saving
who we are (in fire and blood)
(Settembre.)
La fila di torri di nera
roccia parlava una lingua sconosciuta e cruda. Così stagliato contro il cielo
buio, massa antica di linee dritte e severe, il castello di Hogwarts
li accolse facendoli sentire esattamente ciò che erano – stranieri.
Daenerys osservava, immobile al
fianco di Viserys, rimpiangendo già le forme morbide
e i colori soffusi che si era lasciata alle spalle, oltre l’oceano. Chissà se a
Rhaegar quel posto era davvero mai piaciuto. Sembrava
così freddo. Avrebbe voluto essere abbastanza grande, allora, così da potergli scrivere, chiedere, parlare – magari
evitare tutto quello che poi era successo. Così da non dover rivivere tutto,
oggi, dalla scomoda prospettiva di chi della storia poteva vivere soltanto le
conseguenze.
Una donna comparve sulla
gradinata di marmo, pronta ad accoglierli. Non sembrava molto più ospitale del
castello, ma sapeva fingere meglio, e aveva in viso qualcosa che somigliava al
divertimento.
«Olenna
Tyrell» le sussurrò suo fratello all’orecchio,
sprezzante. «La sua famiglia è di quelle cui il Disastro ha giovato di più.»
Viserys lo chiamava così, il Disastro. Come se il gesto di Rhaegar fosse pari soltanto a una qualche calamità naturale
di entità così inconcepibile da far parlare di sé con le lettere maiuscole. Daenerys non era sicura di condividere il suo punto di
vista; non c’erano stati, non avevano visto, non avevano il diritto di
giudicare ciò che era stato loro soltanto raccontato. Del resto, era pur vero
che molte persone – troppe – erano morte... Ed era per questo che quella notte
la scuola di Hogwarts apriva le porte a quelle di Durmstrang e Beauxbatons. Ai
sopravvissuti spettava ricordare.
Olenna Tyrell
pronunciò un breve discorso di benvenuto; gli studenti di Durmstrang
sarebbero arrivati di lì a poco, spiegò, e da quel momento il Torneo avrebbe
avuto inizio.
«Tieni le spalle dritte»
bisbigliò ancora Viserys. «E sforzati di sorridere.»
Il gruppo si mosse. Daenerys tese la mano a cercare quella del fratello; la
trovò. Viserys era teso, più del solito – più di
quanto non lo fosse stato in tutte le notti in cui le aveva studiato i capelli
con le dita, cercando forse un colore della memoria, raccontandole del giorno
in cui il nome Targaryen avrebbe lavato l’onta nel
fuoco e nel sangue – ma non la respinse. Lei
sorrise.
We were never welcome here
We were never welcome here at all
(Ottobre.)
Il primo mese a Hogwarts non aveva intaccato nessuna delle convinzioni di Viserys. Quel posto era turpe, velenoso e insulso: fantasmi
chiassosi che rumoreggiavano dappertutto, urlando all’omicidio e allo stupro o
chiedendo a gran voce «altro vino» a chiunque incrociassero; dubbi insegnanti
con gli sguardi sempre troppo intensi, rivolti in particolare ai loro capelli
d’argento; quanto al vicepreside, l’integerrimo Tywin
Lannister famoso anche al di là del mare, Viserys era sicurissimo che avesse intessuto una sordida
relazione con una sguattera, una ragazzetta delle cucine. Era una fortuna,
commentò, che a Beauxbatons avessero ancora gli elfi
domestici – Viserys non aveva mai approvato tutto
quel filone di movimenti, di recente così in voga, che promuoveva
l’affrancamento degli elfi dalla condizione di schiavitù che si erano
praticamente autoimposti: era, in effetti, uno dei pochi argomenti sui quali Daenerys si permetteva di alzare la voce con lui, sapendo
benissimo che non l’avrebbe mai ascoltata.
A lei Hogwarts non sembrava poi tanto male,
non in tutto almeno. Gli ospiti avevano la possibilità di seguire qualche
lezione: in tal modo aveva scoperto dei corsi interessanti, come Cura delle
Creature Magiche, nonostante lo sguardo sempre bieco del professor Clegane. E l’insegnante di Babbanologia,
un uomo che sembrava invecchiato prima del tempo e che rientrava alla
perfezione in quegli stessi parametri di curiosità tanto disprezzati da Viserys, a differenza degli altri la guardava sempre come
se volesse dirle qualcosa di molto importante...
Ma le mancava Beauxbatons, e le mancava la normale vita scolastica di una
studentessa del sesto anno. Non aveva nessuna ambizione – non sognava il
momento in cui il Torneo Tremaghi sarebbe stato vinto
da un Targaryen, né condivideva la smania furiosa di Viserys al pensiero di essere
quel campione. Non avrebbe chiesto di più che restarsene per sempre con lui, in
pace, in un posto che potessero chiamare casa. Una volta aveva avuto il
coraggio di dirlo ad alta voce, e suo fratello, quasi sputando le parole, aveva
osservato che nell’ottica di quello smistamento senza senso adottato in quella
scuola senza senso lei sarebbe finita di certo tra i Tassorosso,
«quelli privi di spina dorsale». Daenerys si era un
po’ risentita e gli aveva fatto notare che, pur nella sua mancanza di spina
dorsale, era venuta lì con lui, per
lui.
Anche se aveva scritto
il suo nome su un pezzo di pergamena, come tutti avevano fatto, era il nome di Viserys che aspettava di sentire – e con ogni probabilità
era l’unica, oltre a lui, a volerlo
sentire: ma questo non avrebbe certo potuto dirglielo.
Perciò fu una sorpresa,
la terza volta che il Calice di Fuoco si animò, la voce di Olenna
Tyrell che leggeva ad alta voce: Daenerys Targaryen.
Non piangere, fratello. Non spegnere le fiamme. Lasciale
divampare.
(Novembre.)
L’uomo seduto a gambe
incrociate davanti a lei teneva gli occhi fissi nei suoi, a metà sprezzante, a
metà curioso. Daenerys lo guardava a sua volta, evitando
di concentrarsi troppo sul cuore insanguinato che l’aspettava su una tavola
allestita a beneficio di migliaia di paia d’occhi.
Era stato Viserys a raccontarle dei centauri (era stato Viserys a raccontarle tutto ciò che sapeva), ma era stato
il Torneo a farle scoprire che nella foresta che circondava il castello di Hogwarts si rifugiava una stirpe ancora diversa, che aveva
qualcosa del centauro e qualcosa dell’uomo, che venerava i cavalli come
divinità – e che riteneva che mangiarne il cuore fosse un privilegio
riconosciuto soltanto agli eroi, o a chi tale volesse dimostrare di essere.
Daenerys non si era mai
immaginata di voler diventare un’eroina, e mangiare il cuore di un cavallo non
era mai rientrato nei suoi piani di gloria.
L’improvvisata arena era
silenziosissima. Gli spettatori, studenti e insegnanti delle diverse scuole,
aspettavano. Il dothraki la studiava in silenzio.
Forse anche Viserys la stava guardando – forse aveva
superato la fase del rifiuto, e quella in cui pretendeva che Olenna Tyrell risvegliasse il
calice addormentato perché scegliesse un nome diverso, il suo, e quella in cui
le sibilava che non avrebbe mai combinato nulla e che al massimo avrebbe potuto
cercare di sedurre gli altri campioni, perché l’uno o l’altra o entrambi la
lasciassero vincere.
Non che gli altri campioni
l’avrebbero lanciata vincere in ogni caso. La ragazza di Durmstrang
dai capelli rossi come il fuoco aveva divorato il suo cuore di cavallo a grandi
morsi, sogghignando tra le lentiggini, mostrando con fierezza al pubblico
tutt’intorno la faccia imbrattata di sangue. Il ragazzo di Hogwarts
aveva esitato a lungo, ma poi si era rassegnato a mangiare la sua porzione con
molto garbo – era mezzo soffocato prima di arrivare alla fine, ma aveva
dimostrato di saper andare fino in fondo, da vero Stark.
Daenerys sospirò e prese il
cuore tra le mani. L’uomo dothraki si concesse un
mezzo ghigno.
Sperando che Viserys stesse guardando, diede il primo morso.
Non lo incontrò per
tutto il giorno. Non quando furono annunciati i punteggi, non quando le tribune
si vuotarono e l’uomo dothraki – dicevano che era un
capo; le campanelle nei suoi capelli tintinnarono quando si voltò a rivolgere
un ultimo sguardo a Daenerys, uno sguardo carico di
aspettative soddisfatte – si allontanò a cavallo al galoppo.
Quella notte andò a
cercarlo nella stanza in cui dormiva. S’intrufolò nel suo letto; lui scattò
come un serpente e la morse. Non la sconvolse, l’aveva morsa altre volte. Non
le fece neanche male.
Non si dissero niente,
soltanto restando lì nel buio senza guardarsi.
They say we’re crazy
They say we’re crazy
(Dicembre.)
Una parte di lei era
sicura che Viserys non avesse saputo resistere alla
prospettiva di farsi semplicemente ammirare. Un’altra, che si trattasse di puro
puntiglio: non aveva potuto accoppiarla a un altro campione, benissimo, allora
non l’avrebbe ceduta a nessun altro.
Non le importava. In
realtà era solo dispiaciuta di non potergli esprimere quanto gli fosse grata,
quanto fosse addirittura felice, di
andare a quello stupido ballo con lui. Probabilmente non avrebbe capito quanto
contasse per lei, o comunque non le avrebbe dato la soddisfazione di farle
sapere che sapeva.
«Tieni le spalle
dritte.»
Dopo la prima prova
(dopo la notte in cui l’aveva morsa per l’ultima volta) qualcosa era cambiato.
Se anche non lo rispettava, Viserys ora accettava il fatto che la campionessa di
Beauxbatons fosse lei, che a lei spettasse il compito
di conferire nuova luce al nome dei Targaryen. Sì, stava guardando – e aveva visto, e non c’era nulla che in quel
momento della sua vita lei volesse di più. Viserys
l’aveva vista, forse per la prima volta da sempre, aveva visto che lei era lì.
(Daenerys non si era mai soffermata a chiedersi perché il Calice l’avesse scelta,
prima.)
Se ciò gli facesse
provare più orgoglio o più rancore, non riusciva a capirlo e non voleva
saperlo.
«Più dritte, Dany.»
La sala da ballo attorno
a loro non esisteva più. All’improvviso era davvero la favola che avrebbe
potuto essere, ma solo per loro due, che danzavano a una musica inesistente per
chiunque altro e condividevano un piccolo mondo nel quale nessun altro avrebbe
avuto accesso. Era quando la chiamava ‘Dany’ che la
voce di Viserys diventava più umana – la voce di suo
fratello, la persona più importante, l’unica.
Viserys sorrideva, perché per
una volta non c’era bisogno di ordinarle di sorridere. E la sua stretta sembrò
diversa.
«Potremmo anche andare a
casa, adesso.»
Seduto sul letto alle
sue spalle, guardava il suo riflesso che si spogliava nello specchio. Per qualche
istante non rispose – seguì il movimento dei capelli che le ricaddero sulla
schiena, del vestito che le scorse giù per le gambe – poi scosse la testa.
«No, sorella. Tu farai
quello che io da solo non posso fare...» Sollevò la mano e con due dita le
percorse la linea di un fianco. «Tu riporterai il nostro nome sulle labbra di
tutti, e stavolta non sarà per insudiciarlo che lo pronunceranno. Il Disastro
non avrà più importanza quando sarà una Targaryen a
reclamare la gloria, a compiere quelle stesse imprese che il mondo ha
immaginato per compensarlo.»
Daenerys sbuffò. «Non chiamarlo
così.»
«Cosa?»
«Il Disastro. Non mi
piace. Rhaegar non ha fatto niente di male, è
stato...»
Le dita di Viserys si serrarono di colpo, artigliando la pelle
sensibile appena sotto la natica. Daenerys represse
un grido di dolore, barcollò per sfuggirgli e ricadde contro lo specchio, e fu
lì che rivide la familiare luce smaniosa animare il volto di lui. Viserys si alzò e le si chinò su una spalla, senza
allentare la stretta.
«Non ha fatto niente di male?»
sussurrò, in quel tono che era così difficile stabilire se fosse più suadente o
più minaccioso. «A te sta bene, vero, sapere che nostro fratello ha voltato le
spalle a una tradizione antica come il mondo, è venuto a fare l’insegnante – l’insegnante – in questa terra marcia in
cui la magia sta morendo, e poi, tanto per gradire, si è invaghito di una
puttanella e si è fatto ammazzare dall’idiota che voleva scoparsela per primo,
così che negli anni a venire il suo nome sarebbe passato sulle bocche di tutti
insieme a una risata di scherno e commiserazione? Ti sta bene? Davvero?»
Daenerys cercò di ricacciare
indietro le lacrime che le riempivano gli occhi. «Si è innamorato» gemette.
«Oh, amore» sputò Viserys,
lasciandola andare d’improvviso come se si fosse scottato. Daenerys
rimase immobile contro lo specchio, a riprendere fiato. «Certo. Una ragazzina
come te non può vedere lo schifo in questa storia. Tu pensi all’amore. Dimmi, sorella» tornò ad
aggredirla, costringendola a voltarsi, così nuda e inerme sotto l’assalto della
sua rabbia antica, «quanti membri della nostra famiglia si sono mai sposati per
amore?»
Daenerys non rispose, ma lui
dovette leggerle la decisione negli occhi.
Per un attimo sembrò
colpito, poi le mostrò una furia diversa, più sorda, mordendola di nuovo. Sulle
labbra.
Io lo farò.
No, che non lo farai.
Daenerys chiuse gli occhi.
Non muoverti, fratello. Non frenare il sangue. Lascialo
scorrere.
(Febbraio.)
La seconda prova fu
quasi facile.
Da terra a cielo si
levavano le pareti di un labirinto di fiamme. A ogni svolta poteva capitare di
imbattersi in una creatura mortale, ma il vero pericolo, almeno nelle
intenzioni, stava nel fuoco che divampava ovunque e che nessun incantesimo
offensivo avrebbe potuto spegnere.
Il ragazzo Stark procedeva sicuro. La ragazza di Durmstrang
correva tra le lingue rosse come nella trepida aspettativa di farsene baciare.
La parte dura fu quando
si ritrovò davanti il cadavere di Viserys, mutilato,
fracassato, con gli occhi ancora fissi sul suo sogno fuggito via e su un nome
senza più suono – e su di lei, come fosse colpa sua. Daenerys
non riuscì a pensare a un Riddikulus adeguato, e scappò. Alle fiamme invece andò
incontro a testa alta.
Alla fine del labirinto
c’erano tre grosse uova di pietra.
It’s who we are
Doesn’t matter if we’ve gone too far
Doesn’t matter if it’s all okay
Doesn’t matter if it’s not our day
(Maggio.)
Ogni drago aveva un
ostaggio. Quello dello Stark sorrideva, sfrontato e
saccente mentre le scaglie della lunga coda del carceriere gli graffiavano le
guance. Quello della rossa di Durmstrang era un
ragazzetto riccioluto e pallido, stranamente familiare, con gli occhi tristi.
Il cuore di Daenerys vacillò. No. Aveva avuto paura del Molliccio,
questo era troppo.
Viserys non era fatto per
starsene tranquillo ad aspettare lei di essere salvato. La terza prova
del Torneo si stava rivelando più crudele per lui che per lei, lui che da tutta la vita – forse da prima ancora
del Disastro, forse da quando il papà era impazzito e la mamma era fuggita,
forse da quando la gente aveva cominciato a dire che il sangue Targaryen non era sangue Veela ma
sangue folle, sangue infetto, sangue sporco – andava avanti nella convinzione
sempre uguale di dover dimostrare
prima d’essere. Il drago che si parava tra lui e l’arena gremita avrebbe dovuto
mettere alla prova Daenerys, ma era Viserys, naturalmente, quello che si sentì sfidato
dall’immensa creatura vibrante di fuoco interno.
Fratello, lo implorò senza parole, nello stupido ricordo dei suoi
denti e delle sue mani. Fratello, tu non
sei Rhaegar, tu non sei solo, aspettami, aspetta me.
Non seppe mai con
certezza come accadde, ma seppe di aver perso nel momento stesso in cui urlò il
suo nome.
Non piangere, e le lunghe strisce di
carne bruciata che gli corrono giù lungo le guance non si spengono.
Non muoverti, e la vita che gli
sfugge dalla bocca in rantoli soffocati è già sfilacciata e inconsistente.
Daenerys accarezza le macerie
dei suoi capelli, dei suoi zigomi e delle sue labbra. Riesce ancora a leggervi
una parola. Dany.
Si china a baciarle.
In silenzio, col ruggito dei draghi sconfitti nel cuore,
racconta a Viserys del giorno in cui il nome Targaryen laverà ogni onta nel fuoco e nel sangue.
Why won’t you save us (who we are)
Don’t look clear, it’s all uphill from here
Spazio dell’autrice
Questo
regalo di compleanno arriva con appena
un mese e mezzo di ritardo, ok. E il peggio è che non arriva neanche con l’entusiasmo
che ne ha accompagnato la genesi – è venuto molto, molto diverso da come voleva
essere. Sono mortificata, moglia. Spero che l’accenno
alla tresca tra Tywin Lannister
e la ragazza delle cucine mi faccia perdonare ♥ *sono meschina XD*
Beh, dunque,
per i lettori. L’AU ufficialmente denominato (?) come Game of Schools l’ho
già illustrato a grosse linee in Summer may be coming [non è un
messaggio subliminale (???), ma se volete maggiori delucidazioni potete sempre
leggervi quelle note che non mi va di copincollare
qui XD]; in questo caso però ho scelto di rappresentare una precedente edizione
del Torneo Tremaghi istituito dopo il casino di Rhaegar Targaryen a Hogwarts: una in cui fosse proprio Daenerys
a venire eletta dal Calice di Fuoco (gli altri campioni vorrebbero essere Robb e Ygritte, più per una coincidenza
di età che per altro – in bookverse!GoT sia loro sia Dany appena introdotti hanno circa quattordici anni, quindi
li suppongo coetanei anche nel contesto del Torneo e mi evito l’imbarazzo di
andarmi a pescare campioni meno popolari). Il mio tentativo (semifallito)
era soprattutto di concentrarmi su quello che sarebbe stato il rapporto Viserys/Daenerys in questo
contesto – e il percorso che ai miei occhi porta anche la Dany
originale a spostarsi dall’ottica voglio-una-famiglia-felice Tassorosso a quella esigo-fuoco-e-sangue Serpeverde, a parte il fatto che, ovviamente, i Targaryen frequentano Beauxbatons
#mistoincartando – pertanto la trama ha più di qualche
buco e a conti fatti lo stesso finale post terza prova potete interpretarlo
come più vi piace. Però, ecco, è la prima volta che scrivo dei due fratelli Targaryen in generale, e le dinamiche tra loro mi
affascinano oltre ogni dire, e farlo in Hogwarts!verse
era non solo doveroso nei confronti di MogliaH ma
anche un mio personalissimo guilty pleasure. Quindi niente, anche se avrei voluto essere molto
più precisa con questa shot, anche se avrei voluto concedere
il giusto spazio anche alle interazioni di Dany con
Drogo e Jorah, sono comunque contenta di averci
provato. Questa ship è molto più complicata di
quanto abbia mai creduto ;///;
I versi che
spuntano di tanto in tanto nel testo sono tratti da Who
we are degli Imagine Dragons.
Ancora mille
scuse, Susy, e ancora un mondo di affetto per te.
Aya
~