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Autore: Lucyvanplet93    11/07/2015    2 recensioni
Sequel/prequel di "Insieme.", estratto della storia che mi sono decisa solo ora a pubblicare per intero.
Riprendo dalla fine del secondo film Di Captain America, con James impegnato nel recuperare i suoi ricordi e la sua vita passsata.
Durante una delle sue innumerevoli fughe dall'Hydra Il Soldato si imbatte in una curiosa ragazza che come lui sembra aver perso la memoria e che presto si rivela essere molto più intelligente e "pericolosa" di quel che sembra.
Insieme intraprenderanno un viaggio nel tortuoso ed insidioso sentiero dei ricordi, recuperando pezzi di loro stessi e completandosi a vicenda.
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Storia forse dall'inizio un pò banale, ma che mi sono impegnata a rendere il più "intricata" possibile.
CAPITOLO 9 DI AVVISO. AVVISO CHE VERRA' RIMOSSO NEL PROSSIMO AGGIORNAMENTO.
Genere: Azione, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tutto sommato la vita a Washington non era poi così male.
Nemmeno il lavoro all’ospedale lo era, in fondo la parte peggiore era l’ascoltare i vecchietti che si lamentavano degli acciacchi dell’età, le mansioni non erano eccessivamente pesanti, forse la cosa peggiore erano turni di notte stancanti e decisamente noiosi.
Certo l’ultima settimana era stata un inferno.
Tutti quei disastri e qui feriti avevano rischiato di mandare in tilt l’intero ospedale, dopo il crollo degli edifici del quartiere generale dello S.H.I.EL.D. e con tutti quegli scontri per le vie della città, l’ospedale era diventato un vero e proprio via vai.
Per chiunque sarebbe stato motivo di angoscia il continuo sfilare di vittime e feriti che continuamente passavano davanti alla postazione di Alexis, ma per le i non era così.
Anche se era una semplice receptionist, l’idea di potere aiutare qualcuno anche solo indirizzandolo dal medico giusto era un modo per sentirsi utile. Ammirava il lavoro dei medici, quasi invidiava la loro importanza nella società, lei non era certo il tipo da ambire ad una posizione elevata rispetto agli altri, ma le dispiaceva di non poter fare di più.
Era stata fortuna ad incontrare loro durante la sua convalescenza.
L’equipe di medici e infermieri che l’avevano seguita per quei lunghi mesi erano diventati una specie di famiglia per lei, era grazie a loro se aveva ottenuto quel lavoro all’ingresso del St Elizabeths Hospital e se era riuscita a ricominciare da capo in quel luogo a lei sconosciuto. L’avevano avvisata che la memoria avrebbe impiegato tempo a tornare, giorni, mesi, anni e che forse non sarebbe tornata affatto. Quello sembrava il suo caso.
Non che la vita di adesso non le piacesse, ma avvertiva quella strana sensazione di vuoto in mezzo al petto come se fosse incompleta.
Si era svegliata all’improvviso una mattina in quel letto d’ospedale con un mazzo di fiori sul comodino, senza sapere dove fosse e come fosse arrivata li, ma soprattutto, chi fosse.
L'unica cosa che le era rimasta del suo passato era quella targhetta di metallo, con il nome e la data di nascita incisi sopra.
Si sentiva come una pagina bianca, di una storia senza titolo e senza trama.
Anche se ora la sua vita poteva considerarsi abbastanza soddisfacente c’era sempre qualcosa che mancava, forse perché nessuno era mai venuto a cercarla, nessuno aveva mai chiesto di lei in tutti i quei mesi di ricovero. Alla fine aveva scoperto che i fiori freschi che trovava tutte le mattine sul suo comodino glieli portava la donna delle pulizie che si occupava di sistemare la sua stanza, anche quando era incosciente arrivata un giorno si e uno no con un mazzo di margherite appena comprate.
Alexis aveva deciso che quello sarebbe stato il suo fiore preferito da quel giorno, il suo nuovo primo ricordo e poi appena si sarebbe ripresa avrebbe offerto un caffè a quella donna.
La stessa che ora la stava salutando prima di entrare nell’edificio per cominciare il suo turno.
“Mi raccomando stai attenta quando torni a casa, è pericoloso per una ragazza come te andare in giro di notte a quest’ora!”
“Sta tranquilla Violet, andrò dritta a casa!”
Annuisce con un sorriso prima di bloccarsi sulla porta d’ingresso. “Ci vediamo domani allora?”
“Domani no, ho il giorno libero!”
“Oh, bene! Riposati allora ci vediamo la settimana prossima!”
Si strinse nel giubbotto di pelle prima di addentrarsi per le vie buie de quartiere, illuminate dalla luce artificiale dei lampioni che attiravano miriadi di insetti. Era stato un mese di agosto abbastanza piovoso e l’aria notturna era più fresca delle medie stagionali. Respira a fondo Alexis liberando un profondo respiro di sollievo nel respirare l’aria pulita che del piccolo parco che costeggia le mura dell’ospedale, prima di avviarsi verso la stazione metropolitana più vicina.
La periferia di Washington è facile da raggiungere grazie alla fitta rete della  metropolitana che si estende nel sottosuolo della città come un lungo serpente di metallo. Per Alexis ormai è diventato naturale muoversi per quelle vie intricate e piene di deviazioni, ha imparato anche come muoversi, evita i punti bui e si muove sempre alla luce delle numerose telecamere di sorveglianza.
Ascolta il suono dei suoi stessi passi sul marciapiede, provocato dagli stivaletti di pelle che indossa, l’odore di umido e di chiuso le solletica fastidiosamente le narici prima di essere spazzato via dalla folata di vento prodotta dall’arrivo dell’ennesimo treno della giornata.
Si siede come sempre dando le spalle al vetro dei finestrine all’interno del vagone, in modo da poter tenere sotto controllo tutto lo spazio che la circonda, senza nemmeno farci caso individua le vie di fuga rappresentate dalle porte elettroniche.
Non sa spiegarsi perché lo fa, ma sempre in qualsiasi posto si trovi il suo sguardo e la sua mente si assicurano di poter raggiungere l’uscita senza particolari problemi, in caso di emergenza, avere un punto di riferimento è una via di fuga è d’obbligo.
Gli appartamenti della zona residenziale di Logan Circle non erano di certo, l’ideale comune di lusso, ma per Alexis potevano bastare, con il tempo era riuscita a rendere quell’appartamento al pian terreno accogliente e confortevole, il suo stipendio le consentiva di vivere una vita moderatamente agiata e in quei tre anni era anche riuscita a mettere da parte un piccolo gruzzoletto non indifferente.
Era a quei soldi che stava pensando mentre saliva le scale che la portavano all’estero della fermata. Negli ultimi tempi aveva pensato spesso a come usarli senza però trovare mai una soluzione soddisfacente.
L’affitto di un nuovo appartamento, magari più grande? No. Stava bene dove stava e poi viveva da sola, quanto spazio le sarebbe dovuto servire in più.
Un nuovo Computer? Nemmeno. Per l’uso che ne faceva bastava il suo comodo portatile.
Una vacanza? Forse. Ma per andare dove.
Alla fine come ogni volta tutte le ipotesi venivano scartate con la stessa velocita con la quale le erano venute in mente.
E poi considerando il fatto che aveva lasciato al finestra della camera aperta prima di uscire magari non c’era nemmeno più niente da spendere.
Aprì la borsa davanti a portone prima di mettersi a frugare in essa alla ricerca delle chiavi di casa. Possibile che ogni volta la sua borsa diventasse sempre più profonda?
Afferrato il mazzo di chiavi nascoste sotto il portafogli e il piccolo -che poi tanto piccolo non era- ombrello da viaggio e con una leggera spinta varcò la soglia del palazzo a due in cui viveva da sola. La mansarda era della proprietaria, che proprio non voleva decidersi a ristrutturarla in modo da fornire un monolocale affittabile.
Le chiavi grattano all’interno della serratura che dopo pochi secondi scatta.
Uno spostamento d’aria mancata e Alexis si blocca all’entrata.
La finestra aperta dovrebbe far corrente e far muovere le tende, eppure è tutto troppo irrealmente immobile dentro quella casa.
Lo sente. C’è qualcun altro in quella casa.
Cercando di non produrre in benché minimo rumore, fruga di nuovo nella borsa alla ricerca del cellulare ed una volta afferrato si avvicina alla camera passando per il salotto ed afferrando il bastone d’acciaio posato accanto al caminetto, il buio della casa avvolge i suoi movimenti e la moquette attutisce il suono dei suoi passi rendendolo quasi impercettibile.
Nonostante la situazione non riesce a far tacere il suo istinto che le suggerisce di non essere in pericolo, qualcosa le impedisce di chiamare la polizia e incapace di fare altro continua ad avvicinarsi alla porta della sua camera da letto, la luce della luna entra dalla finestra filtrando dallo spiraglio della porta semichiusa, la apre piano pronta ad aspettarsi di tutto, ma nonostante gli innumerevoli scenari che si susseguono nella sua mente la scena che gli si para davanti agli occhi è assurdamente lontana da ogni sua più fantasiosa supposizione.
 
 
La massiccia figura svenuta di un uomo biondo con una specie di divisa militare occupava gran parte del letto, a completare il quadro già di per se surreale, ci pensava il suo vistoso braccio di metallo.
Chi diavolo ci faceva una specie di super soldato mezzo morto sul suo letto?
A giudicare dalla quantità di sangue che imbrattava le lenzuola la ferita all'addome dev'essere piuttosto grave.
Doveva portarlo all'ospedale o chiamare un'ambulanza, prima però doveva arrestare l'emorragia altrimenti non sarebbero arrivati da nessuna parte.
Raggiunse in fretta l'armadio, usando la sedia come scala per arrivare all'ultimo scaffale dove era custodito il kit per il pronto soccorso, corse il bagno saccheggiando l'armadietto per recuperare degli asciugamano puliti, disinfettante e una bacinella d'acqua.
Avrebbe dovuto togliergli quell'arnese che sembrava una camicia di forza, slacciò in fretta un paio di cinghie e almeno una dozzina di lacci, o almeno a lei sembrarono infiniti, finalmente riuscì a liberarlo da quella maledetta trappola in fibra di carbonio, che con un tonfo sordo cadde in un angolo del pavimento in cui l'aveva lanciata, osservò con occhio critico il bendaggio di fortuna alla ferita. Tutto sommato un lavoro abbastanza ben fatto considerando che doveva esserselo fatto da solo, non aveva sostituito le bende ne aveva anzi aggiunto delle altre sopra alle precedenti per bloccare l'emorragia, senza la giusta attrezzatura avrebbe solo peggiorato la situazione.
Si affrettò a controllate anche la spalla, leggermente gonfia e con un vistoso livido violaceo che si estendeva interamente al disopra della cuffia. Ad una prima osservazione sembrava solo lussata. A quella avrebbe pensato dopo, bastava immobilizzarla e metterci del ghiaccio, anche quella doveva essersela rimessa apposto da solo, sperava almeno di alleviargli il dolore con il ghiaccio.
Tornò a concentrarsi sulla ferita: Un colpo d'arma da fuoco, del proiettile non c'era traccia, avrebbe dovuti controllare la presenza di un eventuale foro di uscita e se non c'era...
Decise di non pensarci, doveva fare un passo alla volta. Si liberò delle bende gettandole nel cestino di fianco al comodino.
Con delicatezza, con fatica e il più lentamente possibile cercò di girarlo quel tanto che bastava per analizzargli la schiena.
Nessuna ferita, il proiettile era ancora dentro.
Doveva estrarlo con le dita.
Afferrò un paio di guanti in lattice ed inserendo indice e pollice all'interno del foro iniziò a cercare il bossolo.
Il soldato si irrigidì, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore.
"Ce l'ho quasi, resisti!"
Non poteva sbagliare doveva riuscirci al primo colpo, sospirò di sollievo sentendo sulle dita il metallo del proiettile che nonostante si trovasse all'interno del corpo di quell'uomo era freddo.
Estrasse il bossolo lasciandolo all'interno della bacinella di plastica del kit.
Afferro uno degli asciugamani puliti e lo usò per tamponare la ferita ed iniziando ad esercitare pressione su di essa.
Recuperò disinfettante e bende con una mano mentre con l'altra continuò a fare pressione sull'addome.
Controllò più volte che la perdita di sangue diminuisse d'intensità e soltanto dopo una decina di minuti abbondanti poté dedicarsi a disinfettarla e pulirla con cura, il tutto sempre il più velocemente possibile.
Applicò la prima medicazione fissandola con del nastro adesivo clinico, sistemò un paio di cuscini sotto la testa del soldato e sistemandosi in ginocchio sul materasso inizio a fasciargli il busto con della garza pulita, fisso le bende in modo che fossero ben salde, ma che allo stesso tempo che non lo fossero troppo da non ostacolare la circolazione.
Di seguito e senza e senza fermarsi, si occupò anche della spalla immobilizzandola con una fasciatura abbastanza rigida da impedirgli i movimenti, doveva tenerla ferma almeno per una settimana altrimenti sarebbe uscita di nuovo dal suo asse e a quel punto sarebbe stato necessario intervenire chirurgicamente.
Si bloccò sul posto di fronte ai suoi pensieri.
Perché sapeva tutte quelle nozioni di medicina? Quando aveva estratto il proiettile l'aveva fatto con una tale naturalezze che sembrava non aver fatto altro per tutta la vita.
Scrollo il capo colta di sorpresa da quei pensieri così assurdi e recuperò il ghiaccio dalla cucina per poi applicarlo sulla spalla. Controllò la temperatura corporea dell'uomo e rendendosi conto che sudava a freddo si affrettò a coprirlo. Doveva impedire che subentrasse uno stato di shock, perciò doveva scaldarlo altrimenti tutti i suoi sforzi per mantenerlo in vita sarebbero stati vani.
Cosa doveva fare ora?
Chiamare la polizia? Un'ambulanza?
Afferrò il cellulare da terra sbloccando lo schermo con un semplice tocco.
"Devo portarlo all'ospedale..." Mormorò, fra se e se.
"N... N-no..."
Alexis sobbalzò e voltandosi verso il corpo riverso sul suo letto incrociò il suo sguardo che lasciava appena visibile, eppure perfettamente distinguibile, l'incredibile azzurro dei suoi occhi.
"N-no... N... N-nie... Te... O... O-ospedale..." Rantolò a fatica con il fiato corto e strozzato.
"Va bene, va bene!" Si affrettò a rassicurarlo posando il telefono e avvicinandosi al letto. "Ma, ora non parlare, non sprecare energie..."
Lo vide chiudere gli occhi e tornare a respirare faticosamente.
Perché non voleva andare all'ospedale? Rischiava di morire.
Bagnò un asciugamano nell'acqua passandoglielo sula fronte.
E perché diavolo lei gli stava dando retta?
Si diede mentalmente della stupida e lasciandosi scivolare stancamente sul pavimento poggiò la schiena contro il comodino e si voltò a guardarlo e osservandolo attentamente finalmente lo riconobbe.
Era James Buchanan Barnes, o meglio conosciuto come "Bucky", il migliore amico e spalla destra del famoso Captain America.
La sensazione di averlo già visto da qualche parte la stava tormentando da un quando lo aveva visto steso nel suo letto, ma non riusciva a ricordare dove.
La situazione già di per se assurda divenne ancor più surreale.
Quell'uomo doveva essere morto! Certo, tanto per il fatto di essere nato più di settant'anni fa, lo stesso eroe tanto famoso a Washington e che viveva nella stessa città era la prova che l'anno di nascita non contava poi molto, e lei aveva letto la sua storia.  Non solo in quella specie di museo consacrato al famoso eroe della prima guerra mondiale, ma anche i fascicoli che lo S.H.I.E.L.D aveva reso pubblici e con essi erano venuti a galla anche i panni sporchi dell'Hydra.
Come nell'antica leggenda l'associazione nazista cresceva all'interno dello S.H.I.E.L.D. Come un parassita e per ogni testa che veniva tagliata altre due prendevano il suo posto.
Circa una settimana prima tutte le informazioni riguardanti l'intelligence americano erano diventate pubbliche. Milioni di persone, lei compresa, avevano letto quei fascicoli stupendosi di quanto il sistema fosse marcio e corrotto fino al midollo.
Per mano dell'Hydra molte persone avevano perso a la vita e la maggior parte di esse per mano di un unico uomo: Il soldato d'inverno.
Bucky era morto durante una missione per catturare il capo de teschio rosso a capo dell'Hydra, lo stesa capitano Rogers lo aveva visto precipitare per centinai di km senza possibilità di scampo.
Ma grazie agli esperimenti che Zola, scienziato svizzero al servizio nazista, aveva condotto su di lui quando lo aveva fatto prigioniero durante la guerra, era riuscito a sopravvivere alla caduta perdendo però un arto, che era star sostituito con quella di metallo che aveva ora.
Chissà qual era stato il prezzo per la restituzione di un arto.
L'avevano usato come arma per inseguire i loro scopi, era come un burattino nelle mani di un creatore folle.
Non aveva trovato molte informazioni su di lui, sembrava un fantasma quasi, un ombra, una frase cancellata su cui qualcuno aveva riscritto sopra, anche il governo si era affrettato ad insabbiare le notizie facendo sparire in fretta le informazioni da internet in un paio di giorni.
Ora capiva perché non voleva andare in ospedale, se qualcuno lo stava cercando, di sicuro non sarebbe passato inosservato un uomo con una protesi di metallo.
Si domandò cosa gli fosse successo realmente. Cosa aveva dovuto subire lavorando per l'Hydra? Era pericoloso? Le avrebbe fatto del male?
In fin dei conti aveva ucciso dozzine di persone, perché con lei sarebbe dovuto essere diverso?
L'aveva visto in faccia e sapeva chi era, rappresentava una minaccia per lui.
Nonostante tutto però, Alexis non riusciva a sentirsi minacciata, il suo istinto le suggeriva di stare tranquilla e lei era tranquilla.
O forse era solo molto stupida.
Tutte quei pensieri continuarono a turbinarle nella mente facendole girare la testa. Guardo l'orologio sulla cassettiera, segnava le due.
A fatica si alzò dal pavimento con la testa che non smetteva di girare. Era stato facile medicarlo, non si era trovata a disagio con le mani sporche del suo sangue, era stato naturale come respirare lavorare su quella ferita e neanche il proiettile le aveva fatto troppo effetto, sembrava quasi che non avesse fatto altro per tutta la vita.
Era strano, decisamente strano.
Dopo essersi accuratamente lavata le mani, rimuovendo ogni traccia di sangue,
recuperò una coperta dall'armadio e come uno zombie arrancò verso il divano, la mattina dopo era sicura che si sarebbe alzata con un bel mal di testa, sempre che fosse riuscita ad addormentarsi, ovvio.
Quando sperava che la sua vita diventasse un po' più movimentata non si riferiva certo a questo, quando sperava di animare le sue giornate con un evento inaspettato non stava di certo chiedendo di ritrovarsi a dover salvare la vita ad un uomo con un proiettile piantato nell'addome.
Sempre che fosse riuscito a superare la notte.
Cercò di rilassarsi cercando una posizione comoda che le facesse prendere sonno e dopo un'interminabile attesa finalmente si addormentò.
Un unica domanda le continuava a martellarle il cervello: Dove aveva imparato a medicare una ferita d'arma da fuoco?

Chi sei?



Angolo "autruce"
Salve a tutti, sono miracolosamente puntuale, anche con quelche ora di anticipo incredibilmente.
Il nuovo personaggio, si è più o meno presentato
, anche se per ora sappiamo solo il suo nome (si anche io XD), come capirete anche lei ha qualche problemino di memoria, che sembra non potersi risolvere tanto facilmente.
Penso di aver detto tutto... perciò vi saluto, e ringrazio tutti quelli che leggeranno e ancor di più chi recensirà Xd
Alla prossima baci Lucy
(Perdonate eventuali errori, sono un pò di fretta se ci saranno provvederò a correggere)
  
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