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Autore: FRAMAR    18/07/2015    28 recensioni
Non ci sono stati ancora addii tra noi, solo la muta intesa che, tra breve, le nostre vite procederanno ognuna per conto proprio. Perché non abbiamo più niente da dirci...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dammi solo un minuto
 





Non credo alle improvvise, grandi rivelazioni. Non ci sono attimi folgoranti, come quelli di un libro in cui si può leggere: “…E in un attimo capì che non l’aveva mai amata”. A me la “cosa” è successa piano piano, in punta di piedi: ha bussato giorno dopo giorno alle porte del mio cuore ed infine, con un gran calcio, ha aperto.

Non ci sono state grandi rivelazioni, né tragedie, solo un lento fluire nella penombra di un viale con la consapevolezza di trovare in fondo solo un vicolo cieco. Non ci sono ancora stati addii tra noi, solo la tua muta intesa che tra breve le nostre vite procederanno per conto proprio perché non abbiamo più niente da dirci, si è esaurito tutto: l’amore, le parole, l’intesa.

“Ti lavi i capelli anche oggi?” mi hai chiesto e nel tuo sguardo ho letto solo dell’ironia. “Vedi che ti sei perso per strada, vorrei gridarti. “Vedi che non sei più lo scrittore o il grande psicologico che credi?”.

“Erano sporchi”, rispondo soltanto, lasciando cadere il discorso per non darti una nuova opportunità per litigare. Non vuoi altro che questo. Lo so.

“Ti ho detto tante volte che non voglio che tu vada a mettere il naso tra le mie carte!”, urli irritato.

“Scusami. Adesso metto tutto a posto”.

“Lascia stare! Tanto ormai non ci raccapezzerei più!”.     

“Ma perché non vado via?”, mi domando. “Perché mi lascio trattare così?”.

Ci sono i ricordi: Questi maledetti, insaziabili ricordi che ancora non vogliono fare spazio nella mia mente e non mi permettono di divagare su prospettive future. E per quanto io annaspi tra queste rovine, basta che vada un po’ indietro nel tempo per ritrovarmi abbagliato e incantato qui.

Eravamo a Follonica due estati fa, con la tua scassatissima roulotte trainata dalla tua vecchia Mercedes. “Era un taxi!”, dicevi orgoglioso dando delle grandi manate sul cruscotto. “Pensa quante persone sono state qui! Annusa, annusa… non senti la presenza, l’odore di quei mille sconosciuti?”. Fingevo di annusare. “Snif, snif, mi sembra di sentire il profumo di un uomo ehm, ehm… equivoco ecco!”. “E questo odore di sigaro di chi sarà?”, continuavi tu divertito da quel gioco. “Non sembra anche a te che sia quello di un vecchio pappafico impomatato in doppiopetto grigio che deve andare in banca? A proposito di banca…”. Frenasti di colpo, incurante del peso della roulotte e del fatto che, almeno, avresti dovuto accostare un po’ più al marciapiede. Dopo mezz’ora eri di ritorno, ansimavi un po’ per la corsa.

“Meno male che è arrivato”.

“Cosa?”, ti domandai.

“L’assegno dei racconti. Altrimenti non so proprio come avremmo fatto…”.

“Vuoi dire che non hai un soldo?”, chiesi allibito.

“Ma no! Ma no, non prenderla sul tragico? Non sono tanto al verde e poi… “sentivo” che sarebbe arrivato!”.

Ci  accampammo al “Villaggio degli svedesi” e quella sera fu un noto spontaneo amarci. Lo sapevamo già tutti e due: aleggiava nell’aria, nei nostri scherzi del giorno. Era tutto naturale con te, niente sembrava assurdo o troppo ardito: avevi il potere di sminuire i grandi drammi e le situazioni difficili con un sorriso canzonatorio che sottintendeva: perché prendersela? Dobbiamo morire tutti …

“Sono adulto. Adulto e responsabile!” mi sorpresi a pensare la notte, quando qualcosa mi aveva svegliato dal sonno profondo nel quale ero caduto: rimorsi di coscienza? No. Non avevo rimorsi. Tu respiravi tranquillo addormentato al mio fianco, mi dispiaceva soltanto che il tuo sonno non apparteneva anche a me, che eri sprofondato in una regione dove io non potevo seguirti. “Chissà se sogni mai tua moglie… se qualche volta la ricordi”, pensai rimboccandoti la copertina a quadri rossi che nel sonno avevi scaraventato via… come un’idea fastidiosa.

“Forse la ricorderai come io ricordo Tonino: un’immagine sbiadita, una di quelle vecchie fotografie ingiallite e un po’ sfocate”.

“Com’era Anna, ti chiesi una mattina mentre tu, allungato sulla sabbia con le braccia parallele al corpo, mi desti l’impressione di un grosso granchio che vuole scavarsi la tana e confondersi in essa.

“Non capiva un’acca”, fu la tua risposta.

E quella sera al Gigliola. Io ero inerme e soddisfatto la mia mente non era assillata da nessuna preoccupazione e tu mi sparasti a tradimento: “Com’era Tonino?”.

“Non capiva un’acca”. Era un plagio. Lo sapevo. Ma che dirti di più? Ci eravamo messi insieme a vent’anni e a ventidue avevamo alle spalle solo una lunga sequela di litigi e incomprensioni. Che dirti? Che inconsciamente avevo aspettato solo te e il giorno che tu varcasti la soglia dell’ufficio dove io lavoravo? Non mi piacesti affatto, ti trovai un po’ arrogante quando dicesti, lasciando sulla scrivania il tuo dattiloscritto in una busta gialla: “Se il signor Zanetti non c’è… provvedi tu. Io non ho molto tempo da perdere”.

“Chissà chi si crede di essere!”, pensai. “Sarà uno dei tanti illusi che si sentono un gradino più in su solo perché sanno scrivere qualcosa”. Cosa fu che mi spinse a leggere il tuo scritto? Non lo ricordo più. Parlavi di un viaggio immaginario in un paese inesistente che mi fece subito venire in mente il West e gli antichi pionieri. Raccontavi di paesi, di paesaggi, di gente che io avevo sempre sognato di poter conoscere. Fu questo che mi spinse ad essere gentile con te  quando tornasti, quindici giorni dopo, per sapere se il tuo romanzo era stato accettato. E fu la mia gentilezza, forse, a spingerti a farmi domande sempre più personali ed infine ad invitarmi a cena.

Quella sera mi vestii con particolare cura, come non facevo più: ero felice, incuriosito e troppo solo.

“…E alla fine ci siamo separati” Concludesti così, in quel lussuoso ristorante, il lungo racconto della tua convivenza con Anna. Ricordo che accolsi quella rivelazione con un sorriso solidale, di complicità.

“Sai che sarebbe un bel titolo per un romanzo”, dicesti all’improvviso mentre mi accompagnavi a casa. Era una sera come tante altre uguali, tutte passate a parlare di noi, a conoscerci, a scandagliare il fondo dei nostri sentimenti, incerti e tesi come due rabdomanti che cercano su un suolo arido una polla d’acqua fresca.

“Cosa?”, domandai.

“Ma sì, noi due, ‘i separati’, non sarebbe un bel titolo?”.

“Non i separati”, pensai senza dirtelo, ma ‘Gli amanti’, e quel paragone bizzarro mi fece sentire solidale con tutti gli amanti e tutti quelli che si amano senza preordinazione e carte bollate, con quelli che non desiderano sottrarsi all’amore perché ormai è solo un obbligo.

Quando cominciò questo ammasso di rovine?

Forse quel pomeriggio a Riva del Sole, quando fosti troppo brusco, come ti feci notare più tardi, con il bagnino che ti consigliò di chiudere la cabina perché si erano già verificati dei furti. No, forse dovrei andare un po’ più indietro nel tempo. Quelle tue maniere scortesi che esplodevano all’improvviso mi avevano sempre sconcertato e quello fu solo un pretesto per fartelo notare.

“Vuoi insegnarmi ad essere gentile?”, mi chiedesti ironico. “Cosa ne sai tu? Vuoi forse convertirmi insegnandomi come si comporta un uomo buono solo perché non ha più rabbia o passioni dentro di se?”.

“Cosa c’entra la rabbia con la gentilezza? Del resto, non dovresti essere così rabbioso visto che i tuoi racconti vanno bene e continui puntualmente a riscuotere l’affitto delle tue case”, risposi stizzito.

Mi guardasti per un attimo con lo sguardo di un naufrago e te ne andasti sbattendo la porta. “Davide”, ti chiamai inutilmente.

Non volevo ammettere quello che pensavo di te e che tu mi confermasti in un modo così palese: non eri sgarbato, semplicemente non amavi nessuno, solo te stesso. Fu allora forse che per la prima volta pensai a noi: cosa ero io per te? È vero, fosti chiaro ed esplicito fin dal principio: non volevi ricascarci. Avevo sempre considerato lealtà quello che, per la prima volta a Riva del Sole, mi sembrò solo egoismo. Non mi avevi dato, fino ad allora, nessuna opportunità.

Cominciai a guardarti con altri occhi. Ti eri immedesimato nel cliché di uomo incompreso. Ma tu ti sforzavi di comprendere gli altri?

“Non ti sembra la cosa più succulenta che sia scritta dopo Henry Miller?”, mi chiedevi soffermandoti su una descrizione particolarmente azzeccata di un tuo romanzo. Poi senza aspettare la mia risposta, la ripetevi all’infinito beandoti delle varie inflessioni che assumeva al cambiare di tono della tua voce. Ti crogiolavi senza ammettermi, da protagonista, in quel mondo tutto tuo. “E ‘io’? Dove sono ‘io’?, mi chiedevo all’improvviso guardandoti.

A cosa mi aggrappo anche oggi? Vigliaccamente, forse all’unica cosa che abbiamo ancora in comune: i separati. E forse anche a quel primo passaggio di terra vergine che tu mi avevi fatto intravedere. Perché ti sei perso per strada? Perché non hai voluto metterci in salvo, tu ed io, sull’isola delle ricostruzioni, della liberazione alle paure e ai sotterfugi?

Appoggiato al davanzale di questa stanza, che ci relega come due clandestini con l’etichetta d’amanti, guardi lontano oltre i tetti:  ad un altro racconto o alle parole più opportune per dirmi che è finita? Compiaciuto, forse per la buona frase che stavi pensando, mi sorridi. Che bello vederti ridere.

“Dammi solo un minuto Stefano… me lo dai”.

Ti stai rivolgendo a me, non ci posso credere, rimango a bocca aperta.

“Ho sbagliato tutto con te, perdonami… ricominciamo? Ti amo e non posso fare a meno di te”, mi dice sempre con il sorriso tra le labbra.

Sono rimasto a bocca aperta, non so cosa dirti… mi sono perso. Ti amo… ti amo… ti amo tanto Davide…

“Allora… mi hai sentito… non hai nulla da dirmi?”.

“Dove ceniamo stasera?”.

Ti metti a ridere… cosa stai facendo… mi stai abbracciando? Desideri un bacio? Ti amo anch’io… Davide.
 
 
 
 




 
R I N G R A Z I A M E N T I


 
 

Era il 28 Giugno 2014 quando grazie a Susy (ora purtroppo non più in efp) mi sono iscritto, e dopo grazie a Onda1965 (Milly), ho iniziato a scrivere. Quindi è passato un anno e questo mi ha permesso a stringere moltissime amicizie, con alcune direi quasi fraterne.

Grazie a tutti voi per aver letto e recensito i miei racconti. Grazie a voi che sono andato avanti, mi siete sempre stati vicini, sostenuto e aiutato.

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito questa settimana (per ordine di arrivo) Dinda91, Shinepaw, Stevan, Lisitella, Plaunac, santhy, Wladimir, Drytec, Totalip, Serenoa, Hippylove, Perceus_Jackson, Enapril, Pippo1986, Neve190270.
 
AVVISO: vado in vacanza e ci starò un mese non posto nulla ma leggerò e recensirò, ritorno dove l’anno scorso è nato il Diario di Nichy. Speriamo di iniziare qualcosa di nuovo.

Buone vacanze a tutti,
 
 
 Francesco
   
 
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