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Autore: Severia85    14/07/2015    2 recensioni
I pensieri di Voldemort tra il momento in cui pensa di avere ucciso Harry Potter fino alla morte di Nagini.
Questa storia è stata scritta per il contest "Una frase per la magia" indetto da Winstar.love che purtroppo non ha avuto sufficienti partecipanti.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neville Paciock, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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VANI MOMENTI DI GLORIA
 
Si svegliò in preda ad un insolito terrore: per un instante, aveva temuto di essere morto. Ma lui non poteva morire. Si era assicurato di questo molto tempo prima, quando era ancora un ragazzo.
Si alzò in fretta, rifiutando sdegnato l’aiuto dei suoi adepti: mai mostrarsi debole di fronte ad un sottoposto, mai.
Potter: che ne era stato di Harry Potter? Era sdraiato a faccia in giù, immobile. Era morto? Aveva finalmente portato a compimento il suo piano?
Quando vide la mano di Narcissa sporca del sangue del nemico e udì quelle parole così agognate - È morto! - allora si sentì appagato. Fu invaso da un senso di onnipotenza che eccitò al massimo ogni suo senso. L’adrenalina gli scorse nelle vene, propagandosi in tutto il corpo. La sfogò, inveendo contro il cadavere inerme del nemico.
Crucio!”
Nessuno ora poteva fermarlo, nessuno si sarebbe più messo sulla sua strada. Aveva impiegato più tempo del previsto, ma ora il suo trionfo era ancora più dolce.
Ordinò al Mezzogigante di trasportare il corpo: un gesto subdolo e maligno che lo fece sorridere.
Si avviarono per la foresta silenziosa: un lungo corteo in festa. I suoi Mangiamorte gli aprivano la strada, come facevano i soldati con gli imperatori romani. Davanti, il bottino di guerra: non in catene, ma morto, ucciso, vinto.
Ed eccoli arrivare di fronte alla scuola. Osservò la Torre semidistrutta e le statue fatte a pezzi. Questo gli provocò un moto di stizza: quel luogo era suo e, per questo, intoccabile. Presto lo avrebbe ricostruito meglio di prima e non solo nella struttura esterna. Aveva già molte idee. Per un attimo, si ritrovò a pensare che avrebbe dovuto nominare un nuovo Preside, ma non era quello il momento: se ne sarebbe occupato più avanti.
Ora era il momento di assaporare completamente la vittoria. Il cielo scuro cominciava a rischiararsi a est: un nuovo giorno e un nuovo mondo stavano sorgendo.
“Harry Potter è morto!” tuonò, perché tutti potessero udirlo e tremare. “È stato ucciso mentre fuggiva. Io l’ho ucciso e ve ne porto il corpo come dimostrazione.”
Si sentiva leggero e potente allo stesso tempo. Accarezzò il corpo di Nagini che gli circondava le spalle, quasi come una corona d’alloro posta sul capo del vincitore.
Attese qualche istante, per godersi i volti sconvolti e distrutti di coloro che ancora difendevano Hogwarts. Qualcuno gridava, altri piangevano. La loro disperazione nutriva la sua anima, come accadeva per i Dissennatori. Era il giusto premio per la sua pazienza e per la sua costanza. Sarebbe stato ancora più divertente poterli torturare e vederli soffrire anche fisicamente, tuttavia non voleva versare altro sangue magico: troppo ne era già stato sprecato, da entrambe le parti.
“Abbiamo vinto la battaglia” disse, assaporando ogni sillaba come sorsi di vino elfico speziato. “Chiunque continui a lottare sarà ucciso, insieme alla sua famiglia. Chi si arrenderà e si inginocchierà davanti a me sarà perdonato. Perché io so essere clemente. Questo giorno non appartiene ad un uomo solo, ma a tutti. Insieme ricostruiremo questo mondo, da poter condividere nei giorni di pace. Inginocchiatevi di fronte al vostro Signore, dimostrate la vostra obbedienza!”
Le urla e gli insulti che giunsero lo infastidirono e provò un moto di rabbia: possibile che non si rendessero conto della situazione? Potevano gridare quanto volevano, ma non sarebbe servito a nulla. Lui aveva vinto e loro potevano sottomettersi o morire.
Fece silenzio: lo dovevano ascoltare con attenzione. Ordinò ad Hagrid di deporre il corpo di Potter a terra, là dove era giusto che stesse. Chissà se gli avrebbe concesso una degna sepoltura o lo avrebbe fatto sparire nel nulla, eclissandone così anche la memoria. Ci avrebbe riflettuto.
“Avete visto? È morto! Dovreste essere contenti: non dovrete più sacrificarvi per lui. Ho vinto e voi avete perso!”
Un nuovo scoppio di urla lo irritò: come si permettevano di mancargli di rispetto in quel modo? Avrebbero pagato, avrebbero sofferto. Se ne sarebbe occupato personalmente.
Mentre immaginava le torture da infliggere a quel branco di maghi senza cervello, si accorse che uno di loro si stava facendo avanti. Chi era? Era talmente sporco e sanguinante che non riusciva a distinguere chiaramente i tratti del suo volto.
Un lampo luminoso. Lo deviò facilmente e disarmò il suo avversario. Come osava? Pensava davvero di poterlo sconfiggere? Lui che aveva vinto persino la morte.
“Chi è costui?” domandò, mentre il ragazzo si afflosciava a terra disarmato e inoffensivo.
“È Neville Paciock, mio Signore. Il figlio degli Auror.” Gli rispose prontamente Bellatrix.
Voldemort osservò la scena e pensò alla vita - e come regolarmente gli succedeva quando pensava alla vita, diventò malinconico. Una tristezza dolce discese in lui. Sentì quanto era vano lottare contro la sorte - era questa la saggezza che i secoli gli avevano tramandato. Il più forte vinceva: colui che non si faceva scrupoli pur di raggiungere i suoi traguardi e non si lasciava dominare da frivoli sentimenti otteneva il potere e la buona volontà dei suoi avversari non bastava a fermarlo. Lui aveva sconfitto Potter, aveva fatto avverare la Profezia, aveva conquistato la bacchetta più potente del mondo: nessun mago, per quanto di sangue puro e animato dalle migliori intenzioni, poteva frapporsi tra lui e il potere assoluto.
La malinconia provata poco prima lo spinse a concedere un’ultima possibilità al giovane:
“Tu sei un Purosangue e mostri grande coraggio, anche se unito a un’insana stupidità. Sarai un Mangiamorte prezioso, se deciderai di unirti a me. Altrimenti, penso che tu possa immaginare la fine che farai.”
“Mi unirò a te quando l’inferno gelerà!”
Quanto coraggio sprecato! Quanto sangue puro scialacquato! La sua insolenza gli sarebbe costata cara, ma sarebbe servita da esempio per tutti i presenti.
Doveva solo trovare un modo originale e spettacolare per porre fine a quell’inutile esistenza. Un’idea lo accarezzò e agitò la bacchetta.
Quello stupido cappello volò attraverso una finestra rotta e atterrò tra le sue braccia. Si era sempre domandato perché si dovesse usare uno sporco cappello puzzolente per smistare gli studenti. Comunque, d’ora in poi non sarebbe più servito: Hogwarts avrebbe avuto un’unica Casa, due soli colori dominanti. Tutti avrebbero contribuito a rendere grande la nobile e antica Casa di Salazar Serpeverde.
“Neville Paciock: adesso tu dimostrerai cosa accade a chi si rifiuta di obbedirmi!”
Detto ciò, gli calò il Cappello Parlante sulla fronte e gli diede fuoco. Osservò rapito le fiamme guizzare e annusò l’aria fumante. Si rilassò e sentì Nagini stringergli le spalle, in un muto segno di approvazione. Sul suo volto serpentesco si disegnò un sorriso sadico.
Poi, all’improvviso, scoppiò il caos. Gli ci volle qualche istante per rendersi conto di quanto stava accadendo. I centauri erano arrivati a combattere e sui suoi Mangiamorte piovevano frecce; un altro gigante si stava scontrando con i suoi e …
Non poteva credere ai suoi occhi: la testa di Nagini era a terra, scintillante di sangue. Davanti a lui, Neville Paciock stringeva trionfante la Spada di Grifondoro: la riconobbe dall’impugnatura. Da dove era saltata fuori? Com’era stato possibile? La rabbia per la morte del suo serpente e per la distruzione del suo Horcrux - l’ultimo - si sommò a quella di vedere un ghigno trionfante sul volto del mago. Era sporco e lacero, con un cerchio ustionato sulla fronte, eppure sorrideva soddisfatto per l’impresa compiuta. Doveva morire e di una morte lenta e dolorosa, molto dolorosa. Gli avrebbe fatto rimpiangere quel gesto. Puntò la bacchetta, ma un Sortilegio Scudo spuntato da chissà dove lo fermò.
 
***
 
Voldemort cadeva all'indietro, le braccia spalancate, le pupille a fessura degli occhi scarlatti che si giravano verso l'alto. Tom Riddle crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro. Voldemort era morto, ucciso dal rimbalzo della sua stessa maledizione, e Harry fissava, con due bacchette in mano, il guscio vuoto del suo nemico.


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N.d.A.
Questa storia ha partecipato al contest "Una frase per la magia" indetto da Wintar.love.
I prompt da utilizzare erano Voldemort, Neville e il genere introspettivo. 
Le frasi in neretto erano quelle da inserire, relativamente ai pacchetti (ne ho utilizzate solo due su tre).
Purtroppo, per lo scarso numero di partecipanti, non è stata stilata una classifica.
Le ultime righe in corsivo sono tratte dal settimo libro di HP

 
 
  
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