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Autore: Feel Good Inc    15/07/2015    2 recensioni
Happy belated birthday, Ray08 ♥
Non lo incontrò per tutto il giorno. Non quando furono annunciati i punteggi, non quando le tribune si vuotarono e l’uomo dothraki – dicevano che era un capo; le campanelle nei suoi capelli tintinnarono quando si voltò a rivolgere un ultimo sguardo a Daenerys, uno sguardo carico di aspettative soddisfatte – si allontanò a cavallo al galoppo.
Quella notte andò a cercarlo nella stanza in cui dormiva. S’intrufolò nel suo letto; lui scattò come un serpente e la morse. Non la sconvolse, l’aveva morsa altre volte. Non le fece neanche male.
Non si dissero niente, soltanto restando lì nel buio senza guardarsi.

AU: Hogwarts!verse | Viserys/Daenerys | Beauxbatons!Targaryens | kinda nonsense
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Viserys Targaryen
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Hoggy Warty Hogwarts'
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saving who we are (in fire and blood)

 

 

 

 

 

(Settembre.)

 

La fila di torri di nera roccia parlava una lingua sconosciuta e cruda. Così stagliato contro il cielo buio, massa antica di linee dritte e severe, il castello di Hogwarts li accolse facendoli sentire esattamente ciò che erano – stranieri.

Daenerys osservava, immobile al fianco di Viserys, rimpiangendo già le forme morbide e i colori soffusi che si era lasciata alle spalle, oltre l’oceano. Chissà se a Rhaegar quel posto era davvero mai piaciuto. Sembrava così freddo. Avrebbe voluto essere abbastanza grande, allora, così da potergli scrivere, chiedere, parlare – magari evitare tutto quello che poi era successo. Così da non dover rivivere tutto, oggi, dalla scomoda prospettiva di chi della storia poteva vivere soltanto le conseguenze.

Una donna comparve sulla gradinata di marmo, pronta ad accoglierli. Non sembrava molto più ospitale del castello, ma sapeva fingere meglio, e aveva in viso qualcosa che somigliava al divertimento.

«Olenna Tyrell» le sussurrò suo fratello all’orecchio, sprezzante. «La sua famiglia è di quelle cui il Disastro ha giovato di più.»

Viserys lo chiamava così, il Disastro. Come se il gesto di Rhaegar fosse pari soltanto a una qualche calamità naturale di entità così inconcepibile da far parlare di sé con le lettere maiuscole. Daenerys non era sicura di condividere il suo punto di vista; non c’erano stati, non avevano visto, non avevano il diritto di giudicare ciò che era stato loro soltanto raccontato. Del resto, era pur vero che molte persone – troppe – erano morte... Ed era per questo che quella notte la scuola di Hogwarts apriva le porte a quelle di Durmstrang e Beauxbatons. Ai sopravvissuti spettava ricordare.

Olenna Tyrell pronunciò un breve discorso di benvenuto; gli studenti di Durmstrang sarebbero arrivati di lì a poco, spiegò, e da quel momento il Torneo avrebbe avuto inizio.

«Tieni le spalle dritte» bisbigliò ancora Viserys. «E sforzati di sorridere.»

Il gruppo si mosse. Daenerys tese la mano a cercare quella del fratello; la trovò. Viserys era teso, più del solito – più di quanto non lo fosse stato in tutte le notti in cui le aveva studiato i capelli con le dita, cercando forse un colore della memoria, raccontandole del giorno in cui il nome Targaryen avrebbe lavato l’onta nel fuoco e nel sangue – ma non la respinse. Lei sorrise.

 

 

 

 

 

We were never welcome here

We were never welcome here at all

 

 

 

 

 

(Ottobre.)

 

Il primo mese a Hogwarts non aveva intaccato nessuna delle convinzioni di Viserys. Quel posto era turpe, velenoso e insulso: fantasmi chiassosi che rumoreggiavano dappertutto, urlando all’omicidio e allo stupro o chiedendo a gran voce «altro vino» a chiunque incrociassero; dubbi insegnanti con gli sguardi sempre troppo intensi, rivolti in particolare ai loro capelli d’argento; quanto al vicepreside, l’integerrimo Tywin Lannister famoso anche al di là del mare, Viserys era sicurissimo che avesse intessuto una sordida relazione con una sguattera, una ragazzetta delle cucine. Era una fortuna, commentò, che a Beauxbatons avessero ancora gli elfi domestici – Viserys non aveva mai approvato tutto quel filone di movimenti, di recente così in voga, che promuoveva l’affrancamento degli elfi dalla condizione di schiavitù che si erano praticamente autoimposti: era, in effetti, uno dei pochi argomenti sui quali Daenerys si permetteva di alzare la voce con lui, sapendo benissimo che non l’avrebbe mai ascoltata.

A lei Hogwarts non sembrava poi tanto male, non in tutto almeno. Gli ospiti avevano la possibilità di seguire qualche lezione: in tal modo aveva scoperto dei corsi interessanti, come Cura delle Creature Magiche, nonostante lo sguardo sempre bieco del professor Clegane. E l’insegnante di Babbanologia, un uomo che sembrava invecchiato prima del tempo e che rientrava alla perfezione in quegli stessi parametri di curiosità tanto disprezzati da Viserys, a differenza degli altri la guardava sempre come se volesse dirle qualcosa di molto importante...

Ma le mancava Beauxbatons, e le mancava la normale vita scolastica di una studentessa del sesto anno. Non aveva nessuna ambizione – non sognava il momento in cui il Torneo Tremaghi sarebbe stato vinto da un Targaryen, né condivideva la smania furiosa di Viserys al pensiero di essere quel campione. Non avrebbe chiesto di più che restarsene per sempre con lui, in pace, in un posto che potessero chiamare casa. Una volta aveva avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, e suo fratello, quasi sputando le parole, aveva osservato che nell’ottica di quello smistamento senza senso adottato in quella scuola senza senso lei sarebbe finita di certo tra i Tassorosso, «quelli privi di spina dorsale». Daenerys si era un po’ risentita e gli aveva fatto notare che, pur nella sua mancanza di spina dorsale, era venuta lì con lui, per lui.

Anche se aveva scritto il suo nome su un pezzo di pergamena, come tutti avevano fatto, era il nome di Viserys che aspettava di sentire – e con ogni probabilità era l’unica, oltre a lui, a volerlo sentire: ma questo non avrebbe certo potuto dirglielo.

Perciò fu una sorpresa, la terza volta che il Calice di Fuoco si animò, la voce di Olenna Tyrell che leggeva ad alta voce: Daenerys Targaryen.

 

 

 

 

 

Non piangere, fratello. Non spegnere le fiamme. Lasciale divampare.

 

 

 

 

 

(Novembre.)

 

L’uomo seduto a gambe incrociate davanti a lei teneva gli occhi fissi nei suoi, a metà sprezzante, a metà curioso. Daenerys lo guardava a sua volta, evitando di concentrarsi troppo sul cuore insanguinato che l’aspettava su una tavola allestita a beneficio di migliaia di paia d’occhi.

Era stato Viserys a raccontarle dei centauri (era stato Viserys a raccontarle tutto ciò che sapeva), ma era stato il Torneo a farle scoprire che nella foresta che circondava il castello di Hogwarts si rifugiava una stirpe ancora diversa, che aveva qualcosa del centauro e qualcosa dell’uomo, che venerava i cavalli come divinità – e che riteneva che mangiarne il cuore fosse un privilegio riconosciuto soltanto agli eroi, o a chi tale volesse dimostrare di essere.

Daenerys non si era mai immaginata di voler diventare un’eroina, e mangiare il cuore di un cavallo non era mai rientrato nei suoi piani di gloria.

L’improvvisata arena era silenziosissima. Gli spettatori, studenti e insegnanti delle diverse scuole, aspettavano. Il dothraki la studiava in silenzio. Forse anche Viserys la stava guardando – forse aveva superato la fase del rifiuto, e quella in cui pretendeva che Olenna Tyrell risvegliasse il calice addormentato perché scegliesse un nome diverso, il suo, e quella in cui le sibilava che non avrebbe mai combinato nulla e che al massimo avrebbe potuto cercare di sedurre gli altri campioni, perché l’uno o l’altra o entrambi la lasciassero vincere.

Non che gli altri campioni l’avrebbero lanciata vincere in ogni caso. La ragazza di Durmstrang dai capelli rossi come il fuoco aveva divorato il suo cuore di cavallo a grandi morsi, sogghignando tra le lentiggini, mostrando con fierezza al pubblico tutt’intorno la faccia imbrattata di sangue. Il ragazzo di Hogwarts aveva esitato a lungo, ma poi si era rassegnato a mangiare la sua porzione con molto garbo – era mezzo soffocato prima di arrivare alla fine, ma aveva dimostrato di saper andare fino in fondo, da vero Stark.

Daenerys sospirò e prese il cuore tra le mani. L’uomo dothraki si concesse un mezzo ghigno.

Sperando che Viserys stesse guardando, diede il primo morso.

 

Non lo incontrò per tutto il giorno. Non quando furono annunciati i punteggi, non quando le tribune si vuotarono e l’uomo dothraki – dicevano che era un capo; le campanelle nei suoi capelli tintinnarono quando si voltò a rivolgere un ultimo sguardo a Daenerys, uno sguardo carico di aspettative soddisfatte – si allontanò a cavallo al galoppo.

Quella notte andò a cercarlo nella stanza in cui dormiva. S’intrufolò nel suo letto; lui scattò come un serpente e la morse. Non la sconvolse, l’aveva morsa altre volte. Non le fece neanche male.

Non si dissero niente, soltanto restando lì nel buio senza guardarsi.

 

 

 

They say we’re crazy

They say we’re crazy

 

 

 

 

(Dicembre.)

 

Una parte di lei era sicura che Viserys non avesse saputo resistere alla prospettiva di farsi semplicemente ammirare. Un’altra, che si trattasse di puro puntiglio: non aveva potuto accoppiarla a un altro campione, benissimo, allora non l’avrebbe ceduta a nessun altro.

Non le importava. In realtà era solo dispiaciuta di non potergli esprimere quanto gli fosse grata, quanto fosse addirittura felice, di andare a quello stupido ballo con lui. Probabilmente non avrebbe capito quanto contasse per lei, o comunque non le avrebbe dato la soddisfazione di farle sapere che sapeva.

«Tieni le spalle dritte.»

Dopo la prima prova (dopo la notte in cui l’aveva morsa per l’ultima volta) qualcosa era cambiato. Se anche non lo rispettava, Viserys ora accettava il fatto che la campionessa di Beauxbatons fosse lei, che a lei spettasse il compito di conferire nuova luce al nome dei Targaryen. Sì, stava guardando – e aveva visto, e non c’era nulla che in quel momento della sua vita lei volesse di più. Viserys l’aveva vista, forse per la prima volta da sempre, aveva visto che lei era lì. (Daenerys non si era mai soffermata a chiedersi perché il Calice l’avesse scelta, prima.)

Se ciò gli facesse provare più orgoglio o più rancore, non riusciva a capirlo e non voleva saperlo.

«Più dritte, Dany

La sala da ballo attorno a loro non esisteva più. All’improvviso era davvero la favola che avrebbe potuto essere, ma solo per loro due, che danzavano a una musica inesistente per chiunque altro e condividevano un piccolo mondo nel quale nessun altro avrebbe avuto accesso. Era quando la chiamava ‘Dany’ che la voce di Viserys diventava più umana – la voce di suo fratello, la persona più importante, l’unica.

Viserys sorrideva, perché per una volta non c’era bisogno di ordinarle di sorridere. E la sua stretta sembrò diversa.

 

«Potremmo anche andare a casa, adesso.»

Seduto sul letto alle sue spalle, guardava il suo riflesso che si spogliava nello specchio. Per qualche istante non rispose – seguì il movimento dei capelli che le ricaddero sulla schiena, del vestito che le scorse giù per le gambe – poi scosse la testa.

«No, sorella. Tu farai quello che io da solo non posso fare...» Sollevò la mano e con due dita le percorse la linea di un fianco. «Tu riporterai il nostro nome sulle labbra di tutti, e stavolta non sarà per insudiciarlo che lo pronunceranno. Il Disastro non avrà più importanza quando sarà una Targaryen a reclamare la gloria, a compiere quelle stesse imprese che il mondo ha immaginato per compensarlo.»

Daenerys sbuffò. «Non chiamarlo così.»

«Cosa?»

«Il Disastro. Non mi piace. Rhaegar non ha fatto niente di male, è stato...»

Le dita di Viserys si serrarono di colpo, artigliando la pelle sensibile appena sotto la natica. Daenerys represse un grido di dolore, barcollò per sfuggirgli e ricadde contro lo specchio, e fu lì che rivide la familiare luce smaniosa animare il volto di lui. Viserys si alzò e le si chinò su una spalla, senza allentare la stretta.

«Non ha fatto niente di male?» sussurrò, in quel tono che era così difficile stabilire se fosse più suadente o più minaccioso. «A te sta bene, vero, sapere che nostro fratello ha voltato le spalle a una tradizione antica come il mondo, è venuto a fare l’insegnante – l’insegnante – in questa terra marcia in cui la magia sta morendo, e poi, tanto per gradire, si è invaghito di una puttanella e si è fatto ammazzare dall’idiota che voleva scoparsela per primo, così che negli anni a venire il suo nome sarebbe passato sulle bocche di tutti insieme a una risata di scherno e commiserazione? Ti sta bene? Davvero

Daenerys cercò di ricacciare indietro le lacrime che le riempivano gli occhi. «Si è innamorato» gemette.

«Oh, amore» sputò Viserys, lasciandola andare d’improvviso come se si fosse scottato. Daenerys rimase immobile contro lo specchio, a riprendere fiato. «Certo. Una ragazzina come te non può vedere lo schifo in questa storia. Tu pensi all’amore. Dimmi, sorella» tornò ad aggredirla, costringendola a voltarsi, così nuda e inerme sotto l’assalto della sua rabbia antica, «quanti membri della nostra famiglia si sono mai sposati per amore?»

Daenerys non rispose, ma lui dovette leggerle la decisione negli occhi.

Per un attimo sembrò colpito, poi le mostrò una furia diversa, più sorda, mordendola di nuovo. Sulle labbra.

Io lo farò.

No, che non lo farai.

Daenerys chiuse gli occhi.

 

 

 

 

 

Non muoverti, fratello. Non frenare il sangue. Lascialo scorrere.

 

 

 

 

 

(Febbraio.)

 

La seconda prova fu quasi facile.

Da terra a cielo si levavano le pareti di un labirinto di fiamme. A ogni svolta poteva capitare di imbattersi in una creatura mortale, ma il vero pericolo, almeno nelle intenzioni, stava nel fuoco che divampava ovunque e che nessun incantesimo offensivo avrebbe potuto spegnere.

Il ragazzo Stark procedeva sicuro. La ragazza di Durmstrang correva tra le lingue rosse come nella trepida aspettativa di farsene baciare.

La parte dura fu quando si ritrovò davanti il cadavere di Viserys, mutilato, fracassato, con gli occhi ancora fissi sul suo sogno fuggito via e su un nome senza più suono – e su di lei, come fosse colpa sua. Daenerys non riuscì a pensare a un Riddikulus adeguato, e scappò. Alle fiamme invece andò incontro a testa alta.

Alla fine del labirinto c’erano tre grosse uova di pietra.

 

 

 

 

 

It’s who we are

Doesn’t matter if we’ve gone too far

Doesn’t matter if it’s all okay

Doesn’t matter if it’s not our day

 

 

 

 

 

(Maggio.)

 

Ogni drago aveva un ostaggio. Quello dello Stark sorrideva, sfrontato e saccente mentre le scaglie della lunga coda del carceriere gli graffiavano le guance. Quello della rossa di Durmstrang era un ragazzetto riccioluto e pallido, stranamente familiare, con gli occhi tristi.

Il cuore di Daenerys vacillò. No. Aveva avuto paura del Molliccio, questo era troppo.

Viserys non era fatto per starsene tranquillo ad aspettare lei di essere salvato. La terza prova del Torneo si stava rivelando più crudele per lui che per lei, lui che da tutta la vita – forse da prima ancora del Disastro, forse da quando il papà era impazzito e la mamma era fuggita, forse da quando la gente aveva cominciato a dire che il sangue Targaryen non era sangue Veela ma sangue folle, sangue infetto, sangue sporco – andava avanti nella convinzione sempre uguale di dover dimostrare prima d’essere. Il drago che si parava tra lui e l’arena gremita avrebbe dovuto mettere alla prova Daenerys, ma era Viserys, naturalmente, quello che si sentì sfidato dall’immensa creatura vibrante di fuoco interno.

Fratello, lo implorò senza parole, nello stupido ricordo dei suoi denti e delle sue mani. Fratello, tu non sei Rhaegar, tu non sei solo, aspettami, aspetta me.

Non seppe mai con certezza come accadde, ma seppe di aver perso nel momento stesso in cui urlò il suo nome.

 

 

 

 

 

Non piangere, e le lunghe strisce di carne bruciata che gli corrono giù lungo le guance non si spengono.

Non muoverti, e la vita che gli sfugge dalla bocca in rantoli soffocati è già sfilacciata e inconsistente.

Daenerys accarezza le macerie dei suoi capelli, dei suoi zigomi e delle sue labbra. Riesce ancora a leggervi una parola. Dany. Si china a baciarle.

In silenzio, col ruggito dei draghi sconfitti nel cuore, racconta a Viserys del giorno in cui il nome Targaryen laverà ogni onta nel fuoco e nel sangue.

 

 

 

 

 

Why won’t you save us (who we are)

Don’t look clear, it’s all uphill from here

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Questo regalo di compleanno arriva con appena un mese e mezzo di ritardo, ok. E il peggio è che non arriva neanche con l’entusiasmo che ne ha accompagnato la genesi – è venuto molto, molto diverso da come voleva essere. Sono mortificata, moglia. Spero che l’accenno alla tresca tra Tywin Lannister e la ragazza delle cucine mi faccia perdonare *sono meschina XD*

Beh, dunque, per i lettori. L’AU ufficialmente denominato (?) come Game of Schools l’ho già illustrato a grosse linee in Summer may be coming [non è un messaggio subliminale (???), ma se volete maggiori delucidazioni potete sempre leggervi quelle note che non mi va di copincollare qui XD]; in questo caso però ho scelto di rappresentare una precedente edizione del Torneo Tremaghi istituito dopo il casino di Rhaegar Targaryen a Hogwarts: una in cui fosse proprio Daenerys a venire eletta dal Calice di Fuoco (gli altri campioni vorrebbero essere Robb e Ygritte, più per una coincidenza di età che per altro – in bookverse!GoT sia loro sia Dany appena introdotti hanno circa quattordici anni, quindi li suppongo coetanei anche nel contesto del Torneo e mi evito l’imbarazzo di andarmi a pescare campioni meno popolari). Il mio tentativo (semifallito) era soprattutto di concentrarmi su quello che sarebbe stato il rapporto Viserys/Daenerys in questo contesto – e il percorso che ai miei occhi porta anche la Dany originale a spostarsi dall’ottica voglio-una-famiglia-felice Tassorosso a quella esigo-fuoco-e-sangue Serpeverde, a parte il fatto che, ovviamente, i Targaryen frequentano Beauxbatons #mistoincartando – pertanto la trama ha più di qualche buco e a conti fatti lo stesso finale post terza prova potete interpretarlo come più vi piace. Però, ecco, è la prima volta che scrivo dei due fratelli Targaryen in generale, e le dinamiche tra loro mi affascinano oltre ogni dire, e farlo in Hogwarts!verse era non solo doveroso nei confronti di MogliaH ma anche un mio personalissimo guilty pleasure. Quindi niente, anche se avrei voluto essere molto più precisa con questa shot, anche se avrei voluto concedere il giusto spazio anche alle interazioni di Dany con Drogo e Jorah, sono comunque contenta di averci provato. Questa ship è molto più complicata di quanto abbia mai creduto ;///;

I versi che spuntano di tanto in tanto nel testo sono tratti da Who we are degli Imagine Dragons.

Ancora mille scuse, Susy, e ancora un mondo di affetto per te.

Aya ~

   
 
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