa non è ancora pronta. Guarda che stamattina non voglio sentire ragioni, mia moglie è già qui.
- E indo’ la tenevi inguattata ‘sta bella mogliettina? – commentò l’altro con un inchino e un baciamano – Ma che, pe’ haso l’hai rubata ad un sultano con questi occhioni di foho e la pelle bruna che si ritrova? Sembra un’odalisca ‘sta figliola!
Angela arrossì, un poco perché l’ammirazione maschile la metteva sempre in imbarazzo e un po’ perché Fabrizio l’aveva presentata come sua moglie. Per quale motivo l’aveva fatto?
Lui intanto stava entrando nel negozio tenendola sottobraccio. Le fece un cenno d’intesa.
- Fa’ meno chiacchiere e dammi quella cosa – lo invitò.
- A te? La do a lei, piuttosto. Ecco, signora, codesto è un omaggio del maritino pe’l su compleanno.
Il viso della ragazza diventò di fuoco mentre gli prendeva  un astuccio dalle mani.
- Ti sei, ti sei … – disse rivolta a Fabrizio. Non riusciva a proseguire tanto era emozionata.
- … ricordato – finì lui – Certo, questa volta l’ho fatto e spero tu possa perdonarmi tutte le altre in cui invece ho mancato. Buon compleanno, cara, e buon onomastico!
Dall’astuccio blu foderato di velluto era venuta fuori una catena d’oro con un medaglione finemente lavorato a piccole foglie d’oro smaltate di verde. Al centro ce n’era una più grossa decorata con una serie di piccoli brillanti dalla luce molto pura.
- È stupendo! - esclamò la ragazza.
- Modestia a parte, signora mia, noi qui le hose le facemo ammodino.
- Chissà quanto ti sarà costato – protestò ancora mentre il marito glielo allacciava al collo.
- Non ti preoccupare di questo.
- E poi il su’ amico Manfreduzzo, che poi sarei io, si è preso solo un anticipo. Il resto lo pagherà il signor Fabio Sarrerzi in comode rate. Un è così, onorevole?
- Certo, non mancherà di farlo. A proposito dell’onorevole, quando dobbiamo passare a vedere la sala per il comizio di domani?
- E quando ci volevi ire, o‘ grullo? Oggi alle tre.
- Ma io non posso oggi, c’è mia moglie con me.
- Porta anche la signora. Ah, ho capito! – aggiunse l’amico.           
Si era ricordato della presenza di Elena e credeva che lui non volesse far incontrare la moglie con la sua ex amante.
- Non ti preoccupare, io ti aspetterò in albergo – tagliò corto Angela, intuendo la cosa.
- Davvero non ti dispiacerebbe? Sai, è importante, le elezioni ci saranno il 26 di questo mese e  dobbiamo darci da fare.
- No, figurati, fa’ quello che devi. Solo sarai libero per l’ora in cui abbiamo quell’impegno?
- Ah, me ne ero proprio dimenticato! – sospirò lui – Non preoccuparti, ce la farò. Però adesso andiamo, se vuoi visitare gli Uffizi dobbiamo sbrigarci.
Salutarono l’orefice e uscirono di nuovo sottobraccio.
- Cosa c’è dall’altra parte dell’Arno? – gli chiese la donna.
- Palazzo Pitti e i giardini di Boboli.
- Ascolta, non ho voglia di stare in un museo, non oggi perlomeno. Mi farebbe più piacere passeggiare nei giardini, ti andrebbe?
- È un’ottima idea. Sono bellissimi e oggi è giovedì, ci sarà anche poca gente.
Si avviarono all’interno del palazzo Pitti. Attraverso lo scalone, entrarono nei famosi giardini che Angela trovò incantevoli.
Passeggiando lungo il maestoso viale tra i pini ed i cipressi, godevano intensamente la carezza del sole, il profumo delle piante e il cinguettio degli uccelli. Nessuno dei due parlava. Tutta la vivacità mostrata poco prima da Angela sembrava essersi mutata in una sorta di malinconia, come se avesse voluto dirgli qualcosa che non osava dire. Per rompere il silenzio, lui le raccontò del suo lavoro d’insegnante e dei suoi ragazzi, di quanto gli fossero cari. Le parlò pure del prossimo impegno elettorale, delle speranze che vi riponeva. Arrivarono così al laghetto artificiale e si fermarono incantati a guardare l’isolotto ricco di piante e la Fontana di Oceano.
- Ti piace questo posto?     - le chiese.    .
- Sì, molto – gli rispose ma senza molto entusiasmo.
Fabrizio non riusciva a  capire il perché della sua improvvisa mestizia.   
 - Eppure c’è qualcosa che ti turba, lo sento.
Angela sospirò poi decise di aprirgli l’animo.  
 - Mi sto chiedendo perché hai voluto farmi un regalo così importante. So che non navighi in buone acque finanziariamente parlando e non vorrei avessi fatto dei  debiti per me.
Si sentì sollevato. Una luce divertita gli fece brillare il blu degli occhi.
- Non hai di che preoccuparti, te lo ripeto, da quando abbiamo venduto la casa di Sant’Agata non sto messo tanto male a soldi. Poi c’è Fabio Sarrerzi che è un vero amico e che pagherà volentieri.
- Perché dovrebbe farlo?  E per quale motivo dovevi farmi un regalo? Per dirmi addio?
- No, per carità! È  per il tuo compleanno e il tuo onomastico e non ti avevo mai regalato nulla prima d’ora.
- Non è vero questo.
- Già, ti avevo regalato una scatolina di legno e un cammeuccio da quattro soldi che hai fatto bene a sbattermi in faccia quando mi hai lasciato la dichiarazione firmata.
Angela si voltò a guardarlo stupita. Scosse la testa e, con un’aria molto addolorata, gli spiegò:
- Tu hai frainteso il mio gesto. Io non volevo rinfacciarti il poco valore dei tuoi regali, volevo solo ricordarti che in fondo ci eravamo voluti bene e quegli oggetti me lo avrebbero sempre richiamato alla memoria.
L’uomo restò molto colpito da quell’interpretazione a cui neanche per un momento aveva pensato. Un’espressione triste gli passò sul volto, soprattutto per le cose che lei stava continuando a dirgli.
- Mi dispiace, si vede che non hai capito proprio nulla di me se hai potuto pensare questo. Io non ho bisogno di regali costosi, anzi, non ho affatto bisogno di regali.
Allora Fabrizio l’afferrò per le spalle e la costrinse a guardarlo
- Hai ragione. Ci ero rimasto così male e invece avrei dovuto capirlo. L’ho sempre saputo che tu sei diversa da tutte le altre donne e sai dare il vero significato alle cose. Sono contento, sai, perché allora questo mio dono è davvero adatto a te dato che ha soprattutto un valore sentimentale. Guarda – le disse alzando il medaglione e facendoglielo osservare - La vedi la foglia centrale? Cosa disegnano i brillantini?
- Una effe. Sì, è proprio una effe. Cos’è, la tua iniziale?
- No, la effe sta per Ferdinando. In origine la foglia centrale era un fermacravatta di mio padre. Volevo darlo a te perché so quanto gli hai voluto bene, ma così sarebbe stato solo un ricordo da tenere in un cassetto, invece volevo che tu lo indossassi. L’ho portato a Manfredi e gli ho chiesto di farne venir fuori qualcosa di adatto a una donna elegante come te e lui ha creato questo medaglione.
Commossa, Angela gli si strinse contro.
- Perdonami – gli disse -  sono stata io a fraintenderti. Amavo davvero tuo padre, lo sai, e terrò questo oggetto molto caro così come ho cari gli altri doni che mi hai fatto. Credimi, per me valgono una vera fortuna.
Si scambiarono uno sguardo dolcissimo, sempre più consapevoli del bene profondo che si volevano e dei legami che li univano, anche se non trovavano ancora il coraggio di parlarsene apertamente.






NdA
Forse vi sarete meravigliate che per far incontrare di nuovo Angela e Fabrizio abbia scelto proprio l’occasione dell’udienza al Tribunale ecclesiastico per lo scioglimento delle nozze. L’ho fatto perché la loro storia è cominciata proprio con un matrimonio, fatto più che altro per liberarsi dai debiti da parte di lui e da una monacazione abbastanza forzata da parte di lei, che  ormai è una cosa inutile e priva di significato che nulla aggiunge o toglie ai veri sentimenti dei miei protagonisti.   Forse vi sarete chieste pure perché, pur essendo così innamorati, nessuno dei due trova il coraggio di lottare per il proprio amore. Mi è piaciuto pensare che quando ci si ama profondamente si è disposti pure a sacrificarsi per la felicità dell’altro, provando quasi la sensazione che imporre i propri sentimenti sia quasi una forzatura. Intanto però Fabrizio ed Angela, pur non essendosi ancora detti a parole chiare quello che provano, se lo stanno dicendo con gli sguardi, con i piccoli gesti, con il rivelarsi cose che non avevano mai avuto il coraggio di dirsi. Provano soltanto  il piacere di stare vicini e di sentirsi una cosa sola, liberandosi da ogni condizionamento del passato.  La consapevolezza del loro reciproco amore non tarderà ad arrivare, ve lo prometto,  e sarà una passione irrefrenabile che supererà tutte le paure e i dubbi e li vedrà finalmente uniti.
Posto due belle immagini d’epoca di Ponte Vecchio e dei Giardini di Boboli e chiedo umilmente scusa alle eventuali lettrici fiorentine per essermi azzardata addirittura a far parlare toscano l’amico Manfredi. Spero di aver reso l’idea senza aver commesso asinate.
A domenica prossima per il penultimo appuntamento e grazie per le opinioni che vorrete darmi su questo capitolo o sulla storia in generale.





   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: mamma Kellina