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Autore: giulji    13/07/2015    3 recensioni
*Storia corretta e rivisitata nei primi capitoli, in modo tale che adesso, anche a coloro che non hanno letto la saga di Hunger Games, risulti una lettura comprensibile*
Questa fanfiction, ambientata in un survivial game, avrà come protagonisti la maggior parte dei personaggi presi dalla saga dello zio Rick, ricollocati sotto forma di tributi/sacrifici.
Il tutto averrà attraverso più punti di vista (POV).
Chi sarà il vincitore finale ? Chi morirà durante i giochi ?
In che circostanze ? Quali saranno le alleanze ?
Dal testo :
"... Nonostante la sua enorme voglia di lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo, affogando in un sonno privo di memorie, che lo avrebbe momentaneamente esonerato dalle tenebre che gli offuscavano perennemente il cuore, Nico non era invece riuscito ad addormentarsi nemmeno per un ora di seguito e le occhiaia violacee che gli contornavano lo sguardo già corrucciato ne costituivano una prova.
Sapeva che quella mattinata, non rappresentava infatti, l'inizio di un giorno comune, bensì quella maledetta giornata portava con se la consapevolezza che di li a poche ore ci sarebbe stata la fatidica mietitura per il distretto 13 dello stato di Panem..."
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hazel Levesque, Leo Valdez, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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NICO

Nico Di Angelo in quella fredda mattina invernale si era svegliato a fatica, i suoi muscoli erano ancora doloranti ed intorpiditi per via del violento vento che aveva sbuffato durante tutta la nottata, facendo spifferare rumorosamente la vecchia e scricchiolante porta in legno della sua cameretta, e momentaneamente per lui per sino camminare richiedeva un immane sforzo.

La sibilante e gelida corrente serale, paragonabile alla scaltra e persistente presenza di un serpente velenoso, aveva contribuito ad alimentare la pesante insonnia del ragazzo, che non dormendo aveva solamente continuato a contorcersi in preda agli sbalzi atmosferici, e come se non bastasse, quel brutto tempo, che aveva sempre avuto la capacità di plasmarne l'umore, lo esponeva ai terribili e tetri incubi che rifletteva la sua mente, facendo riaffiorare lentamente i suoi fantasmi del passato.

Nonostante la sua enorme voglia di lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo, affogando in un sonno privo di memorie, accompagnato dal mero niente, che lo avrebbe momentaneamente esonerato dalle tenebre che gli offuscavano perennemente il cuore, Nico non era invece riuscito ad addormentarsi nemmeno per un ora di seguito e le occhiaia violacee che gli contornavano lo sguardo già corrucciato ne costituivano una prova.

Ovviamente, c'era un motivo per tutti questi cupi stati d'animo che ne avevano abilmente approfittato per torturarlo al calar del sole.

Quella mattinata, non rappresentava infatti, l'inizio di un giorno comune, bensì quella maledetta giornata portava con se la consapevolezza che di li a poche ore ci sarebbe stata la fatidica mietitura per il distretto 13 dello stato di Panem.

Questa “mietitura”, altro non era che la cerimonia in cui, tutti gli anni dalla formazioni di quella specie di dittatura, il governatore sceglieva due tributi, un maschio ed una femmina, da sacrificare per la presente edizione degli Hunger Games.

Il ragazzo aveva un emicrania più violenta del solito, un forte sentimento di ansia gli stringeva in una morsa ferrea l'intestino, mentre delle immagini sbiadite raffiguranti alcuni attimi della sua vita passata gli vorticavano rapidamente davanti agli occhi, dandogli la nausea.

Provò ad alzarsi dal suo letto scassato e scricchiolante, ma la spinta sulle gambe gli fece provare immediatamente una fitta di dolore, così fu costretto a lasciarsi nuovamente cadere tra le coperte tappezzate.

Spostava distrattamente i suoi grandi occhi scuri in vari angoli della piccola stanza, rimirando con scarso interesse lo spoglio mobilio.

Le dimensioni di quella camera erano veramente ristrette, le pareti erano bianchissime ed assolutamente prive di un qualsiasi tipo di arredo, eccezion fatta per la presenza di due piccole fotografie in bianco e nero rappresentanti due ragazze molto giovani, che si trovavano appese con due chiodi sull'anta destra dell'unico mobile presente in quella stanza.

Il luogo era talmente triste e vuoto che sembrava appartenere ad un ospedale,ed in più, il ragazzo, manteneva perennemente un ordine perfetto ed i pochi indumenti che possedeva erano ripiegati cronologicamente nell'armadio, se non fosse stato per il copriletto che in quel momento si ritrovava disteso scompostamente al suolo, chiunque avrebbe potuto presupporre che quel luogo fosse disabitato da molto tempo.

Nico si ritrovò presto a pensare che invece in un passato non molto lontano, non dormiva da solo in quella stanza, anche se per quei tempi poteva risultare realmente troppo piccola, ma lui fin quando era in compagnia non ci aveva mai fatto caso, le pareti a quel tempo erano abbellite di tele dipinte con gli acquarelli ed i pavimenti erano perennemente affollati di vestiti spessi e logori, borsoni militari e strumenti di vario genere, che ne donavano interamente dell'insolita vivacità, mentre adesso che lui si ritrovava ad esser solo il tutto pareva asfissiante e claustrofobico.

Riuscì finalmente a sollevarsi dal letto, uscendo a grandi falcate da quel luogo che riusciva ad imprimergli cotanta ansia, ma non prima di aver salutato con un sorriso finto e tirato le vecchie fotografie che avevano continuato per tutto quel tempo a seguirlo con lo sguardo.

Si diresse al bagno, che era altrettanto minuto ed insulso,ma perfettamente pulito e lucidato.

Le piastrelle cominciavano a riflettere dei frammenti della luce solare che stava entrando timidamente dall'unica finestra socchiusa, creando un gioco di ombre.

Quella casa era molto misera, tanto che non possedeva neppure la connessione elettrica, ma considerando la povertà generale che dilaniava da ormai molti anni nel distretto 13, quell'abitazione si poteva considerare una vera e propria fortuna, per quanto una stanza minuscola, un freddo bagno ed un salone quasi assente potessero risultarlo.

Si lavò frettolosamente nella vasca grigiastra del bagnetto, rabbrividendo al contatto di quel getto ghiacciato che scorreva nelle tubature, facendolo starnutire ulteriormente.

Dovette metterci veramente poco per uscire da quella vasca dal momento che l'acqua costava, e al momento i soldi non erano una cosa di cui ragazzino disponeva a sufficienza, era meglio risparmiare ogni volta che ne aveva l'opportunità.

Si diresse avvolto da un lungo accappatoio profumato verso la sua stretta camera, ed estrasse casualmente un paio di vestiti dall'armadio, senza badare minimamente al loro aspetto, ritrovandosi un ennesima volta ad indossare la classica maglietta nera a maniche lunghe ed i soliti pantaloni opachi logori e strappati, che oramai sembravano una seconda pelle per lui.

L'alba era ancora in procinto di sorgere nel cielo, ma il ragazzo volle prepararsi così presto ugualmente in quanto avesse progettato una lunga ed intensa camminata prima di dirigersi a quella famosa cerimonia, giusto per smaltire un po' d'ansia.

D'altronde le possibilità che tra tutti i ragazzi del suo distretto venisse estratto proprio il suo nome erano alquanto scarse, in tutto,i nomi ad esser citati erano due su un centinaio, ed era forse per questo che Di Angelo non era eccessivamente preoccupato, anche se un po' di timore di fondo rimaneva sempre.

Certo, c'era un sistema per stabilire chi aveva effettivamente più possibilità di uscire alla selezione, e questo sistema era costituito dal numero di tessere che si accumulavano durante l'anno.

Queste ultime aumentavano in base a quanti aiuti chiedevi al comune, più soldi ti venivano offerti annualmente come “aiuto”, più possibilità avevi di morire nei giochi.

Lui era consapevole del fatto che quell'anno aveva dovuto ricorrere un paio di volte a quel pericoloso metodo, al fine di poter riuscire a portare da mangiare a casa sua, quindi le probabilità che lui venisse scelto erano leggermente maggiori a quelle che aveva un individuo che non era mai incorso in prestiti.

Ma lui non era eccessivamente turbato da queste sue poche tessere consumate, dal momento che praticamente tutti nel tredici aveva ricorso a questo sistema, le persone che ne erano ancora intaccate si contavano sulle dita di una mano, ed in più vi erano individui messi molto peggio di lui che purtroppo avevano dovuto richiedere più di un paio di prestiti per riuscire a mantenersi, perciò per quanto riguardava le statistiche lui tecnicamente era abbastanza “salvo dalle selezioni”.

Nonostante questo, Nico ormai sapeva quanto la vita potesse essere imprevedibile e sopratutto quanto la sfortuna ci tenesse a torturarlo in qualunque modo le era possibile, perciò non avrebbe mai potuto dirsi totalmente tranquillo, ma d'altro canto era da molti anni che questo particolare stato d'animo non rientrava nelle sue capacità.

Le sue cicatrici erano ancora aperte e sanguinavano spesso, la più fresca, e forse la più profonda, era quella dovuta alla morte, avvenuta qualche annetto prima, di sua sorella maggiore.

La ragazza si era ammalata di un cancro allo stomaco che non le aveva lasciato scampo, ed il ragazzo era stato costretto a rimirarla anno dopo anno indebolirsi sempre maggiormente, fino a perdere totalmente le energie, costretta a respirare artificialmente su un lettino d'ospedale.

Nico si ricordava come i suoi ultimi mesi di vita furono un inferno per tutti quanti, i capelli di Bianca cominciavano a cadere e la sua liscia pelle olivastra diventava man mano più pallida e sottile, fino a farla sembrare carta velina.

Il volto della ragazza il giorno in cui morì era magrissimo, sciupato, la pelle così lucida che rifletteva le sottili venature violacee, non era rimasto più niente dell'energetica e carismatica persona che un tempo Nico aveva tanto ammirato.

Non era ancora chiaro chi dei due soffrì maggiormente, Bianca che piano piano vedeva la forza abbandonarla, vedeva l'ambizione crollare sotto i suoi piedi, il suo futuro svanire nel fumo costringendola a sopportare senza poter far niente per migliorare il suo destino, cercando di arrendersi a qualcosa di così crudele ed ignobile, oppure suo fratello Nico, che sentendosi egualmente impotente cominciò a cadere numerose volte in una profonda e radicata depressione, da cui non aveva ancora trovato una via d'uscita.

Nico si era ritrovato solo, dopo la sua dipartita, ed aveva solo nove anni, eppure possedeva una maturità ed una profondità tale che lo rendevano molto più vissuto di una grande parte degli anziani.

Perse fiducia in se stesso, si chiuse a riccio, al di fuori di tutto ciò che potesse ulteriormente farlo soffrire, estraniandosi dal mondo presente oltre quelle quattro traballanti mura di “casa.”

L'unico parente che gli rimaneva era suo padre, un uomo che un tempo era stato molto autoritario ed espressivo, ma di cui ora, dopo tutto ciò che d'altro canto aveva dovuta soffrire, rimaneva solo un corpo vuoto, inespressivo, meccanico.

Tanto era lo stato d'animo vuoto in cui si era arrischiato che non era stato neppure capace di aiutare l'unico figlio che ora gli era rimasto, ma si era sempre limitato ad ignorarlo, a considerarlo alla pari di un estraneo in casa propria, a rivolgergli la parola solo se strettamente necessario, semplicemente non seguendolo.

L'unica cosa che il padre aveva continuato a fare per suo figlio era stato lavorare alle fabbriche, permettergli di restare in quella dimora, e pagargli le spese più fondamentali, Nico pensava dunque che era oramai solamente dovuto ad una questione d'abitudine, dato che per il resto i due nemmeno si rivolgevano uno sguardo.

Dal canto suo, lui non poteva fare molto per aiutare economicamente suo padre, era troppo debole sia moralmente che fisicamente per poter offrire seriamente il suo aiuto.

Ogni tanto provava qualche impiego occasionale, dovunque lo assumessero, saltando spesso la scuola per poter permettersi di continuare a mangiare, ma purtroppo, non erano molti i luoghi disposti a prendere un ragazzino come lui come impiegato, con la crisi che c'era, ed i pochi posti in cui ci riusciva a farsi prendere, la paga era talmente misera da far riuscire a far ridere, e lui veniva licenziato in maniera puntuale dopo qualche mese.

Suo padre comunque non se ne era mai lamentato, dato che si limitava a fare avanti ed indietro tra lavoro e casa propria, come uno zombie, facendo finta che il resto delle persone, compreso il figlio, non esistessero.

Nico oramai non lo biasimava più, era ormai passato il tempo in cui lo odiava in silenzio perché non si accorgeva di quanto stesse male, non era più così egoista ne egocentrico, cercava addirittura di evitare di vittimizzarsi spesso, anche se gli riusciva parecchio difficile.

Da qualche anno si limitava a sua volta, a cercare di stargli lontano, capendo seppur riluttante, che solamente la sua presenza rattristasse ulteriormente quell'uomo, in quanto il suo viso, il suo corpo, tutto di lui, facevano riaffiorare alla mente scomodi ricordi legati alla somiglianza con le persone che avevano perso.

Si scrocchiò lentamente le ossa, delle mani, del collo, della schiena, una per una, in un processo quasi rituale a cui ormai si era abituato, e poi con passo felpato, leggermente barcollante per via del forte mal d itesta che continuava a stritolarlo nella sua morsa da cobra, si diresse nel minuto salotto, che si trovava attaccato alla sua camera, leggermente a destra.

Quel posto della casa era l'unico disordinato, perché era quello dove “abitava il padre”, infatti c'erano cartacce e bustine appartenenti a cibi confezionati riversati sul tavolino, seguiti da enormi scie di briciole e polvere che proseguivano sul pavimento.

La stanza puzzava di fumo e chiuso, ed infatti il posacenere di suo babbo era ancora fumante sul pavimento, accanto al sudicio e sporco divano scuro in cui lui dormiva.

Appena varcò la soglia, rimirò il suo genitore che sonnecchiava su quello scomodo sofà rossiccio.

Lo sguardo come al solito freddo, ance nel sonno, reso leggermente truce per via delle sue folte sopracciglia puntualmente corrucciate e per la barbetta incolta e bianca che gli cresceva ai lati del viso olivastro, che l'aveva sempre fatto sembrare un barbone.

Portava ancora la tenuta verdognola del lavoro, estremamente consumata, si poteva sentire la sua puzza di sudore da una buona vicinanza, anche se veniva leggermente coperta dall'odore lasciato dalle sigarette.

Gli lanciò rapidamente uno sguardo, nonostante tutto malinconico, rattristato nel vederlo conciato così, e avendo ancora il ricordo di quando un tempo era stato così grande e possente da riuscire ad incutergli timore con la sua severità, mentre ora gli faceva quasi pena.

Poi uscì di casa senza svegliarlo, nemmeno quell'anno suo padre avrebbe presenziato alla mietitura e se per qualche motivo quel giorno Nico si fosse ritrovato tra i tributi scelti, quello sarebbe stato il loro ultimo incontro.

Proseguì con una lenta e cauta camminata, in attesa che le ore scorressero con l'aumentare del sole nel cielo, fino a giungere nella fascia d'orario del famoso evento.

La vie del distretto erano quasi totalmente disabitate, non che Nico fosse solito a fare passeggiate in luoghi affollati in maniera risaputa, preferiva restare solo con se stesso, perciò i vicoli a cui andava incontro erano raramente popolati, e quel giorno in particolare completamente vuoti, dato che probabilmente erano tutti chiusi a casa a prepararsi mentalmente per l'estrazione che si sarebbe tenuta verso qualche oretta.

Le strade del distretto erano tutte grigie, come lo erano i palazzi, d'altronde loro abitavano nel luogo dove venivano fabbricate le bombe ed il materiale nucleare, perciò non ci si poteva aspettare niente di allegro o colorato da quelle parti, per sino il cielo pareva scuro per via dell'inquinamento.

La maggior parte delle case erano monolocali cadenti o a pezzi, con qualche eccezione fatta per delle casette come la sua.

Non esisteva nemmeno un parco, una zona naturale o anche solo un aiuola di fiori in quel posto, l'unico punto in cui si poteva incorrere nel verde erano i boschi che si trovavano attorno al confine del posto, ma era altamente vietato inoltrarsi in quella vegetazione se non con un permesso scritto, e come se non bastasse erano stati separati dal resto del distretto da altissime recensioni di ferro rugginoso, perciò non era nemmeno tanto facile, per quei poveri fessi che avrebbero voluto farlo, trasgredire il regolamento.

Certo erano rimaste alcune bellezze architettoniche, quali il palazzo di giustizia, che si ergeva sorretto da possenti colonne in stile dorico, e risaltava per la sua classica bellezza.

Eppure amalgamato al paesaggio piatto e scontato che si ergeva intorno, risultava anche lui scialbo.

Le ore passarono rapidamente, mentre il ragazzo portava avanti il suo via vai d'esplorazione, e i suoi muscoli cominciavano a riprendersi dalla rigidità, grazie al movimento.

Il freddo non era comunque passato ed il ragazzo dovette stringersi più volte nell'enorme giubbotto d'aviatore che aveva infilato prima di uscire, per evitare di starnutire.

Poi finalmente scattò l'ora x, accompagnata dal suono di una torre campanile che avvertiva tutti i ragazzi di recarsi nella piazza dov'era stato accordata la celebrazione.

A Nico non ci volle molto per raggiungerla, mentre continuava a fissare il colore quasi tossico del cielo, probabilmente il suo luogo natio era il più inquinato di tutta Panem, per via delle radiazioni provenienti dalle fabbriche.

Appena giunse nel grande ed anonimo largo, venne quasi travolto dalla folla di giovani ed adulti che si avviavano senza badare ad un minimo di ordine o coordinazione, intono alle postazioni allestite dai Pacificatori, che ironicamente,per via del loro nome, erano come “la polizia” di Capitol City, che avevano allestito delle recinzioni nelle due parti laterali dello slargo, lasciando libero un percorso centrale che fungeva da specie di corridoio o percorso per i malcapitati e futuri tributi.

Nico seguì la schiera di persone che si sistemavano attentamente all'interno delle cancellate, situate proprio davanti al palcoscenico ove di lì a poco avrebbero presentato quell'evento.

Avanzò meccanicamente e con la testa rivolta verso il basso, senza alcuna fretta, ricevendo anche uno spintone da parte di una delle tante guardie che “gestiva il traffico” delle masse.

Ogni tanto con la coda dell'occhio fissava i volti spaventati dei ragazzi, era risaputo che il tredici non fosse certo un distretto coraggioso come il due, le persone dalle sue parti non erano mai state pronte per partecipare agli Hunger Games ed era oramai moltissimo tempo che non spuntava un volontario, cosa che invece in altri posti era di consuetudine.

Tutti comunque cercavano di ostentare contegno e sicurezza, tenevano la schiena dritta e cercavano di mascherare la paura, lanciandosi di tanto in tanto degli sguardi e dei sorrisini di rassicurazione tra loro, cercando di mostrarsi pronti e vissuti quando invece l'unica cosa di cui erano certi era la pressione del terrore che li pervadeva, uno dopo l'altro.

La maggior parte delle persone però, nonostante la gravità della situazione, era vestita in maniera pulita ed elegante, per quanto ovviamente le condizioni di ogni individuo lo permettessero, in molti infatti, indossavano il migliore vestito del loro guardaroba, magari il medesimo con cui si erano sposati i loro familiari, insomma, almeno per quell'evento tutti cercavano di farsi apparire belli, dato che mal grado la condizione, il tutto sarebbe stato ripreso da delle telecamere direttamente connesse con la rete televisiva del governo, e tutti quanti provavano timore nei confronti della capitale e volevano cercare di dare una buona impressione, come se quell'evento potesse essere per loro effettivamente un “dono”, una cosa buona.

Forse lui era l'unico che se n'era infischiato bellamente, e che ora non fingeva niente a nessuno, ma cercava di starsene per le sue, stretto nei suoi soliti panni consumati.

In qualunque caso, lui non avrebbe avuto nessuno da guardare e da cui trarre rassicurazioni, si sosteneva da solo in quel piazzale.

Dalla morte di Bianca aveva completamente evitato ogni sorta di rapporto umano, aveva una grandissima paura di affezionarsi alle persone, in quanto temesse ancor di più di perderle e di soffrire com'era successo più d'una volta.

Non che fosse mai stato un bambino troppo socievole, ma quei pochi amici che aveva avuto un tempo, ora non c'erano più, e a lui non faceva ne caldo ne freddo, allo sguardo di tutti risultava come inesistente, invisibile, una specie di presenza fantasma, ma non se ne lamentava dato che la solitudine era ormai era da tempo una sua fedele alleata.

Intratteneva conversazioni solo se strettamente necessario, anche se generalmente passava tutte le giornate fuori di casa, magari a scuola, o a dei lavoretti par-time, o nella boscaglia in cui si inoltrava furtivamente fuori dal confine, però tutto questo sempre e rigorosamente in solitudine, riusciva a non annoiarsi comunque.

A casa ci stava poco e niente, solo per dormire, nutrirsi o raramente quando si ammalava, appena poteva scappava da quelle quattro mura per evitarsi dei pesanti pomeriggi di silenzio insieme al suo genitore.

Oramai credeva di viveva come un burattino, compieva atti meccanici per salvaguardarsi, anche se non ne capiva il senso logico, mentre affogava e seppelliva qualunque sentimento.

A volte, nei suoi momenti più bui, gli era balenata l'idea di togliersi la vita, dato che non capiva a cosa potesse servire tutta quella persistenza nel sopravvivere, se tanto si soffriva e basta, eppure non aveva mai ceduto, forse perché la piccolissima fiamma di speranza che viveva ancora dentro di lui cercava di avvertirlo che magari nel futuro le cose sarebbero state migliori, ma sopratutto perché da lui, a cui la morte aveva portato via tante persone, che era cosciente del fatto che ogni anno dei poveri ragazzi venivano uccisi contro il loro volere nei giochi, sarebbe parso un atto troppo stupido ed egoistico uccidersi, una mancanza di rispetto.

Si riprese dai suoi sconsolati pensieri solo quando le luci del palcoscenico cominciarono ad illuminarsi e le tende del retroscena cominciarono a spalancarsi, facendo entrare alcuni individui tra cui Nico riconobbe MeryLu Blance, la sgargiante e superficiale presentatrice del tredici, una donna interamente rifatta e priva di qualsiasi valore morale, direttamente importata dalla capitale, accompagnata dal povero Jack, vecchio e decrepito sindaco di quel postaccio ed i mentori degli anni precedenti.

MaryLu indossava un lucidissimo vestito rosa confetto che le stringeva le caviglie e le spalle, allargandosi leggermente nella parte dei fianchi, facendola sembrare una specie di uovo di pasqua.

Prese a recitare con foga il suo discorso, con un fastidiosissimo accento marcato da capitolino, ridacchiando ogni tanto ed istigando degli applausi o comunque dei segni dalla folle, che ovviamente non arrivarono.

Le altre figure invece se ne stavano zitte su un angolino del palco e non producevano suono alcuno, si percepiva la loro ripugnanza ed il loro disagio da chilometri di distanza, probabilmente anche loro avevano tra il pubblico dei loro cari che rischiavano di essere selezionati e sarebbe parso da ipocriti fingersi spensierati.

Finalmente la ragazza terminò di parlare e si diresse a grandi falcate ad un lato del palcoscenico, muovendo elegantemente il corpo ad ogni movimento, fece rapidamente un segno a degli addetti tecnici spostando di poco la vellutata tenda violetta e poi annunciò l'inizio della videoproiezione del documentario che per quegli eventi propinavano di anno in anno.

La solita noiosissima storia che si ripeteva in continuazione.

“In un periodo dove le guerre avevano quasi estinto l'umanità, portando carestie, inquinamento, gelosie, e violenza tra le specie, gli uomini decisero di cercare un efficiente metodo per far si che tutto questo cessasse di avvenire.

Per prima cosa divisero ciò che restava della popolazione in tredici distretti, ognuno specializzato in qualcosa di particolare, come l'agricoltura, la tecnologia, piuttosto che la pesca e così via.

Ovviamente, questi luoghi dovevano pur essere controllati, al fine pacifico di mantenere l'ordine, così fu fondata Capitol City, la capitale, che era il luogo dove risiedevano il governo e le maggiori autorità di spicco.

Nonostante ciò la natura violenta e competitiva delle persone, impediva di creare una società dove ogni tipo di guerra fosse abolita, così i capitolini, trovarono una strategica soluzione che permetteva di sacrificare pochi individui ogni anno, a confronto delle migliaia di vittime che si erano estinte nel passato.

Quindi in onore di questa causa venivano estratti annualmente due giovani a caso, comprendenti la fascia d'età che oscillava tra i dodici ed i diciotto anni, due per ogni distretto, che erano obbligati a morire per la patria, in una soluzione “pacifica” chiamata Hunger Games.”

Essi altro non erano che dei giochi in cui l'obbiettivo era far ammazzare a vicenda questi ventiquattro tributi, ripresi costantemente da delle telecamere, come in dei reality show, che si trovavano nell'arena sperduta in cui veniva ambientato il tutto.

Ciò poteva durare qualche giorno, o qualche mese, l'importante era che una sola persona rimanesse in vita, quella persona che diveniva il vincitore.

Il tutto accadeva ovviamente sotto lo sguardo di milioni di telespettatori che potevano contendersi di anno in anno la “vittoria dei distretti”, scommettendo dei soldi su dei poveri ragazzini che si dovevano uccidere, come si faceva con le corse dei cavalli.

Questo secondo loro avrebbe dovuto far cessare la rivalità e la bramosia di sacrificio, in pratica.

Ma se così non era e qualcuno provava a contestare o a ribellarsi a quel metodo, veniva ucciso dalle autorità capitoline, luogo che per altro era esonerato da quel sacrificio di ragazzi .

Una cosa veramente rivoltante agli occhi di Nico, e per di più, la povertà dilagava ugualmente nei distretti e la gente si ammalava e moriva di fame comunque, in contrapposizione a Capitol City dove tutti invece si arricchivano, a spese degli altri distretti che gli procuravano tutto il materiale per vivere nel lusso e nel divertimento costante, mentre in quegli stessi luoghi c'era chi non si poteva permettere un tetto dove rifugiarsi.

Nico subì silenziosamente tutte le fandonie sull'eccellenza e l'efficienza che secondo MaryLu forniva quel sistema, ma lei, d'altronde vive dalla capitale, cosa ne poteva sapere di com'era in realtà la vita nei distretti?

Agli occhi del ragazzo era solo una bambinona viziata e logorroica che viveva in un mondo di fantasia tutto suo.

Finalmente il filmato terminò e quel susseguirsi di immagini fasulle si estinse, suscitando il sollievo di tutta la platea che cominciava addirittura a sbadigliare o a disgustarsi per quella solita e finta rappresentazione del mondo.

MaryLu continuò imperterrita nel suo straparlare, visibilmente di buon umore e sorridente, forse solo per la consapevolezza di star apparendo su tutti gli schermi delle regioni.

Poi finalmente si addentrò nel vero scopo di quello spettacolino, annunciando una tipica frase di apertura e preparandosi a scegliere i nomi dei poveri malcapitati che avrebbero dovuto partecipare alla ventiduesima edizione di quel gioco mortale.

Le persone venivano scelte in maniera totalmente casuale.

Più precisamente sul palco erano presenti due grandi ed imponenti bocce di vetro trasparente, tanto che riflettevano ogni scarso raggio solare, poggiate su delle sottili colonne di cartapesta che raggiungevano più o meno l'altezza della vita di MaryLu, posizionate a poca distanza l'una dall'altra, in modo tale che la figura della presentatrice si potesse piazzare teatralmente e perfettamente al centro, avendo entrambe le sfere letteralmente sottobraccio.

Nel primo contenitore risiedevano tutti i bigliettini cartacei con stampati i nominativi di ognuno degli individui maschili, ovviamente rientranti nella fascia d'età prestabilita, dunque più tessere avevi accumulato durante l'anno, più bigliettini con scritto il tuo nome sopra vi erano là dentro e quindi aumentavano anche il numero di possibilità che avevi di esser scelto.

Stessa cosa succedeva anche nella seconda boccia, con la sola differenza che in quella erano contenuti tutti i nomi femminili.

La donna dopo aver fornito una rapida spiegazione su quello che stava per accadere si avvicinò a passo lento a quelle due colonne, con l'obbiettivo di creare un pizzico di “suspense”, cosa che probabilmente le riuscì piuttosto bene dal momento che tutti ammutolirono ansiosi, facendosi più pallidi e sudando per il nervosismo.

Come in ogni anno, estrasse per primo il bigliettino con il nome di una ragazza.

Con uno scatto felino infilò il braccio nella boccia, mantenendo gli occhi fissi sul palco, e poi se lo portò al petto, attenta a non far sbirciare nessuno.

Nio poté osservare come ora la maggior parte delle ragazze, si agitassero in preda al panico, sussurrando preghiere o cacciando insistentemente via le lacrime, con la vacua speranza di non esser le malcapitate.

Poi finalmente la voce squillante della presentatrice si fece spazio tra il borbottio generale, gridando entusiasta, quasi si trattasse del vincitore di un premio della lotteria, il nome della “fanciulla fortunata”, che a quanto pareva era : “Hazel Levesque”.

Quando Nico udì l'annuncio si immobilizzò e sbarrò gli occhi, colto di sorpresa.

Hazel era una delle pochissime ragazze con cui lui era ancora riuscito ad interagire dopo la morte della sorella, anche se la loro certamente non si poteva considerare una solida amicizia, eppure lui la considerava una persona veramente genuina e spensierata,una che traboccava voglia di vivere da tutti i pori e che spesso e volentieri riusciva a regalare qualche attimo di pace per fino a lui, una ragazza a dir poco fantastica.

Si conoscevano dalla scuola, dato che andavano nella stessa classe delle medie, anche se lui aveva sempre avuto come la strana sensazione che si conoscessero già da molto tempo.

Lei veniva spesso esclusa dal gruppo per via dei motivi più stupidi e svariati, a partire dal mestiere di sua madre, che era considerata “una strega”, ad arrivare alla sua carnagione, ed altre cavolate che agli occhi di Nico perdevano qualsiasi significato.

Sicuramente il sistema pacifico del suo governo non stava facendo poi così tanto un buon lavoro se accadevano ancora cose del genere.

Comunque lei si ritrovava più volte sola, e Di Angelo pensava che fosse questo il motivo che la spingeva a cercare di interagire con lui, che invece, per sua mera decisione personale, se ne stava sempre in disparte e non aveva mai provato ad amalgamarsi in alcun gruppetto.

In fin dei conti, però, i due non avevano mai avuto un vero e proprio legame, di qualunque genere, anzi lui aveva sempre continuato ad evitarla, desideroso di restare in solitudine, ma lei seppur avesse perfettamente recepito il messaggio, di tanto in tanto continuava a cercarlo ed a sedersi nel suo stesso tavolo in mensa, magari parlandogli per ore nonostante sapesse che non avrebbe ottenuto nessuna risposta da parte sua.

Il ragazzo conosceva poco di lei, sapeva che le mancava un familiare, il padre, ma non ci aveva mai sofferto in quanto lui fosse fuggito di casa prima che lei fosse effettivamente nata, e che l'unica cosa che provava nei suoi confronti era la rabbia per aver abbandonato sua madre.

In realtà il vero problema si era rivelata esser proprio quest'ultima donna, che per via del giudizio altrui, della povertà e dell'opprimente lavoro, spesso e volentieri cadeva in crisi isteriche e riversava tutta la sua rabbia repressa su sua figlia, picchiandola.

Nonostante questo e nonostante tutte le ingiustizie che Hazel subiva ogni giorno, essa manteneva sempre un comportamento ottimista, e per questo Nico si era ritrovato più volte ad invidiarla parecchio.

Malgrado ciò, Nico credeva che lei fosse l'ultima persona su questa terra a meritare un destino simile, e si sentiva direttamente coinvolto in quel suo dolore.

Sentì le urla isteriche della madre provenire dal fondo della folla, che riuscirono addirittura a distrarlo momentaneamente dai suoi ricordi, probabilmente quella donna stava cedendo anche in quel momento ad un esaurimento nervoso, a quel punto avrebbe provato come minimo a raggiungere il palco dove Hazel stava cominciando a dirigersi, ed i Pacificatori sarebbero dovuti intervenire, magari a manganellate...

La giovane ed esile ragazzina portava un consumato vestitino giallo che risaltava il suo splendido colore scuro di pelle, proseguiva velocemente con gli occhi puntati direttamente su quelli cristallinei e truccati di MeryLu, che la ricambiava sorridente.

Evitava di guardarsi indietro e di ascoltare le imprecazioni della madre, tremando visibilmente.

Nico non ebbe nemmeno il tempo di rattristarsi o di ribellarsi a sua volta per lei, che il secondo nome venne annunciato frettolosamente dalla presentatrice, precisamente il suo nome.

Rimase paralizzato, gli occhi gli si erano sgranati, e per qualche istante quasi si dimenticò come si faceva a respirare.

Continuava a fissare stralunato la boccia di vetro incriminata, lanciandogli mentalmente i peggiori insulti, senza però riuscire a rendersi realmente conto di cosa stava succedendo, era come ipnotizzato.

I Pacificatori intervennero rapidamente, sotto lo stridulo richiamo di MeryLu che li incitava a “dargli una mossa”.

Ma le sue gambe erano di piombo e loro dovettero quasi trascinarlo di peso sul palco, anche se con la sua corporatura esilissima e quasi deperita per via della fame che aleggiava, non ci sarebbe voluto poi molto.

Poi accadde, Nico metabolizzò la gravità della situazione e davanti a tutti cadde in ginocchio, le gambe non sorreggevano più il suo peso.

I suoi sentimenti oscuri cominciarono a riversarsi di getto fuori dal duo cuore e lui nemmeno si accorse che delle lacrime cominciavano a rigargli il volto scarno, sotto lo sguardo distante ed egoista del pubblico che a mala pena lo notava, come d'altronde aveva sempre fatto, e si limitava a tirare sospiri di sollievo per aver evitato la selezione.

Era da tanto che un tributo non scoppiava a piangere sul palco, ciò in genere li mostrava sempre fragili e quindi vittime più mirate agli occhi degli altri tributi, ma a lui non importava, lui sentiva di essere già morto da oramai da molto tempo, pensò sarcasticamente che forse quella si poteva rivelare anzi una botta di vitalità per la sua esistenza triste.

Hazel che aveva assistito a tutto da un bordo della piattaforma, vicino a quegli altri muti ed inutili individui, lo raggiunse di corsa e si chinò presto a terra, e con il buon intento di farlo calmare, lo strinse in un abbraccio resistente, un altra cosa veramente anormale in quanto in genere i tributi cercavano di non simpatizzare fra loro, dato che alla fine dei giochi sarebbe sopravvissuto un individuo soltanto ed era addirittura possibile che si sarebbero tolti la vita uno per mano dell'altro.

Poi, tra i vari singhiozzi, Hazel accompagnata dalle guardie, trascinò Nico dentro quello che pensava fosse il mezzo di trasporto che li avrebbe guidati a Capitol City, continuando a sussurrargli parole d'incoraggiamento. Hazel si stava dimostrando straordinariamente forte agli occhi del ragazzo, un ennesima volta.

Poi Nico venne momentaneamente chiuso in una lunga cabina perfettamente sgombera, che odorava di plastica nuova, in cui erano piazzati solo alcuni divanetti color crema, in cui si accasciò mosciamente.

Tecnicamente avrebbe dovuto rimanere in quel luogo per quindici minuti, in attesa dell'eventuale arrivo di qualcuno che gli volesse dargli un in bocca al lupo o comunque un addio, in genere si trattava di parenti o amici.

Questo era ciò che accadeva generalmente ad i tributi, ma lui era consapevole del fatto che non avrebbe ricevuto visite, l'unico che avrebbe potuto visitarlo era suo padre, ma in quel momento era a casa a dormire e quando si sarebbe svegliato sarebbe stato troppo tardi.

Ancora ancora sarebbe potuta venire Hazel, ma probabilmente era stata chiusa anche lei in un luogo simile per ricevere le sue visite.

Comunque non si vittimizzò per quella situazione, anzi ne fu rasserenato.

L'idea di non dover incontrare il suo genitore gli toglieva un peso dalla coscienza, non avrebbe retto ancora una volta il suo sguardo deluso. Quell'uomo a parer suo aveva già visto morire troppe persone a lui care, e non voleva vedere in lui l'ennesimo dolore nel fissare, per l'ultima volta, un suo figlio prossimo alla morte ,senza poter far nulla.

Perché obbiettivamente Nico si rese conto che era già spacciato.

Aveva appena quattordici anni, era basso, magrissimo e non sapeva maneggiare nemmeno un arma, le sue capacità fisiche erano limitate e forse l'unica cosa che sapeva fare bene era nascondersi, ma a parer suo, non sarebbe servita molto questa sua capacità, non nell'arena.

Come alleati nessuno si sarebbe offerto per dargli una mano o coprirgli le spalle, tranne forse Hazel, ma lui era pronto a declinare la sua proposta d'aiuto, in quanto un minimo di speranza per lei esisteva e non voleva assolutamente levargliela fungendo da peso morto.

In quel momento pensò nuovamente a Bianca , la sua amatissima, gentilissima e ormai defunta sorellona.

Ricordò come faceva ondeggiare i suoi lunghi capelli corvini sulle spalle, con una genuinità rara, capelli che gli incorniciavano il viso rendendola ancora più bella.

Pensava a lei perché lei era sempre stata il suo unico eroe ed il solo farsela venire in mente riusciva a farlo stare meglio.

Lei sì che un tempo era stata abile ed agile, sapeva far tutto, correva come una gazzella nelle vie morte della città, dimostrando una perfetta resistenza fisica.

Aveva sempre avuto una buona predisposizione per il tiro con l'arco e spesso, quando ancora era nel pieno delle sue forze, le capitava di andare ad aiutare le cacciatrici nei boschi, anche se in genere non uccideva nessun animale ma si limitava ad allenarsi per puro divertimento con dei bersagli immobili.

Secondo lui, Bianca probabilmente sarebbe riuscita a vincere per sino agli Hunger Games .

Rendendosi conto delle condizioni tolse frettolosamente dalla testa il pensiero raccapricciante di sua sorella chiusa in quello stupido campo di battaglia, intenta a combattere e fare del male.

Poi formulò un ultimo pensiero, che gli riuscì ancora più pessimista dei soliti.

Rifletté sul fatto che forse avrebbe fatto meglio a morire di sua spontanea volontà e per mano sua, quando ancora ne aveva l'opportunità, magari buttandosi da una recinzione, o da un piano alto del palazzo di giustizia.

Poi i pacificatori irruppero nuovamente in quella cabina, il tempo delle visite a quanto pareva, era scaduto, e lo sballottarono nuovamente fuori da quel luogo.

   
 
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