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Autore: seasonsoflove    17/07/2015    7 recensioni
"Era quasi ora di pranzo alla Storybrooke High School, e Belle era seduta in classe insieme ai suoi compagni.
Belle era la tipica ragazza...atipica.
Graziosa ma di una bellezza antica, di classe. I lunghi capelli rosso scuro leggermente mossi, la carnagione pallida, le guance rosee, gli occhi di un azzurro irreale, il viso tondo, e il corpo minuto."
AU!Highschool - Young!Storybrooke.
Pairing (Rumbelle/SwanQueen e altri possibili)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Belle, Emma Swan, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And the years go by
Close your eyes
'Cause everything is... perfectly aligned
perfectly aligned
Don't fail me now
Ask me how
Everything is... perfectly aligned


 
“Questa cosa fa schifo!” latrò Regina, bevendone però un altro bicchiere.
Kristin si lasciò andare sul letto e chiuse gli occhi.
“Non hai il minimo senso del gusto per gli alcolici” mormorò ad un certo punto.
“E’ orribile!”
“E intanto continui a berlo…”
Regina, anch’ella sdraiata sul letto, si rialzò bruscamente.
“E’ vero.” Bofonchiò confusa.
“Allora. Prima di uscire e fare faville in questo noiosissimo campus, devi ancora pagare il prezzo per ciò che stai bevendo.”
La mora valutò confusamente le implicazioni di quella frase. Aveva promesso di dire la verità a Kristin, ma non aveva la minima intenzione di essere sincera su tutta quella storia.
“Non so di cosa parli.” Dichiarò quindi alzandosi. Barcollò lievemente e si avviò sdegnosa verso il bagno, ben decisa ad ignorare la domanda e a rifarsi il trucco prima di uscire.
“Lo immaginavo.”
Kristin si alzò anche lei e raggiunse la compagna nello squallido bagnetto che condividevano.
“Se non mi dici cosa succede, dirò alla Swan del nostro piccolo simposio di questa sera.”
Regina si girò orripilata.
“Ma ci finiresti in mezzo anche tu!”
L’altra fece un vago gesto con la mano come dire, “ piccolezze”.
“Sei disgustosa.”
“Dunque?”
La mora si girò e si scrutò confusa allo specchio. Cercò di afferrare il rossetto ma sbagliò mira; a quel punto si appoggiò al lavandino, respirando forte.
“Mi piace Gold.” Disse infine.
Era la soluzione più diplomatica ed intelligente. Se la voce fosse giunta, non troppo inaspettatamente, al ragazzo, avrebbe sempre potuto negare e spiegargli come stavano veramente le cose.
Kristin si appoggiò alla parete sorridendo placidamente.
“Se tu ti aspetti che io ci creda-“
“E’ così. Puoi crederci oppure no. E ora dammi un altro sorso di quella cosa.”
“Se ti piace Gold” Kristin si alzò in punta di piedi e portò la bottiglia al di fuori dalla portata del braccio di Regina “perché non hai fatto una piega quando è stato assegnato in coppia alla sua amichetta del cuore?”
L’altra non rispose. Era in un vicolo cieco, avrebbe dovuto pensarci prima di mettersi in quel pasticcio.
Doveva trovare rapidamente una soluzione.
“Lui non deve sapere di piacermi ancora, altrimenti la nostra amicizia terminerebbe subito. Sono riuscita a ricucire i rapporti con lui per miracolo, non voglio perderlo facendo inutili scenate di gelosia” Disse infine, cercando di sembrare convincente. Per dare forza al suo discorso, abbassò lo sguardo e incrociò le braccia, assumendo un’espressione triste.
Kristin rimase un momento immobile, scrutandola.
“Non so perché ma non riesco a crederti completamente. Quindi questa la finisco io, fino a che non decidi di soddisfare la mia curiosità come si deve.” Dichiarò infine, uscendo dal bagno con la bottiglia in mano.
Regina sbuffò, già stanca di quell’infinito week-end che si stava rivelando fastidioso quanto infruttuoso.
Ora almeno era da sola. La sua bugia sembrava aver momentaneamente soddisfatto la sua famelica compagna di stanza, o forse almeno le aveva dato qualcosa su cui riflettere.
Era venuto il momento di agire.
Forse poteva chiamare Emma. Finalmente le era stata concessa della privacy, poteva chiamare la professoressa con una scusa banale, poteva dirle di non sentirsi bene oppure semplicemente dire che Malefica, anzi, Kristin, aveva messo qualcosa dentro al suo succo…
Afferrò il cellulare.
Stava per comporre il numero, quando si bloccò e si guardò intorno, scrutando le squallide pareti del bagno.
Quanto era disperata per dover fingere di stare male e riuscire ad elemosinare un po’ dell’attenzione di Emma?
Non erano amiche loro due? Non sarebbe stato più semplice chiamarla e chiederle di fare un giro…? Lei lo avrebbe apprezzato sicuramente di più.
Indecisa sul da farsi, sentì improvvisamente bisogno di alcool.
E come se avesse sentito il suo richiamo, Kristin entrò di nuovo in bagno.
“Smettila di stare lì a fissare il cellulare. Non avrai mai il coraggio di chiamarlo. O chiamarla.”
“Cosa?” esclamò allarmata Regina.
L’altra alzò gli occhi al cielo.
“Vestiti. Ho sentito la mia amica Merrin che si è imbucata ad una festa di alcuni ragazzi del campus. Andiamo con lei questa sera.”
Regina non disse nulla e fissò il cellulare.
“Allora? Te l’ho detto, ti manca il coraggio.” La canzonò la compagna.
“Non è vero.” Mormorò la mora.
“Sì che lo è.”
Regina scosse la testa infastidita.
Era vero.
Si guardò intorno a disagio.
“Facciamo un salto alla festa. Se fa schifo però me ne vado.” Disse poi semplicemente.
 
 
 
Quando Belle arrivò in sala d’attesa, trovò Robert abbandonato su una delle sedie che le aveva indicato, gli occhi chiusi. Sembrava addormentato.
La ragazza esitò. Doveva svegliarlo?
Si avvicinò lentamente e si sedette accanto a lui.
“Robert?” provò piano.
Lui aprì gli occhi.
“Non stavo dormendo.” Disse subito, scuotendo la testa intorpidito. “Giuro.”
Belle sorrise leggermente.
“Va tutto bene…beh, insomma, non sarebbe stato un problema se tu avessi deciso di riposarti.”
Gold si guardò intorno leggermente rintronato, poi improvvisamente desto si raddrizzò sulla sedia, afferrò alcune cose che aveva depositato al suo fianco e gliele porse.
“Ecco, ho preso da bere. E anche da mangiare, ci sono gli Oreo, delle…gallette di riso, credo, e questa è frutta secca.”
Belle lo guardò stupita. Appoggiò i fogli che il medico le aveva consegnato sulla sedia accanto alla sua e si lasciò andare contro lo schienale.
“Ho…solo fatto rifornimenti. E’ ora…è ora di cena.” Si giustificò Robert guardando dubbioso il cibo.
“Sei stato molto gentile” lo rassicurò Belle, immaginando che avesse mal interpretato il suo sguardo “però non ho fame.” Concluse tristemente.
Lui annuì serio.
“Com’è andata? Cos’hanno detto?”
“Non…non è niente di grave. E’ un’arteria ostruita e vogliono operarlo subito per evitare che il problema peggiori.”
“Subito intendi…”
“Intendo ora, sì. E’ un’operazione di routine e non vogliono rischiare di lasciarlo così un’altra notte.”
Robert tamburellò il piede nervoso.
“Quindi ora…”
Belle fissò l’orologio con sguardo vuoto.
“Ora lo operano, non ci metteranno molto…poi mi diranno.”
Gli spiegò brevemente la situazione, ciò che le avevano detto i medici e ciò che le aveva detto suo padre. Dopodiché entrambi rimasero in silenzio.
Non c’era molto altro da dire: i medici e le infermiere camminavano avanti e indietro per la corsia, alcuni di fretta, altri svogliati, chiacchierando o sorseggiando i loro caffè. Il tempo passava lentamente e Robert decise che era venuta l’ora di mangiare di nuovo.
Belle non toccò cibo ma bevve il tè.
Si torceva le mani nervosa, guardava l’orologio, sobbalzava ogni volta che un medico usciva da qualche sala operatoria.
“Secondo me dovresti mangiare qualcosa.” Riprovò Robert un’oretta dopo.
Non ottenne risposta.
Intanto il monotono e continuo trillare dei macchinari accompagnava la loro veglia.
 
 
Le persone intorno a lei si divertivano, Kristin era sparita ed era ritornata più volte, lo sguardo sempre più perso. Regina non aveva dubbi sulla destinazione della ragazza ogni volta che si allontanava, come non lasciava dubbi l’odore di fumo sui suoi vestiti.
Regina sbuffò.
Controllò il cellulare: nulla.
Ovviamente.
Belle e Robert erano via dal pomeriggio, chissà che bella giornata avevano passato insieme, si erano sicuramente riconciliati…ed Emma dov’era?
Si alzò inquieta ed improvvisamente sentì una mano appoggiarsi sulle spalle.
Si girò di scatto.
“Togli subito quella mano o te la strappo.” Ringhiò.
Il ragazzo che stava di fronte a lei si ritirò bruscamente e la guardò con tanto d’occhi.
Regina riconobbe un ragazzo della sua scuola, tale Robin.
“Non farlo mai più.” Disse in tono minaccioso.
Odiava quel tipo di approccio.
“Tranquilla Vostra Maestà” ironizzò lui. Sembrava essersi ripreso dalla rispostaccia, così si avvicinò di nuovo alla ragazza.
“Non sono qui per importunarti se è questo che credi.” Dichiarò poi. “Sono finito a questa festa e non conosco nessuno. So che sei amica di Gold, quindi volevo chiederti se per caso l’hai visto…è sparito da questa mattina.”
Regina rimase un momento immobile.
“No.” Rispose poi “Non ho idea di dove sia.”
Si abbandonò su un divano, mentre le persone intorno a lei urlavano e ballavano.
“Non ti senti bene?” le chiese Robin, rimanendo in piedi davanti a lei, le mani in tasca.
“Sono stanca.”
“Perché non vai in camera?”
“Perché non ne ho voglia. Perché non la smetti di parlare?”
“Stanno parlando tutti!”
“Tu smettila e basta.”
Lui alzò le mani, sorrise, e con un cenno  la salutò e se ne andò.
 
 
 
Passarono due ore nelle quali Belle si accasciò debolmente su una delle sedie e chiuse gli occhi. Poco dopo Robert vide il petto della ragazza alzarsi e abbassarsi ritmicamente e capì che si era addormentata.
Si tolse la giacca e la coprì, curandosi di non svegliarla.
Poi riprese a mangiare, nervoso, osservando l’orologio.
Improvvisamente apparve davanti a lui una giovane infermiera molto carina e sorridente.
“Tè? Caffè? Succo?” chiese, indicando il carrello.
“Oh. Sì grazie, due tè alla pesca.”
L’altra annuì e glieli pose.
Una volta che lo ebbe scrutato bene, il sorriso si fece più ampio.
“Mi ricordo di te.”
Lui la guardò sperduto. Poi lo sguardo gli cadde sulla targhetta del nome: “Nova”.
Strinse gli occhi, cercando di ricordare.
“Sei quello a cui abbiamo tolto i pezzi di vetro dal ginocchio questo inverno. Eri terrorizzato dall’anestesia!”
Robert arrossì. Tutti si ricordavano di lui, era praticamente diventato lo zimbello dell’ospedale.
“Già.” Bofonchiò, guardando altrove.
“Anche lei era con te!” continuò lei allegramente, indicando Belle addormentata. “Vi siete baciati prima dell’intervento. Il dottor Whale sosteneva che voi non stesse insieme ma io sì. Così abbiamo scommesso dieci dollari.”
Robert aggrottò la fronte. Era una storia piuttosto strana. Perché gliela stava raccontando?
“Insomma, ho vinto una scommessa grazie a voi due. Quindi, grazie!” concluse.
Lui annuì imbarazzato “Prego.”
Rimase un momento in silenzio.
“Dovrebbe ridare i dieci dollari al dottor Whale.”
Nova lo guardò sorpresa.
“Perché?”
“Non stavamo veramente insieme all’epoca.”
Lei tornò a sorridere.
“Beh, ma ora sì. Quindi…”
“No, neanche ora.” Disse lui piattamente.
Nova si morse il labbro.
“Però siete insieme qui.”
“Non significa niente.”
L’infermiera si sedette accanto a lui. Il ragazzo sembrava davvero giù di corda e per Nova vedere le persone tristi era desolante.
Per questo aveva deciso di fare l’infermiera: aveva sempre voluto aiutare gli altri.
“Scommetto altri dieci dollari che starete insieme.” Dichiarò infine, tornando a sorridere.
“Con chi li scommette?”
“Con te.”
“E’ una causa persa…”
“Allora non hai nulla da perdere.”
Gli tese la mano.
Lui esitò, ma infine decise che era troppo stanco per ribattere così la strinse.
“Ricorda.” Disse Nova alzandosi e strofinandosi le mani soddisfatta “Che io riconosco sempre l’amore, quando lo vedo. E ricorda che mi devi dieci dollari.”
Robert la guardò allontanarsi stupito ma anche stranamente speranzoso.
 
 
 
 
 
Quella serata era stata un vero fallimento.
Di poche cose Regina era assolutamente convinta nella sua vita, ma questa era una di quelle certezze inconfutabili. Aveva trascorso qualche ora in camera a bere senza un vero proposito, chiacchierando del nulla con la sua compagna, non era riuscita a chiamare Emma, aveva deciso di uscire insieme a Kristin ed imbucarsi ad una festa al campus che si era rivelata tutto fuorchè divertente. Il tutto sarebbe potuto anche essere stato emozionante, se Regina avesse avuto un altro carattere.
Kristin si era trovata con la sua amica Merrin e insieme si erano date alla pazza gioia.
Poteva anche essere stato quasi una bella serata all’inizio, ma dopo un po’ la musica era diventata troppo forte e i drink avevano iniziato ad essere troppo pesanti e la gente urlava e i ragazzi erano un po’ troppo su di giri.
Dopo aver schiaffeggiato uno studente del secondo anno di biologia per averla toccata, Regina aveva deciso che era ora di porre fine a quello strazio.
Si era avviata verso l’uscita e aveva deciso di tornare in camera.
Quasi quasi rimpiangeva Gold e le sue serate con lui; loro due almeno sapevano come ridere e tenersi compagnia, nonostante il ragazzo tendesse a diventare piuttosto lamentoso ed indisponente da ubriaco. Non che con Kristin si fosse trovata male, questo non poteva dirlo, ma quel tipo di festa non faceva per lei.
No, pensò Regina, a lei piacevano le feste un po’ più calme, esclusive, con un bell’ambiente e i suoi amici…
Non molto lontano da lei, Merrin uscì di corsa e urlò “ANDIAMO A CAMMINARE SUI BINARI!” mentre alcune ragazze la seguivano.
Regina scosse la testa impietosita, vedere quelle che dovevano essere studentesse del college comportarsi come liceali era davvero uno spettacolo triste e lei in tutto quello non c’entrava niente, quindi era ora di tornare in camera.
Camminava rapidamente per il parco del campus, non vedeva l’ora di infilarsi nel letto, l’indomani si sarebbe dovuta svegliare presto e lo sapeva, avrebbe avuto mal di testa per tutta la mattina…
E poi il miracolo accadde.
 
 
 
 
“Suo padre si sveglierà domani mattina.”
Belle guardò il medico con tanto d’occhi, mentre Robert camminava inquieto dietro di lei, consapevole di non potersi fare avanti perché non parte del nucleo famigliare.
“Sta…lui-“
“Sta bene. L’intervento è andato a buon fine ma chiaramente è ancora sotto anestesia, si sveglierà domani mattina.”
Belle annuì e fece per parlare di nuovo, ma si bloccò.
Il dottore la scrutò con fare critico.
“Lei ha bisogno di una bella dormita. Vada a casa e si riposi. Lasci il cellulare acceso e per ogni evenienza la contatteremo…ma non si preoccupi. Dorma e domani, con calma, discuteremo i dettagli.”
“Domani?”
“Sì, domani.”
La ragazza cercò di protestare ma le parole le morirono in gola. Andava tutto bene. Il medico glielo stava assicurando.
“Passo la notte qui.” Disse però, molto decisa.
“Ovviamente è libera di farlo, ma se permette…le consiglio di andare a casa. E’ tutto sotto controllo.”
A quel punto Robert, impaziente come non mai, si palesò di fronte al dottore e, cercando di avere un fare autoritario, parlò.
“Vorrei sapere anche io cosa succede. Penso di averne tutto il diritto.”
Si alzò anche un po’ sulle punte, giusto per sembrare più alto.
Fu felice di non essersi fatto la barba quella mattina, sembrava sicuramente più adulto in quel modo, con una leggerissima ombra sul mento e sulle guance.
Belle lo guardò male.
“Sono certo che la signorina la aggiornerà su tutto.” rispose il dottore con un mezzo sorriso. Dopodiché si congedò.
Belle si girò e lo fronteggiò.
“Si è visto che ti sei alzato sulle punte dei piedi.”
Robert si sgonfiò e riprese il suo naturale modo di fare.
“Allora? Cosa succede? Sta bene?”
Lei spiegò ciò che le aveva detto il medico.
“Io però penso di dormire qui.” Disse infine.
Gold scrutò la corsia e le sedie della sala d’attesa, molto dubbioso.
“Credo che sia meglio andare a casa.”
“No” si intestardì lei.
“Belle…”
“Se succede qualcosa io-“
“Non succederà nulla. E poi terrai il cellulare acceso. Belle, devi dormire e non puoi farlo su quelle sedie. Mi viene mal di schiena solo a guardarle. E…e stare qui non cambierà le cose, lo sai.”
Lei pestò i piedi arrabbiata e gironzolò inquieta per la sala d’aspetto, mentre Robert aspettava paziente.
Non serviva a nulla stare lì, lo sapeva, Robert aveva ragione. Non avrebbe fatto la differenza.
E suo padre l’avrebbe voluta a casa, a dormire nel suo letto…
Tornò dal ragazzo.
“Va bene.” Dichiarò “Ma devi portarmi a casa, gli autobus non passano più dopo le nove.”
Lui sorrise.
“Non c’è nessun problema.”
“Prima però devo chiamare mia zia Ruby. Ho…ho bisogno di sentirla e devo avvisarla.” Si interruppe e improvvisamente si portò la mano alla fronte “e devo avvisare la Swan, cazzo.” Esclamò concitata. Afferrò il cellulare.
“La Swan l’ho avvisata io. Tranquilla. Sanno cos’è successo.” Le disse subito Robert.
Belle lo guardò piena di gratitudine.
“Grazie. Io…non so dove ho la testa ma-”
“Non c’è di che.”
La ragazza annuì.
Poi decise che era davvero venuto il momento di chiamare sua zia.
 
 
 
Emma Swan era lì.
Inizialmente Regina fu certa di aver bevuto troppo, temette addirittura che una delle sue nuove amiche le avesse lasciato qualche sorpresina nel bicchiere…non poteva essere. La fortuna non era mai stata dalla sua parte, possibile che proprio ora la sorte le sorridesse?
Eppure i capelli biondi erano i suoi. E anche i jeans, il giubbotto di pelle rossa.
Era semplicemente seduta su una panchina del campus, il cellulare in mano e un libro in un'altra.
La mora esitò.
Qual era la cosa migliore da fare?
Si guardò lentamente intorno.
Forse Emma era con qualcuno, magari con la Blanchard…o forse stava aspettando qualcuno, anche se quelli erano un luogo e un’ora curiosi per aspettare amici o colleghi.
O magari era sola. Magari la sua serata era saltata oppure non aveva mai avuto un programma per quella sera e ora stava semplicemente ingannando il tempo, godendosi l’atmosfera di festa del campus…
Mentre Regina rifletteva febbrilmente, realizzò di essersi fermata di fronte alla panchina. Se Emma avesse alzato la testa l’avrebbe subito notata e cos’avrebbe pensato, vedendola lì, immobile?
Doveva pensare ad una soluzione rapida. Così si arrangiò alla bell’e meglio e senza dare nell’occhio si spostò in una stradina laterale, fuori dalla luce dei lampioni.
Ora doveva aspettare, pensò.
Avrebbe semplicemente atteso qualche minuto per assicurarsi che Emma non fosse in compagnia e per essere sicura di non risultare inopportuna, dopodichè si sarebbe palesata.
Non venne nessuno e la professoressa continuava a guardare il cellulare, corrucciata. Così, dopo alcuni minuti, Regina decise che era venuto il momento di agire.
Si alzò, camminò rapida e si scompigliò leggermente i capelli, giusto per dare l’idea di essere di fretta.
Una volta vicina alla panchina esclamò con grande – e finta – sorpresa.
“Professoressa Swan!”
Emma alzò il volto e la guardò sperduta.
Una volta riconosciuta l’interlocutrice, sorrise.
“Regina. Mi hai fatto prendere un colpo.”
In risposta si beccò un sopracciglio inarcato e le braccia incrociate.
Cordiale come sempre – pensò Emma.
“Cosa ci fai qui?” le chiese poi.
Regina scrollò le spalle.
“Sono andata con delle amiche in un bar per conoscere alcuni ragazzi del campus e farci spiegare come funziona la vita qui…sa, per sapere un po’ cosa c’è da fare nel tempo libero, se ci sono locali, palestre…” Inventò spudoratamente. Stette attenta a scandire bene le parole per mascherare la sua poca sobrietà.
L’altra strinse gli occhi sospettosa, ma annuì.
“Lei?” chiese poi Regina.
“Io dovevo vedermi con la professoressa Blanchard. Ma a quanto pare ha avuto dei...” esitò e storse il naso “problemi di stomaco. Quindi mi sono trovata a girovagare da sola per il campus. Con un libro.”
“Anche io ora sono sola.” Esclamò rapidamente Regina. Un po’ troppo rapidamente si disse poi, mordendosi la lingua e sperando che l’alcool non la portasse a dire altre frasi inopportune.
“Quindi com’è andato il giro coi ragazzi del campus?”
“Mah, noioso direi. Mi aspettavo di meglio.” Dichiarò con fare quasi sdegnoso.
“Nessuno di loro era all’altezza?”
“Più o meno.”
Emma annuì mentre la ragazza di fronte a lei si guardava intorno sospettosa. Sembrava quasi che aspettasse di veder spuntare qualcuno da dietro qualche cespuglio. Attese pazientemente.
“Ha voglia di bere qualcosa insieme?” sbottò infine.
La professoressa sorrise trionfante. Sapeva benissimo che Regina odiava dichiararsi sconfitta e piuttosto che tornarsene in camera dopo una serata noiosa, avrebbe fatto qualunque cosa pur di movimentare le cose. Anche concedersi un altro drink con la sua professoressa di psicologia.
Ed Emma ne era contenta. Iniziava a sentirsi davvero triste e fuori luogo a Boston.
Margaret Blanchard non era una donna cattiva o antipatica, ma per certi versi le ricordava molto sua madre. Petulante e molto ansiosa. Insomma, una donna adulta, pensò Emma, mentre lei si considerava ancora giovane e vedere tutti quei ragazzi all’università le aveva messo addosso una grande voglia di vivere e godersi la vita.
La Blanchard non faceva che parlare di animali, cibo e dei suoi problemi di stomaco. Dopo due giorni la cosa aveva iniziato a farsi sfiancante e terribilmente noiosa.
Così la bionda colse la palla al balzo.
“Credevo che non me lo avresti mai chiesto.” Dichiarò, alzandosi dalla panchina e strofinandosi le mani sui jeans.
“Perché?”
“Perchè ti conosco.” Rispose Emma sorridendo leggermente.
Regina inarcò le sopracciglia dubbiosa.
In ogni caso, quella per lei era una grandissima vittoria.
Così si mise a camminare con fare baldanzoso accanto alla professoressa, diretta verso uno dei numerosi bar universitari che Kristin le aveva indicato la mattina precedente.
 
 
 
 
Belle sentì il telefono squillare e attese, sperando che sua zia rispondesse. Magari stava lavorando alla tavola calda o magari aveva appena finito il suo turno ed era andata a dormire…
“Belle?”
La voce di Ruby le giunse forte e chiara all’orecchio.
“Zia!” esclamò Belle sollevata. Era lì. Poteva parlarle. Poteva avvisarla, chiederle aiuto…
“Mi dispiace se ti ho chiamata a quest’ora. Stai…stai lavorando?”
Il rumore della sala d’attesa era davvero fastidioso, così si tappò un orecchio per riuscire ad isolarsi.
“Non preoccuparti, sono in pausa. Come stai?”
“Io…bene.”
Esitò.
Come poteva dirle cos’era accaduto senza farla preoccupare inutilmente?
“Sicura?”
Belle si maledisse.
Sua zia aveva un grande istinto quando si trattava di capire se una persona mentiva oppure no.
“Non proprio…”
 “Senti, è per quel cretino con cui eri fidanzata un po’ di settimane fa? Stai ancora male per lui? Dimmi di no, ti prego, poi ho visto le sue foto su Facebook, ha dei capelli da idiota e hai visto le sue foto in costume? Ha la pancia!”
A Belle scappò una mezza risata. Se Robert avesse sentito quel discorso…
“No…io…lui non c’entra. Ecco…” si bloccò e respirò a fondo. “Papà non sta bene.”
Seguì un momento di silenzio.
“Cosa vuol dire?”
La voce di Ruby si fece improvvisamente tesa e Belle capì che la donna stava pensando a cos’era successo a sua sorella, a Colette, la mamma di Belle.
“Non…non è come per la mamma.” Disse subito la ragazza. “Io…sono in ospedale. L’hanno operato al cuore…credo…credo che ora stia bene.”
Ancora silenzio.
“Belle, cos’è successo?”
“Non lo so con certezza.”
Camminò inquieta per la corsia.
“Ero…ero a Boston e mi hanno chiamata dall’ospedale dicendomi che papà non si era sentito bene.”
Sentì un vago rumore in sottofondo, rumore di una tastiera.
“Ruby?” provò.
“Sto controllando gli orari dei treni per Storybrooke. Un momento.”
Belle rimase zitta.
Se controllava gli orari dei treni significava che…
“Perché CAZZO DEVE ESSERCI SCIOPERO DOMANI!? Si può sapere!?” abbaiò improvvisamente furiosa Ruby.
La ragazza sobbalzò.
“Ruby io-“
“Ma è questo il modo di fare!? E poi che sito inutile. Non mi segna neanche le coincidenze…aspetta…”
Belle attese.
“Niente. Domani non ce la faccio. Sarò lì domenica mattina alle undici.”
Belle deglutì. Non sapeva cosa dire. Aveva chiamato solo per avvisare, per sentire la voce amichevole di sua zia, per sentirsi rincuorata…
“Grazie. Mi dispiace, io non volevo disturbarti, davvero…io...” Le uscì.
“Macchè, macchè. Sono solo incazzata perché non riesco ad arrivare domani. Tu fai così: tienimi aggiornata, chiamami domani mattina e spiegami tutto con calma, per filo e per segno. Ora devo tornare al lavoro, la vecchia mi scuoia viva se non servo quegli hamburger…noi due ci vediamo domenica alle undici. E AGGIORNAMI.”
Belle continuò a balbettare e a ringraziarla.
Appena finita la chiamata, sentì una piccola bolla di gioia gonfiarsi nel petto.
Sua zia veniva da lei domenica. Era da Natale che non la vedeva, l’avrebbe riabbracciata a breve. Sua zia che era per lei come una seconda mamma, e nonostante abitasse lontana, trovava sempre il modo di starle vicina.
Tornando in sala d’attesa Robert le venne subito incontro.
“Dunque, com’è andata?”
“Bene. Io - lei verrà qui. A Storybrooke. Domenica mattina.”
Robert sorrise e fece per poggiarle la mano sulla spalla. A metà strada cambiò evidentemente idea e si limitò a stringere il pugno il segno di vittoria.
“Noi…possiamo andare.” Disse semplicemente Belle.
“Perfetto. Vuoi qualcosa da bere?”
“No, sto bene.”
“Da mangiare? Belle, sono ore che non-“
“Basta! Cazzo, te l’ho già detto, non ho fame!”
Il ragazzo chiuse la bocca di scatto. Fece un passo indietro desolato.
“Scusa.” Pigolò lei dispiaciuta “Non volevo essere brusca. Scusa, davvero.”
Lui si grattò la testa, guardando il pavimento.
“Non…non fa niente.” Disse infine.
“Mi dispiace” ritentò Belle.
“Non è successo niente.” Minimizzò Robert.
Belle sapeva benissimo di averlo ferito, lo vedeva nel modo in cui gli occhi scuri del ragazzo fissavano il linoleum della corsia.
Avrebbe voluto abbracciarlo in quel momento.
Era venuto con lei a Storybrooke, l’aveva accompagnata in ospedale, era stato lì con lei, si era preoccupato per lei ed ora era lì, ancora lì, pronto ad aiutarla nonostante tutto.
Strinse i pugni, resistendo all’impulso di stringerlo e dirgli che le dispiaceva, che era felice che fosse lì con lei, che la faceva stare bene e che non voleva che se ne andasse.
Ripensò al modo in cui l’aveva aggredito.
Era stata una frase ingiustificata, ma la tensione accumulata durante tutta la giornata, e forse anche nelle ultime settimane, tendeva semplicemente ad esplodere nei momenti meno opportuni.
“Sono solo molto spaventata. Mi dispiace tanto.” Cercò di dire infine.
Lui annuì, guardandola negli occhi.
“Lo so. Andiamo alla macchina.”
Questa volta le appoggiò la mano sulla spalla e insieme uscirono dall’ospedale, non senza essersi prima fermati alla macchinetta delle merendine e aver comprato un pacchetto di Oreo che Belle divorò mentre Robert la guardava rincuorato.
 
 
“E’ un’ottima serata.” Disse Emma con voce alterata, battendo le mani allegramente.
Regina annuì coscienziosamente. Era una meravigliosa serata. Forse non era iniziata nel migliore dei modi ma sicuramente si era evoluta bene, estremamente bene. Mentre Emma osservava con sguardo rapito il suo bicchiere vuoto, Regina pensò fugacemente a Kristin. Chissà dov’era adesso. Chissà se l’avrebbe trovata in camera al suo ritorno e soprattutto, chissà in che stato l’avrebbe trovata. La cosa la incuriosiva e la divertiva. Sperò che la ragazza fosse sola. Non voleva brutte sorprese e non voleva estranei ubriachi in camera.
“Però non va bene.” Esclamò improvvisamente la professoressa “Io sono la tua insegnante e non dovrei bere. Dovrei dare un buon esempio.”
Riprese a fissare il bicchiere, quasi con tristezza.
Regina arricciò il naso e si grattò la testa.
Quel discorso non aveva senso, non al momento.
“Non lo dirò a nessuno.”
“Non dovrei farlo comunque. E’ scorretto. Adesso smetto. Basta.”
Afferrò il bicchiere e lo buttò in un cestino vicino alla panchina sulla quale erano sedute.
“Ecco.” Disse tornando al suo posto “E’ ora di andare a dormire. Su, alzati.”
“Ma perché non la smette? Tanto ormai…”
Regina fece un vago gesto con la mano, come a dire che la serata era andata.
“Ma non dovrei farlo!”
La professoressa pestò i piedi rabbiosa.
“Forse no, ma si vede che ne aveva bisogno.”
Emma si girò verso di lei, ipnotizzata.
“Sì. E’ così!” mormorò ispirata “Ne avevo bisogno. Perché i miei genitori sono troppo asfissianti. Lo sai quante volte mi hanno chiamata da quando sono qui!? Sedici! Sai quante volte ho risposto?”
“Sedici?”
“ESATTO!”
Regina annuì. Aveva capito il problema.
“Ho solo bisogno di svagarmi un po’.” Mormorò assorta Emma.
Da qualche parte nel parco dell’università, un orologio battè forte le ore. Un solo rintocco. La luce del lampioni parve quasi affievolirsi.
“Ma è l’una!”
La voce di Regina destò Emma dal suo torpore.
“L’una?”
“Ma sì, non ha sentito l’orologio?”
“Quale orologio?”
Regina lasciò perdere.
Dopo qualche minuto, Emma si alzò in piedi e si stiracchiò.
“E’ davvero ora di andare. Abbiamo fatto anche troppi strappi alla regola per questa sera.”
Regina sorrise mesta.
“Immagini se sua madre sapesse.”
L’altra borbottò qualcosa in risposta e prese a camminare in direzione dei dormitori.
“Ti accompagno in stanza. Sei sotto la mia responsabilità.”
“Oh, stiamo ancora parlando di responsabilità?” la provocò Regina con finta innocenza.
Quelle ore passate insieme le avevano dato un nuovo coraggio e una nuova spavalderia. O meglio, aveva riacquistato gran parte della sua solita spavalderia, e la stava mettendo ampiamente a frutto.
“Non funzionerà.” La ammonì Emma.
Le fece segno di seguirla e camminò davanti a lei, baldanzosa.
Regina le stette dietro quasi a fatica.
“Perché i suoi genitori sono così?”
“Dovresti chiederlo a loro”
“Ha fatto qualcosa in passato per cui dovrebbero preoccuparsi?”
Emma si bloccò e la guardò.
Fu un lunghissimo istante e Regina pensò spaventata che forse non avrebbe dovuto porre una domanda simile, era stata indiscreta...
Lo sguardo della donna era indecifrabile.
“No. Cosa vuoi che abbia fatto?” disse infine.
L’altra scosse la testa.
“Niente.”
Ripresero a camminare.
“Magari si era fatta una canna o qualcosa di simile.”
Emma rise, di nuovo rilassata.
A Regina però non era sfuggita la reazione della donna. Si chiedeva cosa potesse essere successo di così terribile.
Probabilmente non era nulla.
Anche sua madre, Cora, se la prendeva per un mucchio di cose insignificanti.
Passeggiando parlando del più e del meno.
 
Arrivarono al dormitorio circa un quarto d’ora dopo.
Sulla porta Regina si bloccò bruscamente. E ora?
“Bene. Il suo dovere l’ha fatto. Ora può lasciarmi andare, la strada fino alla camera la conosco.” Sbottò.
Non era sua intenzione suonare così sarcastica, non voleva davvero, ma non poteva farne a meno.
Emma non sembrò darci peso e sorrise.
“E’ il tuo modo per ringraziarmi di averti accompagnata ed essermi assicurata che tu non finissi nelle mani sbagliate?”
“No.”
Emma annuì e alzò le spalle: Regina era fatta così.
“Allora, io raggiungo la mia di stanza…augurandomi che la professoressa Blanchard non sia ancora sveglia.” Concluse Emma.
Fece un passo avanti verso Regina e si fermò.
Regina rimase immobile, sentendo il cuore batterle forte in qualche punto imprecisato del petto. Intorno a loro il campus era silenzioso, era una bella serata, il cielo era terso e non c’erano nuvole. Era proprio una bella serata.
Per l’imbarazzo si molleggiò leggermente sulle punte e si strofinò le mani, pensando a qualcosa da dire, qualsiasi cosa pur di sbloccare quella situazione.
“Domani mattina quando vedrò la Blanchard e mi verrà da ridere sarà colpa sua.”
Emma rise.
“A domani.” Mormorò poi.
Vi fu ancora un momento di incertezza, Regina rimase ferma, combattuta se avvicinarsi, abbracciarla e ringraziarla della bella serata. Valutò che la distanza tra lei e la professoressa era considerevolmente poca. Infine scrollò le spalle quasi infastidita e con un cenno della testa sparì dentro al portone.
Una volta arrivata di fronte alla sua camera imprecò.
Imprecò molto, bussò e prese a pugni la porta ma niente da fare, Kristin era ancora fuori e Regina non aveva le chiavi.
Provò a chiamarla una, due, tre, fino a dieci volte ma niente. Ad un certo punto il cellulare di Kristin evidentemente si scaricò, perché smise di squillare.
Regina smise di chiamare così, furiosa e stanchissima, scese le scale e si preparò a fare una corsa per raggiungere Emma Swan.
 
 
 
 
 
 
 
“Allora…eccoci.” Dichiarò Robert.
Parcheggiò la macchina e rimase immobile, fissando la casa di Belle davanti a lui. Gli parevano passati secoli dall’ultima volta che l’aveva vista. Provò una stretta al cuore ripensando che l’ultima volta che si era trovato su quel vialetto di ciottoli bianchi, lei gli aveva detto ti amo, proprio lì, in quel preciso punto davanti alla porta d’ingresso.
Ora Belle era accanto a lui, di nuovo, ma tra loro c’era un muro.
La ragazza aveva il viso tirato, l’espressione stanca e triste, muoveva nervosamente le mani e continuava a controllare il cellulare.
“Belle?”
“Sì…sì. Ora scendo.” Disse lei con sguardo deciso.
Robert esitò un momento “Vuoi che venga con te fino alla porta?”
La ragazza rifletté, poi annuì brevemente, evitando però di guardarlo.
I due scesero dalla macchina e camminarono lungo il vialetto. Una volta nella veranda, si fermarono.
Belle continuava a guardarsi intorno: sembrava persa. Respirò a fondo.
“Io…adesso vado.” Iniziò quindi, cercando di mantenere un tono tranquillo.
“Okay. Per…per qualunque cosa puoi chiamarmi. Davvero, anche se è notte, non farti problemi. Io…ci sono.”
Robert provò il forte impulso di prenderle di nuovo la mano e stringerla. Invece si infilò le mani in tasca e guardò la ragazza di sottecchi.
“Vorrei chiederti una cosa.” Disse improvvisamente Belle. Sembrava profondamente combattuta ma anche decisa.
 “Capisco se vuoi rifiutare, credimi. Non vorrei farlo ma…ne ho bisogno.”
“Dimmi pure!”
“Non- non so cosa fare adesso. Non voglio dormire qui, senza nessuno. Insomma, non mi è mai capitato, sai, mio padre è sempre in casa…io…ho paura. E…e mi sento un po’…” si interruppe desolata, si morse le labbra, respirò a fondo e riprese “Non lo so, mi sento sola e…debole. Capisci cosa intendo?”
Gold annuì lentamente.
“Vuoi che ti faccia un po’ di compagnia?”
Belle lo guardò dal basso verso l’alto, il viso rosso.
“Potresti…dormire qua?”
Robert deglutì. Sì, certo che poteva. Anzi, una parte di lui era anche contenta di quell’imprevedibile risvolto della situazione. Poteva starle vicino, poteva abbracciarla se ne aveva bisogno, avrebbe fatto qualsiasi cosa necessaria.
“Se tu vuoi, certo.”
“Sì, mi…mi farebbe piacere. Però non sentirti obbligato, davvero io-”
“Lo faccio volentieri.”
Così entrarono in casa.
 
 
Trovò Emma, non molto distante dal dormitorio.
“Professoressa Swan!” esclamò Regina, fermandosi di colpo e respirando profondamente. Quella corsa l’aveva spossata.
Emma si girò stupita.
“Regina? Cosa succede? Hai diment-“
“Non ho le chiavi.” Esalò l’altra.
Emma sgranò gli occhi.
“Come sarebbe a dire? Le hai perse? Ecco perché non bisogna bere, vedi cosa succede? E adesso come faremo…devo chiamare la Blanchard e-“
“Ce le ha la mia compagna di stanza!” la interruppe Regina secca.
La professoressa sospirò sollevata.
“Mi hai fatto prendere un colpo!”
“La mia compagna di stanza non è in stanza!”
“Eh?”
“Non è in stanza! E io non ho le chiavi!”
“Quindi?”
Regina pestò i piedi impaziente e infastidita.
“E quindi non posso entrare in stanza! Non è difficile da capire!”
Emma si illuminò improvvisamente.
“Ho capito, basta dirlo subito senza essere scortese” puntualizzò poi.
“Non so cosa fare.”
“L’hai chiamata?”
“Ha il cellulare spento.”
La bionda si strofinò il viso, stanca.
“Chi è lei?”
“Kristin Bauer.”
“Va bene. Hai idea di a che ora tornerà?”
Regina scosse la testa. Non aveva idea. Per quanto la riguardava, forse non sarebbe nemmeno tornata e avrebbe dormito fuori.
Emma rifletteva. Si guardò intorno.
“Vieni da me.” Disse infine.
La prima reazione di Regina fu di trionfo. Quello era un risvolto inaspettato e piacevole. La seconda, fu di imbarazzo: cosa intendeva? Intendeva farla dormire da lei? Non aveva neanche il pigiama o lo spazzolino da denti…
La terza reazione fu di sommo orrore.
“Non dormirò con lei e la Blanchard!” urlò orripilata.
“Non urlare!”
“Non ho urlato!”
“Si invece”
“Beh, non dormirò con lei e-“
“Non dormo con la Blanchard!” esclamò Emma. “Ma ti pare!? I professori hanno stanze separate!”
Regina aprì la bocca a vuoto e poi la richiuse.
“E perché noi studenti no? Perché noi dobbiamo condividere le camere?” riprese poi, bellicosa.
Emma scrollò le spalle.
“La mia stanza è di qua.”
Prese a camminare lungo un vialetto che costeggiava un edificio più piccolo rispetto al dormitorio. Regina le trotterellò dietro.
“Riprova a chiamare la tua compagna intanto.”
Provò, non ottenne risposta.
“Il preside mi sentirà.” Borbottò Emma.
Infine, dopo aver camminato, dopo numerose scale, giunsero di fronte ad una porta.
“Io dormo qui.” Emma indicò la sua porta “E la Blanchard dorme lì.” Ne indicò un’altra.
Incrociò le braccia.
Regina sbuffò.
La sua mente era concentrata su tutt’altro che la camera della Blanchard. Era lontana dalla Blanchard e dai suoi problemi intestinali, stava pensando alla porta che aveva davanti e al fatto che di lì a poco l’avrebbe varcata. Deglutì.
Non stava succedendo nulla, doveva calmarsi o avrebbe sicuramente rovinato tutto. Quando Regina era agitata tendeva a diventare intrattabile e piuttosto aggressiva. Respirò a fondo.
Emma armeggiò con le chiavi e le due donne entrarono.
 
 
“Posso avere una coperta?” Domandò Robert, indicando il divano.
Belle, che stava preparando un tè, si girò a guardarlo.
“Per cosa?”
“Per dormire!”
Lei inarcò le sopracciglia, dopodiché scosse la testa.
“C’è già il piumino, non serve la coperta.”
Gold rimase un momento immobile, perplesso, senza capire la risposta.
“Allora…” Disse dopo un po’ la ragazza. Gli porse una tazza di tè e parlò piano, quasi sottovoce “Mi dispiace per il disordine tra l’altro…”
“Figurati!”
“Comunque per… se vuoi posso darti una t-shirt di mio padre per dormire. Non so come ti senti più a tuo agio ma-“
“Sto bene così, davvero.” Tagliò corto Robert.
Belle lo scrutò con sguardo critico, ma alla fine annuì. Le sarebbe piaciuto ribattere e chiedergli come faceva a dormire con la cintura e la camicia così strette, ma decise di ignorare la cosa. Non erano affari suoi in fondo.
Non più, almeno.
“Allora, vieni.”
Robert la seguì come in trance.
Salire le scale, entrare in quella camera da letto dove lui e Belle avevano passato insieme il San Valentino, dove si erano baciati, dove avevano fatto l’amore più volte…cercò di non pensarci. Cercò di non pensare a nulla, né al profumo della ragazza che era nell’aria, né alla sensazione di tristezza e desolazione che lo pervadeva.
“Scegli pure un lato del letto.” Disse bruscamente Belle.
Era conscia di quanto fosse imbarazzante e deprimente la situazione. Ma in quel momento non aveva la forza per pensare al fatto che dopo un mese ancora stesse così male per quella storia e che si fossero trovati costretti in quella situazione. Era solo felice di avere qualcuno con lei in casa, qualcuno che la facesse sentire un po’ meno sola e miserabile, qualcuno che la capisse, anche se quel qualcuno era Robert Gold.
Le era costato caro chiederle ciò che gli aveva chiesto, per tutto il viaggio in macchina, mentre lui guidava e lei osservava di sottecchi il suo profilo concentrato, aveva pensato a come chiederglielo, se chiederglielo. Avrebbe volentieri fatto tutto da sola, ma era davvero spaventata. Tutti gli eventi delle ultime settimane, tutti i problemi e le ansie erano sbottati in un sol colpo. Sarebbe esplosa se fosse stata sola.
“Come scusa?” La voce di Robert la ridestò dai suoi pensieri.
Lei si girò verso di lui.
“Un lato del letto. Scegli quello che preferisci.”
“Per…fare?”
“Per dormire, magari?”
Gold aprì la bocca a vuoto.
Due o tre volte.
“Ah. Ma io credevo che- che insomma, avrei dormito sul divano.”
Belle scosse la testa.
“Se ci tieni tanto, okay. Ma sappi che è scomodissimo dormirci sopra per una notte intera.”
Detto questo, aprì l’armadio e afferrò un pigiama pulito. Robert si guardò i piedi imbarazzato, indeciso sul da farsi.
“Vuoi che esca? Devi…devi cambiarti?”
La ragazza respirò a fondo.
“Senti.” Disse secca “In questo momento non mi importa nulla delle formalità. Non mi importa se dormi con me o se mi tolgo la camicia mentre sei in camera e tu vedi la mia schiena. Voglio solo stendermi, chiudere gli occhi, addormentarmi e dimenticare per qualche ora che esisto e che la mia vita in questo momento fa schifo.”
Così dicendo, si sfilò la camicetta e con un movimento fluido si infilò la t-shirt.
“Ripensandoci, potrei avere anche io una t-shirt?” disse infine Robert.
Se non voleva formalità, allora tanto valeva…
La ragazza tornò poco dopo dalla camera di suo padre con una maglietta blu. Gold, dopo essersi tolto la sua camicia, se la infilò.
“Ci navigo qui dentro.” Mormorò pensieroso, muovendo le braccia e valutando l’ampiezza delle maniche.
“E’ perché sei basso.”
“Non sono basso!”
“Sì invece.”
“No! E poi ho ancora tempo per crescere, sono giovane!”
“No Robert, hai diciannove anni. Rimarrai basso e faresti bene ad accettare la cosa una volta per tutte.”
“Ma-“
“Non ho voglia di discutere di questo!”
Non aggiunse altro, tirò le coperte e si sedette sul letto.
Afferrò il cellulare e lo controllò un’altra volta, poi lo appoggiò sul comodino.
“Va bene…allora eccomi.” Borbottò Robert imbarazzato, sedendosi anche lui sul letto, dall’altro lato.
“Buonanotte!” Mormorò lei. Si sdraiò, si girò curandosi di dare le spalle al ragazzo, e spense la luce.
Passò un minuto, poi aggiunse un “grazie”, leggero e affaticato ma pieno di reale gratitudine.
 
 
 
 
 
“Scegli pure un lato del letto.”
Emma apparve sulla soglia del bagno, lo spazzolino da denti in bocca e il beauty in mano. Regina guardò il letto e rimase immobile.
Respira a fondo – pensò.
Considerò freddamente quale lato le piacesse di più. Alla fine indicò quello dalla parte della finestra.
“Meglio così, a me piace dormire verso il muro.” Biascicò Emma allegra, masticando il suo spazzolino da denti.
“Non ho un pigiama.” Disse poi Regina. Intanto camminò a disagio su e giù per la stanza, occhieggiando la valigia di Emma e valutandone il contenuto.
Un grande libro marrone attirò il suo sguardò.
“Un libro di fiabe? Davvero?” proruppe poi in un risata.
“Ti proibisco di ridere.”
La voce di Emma proveniva dal bagno.
Regina lo afferrò e lo aprì.
“Ci sono persino i disegni…”
“Smettila di frugare nelle mie cose!”
Emma zampettò allegramente verso di lei e chiuse la valigia con un mezzo calcio.
“Perché legge questa roba?”
“Non è per me. L’ho comprato qui ma è un regalo.”
La ragazza alzò lo sguardo stupita.
“Per?”
“Una persona.”  Rispose l’altra semplicemente.
Regina sbuffò.
Poi le venne in mente un tremendo sospetto.
“Persona.” Sibilò.
“Come dici?”
“Niente.”
“E’ per una persona e non dovresti commentare!”
Regina lo chiuse di scatto e salì sul letto, sedendosi.
“Quindi c’è una persona nella sua vita!” La canzonò poi.
Ma non c’era nulla di divertente in tutto quello.
Sperò di aver frainteso, sperò che quell’uomo con cui l’aveva vista da Granny’s fosse solo un conoscente, sperò che non ci fosse nessuno nella vita di Emma Swan.
Emma incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo.
“Ci sono molte persone nella mia vita. Anche tu sei una di queste.”
Regina la guardò seria ed Emma con un mezzo sorriso si voltò. Prese a frugare nella valigia e le lanciò una t-shirt.
“Tieni, dormi con questa.”
“Chi è questa persona?”
“Non sono affari tuoi.”
“Allora deve essere importante.”
Emma non rispose e continuò a controllare la sua valigia.
“Non è un uomo. Se è questo che ti interessa.” Disse infine, tirandosi su e guardando la ragazza che in quel momento era sdraiata nel letto e fissava il soffitto.
Regina sentì il cuore aumentare il suo normale battito, ma non lo diede a vedere.
Non è un uomo – si disse trionfante.
In effetti era un libro di fiabe. Poteva essere un regalo per un bambino, per un nipote o un cuginetto.
Che sciocca era stata, come aveva fatto a non pensarci…
Emma le lanciò anche un paio di pantaloncini e fece uno sguardo eloquente.
“Ho sonno. Fila a cambiarti.”
Regina si alzò in piedi sdegnosa.
Prima di chiudere la porta del bagno però si girò.
“Perché dovrebbe interessarmi?”
Emma stava infilando il libro in valigia.
“Non saprei. Sei tu che mi hai bombardata di domande.” Borbottò concentrata su ciò che stava facendo.
Regina la osservò ancora per qualche secondo, poi sparì in bagno.
“Le rubo del dentifricio” urlò poco dopo.
Non ottenne risposta.
 
 
 
Passarono minuti che parvero ore.
Non si sentiva alcun rumore, era tutto calmo e silenzioso in casa French e nella via, solo il ticchettio dell’orologio faceva intendere che il tempo stava passando, seppur lentamente.
Robert rimase immobile a fissare il soffitto, pensando che quella era la prima volta che dormiva con Belle e che aveva sempre immaginato come sarebbe stato addormentarsi vicino a lei, abbracciato a lei per poi risvegliarsi accanto a lei. Ed ora finalmente dormivano insieme, ma non c’era nulla di cui gioire visto che niente era andato come sarebbe dovuto andare e nessuna cosa era al suo posto.
Girò la testa e vide il corpicino della ragazza vicino a lui, la schiena che si muoveva ritmicamente, i capelli scuri sciolti sul cuscino.
Deglutì e cercò di distrarsi, pensando a cos’avrebbero mangiato a colazione il giorno dopo, cercando di autoconvincersi che un metro e settantaquattro non erano poi così poco per un ragazzo della sua età e che sicuramente entro la fine dell’anno avrebbe guadagnato qualche centimetro in più…
Poi improvvisamente la udì singhiozzare.
Pensò di aver sentito male, forse la sua mente gli aveva giocato un brutto scherzo…
Ma vide le piccole spalle di Belle alzarsi velocemente e di scatto e lo sentì di nuovo.
Imbarazzato ed indeciso sul da farsi, rimase immobile, ascoltando il respiro farsi più affaticato.
“Belle…?” tentò dopo qualche secondo.
Non ottenne risposta.
“Belle…io non so se devo fare finta di non sentirti piangere. Se…se preferisci posso fingere.” Disse poi titubante.
La ragazza si girò lentamente, stringendo il cuscino tra le braccia e seppellendovi il viso.
“Scusa se ti ho svegliato.” Cercò di dire.
“No io…non mi ero ancora addormentato.”
Lei continuò a singhiozzare piano.
Non aveva versato una lacrima per tutta la sera, probabilmente si era trattenuta per farsi forza e per amor proprio.
“Belle se vuoi-“
“Non…non ti ho mai detto cos’è successo alla mia mamma, vero?”
Smise di stringere il cuscino e lo allontanò di scatto.
Robert scosse la testa lentamente.
Non avrebbe nemmeno voluto sentire quella storia, non in quel momento, non da lei, non provando quei sentimenti, ma di sicuro questo non poteva dirlo.
“Quando avevo dodici anni e mezzo circa…mia madre…ha iniziato a sentirsi male.”
Respirò a fondo e riprese.
“E sai, all’inizio i medici non sapevano dire cos’avesse…poi hanno iniziato a farle alcune analisi, sempre più analisi…”
Robert era immobile.
Continuava a fissare un punto lontano, quasi ipnotizzato.
“Credo che tu possa immaginare il resto.”
Lui annuì lentamente.
“Quanto?” chiese poi dopo un momento di silenzio.
“Sei mesi.”
Sei mesi erano un tempo infinitamente lungo eppure anche infintamente breve – pensò Robert, la mente rivolta improvvisamente verso il ticchettio dell’orologio. Non sapeva scegliere quale delle due alternative fosse la peggiore.
“Mi dispiace.” Mormorò poi. Non aveva idea di cosa dire.
Proprio come quel pomeriggio in ospedale da Killian, lui si sentiva un estraneo.
Non provava neanche un simile attaccamento alla sua famiglia, non aveva idea di cosa significasse.
Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa per farla sentire meglio, ma rimase immobile nella sua desolazione, incapace di reagire.
“No…non devi. Io non ci penso mai, davvero, cerco di farmi forza ed evito sempre…è che…era da tanto che non mi sentivo così.”
Belle si rannicchiò un po’ su sé stessa e alzò il viso verso Gold.
Il ragazzo poté solo intravedere l’espressione spaventata del suo volto, tra le guance rigate dalle lacrime.
“E adesso ho paura di rimanere sola.”
La gola le si chiuse e riprese a piangere piano.
“Non…non avrei più nessuno.” Mormorò “Sarei qui, da sola, non avrei nessuno…non avrei nemmeno i soldi per pagare l’affitto e non saprei cosa fare…e…ora ho davvero paura...anche se non c’è niente di cui avere paura, anche i medici l’hanno detto…” si interruppe e cercò di asciugarsi il viso sul lenzuolo.
Senza più riflettere, Robert si avvicinò a lei, lentamente, e cinse il suo minuscolo corpo con le braccia.
“Belle.” Mormorò poi, appoggiando il mento sulla sua testa, accarezzandole la schiena “Vorrei dirti che andrà tutto bene perché lo penso. Davvero. E hai parlato tu stessa con i dottori e con tuo padre prima dell’operazione. Non è nulla di grave, l’hanno operato e domani mattina si sveglierà…starà bene…”
“Lo so.”
“Però so anche che non è questo che vuoi sentirti dire.”
“Già.”
La voce proveniva spezzata ed attutita, dal suo petto.
“Non…non sarai sola…okay? Hai Tink che ti vuole tanto bene. E tua zia Ruby che verrà qui al più presto, te l’ha detto prima al telefono…e…Ariel…e anche Anna, e anche Killian ti starebbe vicino. Persino Regina…e se ti sta vicina Regina, allora sei sicura che andrà tutto bene.”
Belle singhiozzò forte e proruppe in una mezza risata. Non abbracciò Robert, si lasciò semplicemente stringere e si abbandonò contro il suo corpo, inspirando il suo profumo che tanto le era mancato ma che era curiosamente mescolato all’odore del bucato di casa French.
“Anche io, lo sai.”
“Lo so.” Replicò lei, stanca.
“Ma non è solo questo...io penso che…anche se succedesse qualcosa…tu saresti…forte abbastanza per farcela anche se fossi sola.”
Belle alzò il volto e lo sguardo su di lui.
“Non pensi che ci sia un limite oltre il quale una persona non può più proseguire?”
Gold la guardò, nel buio, alzando lentamente la mano e portandola all’altezza del suo il viso. Lei rabbrividì, sentendo le sue mani calde sulle sue guance. Ma non c’era nulla di sensuale in quel tocco, era semplicemente una carezza dolce, piena di affetto e di tristezza.
“Sì, certo ma penso anche che…che tu abbia delle spalle molto forti. Piccole, certo, ma forti. Non sei sola perché…perché prima di tutto, io penso che potrai sempre contare su te stessa.”
Era ciò che Belle voleva sentirsi dire.
Lo sapeva che i suoi amici non l’avrebbero abbandonata, ma non poteva dire lo stesso di sé stessa. Era tutta la sera che ci pensava e aveva paura.
Non aveva paura degli altri, aveva paura di sé stessa e non le era mai capitato.
Ma se Robert credeva così tanto in lei…
 “Non…non sono così piccole. Sono proporzionate al resto del corpo.” Disse poi Belle tra le lacrime.
Lui le sorrise.
“Adesso ti abbraccerò. Ti avviso. E’ tutta la sera che voglio abbracciarti e mi trattengo.” Dichiarò Belle, la voce nasale ma decisa.
Lui annuì serio e mentre le piccole braccia di Belle lo stringevano intorno alla vita, le baciò la fronte.
“Comunque hai ragione. Sono proporzionate.” Sussurrò, baciandole i capelli, quasi cullandola.
Rimasero un momento immobili, in quella posizione, immersi nel calore che solo due corpi umani abbracciati e stretti potevano dare.
“Come sai che è scomodo dormire sul tuo divano per una notte intera?” chiese improvvisamente Robert.
“Perché una volta mi sono addormentata davanti alla televisione e mi sono svegliata il giorno dopo con un mal di schiena tremendo.”
Entrambi scoppiarono a ridere.
“Ti sei addormentata con la bocca aperta, vero? E-“
“E la bava, sì!” terminò lei, asciugandosi le lacrime con una mano mentre con l’altra rimaneva aggrappata salda al corpo di Gold.
“Sono una stupida” continuò, strofinandosi gli occhi “Ogni volta che succede una cosa così inizio a piangere, anche da Killian…io lo so che andrà tutto bene, invece mi faccio prendere dal panico e-“
Il dito di Robert si poggiò sulle sue labbra.
“Zitta. Non dirlo nemmeno.”
Lei lo guardò triste e si riappoggiò al suo petto, beandosi ancora un po’ della sua vicinanza, ascoltando il battito del suo cuore.  Certo, l’indomani avrebbe affrontato le conseguenze dei suoi gesti e di quell’abbraccio, ma al momento non voleva pensarci, non aveva voglia di pensare, e quell’abbraccio era tutto ciò di cui aveva bisogno.
“Va bene. Dormiamo?” propose poi, dopo essersi calmata un poco.
“Sì. Se stai meglio e riesci a dormire…dormiamo.”
“Sto un po’ meglio.”
Robert sospirò e aspettò di sentire le piccole braccia di Belle abbandonare la sua schiena e il suo corpo staccarsi ed allontanarsi.
Era inevitabile, quel momento stava per finire, quel momento era nato per finire.
Invece non accadde nulla.
Anzi, Belle si rifugiò letteralmente addosso a lui, seppellendo il viso nell’incavo tra il collo e la spalla.
“Buonanotte. E scusa per tutto questo.” Sussurrò dopo un po’.
“Buonanotte. E…non fa niente. Davvero.”
 
 
Nel buio della stanza di Emma Swan, Regina fissò il soffitto, incapace di muovere un muscolo.
Una parte della sua testa urlava, urlava forte e non le lasciava tregua, le sbraitava di fare qualcosa, di azzardare una qualunque mossa, di cogliere l’attimo, di sfruttare una situazione che non si sarebbe mai più ripetuta.
Eppure non poteva.
La parte razionale di lei lo sapeva, sapeva che quella era stata una semplice soluzione di emergenza e che non c’era niente di coinvolgente o romantico in ciò che stava succedendo, che stava travisando tutti i segnali e gli sguardi, che avrebbe sicuramente fatto una figura tremenda e che sarebbe stata costretta a chiudere ogni rapporto con Emma se avesse osato anche solo sfiorarla.
E non osava neanche pensare alla vergogna.
Vergogna con Emma, con sé stessa, con gli altri se per caso la cosa fosse uscita allo scoperto…
Strinse i pugni fino a farsi male.
Cosa le stava succedendo? Non lo sapeva neanche lei.
Forse era ancora l’effetto di ciò che aveva bevuto, o forse semplicemente riusciva a vedere per la prima volta le cose con assoluta chiarezza.
Non sapeva definire ciò che provava per Emma, ma di sicuro non era semplice affetto. Le voleva bene, certo, ma non era solo questo.
Si sentiva a casa, si sentiva al sicuro e per lei quello non aveva prezzo.
Si girò verso la donna e tese la mano verso la schiena.
Si sentiva troppo al sicuro con Emma.
Proprio per questo non voleva rischiare di perderla.
Sospirò forte e si girò dall’altra, ritirando bruscamente la mano.
Infine si addormentò.
 
 
“Se il cellulare…suona…” pigolò Belle dopo dieci minuti, o forse venti, o magari trenta. Sentiva il confortevole suono del battito del cuore di Robert vicino all’orecchio, quasi come una ninna nanna.
“Sì…ci penso io…” rispose Robert, la bocca appoggiata alla fronte della ragazza, gli occhi chiusi e la mente ormai altrove, tra le braccia di Morfeo.
Era felice e sereno. Gli pareva che il freezer fosse pieno di gelati che avrebbe mangiato l’indomani insieme a Belle, la stessa Belle che ora si trovava tra le sue braccia, la stessa Belle di cui era innamorato e che ora miracolosamente era lì accanto a lui. E come volava il tempo, non vedeva l’ora che fosse mattina per mangiare uno dei gelati, o magari due o tre…
“Dovremmo fermare l’orologio” continuò lei, quasi addormentata, infastidita dal ticchettio delle lancette.
“Domani lo faccio…ma prima mangeremo i gelati…”
“Bravissimo Bobby…” strofinò il naso contro il suo collo e si strinse a lui ancora un po’, giusto per essere sicura di essere ben salda e non rischiare di cadere dal precipizio che stava quasi sognando.
Infine si addormentarono entrambi completamente.

 
 




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Song: Perfectly Aligned - Milo Greene

Sono una vergognosa. Ma dopo tre mesi mi sono decisa ad aggiornare.
Non ho scuse. Tra università, teatro, e, devo dirlo, mancanza di ispirazione...mi sono fatta trascinare. Ma una promessa è una promessa e quindi ecco qui il nuovo capitolo. 
In realtà è un capitolo a cui sono molto affezionata e pertanto, sono anche molto spaventata da come possa essere venuto. Toccherà a voi, se ne avrete voglia, darmi un giudizio. IC, OOC, nonsense...ditemi pure.
Almeno #unapiccolagioia per i Rumbelle sta volta. E pure per le SwanQueen.
Le storyline in sospeso, quelle di Tink ed Hook, torneranno nel prossimo capitolo che uscirà a Natale molto presto. Nessuno è stato dimenticato, sono stati solo momentaneamente abbandonati per poi essere ripescati. E niente, chissà come si evolveranno le cose...ricordate che il finale di questa storia è già scritto. 
Quindi, che dire? Grazie a tutti per il sostegno, per le recensioni, per seguirmi nonostante gli immondissimi ritardi. Siete belli.
A presto.
Forse.
Si spera. Ma sì dai, sessione estiva permettendo.
Un bacione a tutti voi (: 
seasonsoflove

 
 
 

 
 
 
   
 
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