CAPITOLO
CINQUANTA
SETTE
ANNI DOPO
“Tocca
a te, tocca a te!” urlarono i bambini in
coro.
John
sospirò e abbassò le braccia lungo i fianchi
leggermente scocciato. Toccava a lui mettersi contro il muro e contare
questa
volta. Ma in fondo non gli importava, l’importante era che si
giocasse.
“D’accordo”.
Il biondino cominciò a dirigersi verso
l’angolo, mentre gli altri iniziavano a ridacchiare al
pensiero di dove si
sarebbero nascosti.
“Uno,
due, tre…”, iniziò il piccolo Paciock,
ascoltando gli altri che correvano qua e là, il viso ben
nascosto tra le mani.
James e Ted si nascosero sotto al letto – per qualche strano
motivo dovevano
sempre fare squadra – Emmie dentro la doccia, Jolie nel vano
dell’armadio, Joel
si arrampicò sopra e Ariel trovò il primo rifugio
libero dietro la porta del
salotto.
Quando John ebbe finito di contare, si guardò un
po’ attorno e poi si mise alla
ricerca dei suoi amici. Prima guardò nei posti in cui si
erano nascosti prima
e, non trovandoli tornò in corridoio scoprendo che Ted,
James e Jolie erano già
usciti allo scoperto e si erano salvati.
“Uffa!”
sbottò il ragazzino guardando storto gli
altri tre.
“E’
così che funziona il gioco. Adesso devi trovare
gli altri”, gli disse James gongolando.
John
andò in salotto e lì, subito dietro la porta,
notò una maglietta gialla che attirò la sua
attenzione. Spiò attraverso la fessura
e sorrise malandrino. “Ariel! Ti ho trovata”.
Cominciò a correre di nuovo verso
il corridoio, con Ariel che lo inseguiva per arrivare prima.
“Un,
due, tre per Ariel!”
Ariel
si bloccò in mezzo al corridoio, sporse il
labbro inferiore in fuori in un broncio molto contrariato e strinse le
mani a
pugno.
“Non
è giusto però!” gridò.
“Cosa
non è giusto?” chiese John confuso.
“Tu
imbrogli. Hai guardato dove mi sono nascosta”.
“Non
è vero. Io non imbroglio”.
A
quel punto, attirati dalle urla, anche Joel e Emmie
si aggiunsero agli altri per assistere alla disputa. Non era la prima
volta che
Ariel e John si mettevano a litigare per delle sciocchezze.
“Sì,
invece!”
“No!”
“Sì!”
“No!”
A
quel punto JamesRemus decise di intromettersi.
Quando i due si impuntavano avrebbero potuto continuare anche per
l’intera
giornata; Ariel era testarda come un mulo e John detestava essere
accusato di
imbrogli. E questo sia James che gli altri lo sapevano bene. John
poteva essere
qualsiasi cosa ma sicuramente non era un imbroglione e non ingannava
mai.
“Ragazzi,
smettetela. Chi se ne frega. È solo un
gioco”.
Ariel
lo fulminò con lo sguardo. “Non è solo
un
gioco. E lui non deve guardare”. A quel punto la bambina era
sull’orlo delle
lacrime per la stizza, mentre John la guardava tra
l’incredulo e l’arrabbiato.
E
proprio nel momento in cui sembrava che si
sarebbero messi le mani addosso, arrivò Tonks, attirata
anche lei da quelle
grida.
“Ragazzi,
si può sapere che cosa sta succedendo?”
“Ariel
e John stanno litigando”, la informò Emmie
onesta come sempre, le mani dietro la schiena.
“E’
stata lei a iniziare”, disse John puntando il
dito contro la bimba bionda di fronte a lui che tirava su col naso.
“Non
mi interessa chi ha iniziato. Smettetela di
fare i capricci e giocate come si deve. I grandi hanno cose importanti
di cui
parlare di sotto e se voi fate tutto questo baccano non riescono a
concentrarsi”.
“D’accordo,
scusa”, fece John abbassando lo sguardo.
“Scusa”.
Tonks
si abbassò per dare un buffetto a entrambi i
bimbi e poi si allontanò con un sorriso. Non appena
scomparve, Teddy si sedette
per terra a gambe incrociate, tracciando con le dita le linee del
tappeto.
“I
grandi devono sempre parlare di cose serie”,
mormorò.
“Sono
fatti così”, gli disse James sedendosi accanto
a lui. “E poi lo sai cosa sta succedendo”.
“Lord
Voldemort che ammazza tutti!” esclamò Ariel.
“Non
dire il suo nome”, la ammonì Emmie, gli occhi
color castagna che la guardavano pieni di rimprovero.
“E’
solo uno stupido nome”.
“Perché
non torniamo a giocare?” li interruppe John
allora.
“D’accordo.
Però non voglio più giocare a
nascondino”.
“E
cosa vuoi fare allora, Lie?”
“Mosca
cieca!”
“Quindi
pensate che il prossimo obiettivo di Voi
Sapete Chi sarà questo palazzo?” chiese Kingsley,
puntando un dito sulla
cartina di Londra che avevano davanti.
“Se
sta seguendo uno schema allora probabilmente
sì”, disse Remus.
“Ma
come possiamo esserne sicuri?”
“Non
lo siamo, infatti”.
“E
se decidesse di lasciar perdere il mondo Babbano?
Potrebbe attaccare il San Mungo o Diagon Alley”.
C’erano
troppi se
e troppi ma e Kingsley aveva tutte
le
ragioni del mondo per tirarli fuori. L’Ordine della Fenice lo
sapeva bene,
stavano tirando a sorte, stavano girando a vuoto ma quello era tutto
ciò che
avevano: una cartina, alcuni precedenti attacchi, un probabile schema
che
Voldemort forse stava seguendo. E vittime. Tante, troppe vittime.
“Ci
stiamo fidando troppo delle probabilità”.
“Hai
ragione ma vedi per caso qualche altra
possibilità?”
gli chiese James, mandando giù un altro sorso di whiskey
incendiario.
“Harry,
non hai avuto qualche altra… visione… su
quello che Voldemort farà?” domandò
Sirius guardando verso il figlioccio seduto
all’altra estremità del tavolo.
Il ragazzo, poco più che ventenne ormai, scosse il capo in
segno di diniego.
Era migliorato in Occlumanzia rispetto a un tempo. A volte capitava che
il
Signore Oscuro cercasse di entrargli nella mente ma lui lo chiudeva
sempre
fuori. Per quanto gli sarebbe stato comodo sapere che cosa questi
stesse
facendo, sapeva anche che era una strada a doppio senso e poteva essere
davvero
molto rischioso.
Ginny
gli si avvicinò da dietro e gli massaggiò le
spalle.
“D’accordo…”,
sospirò Sirius, girando la cartina
verso di sé.
“Pronta
per andare a dormire?”
“Noooo!”
gridò Jolie allegra, aggrappandosi alle
spalle di Harry perché non la mettesse giù. Il
ragazzo allora la sollevò in
aria e la fece volare come un aeroplano tenendola sospesa sopra la
testa. La
bambina teneva le braccia aperte e rideva divertita.
Harry fece il giro dell’intera stanza e poi, avvicinatosi al
letto, la depose
tra le coperte.
“E’
ora di dormire, piccola peste”.
“Uffaaaa!”
“E’
tardi”.
“Harry?”
“Sì?”
“Lo
sconfiggerai l’uomo cattivo, vero?”
Harry
le sorrise teneramente e le pose un bacio
sulla fronte. “Certo che lo sconfiggerò. Non avere
paura”.
“Io
non ho paura”.
“Brava,
Lie. Sei la bambina più coraggiosa del
pianeta”.
“Come
te”.
“Anche
più di me”.
“Sarò
una Grifondoro”.
“Certo
che sarai una Grifondoro! Non ho dubbi su
questo”.
Il
Ragazzo che è Sopravvissuto rimboccò le coperte
alla propria sorelle, pensando che sì, avrebbe sconfitto
Voldemort e lo avrebbe
fatto soprattutto per sua sorella, per dare a lei e agli altri bambini
un mondo
migliore in cui vivere. E anche per il bambino che lui e Ginny presto
avrebbero
avuto. Era una promessa.
“Adesso
dormi”.
Quando
Sirius si avvicinò alla stanza di Ariel, dopo
aver messo a letto James e Joel, rimase fermo sulla soglia per ammirare
la sua
piccola bambina che, già dentro il suo pigiamino, ballava
per la stanza con la
spazzola in mano a mo’ di microfono mentre canticchiava una
canzoncina che
aveva scritto lei e che parlava di coniglietti bianchi e ranocchie.
Rimase lì per qualche minuto, sorridendo come un ebete. Una
volta che ebbe
terminato le fece pure l’applauso.
“Ti
è piaciuto?” gli chiese
“Assolutamente!
Hai il talento di tua madre”.
Il
viso della bimba si aprì in un ampio sorriso,
mostrando la piccola dentatura a cui mancavano i denti davanti,
saltò sul letto
e si infilò sotto le coperte.
“Buonanotte,
principessa”.
“Notte,
papà”.
E
con un colpo di bacchetta Sirius spense la luce.
“Allora,
continuiamo da dove siamo rimasti?” fece
Remus, afferrando il libro delle fiabe di Beda il Bardo. “Vi
ricordate dove
eravamo rimasti?”
“Alla
storia dei tre fratelli”, gli ricordò Emmie,
stesa alla sua destra mentre il fratello stava dall’altra
parte, permettendo
così al padre di stare in mezzo affinché
raccontasse loro la storia della
buonanotte.
“Oh,
giusto, la storia dei tre fratelli”.
“Ma,
papà, io questa storia la conosco già. Me
l’ha
raccontata James”, disse Ted.
“James
dovrebbe smetterla di rovinarmi le sorprese”,
fece Remus in tono fintamente offeso.
“Non
è colpa sua”.
“Ma
certo che no, tesoro”.
“Io
però non la conosco. Voglio sentirla”,
protestò
Emmie.
“Allora,
Teddy, ti toccherà risentirla”.
“Pazienza”.
MILLY’S
SPACE
Lo
so, è da un secolo che non aggiorno più le mie
fanfiction. Ed è abbastanza vergognoso da parte mia. Ma cosa
vi posso dire per
scusarmi. Nulla. Temo. E temo anche che vi dovrete abituare a questi
lunghi
periodi di attesa. Purtroppo è così con
l’università, il trasferimento in una
nuova città e abitudini di vita decisamente diverse.
Spero possiate avere pazienza e sopportazione. Ci tengo a continuare le
mie
fanfiction e a non lasciare i miei lettori insoddisfatti (sempre che io
ne
abbia ancora alcuni ^^).
Detto
questo, ditemi cosa pensate del capitolo. Siamo in
una nuova fase della storia. I piccoli malandrini sono tornati nel loro
tempo,
dopo aver cambiato la storia, e ora tutto scorrerà in
maniera lineare.
Fatemi
sapere cosa ne pensate.
Un bacio,
Milly.
POTTER_92:
eccolo! Nemmeno il mantello dell’invisibilità ti
nasconderà ai miei occhi u.u
allora, non direi propriamente che siano scappati con la coda tra le
gambe.
Hanno fatto quello che dovevano fare e se ne sono andati, altrimenti
avrebbero
commesso altri casini. Giocare con il tempo non è
consigliabile. E hanno
pensato fosse meglio andarsene a quel modo perché
così era più facile per
tutti.
Comunque, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo e scusa per il
ritardo.
Un abbraccio, M: