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Autore: mamma Kellina    05/07/2015    10 recensioni
Primi anni del Novecento. Il mondo sta cambiando, ma le contraddizioni nate dal vecchio che stenta a morire e dal nuovo che fatica a nascere sono sempre più evidenti. Angela e Fabrizio sono figli del loro tempo dal quale sono pesantemente condizionati: timida e repressa da una rigida educazione lei, libero e insofferente alle costrizioni lui. Sono incompatibili e la loro unione sembra destinata a fallire. Eppure, nonostante le influenze del mondo esterno e i loro stessi errori, alla fine le loro anime si riconosceranno e sarà vero amore. Però non sarà facile perché:
… chi si conosce tanto a fondo da sapere chi è in realtà? Siamo tutti così. Però, anche se sembriamo solo alberi sbattuti dal vento, nel profondo le nostre radici stanno cercando a tentoni la strada nella terra per diventare più robuste e permetterci di resistere alle intemperie della vita …
Sullo sfondo di Napoli, Acireale, Firenze, Parigi, attraverso tanti personaggi, tutti di fantasia, ma che si muovono in un contesto storico ricostruito con grande cura sia per quanto riguarda avvenimenti realmente accaduti che personalità veramente esistite, un viaggio indietro nel tempo ricco di passione, di tradimenti, di gioia e di dolore, che spero possa essere appassionante ed avvincente.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Dopo il chiarimento avvenuto tra loro, si sentivano entrambi rasserenati e pieni di una strana gioia che li faceva sentire allegri come bambini.
- Adesso mi porti a mangiare perché ho fame – gli disse Angela dopo un po’ che giravano.
- Ancora? Ma se hai mangiato un dolce enorme appena qualche ora fa! Prima costavi molto di meno, mia cara, adesso ci vuole un capitale per sfamarti, altro che gioielli – scherzò Fabrizio.          
Lei, per tutta risposta, gli fece una smorfia.
Erano felici di stare insieme e quasi come se non avessero avuto un passato e non ci fosse nemmeno un futuro, godevano solo il meraviglioso presente del momento che stavano vivendo.
Fabrizio aveva deciso di portarla a pranzo in un ristorante alle Cascine che conosceva bene, ma non appena scesero dalla carrozza, l’innata curiosità di Angela le fece vincere la stanchezza e l’appetito. Volle visitare anche il parco che incominciava a tingersi dei colori dell’autunno.
Stretta sottobraccio a lui se ne fece raccontare la storia, ascoltando interessata tutto quanto le diceva. Gli chiese di inventare qualcosa per lei, ma non ce ne fu bisogno perché  giunti dinanzi al Monumento al Principe Indiano, Fabrizio le raccontò, con la sua consueta abilità di affabulatore,  la vicenda dello sfortunato giovane di appena vent’anni morto durante una visita a Firenze e dei  suoi genitori che avevano fatto erigere quella scultura commemorativa proprio nel punto in cui ne erano state disperse ceneri alla confluenza del Mugnone e dell’Arno. Commossa, lei gli si strinse forte. Gli teneva il viso appoggiato sul braccio ed era così tenera che fu davvero tentato di abbracciarla. Se non lo fece, fu solo perché erano accanto a un’allegra brigata in gita di piacere.
Dopo, durante tutto il pranzo, non smise mai di guardarla. Gli piaceva troppo: in lei ritrovava la consueta grazia e una nuova vivacità, senza contare che era sbocciata alla bellezza come un fiore. E poi aveva sempre adorato il suo modo unico di saperlo ascoltare, la sua dolcezza, la sua enorme intelligenza. Più volte aveva allungato la mano sul tavolo per prendere quella di lei e ogni volta Angela glielo aveva lasciato fare. Spesso lo aveva guardato con un sorriso e un’espressione di enorme affetto.
Anche lei si sentiva felice. Era bellissimo stare con Fabrizio e ogni volta che poteva, lo osservava con attenzione, come a volersi imprimere nella mente ogni particolare di quel volto adorato, soprattutto gli occhi che talvolta le sembravano assai tristi. Quando le sorrideva però s’illuminavano d’azzurro come il cielo quando appare all’improvviso in uno squarcio tra le nuvole.
Era giunta alla conclusione che non poteva rinunciare a lui, avrebbe dovuto continuare a vederlo. Non le importava se il loro matrimonio sarebbe stato sciolto, in quel momento, più che mai,  aveva la certezza che tra loro poteva nascere qualcosa di grande e vero: un nuovo amore che potevano vivere entrambi liberandosi dalle catene del passato.
Trovò una scusa per prepararsi il terreno.
- Domani dovrò partire – gli disse – però questa città mi piace tanto e ne ho veduto troppo poco. Ti dispiacerebbe se tornassi qualche volta e ti chiedessi di farmi ancora da guida?
- Certo che no. Soltanto potrei andare a Roma dopo le elezioni. Almeno lo spero.
Lei non poteva arrendersi per così poco.
- Oh, è naturale! – lo rassicurò con un sorriso -  Ma tutto sommato conosco poco anche Roma. Vuol dire che mi farai da guida lì e Firenze la vedrò da sola. Ci sono tanti posti belli da visitare. Io non mi stancherei mai di vedere città nuove.
- Lo so, l’hai sempre detto. Ti ricordi quanti viaggi dovevamo fare insieme?
- Già, però io non ho rinunciato, anche se mi sarebbe piaciuto di più farli con te che condividi la mia stessa passione.
Le era passata un’ombra di malinconia sul viso. Fabrizio ne fu turbato. Si dimenticò ogni prudenza e le chiese:
- Lo so che sei diventata una donna emancipata, ma qualche volta ti capita di ricordare quel periodo? Io lo faccio molto spesso e mi pare di non aver mai vissuto niente di altrettanto bello in vita mia.
La donna spalancò gli occhi dallo stupore.
- Dici sul serio?
- Sì.
Furono interrotti dal cameriere che portava il conto. Costui si mise ad osservare Angela quasi sfacciatamente, come d’altronde aveva fatto ogni volta che aveva portato una pietanza in tavola. Fabrizio, con un’aria tra il divertito e il distratto, mentre prendeva il denaro dal portafoglio si decise a dirgli:
- Ebbene sì, Raimondo, non ti sbagli: è proprio lei, mia moglie.
L’uomo si mostrò un tantino imbarazzato e si affrettò a scusarsi. Ad Angela che lo guardava stupita, spiegò:
- Deve sapere, signora, che io mi sono sempre vantato di essere un gran fisionomista tant’è che faccio anche delle gare con i miei amici. Ma oggi mi sono sentito davvero in difficoltà: ero sicuro di averla già veduta anche se non mi ricordavo dove.
- Al caffè Paskowsky – disse Fabrizio, poi rivolto alla moglie precisò – Era il cameriere che ci servì quella volta che venisti a Firenze.
- Oh! – esclamò la donna – Sul serio siete molto fisionomista, è passato tanto tempo e poi allora ero reduce da una brutta malattia.
- Ecco, deve essere per questo che non l’ho riconosciuta subito. Comunque mi permetta di farle i miei complimenti per il suo aspetto attuale. È diventata davvero bella se, con il permesso di suo marito, posso permettermi di dirlo.
- Già, il permesso! Come se non lo sapessi che sei un rubacuori… – scherzò Fabrizio con un sorriso cordiale. Poi fece strada ad Angela e uscirono a riprendere una carrozza.
Appena vi si furono seduti, lei gli confidò:
- Che vergogna, come avrò fatto allora a presentarmi in quello stato pietoso? Davvero dovevo sembrare uno di quegli uccellini brutti e spelacchiati appena caduti dal nido. Chissà come ti ho fatto impressione.
Fabrizio le rispose, serio.
- Non dire sciocchezze. Neanche immagini la tenerezza che mi facesti.
- Come no, tenerezza! – commentò lei con ironia.
- Certamente. I giorni successivi non ho fatto altro che pensare a te, a come stavi male, di sicuro per colpa mia. Avrei voluto dirti quanto ti volevo bene e come le lettere che mi avevi mandato in quel lungo anno erano state importanti per me. Per questo ho continuato a scriverti anche quando tu ormai non mi rispondevi più, non certo per narcisismo.  È vero, non chiedevo di te, ma solo perché avevo paura di ferirti, magari avresti dovuto parlarmi della tua malattia o delle tue sofferenze e non ti andava di farlo, però volevo farti sapere che ti ero vicino e ti pensavo sempre.
- Sì, però intanto ti eri innamorato di Elena.
- No, quello non era amore, te lo giuro. Non lo so neanche io cosa fosse, forse abitudine, forse solo l’esigenza fisica di una donna, ma l’idea di dover perdere anche quel sottile legame che mi univa a te mi faceva star male. Non mi crederai, ma ho esitato tantissimo prima di chiederti di annullare il nostro matrimonio.
- In fondo,  come dicevi nella tua lettera, il nostro non è mai stato un vero matrimonio e poi il nostro legame era troppo sottile perché potesse bastare ad entrambi – osservò Angela.
Mentre parlava, lo guardava seria. A lui parve di leggere un rimprovero in quello sguardo perciò non proseguì il discorso e cambiò argomento.
Angela però stava pensando alle parole di Jeanne quando le aveva raccontato di essersi vista con gli occhi di Fabrizio. Possibile che avesse avuto ragione la sua amica a dirle che era stata una sciocca? Se così fosse stato, allora quella in torto era stata lei a non rispondere alle lettere. Forse, se l’avesse fatto, a poco a poco l’affetto del marito si sarebbe trasformato in amore e avrebbero potuto ricominciare, prima che si legasse a quell’altra. E se la causa di tutte le proprie sofferenze fosse stata solo lei stessa? Ora però era troppo tardi per tornare indietro.
- Senti – gli propose – alla tre devi andare a vedere la sala per domani. Perché non mi porti a casa tua invece di accompagnarmi in albergo e poi venirmi a riprendere? Il Tribunale Ecclesiastico è a due passi dalla tua abitazione o mi sbaglio?
- No, non ti sbagli, ma davvero verresti su da me?
- Perché no?  Mi farebbe piacere vedere dove vivi.
- Ti avverto, non è la tua villa di Acireale.
- Che m’importa.  Andiamoci lo stesso.
- Va bene. Tutto sommato hai ragione: è tardi ed è inutile andare fino all’albergo. Solo speriamo che non ci sia l’arpia.
Appena scesi dalla carrozza e imboccata via dei Calzaiuoli, Angela si affrettò ad informarsi.
- Chi è l’arpia?
- La portinaia nonché mia padrona di casa. È un persona terribile, ma forse lo sarebbe di meno se invece di farla aspettare sempre per pagarle l’affitto avessi continuato ad elargirle sostanziose mance come per il passato. Chissà cosa sarà capace di dire adesso che mi vede salire su con una donna. È molto severa, sai, certe cose non le ammette.
- E tu dille che sono tua moglie, lo stai facendo con tutti perché non dovresti farlo con lei?
- Giusto e poi è anche vero, per adesso sei ancora mia moglie e potresti anche restarlo: non è detto che la Sacra Rota ci conceda l’annullamento. Ti dispiacerebbe?
- Cambierebbe ben poco – commentò lei con un’alzata di spalle, lasciandolo un po’ incerto sul vero significato di quelle parole.
Fortunatamente “l’arpia” non era in guardiola e i due giovani si avviarono per le scale. Arrivati al quarto piano la ragazza però aveva il fiatone.
- Ma si può sapere dov’è che abiti?
- Prima abitavo al secondo piano, poi sono dovuto passare al sesto. È  quasi una soffitta, ma è molto economica.
- Perché non mi hai fatto sapere le tue difficoltà? Avrei potuto aiutarti – gli disse senza pensare che si sarebbe potuto offendere.
Fabrizio non si offese, però si affrettò a precisare:
- Davvero credi che avrei potuto accettare denaro da te? Non l’avrei mai potuto fare, neanche ridotto alla miseria.
- Ma perché sei così stupido? Che ci sarebbe stato di male?
- Non voglio niente da te.
Si accorse di essere stato troppo brusco  e aggiunse:
- Non è necessario, c’è Fabio Sarrerzi che ci pensa.
- Insomma, si può sapere chi è costui?
L’uomo sorrise senza risponderle. Erano arrivati e aprì la porta. Agli occhi di Angela si presentò un piccolo cucinino. Sul lavabo di gres c’erano quattro piatti lavati e un pentolino, accanto un fornellino a spirito e una grossa stufa a carbone con sopra un paiolo di rame che doveva servire a scaldare l’acqua. Un piccolo tavolo e un mobiletto di legno dipinto d’azzurro completavano l’arredamento. Sulla destra, in uno stanzino, ci doveva essere il gabinetto e prima che lui ne chiudesse la porta, riuscì ad intravedere un semicupio di ferro. La guidò nell’altra stanza, anch’essa arredata miseramente con un armadio con lo specchio, un sommier con un copriletto a fiori accostato al muro e di fronte una scrivania ingombra di carte. C’era però una bella finestra grande dalla quale entrava l’aria pulita di ottobre e il sole che inondava la stanza. Angela corse ad affacciarsi: sopra i tetti si scorgeva  il blu del cielo solcato dal volo degli uccelli  e si udiva la campana del Duomo.
- Che bello qui!
- Sì, c’è quasi lo stesso panorama che si vede dalla tua villa – le rispose ironico mentre apriva l’armadio per prendere una giacca più leggera perché quel giorno faceva caldo – Mettiti comoda se vuoi, io farò presto.
Quando si voltò si rese conto che Angela, con la massima naturalezza, si era già sfilata le scarpe con i tacchi. Le si avvicinò alle spalle mentre era intenta a guardare i fogli sulla scrivania e nel frattempo si toglieva anche il cappello.
- Ecco, mi sembrava di ricordare che eri più piccoletta – le disse afferrandola per i fianchi e traendosela contro.
- Già, non bastavano i busti, adesso ci volevano anche le scarpe con il tacco.
- Cos’è, non ci hai preso gusto a “travestirti da contessa”?
Lei si voltò a guardarlo al disopra della spalla e gli fece con una smorfietta allegra.
- In confidenza? Lo detesto sempre.
- Per questo non hai messo quella roba in faccia oggi?
- Secondo Maria e Lucia con cipria e rossetto sembravo una donnaccia o una suffragetta. Ho pensato fosse meglio non dare impressioni sbagliate ai prelati che incontreremo tra poco.        
All’improvviso cambiò argomento:         
 -  Che sono tutti questi racconti?
Ne prese uno e ne lesse il titolo “Il figlio della colpadi Fabio Sarrerzi. Restò un attimo a pensare e, giunta alla conclusione, esclamò con l’aria di chi ha fatto una grossa scoperta:
- Ecco chi è, sei tu stesso!  Fabio Sarrerzi è l’anagramma di Fabrizio Serra.
- Ci sei arrivata finalmente! – la prese in giro con una risata. La strinse più forte a sé e la costrinse a girarsi verso di lui – Chi credevi fosse questo signore?
- Non lo so, un amico forse.
- Infatti lo è. Pensa che passa nottate intere a scrivere questi raccontini che piacciono tanto alle modiste, alle sartine e alle studentesse romantiche. Se non fosse stato per lui, sul serio avrei fatto la fame. Se vuoi, puoi leggere qualcosa mentre sono fuori, può darsi che gli intrighi e gli amori clandestini piacciano anche a te. Io torno tra  circa un’ora.
Dopo averle posato un bacio sulla fronte, se ne scappò al suo impegno.
Incontrò Elena che, piuttosto acida, non mancò di chiedergli:
- Che c’è, sei ritornato con tua moglie? È  tutto il giorno che incontro gente che mi riferisce di averti veduto con lei.
- Non sono tornato con lei – le rispose con un’espressione impenetrabile sul viso -  È venuta qui perché abbiamo l’udienza al Tribunale Ecclesiastico.
- Ma davvero? – sbottò la donna, sarcastica - Certo, avete una bella faccia tosta tutt’e due ad andarvene a braccetto a cuore a cuore lo stesso giorno che dovete andare a chiedere l’annullamento del matrimonio. Non vi vergognate? Però non è di te che mi meraviglio, incongruente come sei è anche naturale.  Ma lei? Non era una donna molto pia? Non lo sa che così facendo compie peccato mortale?
Qualcuno interruppe la loro conversazione e non tornarono più sull’argomento.
Mentre più tardi si ritirava, Fabrizio non riusciva a smettere di pensare alle cose che gli aveva detto la sua antica amante. Anche se le parole erano state dettate forse dal rancore, le osservazioni  di Elena erano più che giuste. Cosa sarebbe andato a raccontare alla Sacra Rota? Era vero, il matrimonio era stato forzato, ma dopo si era affezionato ad Angela e anche se l’aveva tradita, non per questo aveva mai smesso di volerle bene. Adesso poi quel tenero sentimento si era trasformato addirittura in un amore travolgente che non gli dava tregua. Per tutto il giorno aveva  cercato di manifestarglielo e anche se lei si era dimostrata affettuosa e dolce, non aveva mostrato di ricambiarlo. Forse desiderava rendersi libera. Il suo dovere allora restava quello di dire la verità, perlomeno per quanto riguardava il passato. Adesso, se le cose erano cambiate, doveva tenerselo per sé e soffrire in silenzio.
Rassegnato ad affrontare quella penosa incombenza, aprì la porta con le chiavi e la chiamò per non farla spaventare. Pensò che dovesse essersi addormentata perché non gli rispose. Entrò nella stanza e la vide distesa sul letto, un braccio sul cuscino e la testa appoggiata sopra.  Si era tolta il tailleur restando in sottana ed era assorta a leggere. Fabrizio riconobbe la cartella di cuoio rossa.
- Cosa stai leggendo? – le chiese avvicinandosi al letto.
Lei sussultò: presa dalla lettura non lo aveva nemmeno sentito entrare. Arrossì un poco poi gli rispose:
- Scusami, ma Fabio Serrarzi  proprio non mi va giù. Questo invece l’hai scritto tu, non è vero?
Fabrizio sorrise divertito, stando allo scherzo, mentre si sedeva sul letto accanto a lei.
- Che meraviglia: hai scritto la storia di Maddalena e di Emanuele! È bella, lo sai? Perché non l’hai finita?  - proseguì, sinceramente ammirata da quel racconto appassionato.
- Perché non si sa come andò a finire.
- Nella realtà sì, è così, ma la Maddalena e l’Emanuele del tuo libro non sono quelli veri. Questi li hai creati tu, sei tu che hai dato loro i pensieri, le emozioni. Sei il loro dio, il loro karma, il loro destino, chiamalo come vuoi, ma questa volta sei proprio tu che puoi decidere come andrà a finire.
- Si vede che allora sono ancora più confuso del destino stesso. Non so cosa fare: farli scappare in una terra lontana dove farli vivere felici e contenti? Oppure farli morire da eroi in nome del sogno di libertà e di amore che entrambi avevano vissuto? O ancora meglio, lasciare che vadano ognuno per la propria strada perché l’amore è finito per sempre e si sono resi conto che è stato soltanto un’illusione che li ha lasciati con l’amaro in bocca?
La guardava con ansia mentre diceva quelle parole. Forse avrebbe potuto leggerle negli occhi i suoi veri sentimenti. Ma Angela teneva il capo chino mentre risistemava i fogli per rimetterli nella tasca della cartella. Se ne stava pensosa senza dire nulla. Con un sospiro Fabrizio si alzò.
- Su – le disse – vestiti, altrimenti facciamo tardi.
Si stava allontanando per lasciarla sola quando la sentì dire: “E questa cos’è?”. Girandosi vide che aveva in mano la lettera che le aveva scritto tanto tempo prima. Con uno scatto le si avvicinò per prendergliela, ma lei l’aveva riconosciuta e non intendeva mollarla.
- È  la lettera che mi arrivò quando stavo a Parigi! – esclamò -  Ora la leggo.
Lui cercò di prendergliela.
- No – protestò – non l’hai fatto allora e non lo farai nemmeno adesso.
- E perché no? È  mia, è indirizzata a me e visto che non l’hai buttata, vuol dire che la posso ancora leggere.
Fabrizio non ricordava le esatte parole che aveva scritto, ma rammentava che in quella lettera c’era tutto il suo amore e tutta la sua anima messa a nudo. Non gli andava di mostrargliela ora, quando magari avrebbe potuto aggiungere il disprezzo di lei all’amarezza di quello che stavano per fare. Cercò ancora di afferrarla, ma la donna proprio non voleva cedere. Ridendo divertita da tanto accanimento, si divincolava e per impedirgli di afferrarle la mano che teneva stretta la busta ancora chiusa,  si stese supina e se la mise dietro la schiena, mentre con l’altra lo respingeva perché lui provava farla girare. Lottarono per un po’, ridendo a quel gioco, e forse fu per i loro visi così vicini o per il contatto dei loro corpi che si sentirono ben presto turbati. Smisero di lottare e rimasero a guardarsi pieni di desiderio fin quando Fabrizio non riuscì più  a resistere e incollò la bocca su quella di lei. Durante quel bacio dolcissimo Angela lo cinse forte tra le braccia. Quando la mano di lui le sollevò la gonna cercando la morbidezza della carne, lo strinse forte, mormorandogli come impazzita:
- Sì, sì, ti prego!
Avvertiva una strana sensazione, come se i vestiti le bruciassero addosso e solo il contatto con la pelle di lui potesse darle sollievo. Incominciò a spogliarsi, quasi strappandoseli e rise felice nel vedere le mani del suo amore che tremavano di eccitazione mentre l’aiutavano a slacciare il corpetto e a spogliarsi a sua volta.
Ben presto furono liberi e potettero godere della loro stretta, dei baci reciproci, delle carezze e finalmente dell’amore a cui si abbandonarono, incuranti di tutto, anche della campana che suonava e del vento che dalla finestra aperta accarezzava i loro corpi uniti. Dopo rimasero abbracciati nel piccolo letto che a stento conteneva la mole di quell’uomo grande e grosso che doveva tenere ben stretta la compagna per non farla cadere. Lei però ne era contenta perché accostata a lui  ne sentiva il profumo e ne avvertiva il battito del cuore.
- Che ore sono? – gli chiese dopo un po’.
- Non lo so. L’orologio è nel panciotto e il panciotto deve essere a terra. Non posso prenderlo: se mi muovo finisce che cadiamo tutt’ e due.
- Lo prendo io – disse Angela.    
Si voltò di scatto, ma davvero sarebbe caduta se Fabrizio non l’avesse trattenuta con il braccio. Risero entrambi, felici.
Angela guardò l’ora.
- Mio Dio sono già le cinque e mezza! Siamo già in ritardo di mezz’ora – esclamò.
Fabrizio la guardò, un po’ stupito che ancora pensasse a quella cosa, ma poi decise di buttarla sullo scherzo:
- Non ti preoccupare, adesso andiamo lì e ci giustifichiamo. Basterà dire a quei severi giudici ecclesiastici che abbiamo fatto tardi perché eravamo troppo occupati a fare all’amore
- E visto che ci siamo, gli diciamo pure che lo facciamo ogni volta che ci incontriamo -  aggiunse Angela con un sorrisino malizioso.
- Ah no, questa è una bugia e le bugie non si dicono! L’ultima volta che ci siamo visti non l’abbiamo fatto.
- Soltanto perché sono arrivati Alberto e Giuseppe. Forse non te ne rendesti conto, amore mio, ma stavo per saltarti addosso.
- Veramente stavo per farlo io – le disse e l’abbracciò stretta.
Lei gli nascose il viso nell’incavo della spalla. Se non fosse stato per il leggero solletico che gli fece il suo respiro quasi non si sarebbe accorto che stava parlando tanto la sua voce era un sussurro appena appena udibile.
- Io non voglio andarci in quel Tribunale, voglio continuare ad essere tua moglie…
All’improvviso Angela sembrò preoccuparsi di quello che gli aveva detto e lo guardò negli occhi mentre lui le carezzava il volto e le sorrideva con dolcezza.
- Non ti darò fastidio,  ti lascerò libero, potrai fare quello che vorrai, non sentirai il mio peso, te lo giuro! – cercò di rassicurarlo quasi senza riprendere fiato -  Non mi fraintendere ancora, però: io voglio essere tua moglie non perché ho bisogno di un marito, solo perché ho bisogno di te.
- Quando ti avrei frainteso? - le chiese Fabrizio, corrugando la fronte perplesso.
Purtroppo lei non fece in tempo a rispondergli che dei forti colpi bussati alla porta li fecero sussultare entrambi.
- Aspettavi qualcuno? – gli chiese Angela mentre si tirava addosso il lenzuolo.
- Deve essere Pino. Doveva portarmi a leggere la bozza del volantino che distribuiremo  domani, ma avevo pregato l’arpia di prenderla lei. Si vede che mi ha visto rientrare e non si è presa il fastidio.
Intanto i colpi continuavano, più forti ancora.
- Va’ ad aprire.
- No, lascialo perdere, ci stiamo dicendo delle cose importati.
- Ce le diciamo dopo, io non riesco a parlare con quello lì che bussa.
- Si stancherà.
Intanto i colpi non smettevano
- Accidenti! – sbottò assai arrabbiato, ma si alzò e si affrettò a indossare i pantaloni – Conosco bene quel rompiscatole: non demorde. È tenace e noioso e mi ci vorrà almeno un quarto d’ora per togliermelo di torno.
- Non fa niente. Ti aspetto.
- Non ti muovere, mi raccomando.         
Si chinò a  darle un bacio su una guancia.
- E dove vuoi che scappi?
- Non lo so, ma c’è la finestra aperta e dato che sei un angelo, potresti anche volartene fuori.
- No, non sono un angelo, solo sono una povera donna e qui stiamo al sesto piano. Mi conviene aspettarti. Fai presto però.







NdA
Chi mi conosce sa che nelle storie che scrivo nessun elemento è mai inserito per caso, ma tutto ritorna, tutto assume un suo significato. Mi piace molto farlo perché mi dà la sensazione di avvicinarmi un poco di più alle cose che capitano nella vita reale. Ed ecco allora che quella lettera che Fabrizio scrisse prima di Natale (era il capitolo 27) e che nel capitolo successivo Angela si ostinò a non leggere, ritorna e diventa lo strumento per sbloccare la situazione di stallo che si è venuta a creare tra loro. E’ vero, c’è stata la pausa forzata a causa di quei colpi alla porta, ma vi assicuro che è stata voluta solo per preparare il gran finale del capitolo successivo.  Non ho molto altro da dirvi, oramai, spero solo che mi darete fino all’ultimo l’appoggio con il quale avete accompagnato questa storia dall’inizio e che il classico lieto fine che è ormai alle porte, senza essere banale o melenso, possa essere di vostro gradimento.
Ultima immagine: il monumento al Principe Indiano delle Cascine. Anche  con queste foto antiche spero di aver reso un po’ l’atmosfera per meglio immedesimarsi nei luoghi e nell’epoca di cui ho parlato.




A domenica prossima, ultimo appuntamento.   
 
   
 
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