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Autore: Faith Grace    03/07/2015    2 recensioni
{Violenza, possibile shonen ai}
In una città dove la speranza è la prima a morire, tutto è marcio e la vita ti ha voltato le spalle; nel degrado della città-ghetto della periferia a ridosso delle grandi metropoli, dove la malavita sovrasta sulla giustizia, dove tutti sono abbandonati al proprio destino, l'unica cosa che puoi fare è sopravvivere per inerzia, ma dai bassifondi si eleva un inatteso grido di utopica aspettativa.
Hai il coraggio di vivere senza preoccupazioni?
Hai il coraggio di vivere credendo ancora in qualcosa?
Hai il coraggio di andare sempre avanti e superare tutti gli ostacoli?
Hai il coraggio di chiudere gli occhi e sperare in una nuova realtà?
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Cloud, Riku, Roxas
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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crossroads2
Crossroads
Il Bivio



-A scattered dream that's like a far-off memory.
A far-off memory that's like a scattered dream.
I want to line the pieces up, yours and mine-





2. Étrange(r)


Entrambi seguivano la propria strada senza sapere che avrebbero incontrato l'un l'altro.

Ma il destino ha voluto che alla stessa ora, quello stesso giorno, si ritrovassero a condividere uno spazio di pochi metri. Una malvagia provvidenza aveva fatto in modo che ciascuno simultaneamente si votasse verso l'altro, incrociando gli sguardi. In altre circostanze forse i due si sarebbero ignorati, distratti da altri pensieri. Ma quello scambio imprevisto, quell'occhiata reciproca creò un qualcosa.
Si dice che se incontri uno sconosciuto lontano dal sentiero che avete percorso insieme, allora le vostre vite sono destinate ad essere incrociate. È ironico come la vita si diverta a tessere gli intricati intrecci della vita, ma cosa accadrebbe se due estranei lasciassero cadere la parete che li divideva?

“Ti pare che con una gamba in titanio io abbia bisogno di un dottore?”
Quelle parole, accompagnate da un'inquietante risata sarcastica, rimbombavano nel silenzio che si era creato tra quei due sconosciuti che avevano avuto la sfortuna di incontrarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La testa di Axel ancora pulsava violentemente, come se al suo interno due eserciti si facessero guerra a vicenda, e il sangue colava a fiotti lungo la sua tempia escoriata dalla caduta. Il ragazzino davanti a lui invece era ancora intento ad esaminare un punto imprecisato – il rosso non aveva capito se era la sua gamba o il suolo sottostante, fatto sta che aveva in dosso un'espressione indecifrabile, un misto tra lo sconfortato e lo scazzato. C'era un barlume di disincanto nei suoi occhi che lo avevano colpito dal primo giorno che lo aveva visto fermo a quel semaforo al bivio, e solo in quel momento Axel comprese che in quella città di merda non era l'unico a trascinarsi sulle spalle problemi più grandi di lui, né lui né Demyx. Tutti in un certo senso si ritrovavano a scontare la colpa di vivere lì e non altrove.
“Mi... mi dispiace” aveva provato a mormorare in un primo momento ma la sua voce fu sopraffatta dall'assurda preponderanza di quella figura minuta che apparentemente era solo metà della sua stazza.
“Non scusarti” vociò con tono fermo il biondo, scattando in piedi, il suo sguardo blu e freddo era sempre fisso e perforava ogni cosa che sfiorava, tutto tranne il ragazzo dai capelli infuocati davanti a lui. Lui sembrava non volerlo guardare.
Axel non fu in grado di focalizzare la dinamica degli eventi, ma nell'esatto momento in cui stava per constatare il cipiglio nell'espressione del più piccolo, un altro sparo risuonò nell'ambiente circostante e orde di gente avevano preso a riversarsi al di fuori del capannone in cui erano stati anche loro fino a pochi minuti fa. Prima che potesse dire qualcosa, vide il biondo schizzare alla velocità della luce.
Dopo una vertigine iniziale causata dalla forte botta alla testa, il rosso si ritrovò a seguire con non poche difficoltà il ragazzino che si affaticava a correre controcorrente e spintonare tutti quelli che si ritrovava davanti.
“Roxas!”
Axel era convinto che fosse accaduto qualcosa, qualcosa di impercettibile che a lui era sfuggito ma che aveva completamente stravolto l'atteggiamento del biondo nel giro di pochi istanti. Anche la sua camminata ora non era più posata e cadenzata ma sconnessa, sbilanciata, e infatti la corsa non durò che qualche metro prima che Roxas sentì la sua gamba sinistra accartocciarsi sotto il peso del suo corpo.
La voce dello sconosciuto dai capelli rossi gli arrivò confusa alle orecchie quando riaprì gli occhi dopo quella rovinosa caduta, e la prima cosa che fece non appena la vista lo ebbe messo a fuoco fu quello di allontanarlo malamente.
“Ti sei fatto male?” domandò l'altro avvicinandosi nonostante lo spintone appena ricevuto, fece per allungare la mano ed aiutarlo ad alzarsi ma Roxas digrignò i denti e lo respinse ancora una volta.
“Sto bene!”
“Dovrei portarti in ospedale per accertarmene”
“Ti ho detto che sto bene, cazzo! Pensa alla tua testa piuttosto, che mi sembra quella che ne ha più bisogno” Roxas si ritrovò a sbraitare a voce alta senza sapere neanche il perché, nel frattempo si era rimesso a sedere con non poca fatica e passava in rassegna la confusione attorno a loro. La gente stava fuggendo a gran velocità, sicuramente a breve sarebbero arrivati gli sbirri.
Quella risposta così dura fece ribollire il sangue nelle vene del rosso e, proprio a causa del suo temperamento impulsivo, afferrò con poca grazia il mento del giovane e lo guardò negli occhi “Senti moccioso...” esclamò tra i denti, non risparmiandosi però di usare un tono duro “Tu mi hai aiutato e ora il minimo che io possa fare è accertarmi che tu stia bene. Non mi piace essere in debito quindi vedi di collaborare”
Roxas era rimasto inizialmente spiazzato da quell'atteggiamento così rude ma la cosa non lo toccò più del dovuto e infatti il sorrisetto sarcastico ritornò a fare bella mostra sul suo viso, con una mano scostò in malo modo l'altro e gli rivolse un'occhiatina derisoria “Non hai debiti da saldare e piantala di fingere interesse, lo so che non te ne frega niente quindi puoi lasciarmi in pace”
Axel lo guardò e abbozzò anche lui un sorrisetto. Il moccioso aveva ragione, chi glielo faceva fare di perdere tempo dietro a lui.
“In effetti non me ne fotte un cazzo” disse mettendosi di nuovo in piedi e continuò a squadrarlo dall'alto “Questo è quello avrei detto in una qualsiasi circostanza, ma in questo caso so io a chi devo rendere conto, e anche se non ti conosco e non dovrebbe fregarmene perché dopo oggi non è che ci rivedremo ancora, so che la mia coscienza inizierà a sbraitarmi dietro che avrei dovuto aiutarti – e credimi questa coscienza rompe davvero le palle. Quindi vedi di non farmi peggiorare il mal di testa che ho già”
“Non puoi costringermi a venire con te” ridacchiò strafottente il biondo ma il ghigno demoniaco del rosso lo prese di contropiede.
“Sei ostinato, bimbetto, ma non vincerai contro di me”
“Ti ho detto che devi lasciarmi stare. Non voglio l'aiuto di nessuno... men che meno del tuo-”
“Quella gamba non ha una bella angolatura, non penso che potrai andare tanto lontano”
Roxas in quel momento avrebbe voluto sprofondare.
“Merda!”

“Allora con chi hai fatto a botte questa volta?”
“Proprio con nessuno”
“I tuoi lividi mi dicono diversamente, e poi non è la prima volta che vieni qui conciato in questo modo" se la massima aspirazione di Aqua in quel momento era farsi odiare allora ci stava riuscendo benissimo, perché non le bastava infierire con del disinfettante sulle escoriazioni del biondo, ma aveva l'aria di voler aggiungere anche le sue prediche "È stato Seipher?”
“No”
“Hayner?”
Roxas scosse il capo e sbuffò. Alla fine quel tipo - Alex, Axel o come diavolo aveva detto di chiamarsi - lo aveva caricato di peso in macchina e lo aveva trascinato al pronto soccorso, però adesso a rendere le cose peggiori di quanto non fossero si era messa anche la sfiga di essere incappato proprio in Aqua che aveva il turno di notte. E il biondo sapeva che lei non lo avrebbe lasciato andare con tanta facilità.
“Devo pensare a tuo padre?”
"Aqua tu lo conosci, lui a stento mi guarda"
Questa volta fu il turno dell'infermiera a sospirare e massaggiarsi gli occhi "Non so che fare con te, Roxas. Stai difendendo qualcuno? O sei davvero così sbadato come dici di essere e questi lividi te li provochi cadendo? Io proprio non ti capisco"
Roxas però non demorse, sapeva che se voleva scamparla doveva essere deciso, irremovibile, e così aggrottò la fronte "Devi credere a quello che ti ho detto! Sono inciampato e ho fatto un bel volo" ripeté ancora una volta, enfatizzando la scena con gesti teatrali. Se c'era una cosa che aveva imparato a fare bene in tutti quegli anni era mentire e far finta che non c'erano problemi, dopotutto non poteva di certo dirle che prendeva regolarmente parte a tornei illegali di struggle e quella sera si era inspiegabilmente beccato la pallottola destinata a quello sconosciuto, solo per salvargli la pelle. No, non se la sarebbe mai più scollata di dosso.
Aqua lo scrutò accigliata, in cerca di qualche cipiglio o tentennamento da parte dell'altro ma non trovò niente, e alla fine poggiò con tutto fuorché delicatezza una mano suo ginocchio sinistro, come a voler testare la sua tenacia.
"E come la mettiamo con quel tuo amico?"
"Non è un mio amico"
"Quello che è, siete arrivati insieme"

Axel starnutì nell'esatto momento in cui aveva messo piede fuori dalla stanza in cui il medico l'aveva controllato. Il responso era stato semplice: un leggero trauma cranico curabile in pochi giorni di riposo, e a completare il quadro la ferita sulla fronte gli era stata bendata in stile soldato appena rientrato dalla guerra - a nulla erano valse le rassicurazioni del giovane che una semplice garza adesiva andava più che bene, dopotutto non stava morendo, e invece il dottore, un vecchietto tutti sorrisi, gli aveva dato una pacca sulla spalla e aveva parlato con tono solenne "Ragazzo mio, durante la guerra del Vietnam queste attenzioni le avresti sognate". E cosi, a causa di un vecchio militare nostalgico era stato conciato come un vero idiota.
Sospirò tra sé e sé mentre si incamminava, con le mani nelle tasche, verso la sala d'aspetto per attendere il biondo che finisse, si voleva accertare che fosse tutto okay prima di tornare a casa. Senza farci neanche tanto caso però la sua attenzione fu colta dalla voce scocciata del sopracitato e si trovò cosi davanti la stanza semichiusa dove intravide una giovane infermiera che stava esaminando la sua gamba e non poté fare a meno di ascoltare, vinto dalla curiosità.
"Ahhh ma cos'è, il terzo grado? Non siamo in commissariato per tua informazione" sbottò il ragazzino mentre con gesti svelti si alzava il pantalone e si sfilava poi la protesi, lasciando il moncone coperto quella che sembrava una calza di stoffa. Axel quasi si ritrovò a rabbrividire davanti la scena, ma notò che Roxas non aveva mai abbassato lo sguardo sulla sua gamba, neanche un solo secondo. "Avanti dai un'occhiata alla gamba e lasciami libero"
"Non andiamo cosi di fretta Roxas, devo fare il mio lavoro per bene-"
"Il tuo lavoro è scrivere che va tutto bene e che devo solo uscire di qui!"
La donna, esasperata, si portò una mano nella sua capigliatura blu per ravvivarla e prese la protesi per esaminarla attentamente. Roxas invece dondolava febbrilmente la gamba destra che penzolava dal lettino e con una mano tamburellava i polpastrelli sulla coscia sinistra. Il silenzio piombò pesante sui due giusto un paio di minuti, ma sembrava quasi che fosse passata un'ora, e poi l'infermiera parlò di nuovo.
"La tua gamba è distrutta" affermò rigirandosela tra le mani "Non ne so molto di protesi ma la questa è davvero mal messa. Guarda, qui la struttura è ammaccata" indicò con il dito una parte che Axel non riuscì a vedere "E qui c'è anche un foro... sembra...sembra quasi che un proiettile l'abbia trapassata"
Il rosso sbiancò quasi e si appoggiò alla porta per vedere meglio, nessuno dei due parlò per qualche secondo.
Poi Roxas scoppiò a ridere.
"Pff...ma ti pare? Tu corri troppo con la fantasia ahahahah!"
Come diavolo faceva quel tipo a reagire così in un momento del genere? Non stava scherzando, né sembrava volesse prenderla in giro. C'era qualcosa con quella risata che non lo convinceva, sembrava quasi perfida, ma recitata con una tale abilità da risultare quasi candido. Axel non sapeva se doveva essere affascinato da quell'abilità o inquietato.
"Sei sicuro di non esserti fatto male alla coscia?"
"Sto un amore"
Aqua roteò gli occhi al modo di fare dell'altro.
"Comunque le giunture nel ginocchio sono deformate e alcune anche spezzate, per questo non riuscivi a camminare...qui manca anche qualche pezzo e... oh cavolo!" il ginocchio metallico doveva aver ceduto poiché la gamba le si era sfaldata in mano, e ora si ritrovava con dei pezzi penzolanti della protesi.
Roxas trattenne a stento un'esclamazione di stupore, fu l'infermiera a dar voce alle sue paure con quello che sembrava un incerto squittio "Roxas, penso... penso che tu debba cambiarla"
A quel punto il biondo si congelò.
"Co-cosa? Cambiarla?”
“È meglio che valuti un esperto ma ho paura che non si possa far nulla"
"Ma...ma... che dici. Io non posso-" il volto del giovane fu trasfigurato da un senso di ansia e paura, i suoi pugni si strinsero sulla stoffa dei pantaloni e dalla fronte scese una gocciolina di sudore "È troppo costosa...dove li prendo i soldi! Cazzo, ma come diavolo hai fatto a ridurla così?!"
"Dovrei chiederlo io a te in realtà" borbottò Aqua accigliata, poi però assunse uno sguardo compassionevole ma non poté fare altro "Mi dispiace ma purtroppo io qui non posso proprio aiutarti. Anzi adesso faccio telefonare a tuo padre così ti viene a prendere"
"No per piacere non chiamarlo!” il biondo si morse un labbro e la afferrò per un braccio, sembrava preoccupato, ma poi si accorse che forse la sua reazione forse era stata un tantino esagerata, così si ricompose e aggiunse un “Non... non voglio dargli altri pensieri"
"Roxas tu lo sai come funziona. Sei minorenne, non posso lasciarti andare senza il consenso di un adulto, mi metteresti in difficoltà"
"Ti prego chiudi gli occhi per questa volta!" continuò, la sua voce era intrisa di paura.
"Non posso davvero"
Axel non riuscì mai a capacitarsi di quale astrusa forza inconscia lo avesse manipolato al punto da spingerlo ad avanzare fin nella tana del leone. Forse era la stanchezza, forse la botta alla testa o forse anche uno strano senso di compassione (lui compassionevole? Assurdo), fatto sta che si era ritrovato sotto gli sguardi perplessi di Aqua e Roxas, e la voce era uscita da sola "Firmo io per lui!"
Okay che aveva battuto la testa però come gli era venuta in mente una cosa del genere? Non voleva solo ripulirsi la coscienza e tornarsene a casa?
"Cosa?" fecero i due in coro, stupiti di vederlo lì.
"Ehm..." Axel li guardò in preda all'imbarazzo e si portò una mano dietro la nuca, cosa cazzo stava combinando? "Io...io potrei firmare per lui" ripeté ancora, con voce appena accennata. Commozione cerebrale, tutta colpa della commozione!
"Quindi vi conoscete?"
"Sì!"
"No!"
Le voci di Axel e Roxas si sovrapposero e in quel momento ci fu un rapido scambio di occhiate. Roxas guardò scombussolato Axel, il quale ricambiò con un'espressione di chi non sapeva neanche che cosa stesse facendo. Aqua guardò Axel perplessa, poi Roxas e di nuovo Axel, in attesa di spiegazioni.
"Allora vi conoscete o no?"
Roxas senza farsi vedere dell'adulta fulminò il rosso ma gli permise di parlare, dal momento che non aveva ancora capito cosa diavolo aveva in mente.
"Sono... uhm... sono suo... cugino!" rispose questi con incertezza "Sì, sono un suo lontano cugino e oggi stavamo giocando insieme a baseball ma lui è inciampato e la sua mazza ha fatto un enoooorme volo e mi ha colpito proprio qui" Axel si indicò il punto della fronte in cui si era fatto male e Roxas non poté fare a meno di schiaffarsi una mano in faccia.
In quella scuola di merda che frequentava, uno o due professori qualche volta si erano presi la briga di dirgli che non bisognava mai giudicare un libro dalla copertina, e forse quella era una delle poche cose a cui Roxas aveva dovuto dar loro ragione. Sebbene quel tipo con i capelli rossi sembrava il più grande idiota sulla faccia della terra, in un modo o in un altro aveva fatto dissipare i dubbi di Aqua e l'aveva convinta a farlo firmare per poter portare Roxas a casa.
Il biondo però non era riuscito a tollerare ulteriormente i discorsi dei due, che nel frattempo si erano spostati nella hall principale e concordavano su quanto Roxas fosse uno sconsiderato e che doveva avere più cura di sé – in realtà sembrava che stessero parlando di un pacco postale piuttosto che di una persona e sinceramente il biondo non aveva neanche tutta questa voglia di lasciarsi riaccompagnare a casa da uno sconosciuto che, tra l'altro, sembrava stesse flirtando con Aqua.
Roxas grugnì un dissenso a quell'assurda situazione in cui si era cacciato. Afferrò con una mano la sua gamba distrutta e con l'altra la stampella che gli era stata data e se ne andò, zoppicando e borbottando sottovoce.
La cosa però non sfuggì ad Axel che si affrettò a salutare la donna e rincorrere il ragazzo fuori l'edificio. La testa gli pulsava come non mai e l'ultima cosa che voleva era solo dover correre dietro un moccioso in vena di far capricci.
"Ohi" sbraitò irritato una volta che lo ebbe raggiunto nel parcheggio “Ti sembra educato andartene così?"
Roxas si girò appena per guardarlo e gli lanciò un'occhiata di sufficienza, cosa che fece ribollire il sangue nelle vene dell'altro.
"Nessuno ti ha chiesto di portarmi qui"
"Scusa tanto se mi è sembrata la cosa più ovvia da fare, signor campione di struggle"
"La prossima volta fatti gli affari tuoi”
“Tranquillo, non penso che ci sarà una prossima volta” Axel sputò quelle parole con veleno. Quella era la prima volta che aveva pensato di fare qualcosa di utile per il prossimo, e francamente se ne stupiva ancora, eppure quel ragazzino gli stava facendo perdere la pazienza con la stessa facilità con cui solitamente avrebbe afferrato una bottiglia di Jack Daniel's e se ne sarebbe fregato di tutto.
Si passò una mano tra i capelli e girò sui tacchi pronto per andarsene. Voleva che nessuno si interessasse di lui? Perfetto, l'ultima cosa che Axel voleva era dover avere a che fare con i problemi esistenziali di un adolescente in crisi, con... con una gamba finta e... al diavolo tutto, le parole di Demyx gli rimbombavano nella mente come una vecchia cantilena e gli rendevano difficile anche il pensare coerentemente. Una buona azione per raggiungere la pace interiore. Erano tutte stronzate, lui non ci credeva davvero, però una seconda opportunità al piccoletto poteva concedergliela."Quindi se oltre alla tua..." Axel si girò di nuovo verso l'altro ma non lo guardò in faccia, e scelse un termine appropriato per non risultare troppo stronzo "Gamba... distrutta ti fossi rotto qualche altra cosa a te non sarebbe importato?"
Roxas inarcò un sopracciglio "Finché riesco a sopravvivere non ci sono problemi" questa volta fu lui sul punto di andarsene ma Axel lo afferrò prontamente per un braccio e strinse i denti.
"Che diavolo significa? Se c'è un problema preferiresti soccombere o addirittura perire piuttosto che affrontarlo?"
"Ma che vuoi saperne tu di me!" l'irritazione il biondo si palesò come un guizzo nei suoi occhi e si liberò dalla presa con un vigoroso strattone. Non male per uno con una gamba e che si reggeva con una stampella, ma Axel non si lasciò distrarre da quei pensieri. Lo sapeva che non erano affaracci suoi ma ogni volta che si toccavano questi argomenti lui li prendeva quasi come questioni personali.
"Infatti non lo so, voglio solo assicurarmene perché quelle persone che mollano invece di lottare non posso proprio vederle"
E in quel momento Roxas fece una cosa che prese di contropiede l'altro. Rimase in silenzio e contemplò il ragazzo, doveva avere qualche anno più di lui ma in un certo senso quelle iridi verdi riflettevano le stesse ombre che offuscavano le sue. Inalò profondamente e incupì il tono, dopotutto non aveva senso continuare a sbraitare.
"Se tu hai provato per tutta la vita a riaggiustare le cose, a sperare che in un modo o in un altro tutto si sarebbe risolto per il meglio, attendere di vivere finalmente una vita come si deve... cosa speri di ottenere continuando a lottare contro delle forze più grandi di te che non fanno altro che ostacolarti?"
Axel fece per rispondere che secondo lui bisognava continuare a lottare ostinatamente, ma comprese che quella discussione stava sfuggendo loro di mano e decise di non aggiungere nient'altro, anche perché cosa si poteva aggiungere? Ogni singola anima che popolava quei sobborghi desolati aveva imparato a fare i conti con la realtà.
"Non provi rabbia o risentimento?" disse con tono più basso, dopo un lungo dibattito mentale. Roxas però non aprì bocca, mantenne lo sguardo fisso su di lui e questo bastò al rosso per sbuffare scocciato.
"Avanti andiamo" borbottò avviandosi alla macchina. Quello che aveva appena visto era uno sguardo amaro, consapevole ormai di come girasse il mondo, lo stesso che aveva visto più volte sul volto di sua sorella alla sera quando lei tornava a casa stanca. "Su sbrigati, voglio andare a dormire"
Roxas gonfiò le guance e si affrettò a seguirlo, lasciando da parte l'astio verso tutta quella situazione "Aspetta, più veloce di così non posso andare”
“Sei troppo lento per me”
“Ringrazia che non devi portarmi tu"
"Ringrazia che ti porto a casa"
"Fanculo"
“Brutto moccioso, ti hanno insegnato l'educazione?”
“È vero, scusa, devo rispettare i vecchi come te”
"Piccolo demonio io ti incenerisco!"
"Potrei denunciarti per violenza psicologica su minori, mazza di scopa!"

Axel era una di quelle persone che volevano sempre avere l'ultima parola. Spesso gli avevano dato del cocciuto o anche dell'infantile ma a lui non era mai interessato finché poteva stare sempre un gradino sopra agli altri; quella sera però si era ritrovato inspiegabilmente a carico un ragazzetto antipatico e apparentemente taciturno, che quando voleva era capace di tutto pur di mettere lui stesso il punto fine alla conversazione. Più volte si era chiesto chi diavolo gliel'aveva fatto fare di scomodarsi tanto per uno sconosciuto che non gli era neanche riconoscente per l'aiuto che gli aveva appena dato.
Che gli facesse pena il piccoletto?
No.
Okay, forse.
Però si era solo limitato a mettere in pratica il credo di Dem: se qualcuno ti aiuta, tu fai altrettanto. Il suo amico era convinto che se tutti avessero iniziato a compiere buone azioni verso il prossimo il mondo sarebbe cambiato.
Axel si ritrovò a sorridere tra sé e sé alla sua ingenuità, quando però si ricordò che in macchina non era solo si ricompose e scrutò Roxas con la coda dell'occhio. Il biondo aveva la fronte appoggiata al vetro del finestrino e guardava con scarno interesse la città che correva veloce. Il viaggio in macchina si era rivelato silenzioso e imbarazzante e nessuno dei due sembrava intenzionato a intavolare una conversazione, a parte quelle poche parole spese da Roxas per spiegare la strada di casa sua.
Ci vollero una ventina di minuti prima di arrivare in una traversa costeggiata da casette a un piano tutte uguali tra loro e con dei piccoli giardinetti antecedenti alla strada. I muri erano incrostati di muffa e sporcizia e qua e là c'erano crepe risistemate alla meno peggio, la zona non era delle migliori ma neanche delle peggiori. In fin dei conti il biondo aveva pur sempre un tetto sotto cui ripararsi.
Axel fermò la macchina davanti la casa che gli era stata indicata e seguì l'altro con gli occhi mentre si avviava con qualche difficoltà verso l'entrata di casa, Roxas non gli aveva rivolto alcuno sguardo o saluto e lui aveva rispettato il suo silenzio.
Dopotutto ad Axel non interessava intrattenere relazioni con altre persone.


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Il giorno dopo Roxas si svegliò con la sirena della polizia che faceva la ronda. Di quei tempi ormai era diventata una cosa del tutto normale, la città sembrava essere caduta in balia delle forze dell'ordine che però non si appellavano ai canonici principi di giustizia. Le proteste erano represse con la violenza e qualsiasi attività sospettata antigovernativa veniva estirpata barbaramente. Tutto quello che volevano i cittadini era la ripresa della città ma il governo li aveva abbandonati.
Roxas rimase immobile nel letto una buona manciata di minuti prima di prender possesso di tutte le sue facoltà fisiche e intellettive. Bene. Si chiamava Roxas, aveva sedici anni e a giudicare dal sole che entrava dalla finestra dovevano essere su per giù le undici di un caldo mattino di fine estate- porcaputtana!
Il torneo di struggle, quel tizio con i capelli rossi e la sua gamba in mille pezzi.
"Cazzo!" esclamò prendendosi la testa con le mani. Ecco svelato anche il motivo per cui quel giorno si sentiva uno straccio.
Si mise a sedere e adocchiò la protesi appoggiata sulla scrivania e ripercorse le parole che gli aveva detto il giorno prima Aqua.
Distrutta.
Adesso sì che c'era un bel problema. Che diavolo poteva fare? Non aveva i soldi per farla rimettere in sesto, figurarsi prenderne una nuova!
Il biondo cacciò un sospiro sconsolato e raccolse le forze, era stanco ma ora che era sveglio tanto valeva alzarsi. Così afferrò una stampella e andò in soggiorno dove scorse Cloud, suo padre, addormentato scompostamente sul divano, con delle bottiglie in mano e sparse sul pavimento attorno a lui.
Roxas serrò la mascella ma per qualche strano motivo una vista del genere non gli procurava più alcuna emozione, ormai erano anni che lo vedeva in quello stato e la situazione sembrava sempre peggiorare piuttosto che migliorare.
Senza fiatare si avvicinò al divano e cominciò a ripulirlo da tutte quelle bottiglie vuote. Chissà quando ero stata l'ultima volta che suo padre era stato sobrio.
"Papà?" sussurrò quasi con velata dolcezza mentre si inginocchiava davanti al divano "Papà" ripeté e iniziò a scuoterlo leggermente "Dai ti accompagno a letto"
Ci vollero svariati minuti di prediche e scossoni prima che un paio di occhi blu identici a quelli di Roxas si aprirono al mondo.
Cloud una volta era un uomo di bell'aspetto e anche abbastanza giovane per avere un figlio di sedici anni, ma quando si era sposato non avrebbe mai immaginato che la sua vita potesse prendere una piega del genere. Prima era una persona completamente diversa.
"Papà" lo chiamò di nuovo Roxas "Andiamo a letto"
L'uomo fissò il suo sguardo sulla figura appena sfocata del ragazzo, la sua mente era ancora annebbiata per via dell'alcol.
“Oggi niente gamba?” biascicò invece di rispondere, facendo comprendere che non aveva capito niente di quello che gli era stato detto.
“Dev'essere riparata”
“Mi dispiace”
Cloud abbassò il volto e assunse un'espressione addolorata. Scusarsi era diventata l'unica cosa che sembrava riuscire a fare, oltre a bere. Si scusava per qualsiasi cosa, a volte scoppiava anche a piangere... che poi per cosa si scusava tanto Roxas non lo aveva ancora capito. Cloud a quanto pare era uno di quei cosiddetti ubriachi emotivi. Fortunatamente non diventava violento ma era comunque insopportabile, ed erano rarissime le volte in cui gli parlava o addirittura lo guardava - per inciso, in quelle rarissime volte in cui sembrava accorgersi della sua presenza non era sobrio.
Mai un dialogo, mai un conforto, mai neanche un rimprovero. A volte Roxas voleva che suo padre si arrabbiasse con lui perché faceva tardi, o che si preoccupasse vedendolo tornare di tanto in tanto con qualche livido, ma aveva capito che non ne valeva la pena. Ormai il ragazzo non si soffermava neanche più ad ascoltare i rantoli del padre, in dosso aveva semplicemente un'espressione annoiata “Se non ce la fai ti aiuto fino al letto”
Cloud però scosse il capo e si alzò, a occhio e croce sembrava essere abbastanza lucido da riuscire ad andare da solo senza fare danni. Roxas lo seguì con lo sguardo per tutto il corridoio finché non lo vide sparire nella sua stanza, e a quel punto si alzò di nuovo. Niente era più triste che il trovarsi in una casa dove la persona che avrebbe dovuto essere la più intima gli era quasi sconosciuta, ma sapeva che la colpa non era di Cloud ma sua.
Con la mano libera risistemò il divano e i cuscini e gettò le bottiglie nella spazzatura, prese un succo di frutta dal frigorifero e andò a piazzarsi davanti la tv. In tutti quegli anni aveva acquistato un buon equilibrio, quindi anche senza la sua gamba Roxas riusciva ad essere abbastanza autonomo. Quello che non sopportava erano gli sguardi di pietà e compassione della gente, non ce la faceva, era più forte di lui, più gli altri facevano i finti buon samaritani e più lui dava di matto. Ieri sera anche quello sconosciuto era cambiato quando aveva visto la sua gamba finta, la sua fronte si era contratta proprio come quella di tutti gli altri. Patetico. Il fatto che non avesse una gamba non significava che lui era scemo, anzi sfruttava ogni occasione per dimostrare la sua tenacia. Anche per questo prendeva parte ai tornei di struggle... oltre che per i soldi.
A proposito del torneo di struggle, al tg stavano parlando proprio di quello. Roxas si portò la cannuccia alla bocca e appoggiò il gomito sul bracciolo per sorreggersi il capo con la mano, a quanto pare avevano preso i tizi armati, il capannone era stato sgomberato e messo sotto sequestro, e per la prima volta Roxas realizzò qualcosa.
Spalancò gli occhi e il suo corpo si irrigidì.
Hayner, Pence e Olette!
Come cavolo aveva fatto a dimenticarli in un momento del genere? Infilò di scatto una mano nei pantaloni per prendere il cellulare ma ricordò poi di averlo lasciato il giorno prima a Hayner.
Si diede mentalmente dell'idiota per almeno un centinaio di volte prima di decretare che quel pomeriggio sarebbe andato a trovarlo, sperando che stessero tutti bene, ma prima avrebbe dovuto fare una tappa alla palestra di Cid.

2.5 Demiurge


"Allora Axel come stai?"
La malsana voglia di rispondere che niente andava come doveva era davvero forte, ma non c'era gusto a rompere quella dolce monotonia che si era creato ogni settimana quando andava da Ansem a perder tempo invece che sfruttare quell'ora a disposizione per il proprio giovamento. Alla fine le loro sedute si riducevano con Axel che contava quante foglie cadevano dall'albero che intravedeva dalla finestra, sull'altro ciglio della strada, e Ansem che innaffiava le piante nel suo ufficio. Quello era il primo giorno d'autunno e l'agonia del mondo era appena iniziata.
"Tutto bene" si risolse a rispondere come sempre e l'uomo, che nel frattempo aveva afferrato un paio di forbici ed era ora intento a tagliare via delle foglie secche, si accontentò di quella formalità ma non perdeva mai occasione di intavolare una sottospecie di conversazione.
"Ti vedo pensieroso oggi"
Axel puntellò i polpastrelli sul bracciolo della poltrona dove era seduto e fece spallucce.
"Sto valutando l'idea di darmi al giardinaggio"
L'uomo si voltò verso di lui, un sorrisetto gli increspava le labbra "Non sarebbe una cattiva idea se decidessi davvero di farlo... "
"Oh, suvvia adesso non apriamo di nuovo lo stesso libro"
"Prendersi cura di qualcuno o qualcosa, anche di una pianta, migliora l'umore e ti fa sentire realizzato"
"Certo" Axel roteò gli occhi e dopo una fugace occhiata di dissenso dedicata all'altro, tornò a guardare il caro e vecchio albero fuori la finestra "Ridare vita a un cactus morto mi farebbe sentire Dio, che gran prospettiva di vita"
Ci furono un paio di minuti di silenzio in cui Ansem ripose forbici e innaffiatoio e andò a sedersi alla scrivania.
"Hai un entusiasmo senza pari, hai mai pensato di fare il cabarettista?"
Il rosso si portò una mano alla fronte e si lasciò scappare una risatina sarcastica. Adesso anche lo psicologo lo prendeva in giro, a cosa si era ridotto?
"Avanti Axel, dimmi tutto, è successo qualcosa con Demyx?" il tono di Ansem era ancora leggero ma come sempre Axel ci cascava in questo punto.
"In un certo senso" alzò lo sguardo al soffitto e si mise comodo "Sono successe molte cose in generale"
"Ti va di parlarmene?"
"È un casino"
"Abbiamo ancora tre quarti d'ora"
Axel sospirò sconsolato e affondò ancora di più nella poltrona.

Era passata una settimana dal fiasco del torneo clandestino di struggle ma i giorni successivi erano stati tutt'altro che rilassanti.
Demyx quella sera era rimasto in cucina ad aspettarlo, fortunatamente però si era addormentato e quindi il rosso non aveva dovuto sorbirsi un altro dei discorsi moralisti dell'amico con la testa pulsante a più non posso. Il mattino dopo Axel si era recato di buon ora a casa di Xigbar per inveirgli contro tutti i casini in cui l'aveva coinvolto, e chissà, magari anche per chiedergli spiegazioni. Però casa sua era vuota e anche il garage non era da meno. La cosa era strana ma non ci badò molto, non è che Xig fosse tanto normale, così infilò le mani nelle tasche dei jeans logori e nel giro di pochi minuti si ritrovò davanti un'altra villetta.
"Non so quando tornerà" sussurrò la signora che gli aveva aperto la porta, sembrava essere distrutta dal dolore ma la sua persona non mancava di mostrare la fierezza e la dignità di una donna che nonostante i problemi economici aveva dato l'anima per i suoi figli. Axel aveva visto la madre di Xaldin solo un paio di volte ma aveva sempre avuto una grande stima per lei.
"...non sarà tanto presto, vero?" domandò il rosso con accortezza, immaginando già la risposta: il silenzio.
La donna gli sussurrò un saluto a capo chino e rientrò in casa. Axel aveva serrato i pugni, non sapeva ma aveva capito tutto, per questo era rimasto a scrutare la superficie di legno della porta, senza guardarla realmente. Era difficile da dire, nonostante la rabbia crescente, ma il flebile, disperato pianto che sentì provenire dall'altra parte della porta gli provocò una pesantezza all'altezza del petto alla quale non seppe dare definizione. L'unico pensiero che formulò mentre ripercorreva la strada a ritroso era che non aveva voglia di cercarsi un altro lavoro.

Axel l'aveva sempre negato, però forse un piccolo, piccolissimo, problema con l'alcol ce l'aveva dal momento che erano da poco passate le dieci di mattina e lui già si trovava in uno di quei pochi bar della città da cui non era stato ancora sbattuto fuori, e con una bottiglia di birra davanti. Non che gli importasse più di tanto, dopotutto non era la prima volta e quella non sarebbe stata di certo l'ultima.
Si portò la bottiglia alle labbra e prima ancora di saggiare una goccia del liquido ambrato, esitò e pensò che nella sfortuna era stato davvero fortunato.
Nelle settimane precedenti aveva aiutato Xigbar e Xaldin a rimettere a nuovo una macchina rubata per rivenderla a un nuovo acquirente e fin qui non c'era niente di male – anche se effettivamente quello che stavano facendo era illegale. Il problema è che quell'idiota di Xigbar, a sua insaputa, aveva fatto degli imbrogli durante la riparazione, aveva truccato un po' il motore, e l'aveva venduta senza troppi scrupoli. Il cliente però doveva essersi accorto della fregatura e gli aveva mandato dietro i suoi scagnozzi.
Mentre beveva la sua birra, in tv il telegiornale era in onda e impazzavano le notizie su quel dannato torneo di struggle e l'arresto di una ventina di persone, tra cui pure quei bastardi che avevano fatto fuoco su lui e Roxas. Axel li aveva riconosciuti dalle foto che stavano scorrendo in sovrimpressione, e a una più attenta analisi ricordò di averli intravisti anche la sera prima entrando nel capannone.
Il rosso non aveva mai visto o avuto contatti con il loro capo quindi questo non aveva potuto fornir loro un suo identikit assieme a quello degli amici, la sua deduzione era che quelli dovevano aver ricevuto l'ordine di riempire di piombo tutti quelli che vedevano con Xigbar e Xaldin. Lui era stato intercettato assieme ad essi e quando si era avvicinato a quel Roxas inconsciamente aveva tirato anche lui in ballo.
Dio, che situazione di merda.
Finché sono dietro le sbarre non dovrebbero esserci problemi, pensò tra sé e sé guardando con angustia la bottiglia.
Ora che Xaldin e Xigbar erano fuggiti chissà dove per scampare all'enorme cazzata che avevano combinato, Axel si domandava che ne sarebbe stato di lui.
I suoi dilemmi esistenziali però durarono qualche secondo scarso perché furono interrotti dall'entrata nel bar di un gruppo di uomini che discuteva concitatamente.
“Che succede di tanto importante, Barrett? Io e il mio cliente stavamo ascoltando il tg” si interessò subito il barista mentre tirava fuori dei bicchieri, il tono era burbero ma era ovvio che bramava qualche nuova indiscrezione.
Quando Axel alzò lo sguardo vide che accanto a sé si era seduto un uomo enorme. La sua stazza e il suo incarnato scuro gli ricordavano la maestosità di un grizzly selvaggio, sul braccio sinistro svettava un tatuaggio che partiva dalla spalla, mentre al posto del braccio destro brillava una protesi meccanica.
“Che succede?!” elargì quello che doveva rispondere al nome di Barrett “Stamattina c'è stata la commemorazione di Makomé, ecco cosa succede! Abitava nel mio quartiere, era normale che ci andassi, no? E sapessi quanta gente c'era! La famiglia era distrutta, dovevi vedere la signora M'Bowolé come si disperava... ancora non riesce a darsi pace della morte del figlio”
“E ci credo, povero ragazzo. Non era un angelo ma una fine del genere non se la meritava” acconsentì l'uomo dietro il bancone, avvicinandosi di più adesso con fare interessato.
“Tutti noi le abbiamo espresso la nostra vicinanza. Siamo atterriti dallo schifo di questa città” prese parola un ragazzo basso e tarchiato, i suoi capelli erano coperti quasi del tutto da una bandana rossa. Si era seduto al bancone accanto a un altro ragazzo più o meno della sua età ma più alto e slanciato, ed entrambi avevano cominciato a tracannare il contenuto dei loro bicchieri.
“Wedge ha ragione. Ormai vieni ucciso anche per il colore della pelle”
Barrett aveva incrociato le braccia al petto e aveva annuito a ogni parola scandita dagli amici, poi si voltò e guardò per la prima volta il rosso che li guardava sott'occhio “Tu cosa ne pensi, ragazzo? Non startene lì in silenzio”
Axel inarcò un sopracciglio, stupito di essere stato chiamato in causa.
“Non ho idea di cosa stiate parlando” disse facendo spallucce, questa però fu la volta dell'uomo di corrucciare la fronte.
“Dell'omicidio di Makomé M'Bowolé*!” pronunciò come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Mai sentito”
“Ragazzo ma dove hai vissuto fino ad ora? Makomé M'Bowolé è quel ragazzo che è stato ucciso l'estate scorsa dalla polizia. Lo avevano fermato, portato in questura per interrogarlo e l'hanno riconsegnato morto alla famiglia. È stato dopo il suo omicidio che la città si è ribellata”
“Allora è lui... che merde” annuì Axel stringendo tra le mani la sua bottiglia “Sono stato via per vari mesi, quindi mi sono perso tutti questi movimenti però mi hanno raccontato per sommi capi. Gli sbirri sono sempre state delle gran carogne qui ma questo le sorpassa tutte!”
“L’ha detto anche Biggs, se sei nero adesso vieni ucciso perché è ovvio che il cattivo sei tu, anche se non hai fatto niente! Ti pare una cosa normale? A me sinceramente no” riprese il ragazzo grassoccio che Axel aveva capito doveva chiamarsi Wedge.
“Ma il problema è che non se la prendono solo con loro!” rimbeccò il ragazzo più magro e Barrett gli diede una pacca dietro la testa, leggermente offeso.
“Ohi Biggs, stai per caso sminuendo la faccenda? Noi neri siamo palesemente vittime di razzismo”
Il ragazzo si portò una mano dietro la nuca per strofinare la parte offesa e aggrottò la fronte “Macché! Sto solo dicendo che i piedipiatti sono sempre stati accaniti su tutti. Dimmi, come possiamo far crescere i nostri figli in una città del genere? Chi ci tutela a noi?”
“Non di certo il governo” rispose Wedge al suo posto.
Barrett digrignò i denti e contrasse i muscoli facciali in un espressione di pura rabbia “L'unica cosa che io voglio è stare con Marlene! Non voglio vivere col terrore che prima o poi possano togliermela o riempirmi il culo di piombo solo perché sono nero. Tutto questo non è giusto, la musica deve cambiare assolutamente!”
“E cosa vuoi fare? Scrivere una bella lettera al sindaco? Adesso siamo in piena campagna elettorale, quelli non ti si cagheranno di striscio. Sono troppo occupati a fare bella figura triplicando le pattuglie giro per la città”
“Però così facendo peggiorano solo la situazione”
Axel decise di aver sentito fin troppo per i suoi gusti, erano le solite chiacchiere che udiva ovunque, tutti pensavano le stesse cose ma nessuno non poteva farci niente, e l'ultima cosa che voleva era ritrovarsi in mezzo a un gruppo di potenziali rivoluzionari.
I casini del giorno prima gli erano bastati, grazie mille.
L'ultima cosa che udì mentre usciva dal locale era quel Barrett che sbatteva il suo pugno meccanico sul bancone e sbraitava un “Qui c'è bisogno di un colpo di stato!”
Per il momento lui aveva solo bisogno di prendersi qualcosa per il mal di testa che lo stava assalendo.

Il silenzio lo avvolse durante il suo vagabondaggio nelle strade deserte, il vento fresco portava con sé le foglie ingiallite, uniche testimoni del tempo che volava via. C'era un palazzo bianco del XIX secolo davanti a lui, con le vetrine decorate da numerose insegne colorate che si illuminavano ritmicamente e di tanto in tanto qualche persona entrava e usciva da quella che in realtà era una tavola calda. Axel rimase a lungo immobile a guardarla dall'altro lato della strada, con la viscerale tentazione di entrare ma il timore di poter rivedere il volto di sua sorella o di sentire la sua voce lo fece desistere.
Ormai le notti che passavano a guardare le stelle insieme era sfuggito dalle sue mani come quelle foglie che si rincorrevano tra loro, cullate dal vento che si prendeva cura di loro. Axel si ritrovò ad osservare il lento scorrere del tempo come se fosse piombato in un lungo sonno.
E come un fuggitivo si ritrovò, così, di nuovo a tornare a casa di Demyx. Il suo unico desiderio era quello di affondare nel letto e passare i prossimi giorni richiuso nella sua stanza provvisoria, ma sapeva che avrebbe presto dovuto fare i conti con il proprietario di casa e infatti non appena mise piede nel salotto, nel suo campo visivo si ritrovò la faccia afflitta del biondo. Era certo che prima o poi avrebbe dovuto assistere al teatrino dell'altro.
"Hai idea di quanto io sia stato in pensiero?! Dove sei stato ieri? Ti ho aspettato tutta la notte"
Axel sospirò annoiato.
"In realtà dormivi quindi non sai a che ora sono tornato"
"Che hai fatto alla testa?" Demyx si aggrappò alle sue spalle e scrutò attentamente il cerotto che occupava buona parte della sua tempia. Alla fine Axel si era sbarazzato di tutte quelle bendature superflue perché sembrava un cretino.
"È una lunga storia"
"Oddio adesso penso di capire come si sentono le madri quando i figli si allontanano dal nido familiare"
"Dem non sono tuo figlio"
"Ti prego Ax non farmi disperare più così tanto!"
"Idiota" borbottò sorpassandolo. Raggiunse la cucina per prendersi un pop tart alla fragola e lo fulminò infastidito quando lo vide sedersi al tavolo di fronte a lui "Oggi niente lavoro?"
"No, oggi è riposo. Dai vieni con me che ti porto in un posto" si alzò di nuovo per andare a reperire la sua giacca e ritornò poi con un sorriso smagliante.
Il rosso sgranò gli occhi e iniziò a sudare freddo.
"D-dove vuoi che vada?"
"SOR-PRE-SA!"

Di tutte le cose che avrebbe potuto pensare Axel non si sarebbe mai immaginato quello, neanche e sue fantasie più deviate avrebbe indovinato. Eppure se ci avesse riflettuto non sarebbe stato tanto difficile, conoscendo il tipo che era Demyx.
E così si era ritrovato assieme all'amico e altre 5 o 6 persone in un'enorme sala, dietro a una lunga tavolata a servire un pasto ai senzatetto, in una piccola comunità di volontari chiamata Crossroads.
"Hai mai pensato di darti alla carriera ecclesiastica?" il rosso si ritrovò a borbottare contrariato mentre poggiava sul tavolo un'altra pila di piatti e rimpianse di non aver potuto incenerire Demyx con lo sguardo.
"Non ho avuto la chiamata del Signore, quindi no" cinguettò entusiasta l'altro mentre porgeva un piatto a un uomo.
"Evidentemente anche lui vuole stare alla larga da te" fu il commento sarcastico mormorato sottovoce ma Demyx parve sentirlo comunque.
"Hai detto qualcosa?"
"Sì. Quando diavolo finiamo?! Sto morendo di fame” Axel non fece in tempo a finire che arrivò una ragazza a dargli il cambio e disse a Dem che poteva andare perché ormai l'affluenza era quasi finita e ce l'avrebbe fatta a prendersi cura delle ultime persone.
Per la gioia di uno e la remora di un altro, i due ragazzi si ritrovarono nel cortile esterno, seduti su una panchina che affacciava su un parco adiacente, con la speranza di riscaldarsi con quel debole sole di fine settembre che sembrava giocare a nascondino con le fronde degli alberi.
Demyx vedendo l'espressione di irritazione che l'altro mostrava platealmente, spezzò il silenzio dopo aver dato un morso al suo panino "Se non ti piace avere a che fare con il pubblico la prossima volta posso trovarti un posto nei magazzini"
"Facciamo che la prossima volta ti fai gli affari tuoi!"
"Axel!"
"Demyx!"
"È inutile che inizi a borbottare, queste cose con me non attaccano. Ne abbiamo già parlato un sacco di volte"
"Ecco esatto, e proprio per questo adesso devi lasciarmi in pace"
"Io non starò in pace finché tu non la troverai!"
"Demyx per l'amor del cielo, io starò in pace solo il giorno in cui mi lascerai stare" disse ora afflitto Axel, non aveva senso arrabbiarsi con uno come Demyx tanto quello avrebbe fatto di tutto pur di avere l'ultima parola.
"E invece no!” sbraitò invece il biondo con tono deciso, i suoi occhi traboccavano di determinazione “Io ti conosco e so quello che hai passato. È difficile e ti capisco ma non è fuggendo che si risolvono i problemi!"
"Ti ho detto che io non ho problemi”
“Si che ce li hai!”
Axel appoggiò e braccia sullo schienale e rispose con tono arreso e strascicato “Invece di stare qui a sprecare fiato con me perché non vai a fare il missionario nei paesi del terzo mondo?"
"Perché qui c'è già gente che ha bisogno di aiuto” il suo tono acquisì una piega agrodolce e abbassò il capo, i suoi occhi furono nascosti dalle bionde ciocche ribelli “...e perché attendo il ritorno di qualcuno"
Axel rimase in silenzio e ammorbidì lo sguardo. Portò il volto verso il cielo per non mostrare la vulnerabilità in cui si sentì improvvisamente incatenato. A volte quasi lo dimenticava, a causa del suo carattere allegro e vivace, ma anche Demyx in realtà soffriva molto.
“Ti ricordi quando eravamo piccoli...” cominciò quest'ultimo dopo un lungo silenzio “Quando eravamo piccoli e io ti dissi che solo tu potevi sposare mia sorella perché eri l'unico di cui mi fidassi?”
Axel accennò a una risatina e continuò a scrutare le nuvole “E io ti dissi lo stesso per mia sorella...”
“Kairi e Selphie quando l'hanno saputo non sono state molto felici”
I due si presero qualche lungo momento per sorridere ai vecchi ricordi. Era sempre stato così tra loro, discutevano e litigavano spesso ma non avevano neanche bisogno di chiedersi scusa a vicenda perché per loro ogni parola equivaleva a chiedersi perdono, a loro bastava stare insieme.
“Io mi sono fidato sempre e solo di te, Dem” sussurrò Axel dopo un po', con le mani aveva preso a stropicciarsi la t-shirt bianca che gli altri membri della comunità gli avevano dato. Sopra vi era scritto "love and go where love demands", e francamente si sentiva quasi a disagio con quelle mielose lettere stampate a caratteri cubitali sulla schiena "Ieri sera ho incontrato di nuovo quel ragazzo del bivio, sai?"
Il biondo alzò lo sguardo "Davvero?"
Axel annuì.
"Vuoi parlarmene?"
Ci fu un secondo di esitazione ma poi le parole gli uscirono come fiumi in piena e non si accorse neanche che tutto d'un tratto si era ritrovato a sorridere "Non è per niente come mi aspettavo che fosse. Nel senso che...è così bassino e magrolino eppure spacca i culi quando gareggia a struggle. Dovevi vedere come ha atterrato il campione, era il doppio e lui l'ha battuto senza batter ciglio!"
"Sei stato a un torneo di struggle? Sei pazzo? Quelli sono illegali"
"Si ma questo non è importante ora. Quel ragazzo è proprio uno stronzetto, sembra...sembra... ecco, sembra che la mattina a colazione mangi biscotti e veleno. Il latte è totalmente escluso, altrimenti sarebbe più alto a quest'ora"
Demyx iniziò a ridere di gusto alla parlantina che aveva tirato fuori Axel, non era da lui una cosa del genere, quel ragazzo doveva averlo colpito proprio tanto.
"Solo che sono un po' preoccupato"
La voce del rosso lo riscosse dai suoi pensieri "Per quale motivo?"
Axel parve allarmato tutto d'un tratto "La sua gamba era finta... cioé... ha una protesi o come cavolo si chiama... e penso anche di aver fatto una figura di merda perché non è proprio educato fissare” borbottò arrossendo leggermente dall'imbarazzo “Ora però è un tantino distrutta e ho paura di esserne in parte colpevole"
Demyx inarcò un sopracciglio “È un bel guaio"
"Già e io non ho i soldi per ripagargliela"
"Lui che dice?"
"Sembrava essere nella stessa situazione"
"Prova ad andare da lui e offrirgli il tuo aiuto"
"Ew...non posso” Axel fissò lo sguardo sulle sue all star rosso sbiadito “Abbiamo discusso in un certo senso... e non è che ci rivedremo più. Anzi non avrei neanche motivo di interessarmene"
Demyx lo lasciò parlare senza premurarsi di fermarlo o rispondergli. Continuava solo a sorridere mentre esaminava l'espressione combattuta dell'altro, era la prima volta che vedeva Axel genuinamente interessato e preoccupato per una persona, e forse, pensava, magari continuando così presto sarebbe ritornato a una vita normale.
"Che hai da sorridere tanto?" sbottò Axel accorgendosi dello sguardo fisso e sognante di Demyx, questo però scosse il capo.
"Una volta mi hanno detto che non importa che progetti fai, non importa quanto ti dai da fare, come cerchi di modificare il tuo presente o immaginare il tuo futuro. Ci sono delle volte in cui la vita riesce a darti quello di cui hai bisogno. Una prerogativa, una speranza, una missione... o anche una sola persona."


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Fino a quel giorno Roxas non aveva mai realizzato quanto potesse essere lungo e faticoso il viaggio da casa sua fino alla palestra di Cid. O meglio, fino a quel momento non aveva mai sentito il bisogno di raggiungere la palestra con una gamba e le sole stampelle a sorreggerlo; ma dal momento che la sua protesi era praticamente inutilizzabile e non avrebbe usato la sedia a rotelle neanche se si fosse rotto pure l’altra gamba, non aveva altra scelta. Con un braccio si asciugò qualche gocciolina di sudore che si era formata sulla tempia e continuò a passo di marcia finché in lontananza non intravide l’edificio ancora annerito dall’incendio che lo aveva distrutto.
Fortunatamente nelle ultime settimane tutte le macerie al suo interno erano state portate via e adesso la struttura stava iniziando a acquisire un aspetto vagamente decente, niente a che vedere rispetto a come l’avevano trovata Hayner e Roxas la prima volta dopo l’incendio. Cid si era rimboccato le maniche e stava facendo di tutto pur di rimettere in sesto il locale. Quella palestra era tutta la sua vita, aveva speso tutti i suoi risparmi e le sue energie per togliere i ragazzi dalla strada e ora non aveva intenzione di mollare. Non dopo tutto quello che aveva fatto.
Alcune persone di buon cuore, riconoscenti per quello che aveva sempre fatto per la comunità, erano accorse ad aiutarlo ma lui non aveva neanche i soldi per permettersi una ditta di ristrutturazione, quindi doveva accontentarsi di un lavoro lento e poco accurato ma era pur sempre meglio di nulla.
Cid era occupato a riversare dell’acqua in un secchio di polvere per preparare del cemento, o almeno era quello che parve capire Roxas quando depositò a terra un vecchio zaino e si lasciò cadere, sfinito, su una sedia lì vicino.
Accidenti se non pesava quella protesi.
“Ma che cazzo” l’uomo si voltò verso Roxas e lo adocchiò per la prima volta “Roxas, ti pare normale arrivare così alle spalle? Vuoi per caso farmi venire un infarto?”
“Io?” il biondo si era completamente appoggiato allo schienale, aveva messo le mani nelle tasche e aveva steso la gamba davanti a sé. Un sorrisetto colpevole andò ad increspargli il viso “Ma ti pare?”
“Ma tu guarda se posso stare dietro a un moccioso come te” borbottò com’era solito fare, stava per tornare alla sua precedente occupazione ma poi la sua attenzione fu catturata da un particolare “Che hai combinato? Oggi ti fa male la gamba?”
Roxas appoggiò gli avambracci sulle cosce e si avvicinò al vecchio “Il piede” disse sottovoce con tono confidenziale, come se non volesse che nessuno sentisse “Oggi il piede mi fa davvero male, come se avessi camminato per chilometri scalzo sui carboni ardenti”
Il vecchio ascoltò disinvolto, con lo sguardo posato su quello spazio in cui avrebbe dovuto esserci la gamba sinistra del ragazzo. Se al suo posto ci fosse stato qualcun altro forse a quest’ora avrebbe preso Roxas per pazzo, non tutti potevano capire quello che provava, avvertire il dolore di una cosa che non c’era più sembrava essere un paradosso eppure era una sensazione spiacevole di cui molte persone senza un arto facevano esperienza.
“Perché sei venuto fin qui così? Non dovresti sforzare di questo modo la gamba destra” fu l’unica cosa che disse e poi tornò a mischiare quella sottospecie di impasto grigio dentro al secchio davanti a sé.
“Non potevo fare altrimenti, ho bisogno di te” rispose Roxas puntando gli occhi su un paio di uomini di mezza età che erano appena entrati da una porticina e si erano messi a intonacare una porzione di parete più lontano.
“Quindi devo immaginare che il contenuto del tuo zaino è il regalino che vorresti lasciarmi?”
Il biondo ridacchiò.
“In un certo senso” fece vago e vide l’uomo borbottare qualcosa tra sé e sé. Non con la stessa agilità che aveva una volta, Cid si mise in piedi e afferrò un panno per pulirsi le mani, non mancando mai di mugugnare quante rogne gli dessero i ragazzi e chi glielo facesse fare di ascoltarli. Roxas sapeva che quelle erano solo parole, giusto per fare un po’ di scena, ma in realtà Cid era una delle poche persone di cui si era mai fidato. Forse non aveva il carattere migliore del mondo, ma almeno era sempre stato l’unico pronto a sacrificarsi pur di aiutare tutti.
“COSA-”
“Ti prego non dire niente!” esclamò subito non appena l’altro aveva visto la sua protesi in mille pezzi che aveva trasportato dentro lo zaino. Cid poteva essere quanto buono voleva ma allo stesso tempo incarnava alla perfezione il ruolo del padre severo e lamentoso.
“Spero tu possa spiegarmi come hai fatto a ridurla in questo stato” sibilò l’altro, sforzandosi di non alzare il tono.
“Ti giuro che non lo so! Ieri stavo correndo e improvvisamente si è accartocciata sotto di me” spiegò tralasciando elegantemente il dettaglio del proiettile.
Cid ridusse gli occhi a due fessure, studiò attentamente l’espressione preoccupata del giovane e poi ritornò alla gamba che aveva ora in mano.
“Scommetto che ieri sei andato al torneo di struggle”
“Già”
“E io ti ho già detto mille volte che questa gamba è delicata e non devi maltrattarla in quel modo”
“Eddai Cid, lo sai anche tu. Quello è il mio unico sfogo”
“Ci sono mille altri modi più sicuri in cui puoi sfogarti, ma non quello. Non è una cosa che dico a mio piacimento però la questione è seria. Lo struggle è pericoloso, potresti davvero farti del male… e guarda la gamba poi. Non è adatta a questo genere di attività. Già troppe volte me l’hai consegnata in stato pietoso ma questa le sopera tutte”
“Riesci a fare qualcosa?”
“Questa si dovrebbe solamente sostituire”
L’uomo mise tutti i pezzi a posto nello zaino e ritornò alla sua precedente occupazione. Roxas però sapeva come giocarsi le sue carte a disposizione e mise su una faccia da cane bastonato, i suoi occhi languidi riuscivano a fare breccia anche nei cuori di pietra.
“Cid ti prego” riprese afferrandolo per il lembo della sua canotta e lo costrinse a girarsi di nuovo verso di lui “Tu sei la mia unica speranza. Io- io non so cosa fare… non posso permettermi un’altra gamba. Se non fossi così disperato non te lo chiederei neanche ma non ho nessun altro a cui rivolgermi”
Una leggera increspatura apparve sulla fronte del vecchio e lo vide tentennare appena.
“Rox…”
Il biondo continuò a guardarlo speranzoso con espressione addolorata e con le mani stringeva di più la stoffa dell’altro.
“Te lo sto chiedendo per piacere”
Cid esitò e puntò lo sguardo altrove.
“Vedrò che posso fare… ma non ti assicuro niente”
Un ampio sorriso si dipinse sul suo volto e Roxas gli si buttò al collo per ringraziarlo senza sosta, senza di lui ormai sarebbe stato perso chissà da quanto tempo. Cid era una delle poche persone verso le quali provava sentimenti veri.
“Sì sì però ora lasciami lavorare” ribeccò l’altro con il suo solito burbero. Proprio in quel momento prò un suono di pesanti passi riecheggiò nella palestra e i due furono distolti dal loro scambio.
“Yo Cid, sono andato a piazzare quell’ordine che mi hai chiesto. Hanno detto che i rifornimenti arriveranno in settimana…” la capigliatura ribelle di Hayner fece capolino dal portone di ingresso, seguito poi dal resto della sua persona. Quando il ragazzo si accorse dell’altra presenza accanto all’uomo, si bloccò sul posto e spalancò gli occhi “Roxas!”
Sentendosi chiamare per nome, Roxas alzò lo sguardo e scattò subito in piedi quando riconobbe l’amico. Era stato davvero in pensiero per loro dal momento che non aveva potuto rintracciarli ma un’ondata di sollievo lo travolse nel constatare che stava bene.
Quando si ricordò di essere in equilibrio su una sola gamba poggiò le mani sui braccioli della sedia per reggersi, ma non fece in tempo a salutarlo che l’altro lo raggiunse a grandi falcate, il suo volto era contratto dalla rabbia e i pugni erano stretti ai fianchi.
“Brutto bastardo, che intenzioni hai?” esclamò adirato dandogli uno spintone e lo fece finire di nuovo sulla sedia. Cid fece per intervenire ma il nuovo arrivato gli fece segno di non intromettersi e tornò a concentrarsi su Roxas “Hai idea di quanto Pence e Olette fossero preoccupati? Hai idea di quanto io fossi preoccupato? Sparire in quella maniera… ma che ti salta in mente?!”
“Mi dispiace… non volevo farvi preoccupare così”
“E invece ci sei riuscito benissimo! Per quanto ne sapevamo potevi essere ferito o pure morto!”
“Oggi sarei venuto a trovarvi. Anche io sono stato in pensiero per voi ma-“
“Ma un cazzo! Che ti costava metterti in contatto con noi? Anche solo per assicurarci che eri scappato o anche solo per sapere se noi eravamo ancora vivi! Tranquillo eh, siamo tutti interi per tua informazione. Siamo rimasti ad aspettarti un’eternità in quel casino e Olette non voleva andarsene senza che prima ti avessimo trovato. Ma che contiamo noi, l’importante è che Roxas si metta il culo in salvo”
“Hayner che cazzo stai dicendo” Cid provò a mettersi in mezzo ma fu bloccato da Roxas che nel frattempo si era messo di nuovo in piedi, questa volta con le stampelle per un maggiore equilibrio e inalò profondamente prima di ribattere.
“Che ti credi, che io non abbia cercato di tornare da voi? Dei pazzi hanno preso a spararci addosso e mentre cercavo di raggiungervi la mia gamba si è distrutta”
“Piantala di mettere in mezzo i tuoi problemi!”
“Guarda che è la verità! Io ho cercato però non ce l’ho fatta… e poi un ragazzo ha voluto portarmi per forza in ospedale”
Hayner lo guardò dall’alto con espressione indecifrabile e Roxas non capì se quello che vi leggeva era delusione o disprezzo.
“Adesso capisco perché Cloud non ti sopporta, sai?” articolò con estrema lentezza “Sei sempre pronto a vittimizzarti quando la situazione non è a tuo favore, così gli altri poi chiuderanno un occhio. Ma con me non sarà così… sei sempre stato tu a dirmi che non vuoi essere trattato diversamente, quello che mi parlava dei veri valori… ma poi quando si tratta dei propri amici sei il primo a sparire!”
Quello fu l’ultimo colpo che riuscì a sopportare. Non doveva nominare suo padre, non doveva fargli quel colpo basso e riaprigli una dolorosa ferita che in tutti quegli anni invece che guarire peggiorava sempre di più.
Le sue labbra tremarono dalla voglia di ribattere ma si morse la lingua. Normalmente non avrebbe avuto problemi a rispondere alle accuse che gli venivano inflitte, ma quando si trattava di persone a lui care non riusciva a fare altro che incassare. Perché? Semplicemente perché sapeva che tutti avevano ragione.
Lui era solo un egoista che cercava attenzioni dal prossimo, voleva tutto ma non dava nulla in cambio. I suoi amici erano stati in pensiero per lui, e lui tutto quello che aveva fatto era stato lamentarsi della sua gamba. Lui passava la sua esistenza a disprezzare le persone che lo guardavano con pietà quando invece lui odiava in primis se stesso. Ma che ne volevano sapere gli altri? Mica aveva mai detto loro che in realtà non riusciva a guardarsi allo specchio perché non accettava il suo corpo. Quello era il suo promemoria costante, il suo castigo. E sempre a causa di quella dannata gamba suo padre aveva perso la felicità.
Cos’è peggio, perdere una gamba o l’amore?
“Ehi guarda un po’ chi c’è qui con noi”
Roxas assorto com’era nei suoi pensieri non si era accorto di essere andato via dalla palestra, forse Cid aveva anche provato a chiamarlo ma alle sue orecchie erano arrivati solo suoni sordi. Non aveva intensione di stare un minuto di più sotto lo guardo accusatore di Hayner. E ora si era ritrovato vicino un piccolo parco dove seduto su un’altalena, Seifer lo guardava con la sua solita aria di astio e disgusto per il prossimo.
“Cercavo proprio te, mammoletta, sai?”
“Cazzo vuoi pure tu…” sputò il biondo sentendo il sangue ribollire. Non bastavano tutti, ora si metteva pure lui.
“Piano con gli artigli, tigre. Potresti graffiare qualcuno” il ragazzo più alto scese dall’altalena e gli si avvicinò con tono derisorio, dietro di lui i suoi inseparabili leccapiedi, Fuu e Rai.
Roxas scosse il capo e fece per sorpassarli ma Seifer lo fermò con una mano in petto.
Schioccò la lingua tra i denti e fece un senso di diniego col capo “Tu non vai da nessuna parte” Roxas lo guardò attentamente mentre il ragazzo prese a girargli attorno lentamente e nel frattempo lo squadrava da capo a piedi. Fuu e Rai erano impassibili davanti a lui. “Ieri sera dei pazzi hanno iniziato a sparare all’impazzata e sono arrivati gli sbirri, che ovviamente hanno fatto sgomberare tutto e hanno messo il capannone sotto sequestro”
“Sì, l’ho sentito” fiatò Roxas, il corpo era irrigidito e con le mani stringeva convulsamente le stampelle. La tensione si era fatta improvvisamente schiacciante.
“Certo che l’hai sentito” acconsentì l’altro e si portò una mano al mento “Un uccellino mi ha detto di averti visto scappare. Pare che quella gente stesse mirando a te e a un altro. È così?”
Roxas non rispose, rimase con la mascella serrata e il sudore freddo che iniziava a imperlargli la fronte. Improvvisamente Seifer lo afferrò per il colletto e i due ragazzi dietro di lui sussultarono dalla sorpresa.
“Sai che quello era il primo torneo che avevo organizzato io, eh?” sputò velenoso strattonandolo come se fosse stato un fuscello. La rabbia adesso sfregiava il suo volto “A me non frega niente degli affari che intrattieni con altri, i conti devi regolarteli altrove! Sai che mi hai fatto perdere un sacco di soldi, stronzetto? Chi cazzo pensi che adesso ripaghi tutti i danni?”
Roxas si lasciò scappare un gemito strozzato e si divincolò dalla presa, o meglio, Seifer lo lasciò andare. Sul suo sguardo più freddo dell’Antartide brillò un bagliore di pura follia.
“Rispondimi, Roxas. I bambini cattivi vanno puniti, vero?”
Roxas abbassò il capo e nascose gli occhi dietro la sua frangia ribelle “Sì”
“Capo, cosa vuoi fare?” dietro di loro Rai si scambiò un’occhiata con Fuu e cercò di avvicinarsi ai due per sedare la cosa “Non penso che sia una buona idea-”
Seifer però intimò ai due di far silenzio e si avvicinò di nuovo al volto del più giovane.
“E tu sei un bimbo cattivo, vero?”
Roxas inspirò e sentì il corpo irrigidirsi come un pezzo di marmo.
“Avanti, Rox, non fare il cattivo bambino… non vuoi mica far rattristare la mamma?”
Serrò gli occhi e si strinse nelle spalle.
Perché lei e non io?
“Allora mammoletta” Seifer lo strattonò di nuovo “Sei un bimbo cattivo?”
“Sì”
Prima che potesse fare qualcosa, un colpo secco gli mozzò l’aria dai polmoni e un dolore pungente gli si irradiò per tutto il petto. Non ebbe però il tempo di realizzare di aver appena ricevuto un pugno che un altro contribuì a smorzargli l’aria dai polmoni.
Seifer da parte sua sapeva che Roxas non c’entrava nulla, non aveva motivo di prendersela con lui, ma era stanco ed esasperato.
E Roxas capiva.
Tutti avevano bisogno di uno sfogo.
Forse non meritava quel trattamento perché in fin dei conti non era stata colpa sua se il suo torneo di struggle era stato interrotto in quella maniera, però quei pugni e quei calci sarebbero stati la punizione per tutto il dolore che aveva causato. Se suo padre non lo aveva mai sfiorato, forse per pietà, adesso era stato Seifer a prendersi la rivincita.


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Axel lanciò un’ultima occhiata decisa allo scaffale davanti a sé e pensò che forse adesso Demyx si stava prendendo un po’ troppe libertà con lui. Prima diceva di voler fare il suo mentore, poi lo trascinava in una comunità di volontariato e infine lo aveva mandato a fare la spesa.
“Ma che sarà mai sto latte di riso? Quel ragazzo deve complicare qualsiasi cosa” bofonchiò di cattivo umore salendo in macchina dopo aver messo le buste nel cofano e ripensando che aveva buttato quasi mezz’ora della sua esistenza a cercare quel dannato tipo di latte.
Il sole era in procinto di calare e i rossi raggi che avevano inondato la città creavano un netto contrasto con le ombre degli edifici. Il tramonto era la parte della giornata che ad Axel piaceva di più perché l’atmosfera suggestiva che si veniva a creare riusciva a rendere mozzafiato anche la bettola più squallida.
Saltò un semaforo rosso e non si fermò a uno stop.
Non è che non avesse qualcosa imminente da fare, ma gli piaceva trasgredire le regole e anche le cose più stupide come ignorare il codice stradale nella città paticamente vuota lo faceva sentire bene con se stesso. Il vento fesco che entrava dal finestrino abbassato gli spettinava dolcemente le ciocche ribelli e poggiò un braccio sulla portiera mentre continuaga la sua guida rilassata.
Lanciò un’occhiata all’orologio e constatò che non era tardi, forse un’altra birretta riusciva a strapparsela. Il silenzio del suo tranquillo tragitto in macchina fu interrotto da un coro di grida confuse, non erano molto lontane, dovevano forse appartenere a qualche bambino che si era fermato a giocare nel parco lì vicino. Ma qualcosa entrò nella visuale del rosso e senza ulteriore indugio accostò la macchina al marciapiede e scatto in piedi.
C’erano tre ragazzi ben piazzati che correvano a gran velocità nella direzione a lui opposta e a terra invece era rimasto un ragazzino. Una faccia conosciuta, realizzò mentre correva verso di lui senza neanche aver comandato le sue gambe di farlo. Aveva lasciato il motore acceso e la portiera aperta, ma poco importava perché quando aveva riconosciuto Roxas al suolo la sua testa si era immediatamente sgomberata da tutti i pensieri.
“Roxas!” gridò inginocchiandosi al suo fianco. L’espressione del biondo era rotta dal pianto che gli rigava le guance e il suo corpo era scosso da violenti fremiti “Roxas cos’è successo? Che ti hanno fatto quegli stronzi?” disse spostando lo sguardo dal biondo al posto in cui aveva visto i ragazzi sparire e poi di nuovo sul ragazzo. Con una mano gli pulì un rivolo di sangue che gli stava scendendo dal labbro ferito.
Roxas lo afferrò con una mano tremante e gli bloccò il braccio a mezz’aria.
“Nie-niente…” singhiozzò strizzando gli occhi chiusi “Lui… lui non ha fatto niente”
“Riesci ad alzarti almeno? Ti fa male qualcosa?” il rosso studiò il viso e le braccia piene di lividi ed escoriazioni ma l’altro scosse il capo.
“Il dolore fisico non è niente in confronto a quello che provo dentro”
Quelle parole colpirono il più grande come un filmine a ciel sereno, e parlò flebilmente, come se avesse paura di sapere “Cosa intendi?”
Le lacrime non smettevano di scendere dal volto livido di Roxas ma questo non impedì a un sorriso tirato di formarvisi.
“Il senso di colpa, Axel… di essere il responsabile della morte di mia madre”



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L'Uno e la Diade: sono i principi primi e supremi secondo Platone. L'Uno è il Bene, la Diade è il principio di molteplicità, la realtà sensibile delle cose, e di cui fa parte anche il male.
Demiurge (demiurgo): è una figura descritta da Platone e rappresenta un divino artigiano che progetta il mondo e riesce a plasmare gli eventi secondo il proprio volere usando solo le Idee e la materia a disposizione.

* Makomé M'Bowolé, omicidio realmente accaduto il 6 aprile 1993 nel commissariato di polizia del XVIIIe arrondissement a Parigi. Il ragazzo, fermato la sera prima per spaccio di sigarette, ammanettato e minacciato con una pistola, fu ucciso all'alba da un poliziotto. Il giorno successivo davanti al commissariato sono arrivarono centinaia di persone, inizialmente doveva essere una manifestazione pacifica ma poi scoppiò la violenza, e per diverse ore il XVIII arrondissement fu preda di violenti scontri.

Crossroads è veramente un'associazione no profit


Qualcuno si ricorda ancora di me?
Perdonate la mia lunghissima assenza su questo sito ma il periodo esami è lungo e tortuoso e io li ho quasi terminati tutti (yay!) quindi in estate potrò sicuramente fare un paio di aggornamenti, dato che passerò molto tempo in solitudine per un insieme di fattori che neanche vi dico...il primo tra tutti è che sono sfigata, e semmai mi prendessero a lavorare ad agosto potrei esserlo ancora di più.

Dunque, tornando a noi, se devo dirvi che sono soddisfatta di questo capitolo vi mentirei. Non capisco perché ma i miei secondi capitoli sono sempre un po' mosci, non succede niente di che... avevo in mente di presentare un po' del passato di Axel o Roxas ma le mie mani che scrivevano evidentemente non hanno voluto così. E ora ricominceremo la tiritera dell'altra fic in cui in ogni capitolo io e i lettori ci lamentavamo che le varie spiegazioni slittavano sempre a quelli successivi.
Okay.
No seriamente, per questa fic ho messo da parte un po' di thriller e suspance, quindi non lasciatevi ingannare da questi capitoli, a mio avviso, inconsistenti perché chi mi conosce sa che prima o poi potrebbe arrivare qualche colpo basso u.u.
Prima di passare avanti volevo avvisarvi che nella storia ci sarà anche una sottospecie di threesome molto platonica, sì mi piace complicarmi la vita.


Ringraziamenti Time <3
Grazie di cuore a:

Kronohunter25, il mio beta, che mi aiuta a sviluppare la storia e asseconda sempre con gran coraggio tutti i miei piagnistei su quanto io non sappia scrivere ecc ecc. Questo ragazzo è un santo.

harrysdimples
RainXSmile
Breathing Space
League of Kairi
Hope_Estheim
per i vostri commenti, senza di voi penso che mi sarei scoraggiata e non avrei mai continuato a scrivere la fic.

Breathing Space
chaos control3
comewhatmay
harrysdimples
Hope_Estheim
iris dedivitiis
League of Kairi
RainXSmile
Resha_Stark
per i preferiti e le seguite.

Grazie a chi mi ha contattato in mp, chi mi ha scritto messaggi dolcissimi che mi hanno quasi commosso e chi mi ha recensito il capitolo lì o su fb perché timidi. Dovrei avervi ringraziati tutti a tempo debito, perdonatemi ma non ricordo tutti >-< (ecco perché vi chiedo di scrivermi nei commenti)

Grazia anche a chi ha letto e chi deciderà di spendere un millesimo della propria giornata lasciando un piccolo commento per far felice l'autrice depressa.... che scrive di notte dopo aver finito di studiare pur di sfornarvi un nuovo capitolo.
Il prossimo aggiornamento sarà Summer Paradise o Viva la Vida.
Arrivederci e buone vacanze a tutti :3

   
 
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