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Autore: Padmini    18/07/2015    1 recensioni
È trascorso qualche mese da quando Sherlock, per impedire la morte dei suoi migliori amici per volere di James Moriarty, ha finto la sua morte simulando una caduta dal tetto del Saint Barts.
Lui vorrebbe vendicarsi, stanare chi lo ha costretto a una simile decisione, ma Mycroft, di tutt'altro avviso, lo confina in un castello della Scozia, tenuto sotto stretta sorveglianza dal miglior agente segreto al servizio della Regina. Lui si sente come una belva in gabbia ma pian piano, grazie alla sua misteriosa sorvegliante, riuscirà a placare la tempesta che tormenta il suo cuore.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro, personaggio, Mycroft, Holmes, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare voglio fare una premessa importante.

Voglio dedicare questa storia alla mia Migliore Amica, Ilaria.

Lei è Lady Morgana, la MIA Lady, la mia Musa Ispiratrice. Lei è dirompente come le onde dell'oceano e dolce come il vento.

Ti voglio tanto bene, Tesoro.

 

Tua, Mini

 

 

 

 

 

La Tempesta

 

 

L'aria era ancora umida, impregnata di piccole gocce iridescenti su cui si riflettevano i colori del paesaggio circostante e del cielo, squarciato da un intenso e quasi palpabile arcobaleno. La pioggia era appena passata e aveva ripulito, tutto era limpido.

L'erba, macchiata qua e là da chiazze più scure, era verde come uno smeraldo; il cielo, di un blu prepotente e quasi sfacciato, era ferito da quel nastro colorato, era accarezzato da greggi di nubi raminghe che, sfogata la loro irruenza, vagavano stanche in cerca di pace, attendendo di morire.

Sherlock se ne stava lì, immobile nonostante il vento che ancora spazzava la brughiera e scompigliava i suoi riccioli corvini e faceva volare i lembi della sua vestaglia. Cercava di conservare il calore corporeo stringendosi su sé stesso, con le braccia annodate al petto, in realtà non sentiva niente. Il suo sguardo era perso nell'oceano ma in realtà non vedeva nulla. I suoi occhi funzionavano perfettamente ma lui non aveva nessun interesse nell'osservare la realtà né al di fuori né dentro di sé. Tutto ciò che vedeva era un mondo in bianco e nero, avvolto da pesanti coltri di nebbia.

Sotto i suoi piedi, oltre la ringhiera della terrazza che dava sul mare, le onde spumeggiavano contro le rocce, creando strani vortici che sembravano volerlo risucchiare dentro il loro abbraccio mortale. Una parte di sé avrebbe voluto lasciarsi andare a quei flutti, farsi abbracciare dalla nera morte, andare oltre quella sensazione di vuoto che albergava nel suo cuore e che, come un buco nero, stava attirando a sé, distruggendola, ogni particella di vita e luce della sua vita. Forse sarebbe stato meno doloroso permettere al mare di ingoiarlo nella sua morsa burrascosa piuttosto che dover affrontare la disperazione della solitudine e dell'immobilità forzata.

Un'altra parte di sé, quella più forte, lottava per sopravvivere. Come una scintilla di brace nascosta dalla cenere, il suo cuore pulsava sotto lo strato di desolazione in cui era precipitato dopo quel giorno, quando anche il suo corpo era caduto dal tetto del Barts.

Era tutto cambiato, non era più il freddo detective che si auto convinceva di non provare sentimenti. Quando aveva visto seppellire quella bara vuota, qualcosa si era insinuato nel suo cuore aprendo una crepa nella corazza che aveva posto a difesa del suo unico punto debole.

Ciò di cui sentiva un urgente bisogno in quel momento era spazio vitale. Anche se sapeva di non essere stato tumulato per davvero, di essere vivo e vegeto, si sentiva soffocare. Il mare di fronte a lui non avrebbe potuto essere più aperto e la campagna alle sue spalle era meravigliosa e sembrava respirare come un potente polmone verde. Anche le stanze della villa scozzese in cui risiedeva erano ampie e dagli alti soffitti, eppure si sentiva stretto, come se davvero fosse in una bara.

Si sentiva imprigionato nella foresta della sua mente, una fitta boscaglia fatta di pensieri che, come alberi, stavano colonizzando il suo essere. Presto la luce del sole non sarebbe più riuscita a raggiungerlo e lui sarebbe morto di inedia.

All'improvviso però, qualcosa cambiò. Una foglia, delicata e discreta, si posò sulla sua spalla. Si volse e riconobbe quella che ormai era la sua carceriera e ciò che non era una foglia, bensì una mano, posata sulla sua spalle per dargli conforto.

Si scansò rapidamente per evitare il contatto e per guardarla di fronte.

Lady Morgana Ascot stava immobile di fronte a lui e sorrideva. Da quando suo fratello lo aveva obbligato a nascondersi dopo la sua finta morte aveva vissuto lì, tra le ampie e soffocanti pareti di quella casa troppo lussuosa per lui, sorvegliato a vista da una donna e una tigre siberiana, incerto su chi delle due dover temere di più. Morgana lo osservava magnanima e sorrideva. Sembrava capire perfettamente cosa stesse passando per la sua testa, quali pensieri avvinghiassero come edera il suo cervello, impedendogli di respirare. Per la prima volta, da quando erano lì, la voce della donna suonò dolce come quella di un flauto.

“So cosa sta passando, glielo leggo negli occhi. Capisco che soffre restando qui, ma sai che se si lasciasse andare suo fratello non la prenderebbe molto bene ...” disse quasi con un sussurro.

Le dispiaceva doverlo controllare ogni minuto, ma non poteva permettere che tutti i sacrifici che erano stati fatti solo per lui fossero sprecati perché si annoiava. Provava un rispetto profondo per il maggiore dei fratelli Holmes e Sherlock lo conosceva appena, non avrebbe mai potuto tradire Mycroft per i capricci di un bambino quale considerava fosse il detective che le stava di fronte.

Sherlock aveva ascoltato le sue giustificazioni celando a malapena l'irritazione crescente ma senza interromperla. Solo quando capì che aveva terminato si permise di parlare. Anche se voleva approfittare di lei per sputare tutto l'odio e il risentimento che covava dentro non se la sentì. Sapeva che lei eseguiva solo degli ordini e non c'entrava nulla con quello che lui poteva provare nei confronti del fratello.

“So benissimo per chi lavora, non serve che me lo ricordi ogni momento. Il problema non è lei, è mio fratello!” fece qualche passo, allontanandosi da lei, cercando di sfogare con quei passi quella rabbia che sentiva di non poter più tenere dentro “Non può impedirmi di uscire di qui! Io devo andare! Ci sono i complici di Moriarty sparsi in tutto il mondo! Devo rintracciarli! Poi … poi c'è John … lui …” sospirò amaramente, pensando a quanto dovesse soffrire il dottore “Lui è il mio migliore amico ...”

“Sono certa che suo fratello si sta occupando di questa faccenda al massimo delle sue capacita e, mi creda, quando Mycroft Holmes si muove può spostare anche una montagna!”

Lei cercava di essere positiva, di incoraggiarlo, e in effetti le sue erano parole molto dolci, ma in quel momento lui si sentiva come una belva chiusa in una gabbia. Sapeva che qualcuno stava lavorando per lui ma non poteva sopportare l'inattività. Morgana gli si avvicinò e gli posò ancora una mano sul braccio.

“Capisco come si sente, vorrebbe agire in prima persona ma, mi creda, è meglio così. Si affidi a suo fratello, se si esponesse farebbe solo peggio!”

Stavolta lui non si scostò ma la fissò negli occhi scuri come due abissi.

“So perfettamente cosa è in grado di fare mio fratello e conosco la sua determinazione. Tuttavia …” Voleva dire che non ce la faceva proprio a starsene tranquillo, ad aspettare mentre altri lavoravano, ma non lo fece. Sospirò e si allontanò a passi stanchi verso la porta finestra del salotto.

“Va bene, faremo come vuole lui. Le prometto che non le causerò problemi o stress ...”
Non aspettò risposta e rientrò in casa. Tutto sommato, nonostante sapesse che lavorava per Mycroft, Morgana non gli dispiaceva. Sembrava saper dire sempre la parola giusta al momento giusto per farlo calmare. Salì in camera sua con passi lenti, come se il solo camminare gli costasse fatica. Non era il duro lavoro a stancarlo ma l'inattività. Non poter agire, nonostante avesse tutte le intenzioni di farlo, lo esasperava oltre il sopportabile.

 

I giorni trascorsero tranquillamente, almeno in apparenza. Il cielo continuava a pulsare come un essere vivente mentre Sherlock, che sentiva sempre più opprimenti le catene imposte dal fratello maggiore, scalpitava come un cavallo tenuto troppo tempo nella stalla.

Morgana teneva sotto controllo lui e allo stesso tempo si teneva in contatto con Mycroft, assicurandosi che tutto procedesse al meglio. Come aveva previsto i complici di Moriarty cadevano uno a uno sotto le trappole del maggiore degli Holmes, ma sembrava ugualmente tutto troppo lento. Sherlock era sempre più irrequieto e, sebbene si fidasse del fratello, soffriva l'inattività.

Un giorno, dopo aver chiuso l'ennesima comunicazione con Mycroft, andò da Sherlock per riferirgli le ultime novità.

Il giovane uomo era come al solito fuori, nel terrazzo che dava sul mare. Sembrava che non ne avesse mai abbastanza di quell'oceano verde di erba che fluiva in mille onde sotto i suoi occhi né di quello che vorticava sotto i suoi piedi, diviso da lui da una vertiginosa scarpata.

La donna gli si avvicinò con cautela e, non appena si rese conto che lui aveva notato la sua presena, sussurrò.

“Sherlock, suo fratello mi ha confermato la cattura di un altro complice di Moriarty a Berlino ...”

Lasciò la frase incompiuta, sperando che lui non la cacciasse o se ne andasse come era solito fare, ma restò sorpresa vedendolo girarsi verso di lei e sorridere.

“La ringrazio, Lady Morgana.” fece un breve inchino, poi tornò a fissarla “La prego … mi potrebbe dare del tu? Il lei è molto distaccato e ormai credo che tra di noi possiamo permetterci una conversazione meno formale.”

“Ha … hai ragione, Sherlock.”

La donna sorrise e gli si avvicinò, incoraggiata da quel sorriso dolce.

“Dammi a tua volta del tu, per piacere.”

“Ti ringrazio … Morgana ...” mormorò lui, pronunciando il nome di lei con un sospiro di sollievo, come se non avesse aspettato altro che quel momento.

Restarono in silenzio per qualche minuto, osservandosi a vicenda. Il vento gonfiava le tende della porta finestra e scompigliava i lunghi capelli di lei e anche quelli di lui i quali, durante quella lunga permanenza che ormai si prolungava da diversi mesi, non erano mai stati tagliati e ormai raggiungevano quasi le spalle.

Fu Morgana a spezzare il silenzio, con una frase cortese e allo stesso tempo semplice, che sottolineava l'intimità che lentamente era penetrata sotto la pelle dei due senza che se ne rendessero conto.

“Potrei tagliarti i capelli, se vuoi.”

Sherlock sobbalzò come colpito da una folata di vento più forte, poi però sorrise e annuì.

“Sì, credo che ormai sia necessario. Ti ringrazio.”

Morgana sorrise a sua volta, ma vide in lui qualcosa che non andava. Nonostante ostentasse serenità, più che felice sembrava rassegnato. L'assenza di agitazione non corrispondeva a tranquillità a ma a pura rassegnazione. Ormai non aveva più la forza di lottare contro qualcosa che non poteva vincere e si era adagiato sulla culla della tristezza, nell'attesa che la sua prigionia finisse.

Negli occhi chiari del detective Morgana vide un gorgo che risucchiava tutto, come i mulinelli che agitavano le acque mai chete dell'oceano, sconvolgendo la vita marina senza posa.

Lady Morgana non aveva mai avuto paura dell'Oceano, il suo nome era legato ad esso e lei lo aveva sempre affrontato a testa alta e con altrettanta fierezza aveva sempre affrontato le prove che la vita le aveva posto dinnanzi. Senza timore di essere risucchiata da quelle voragini che erano gli occhi di Sherlock, gli si avvicinò e lo prese per mano.

“Vieni con me.”

Non disse altro, ma lo trascinò con il suo entusiasmo all'interno della casa, verso il bagno. Una volta lì lo fece sedere di fronte ad uno specchio e, recuperate delle forbici e un asciugamano, si apprestò all'opera. Gli lavò i capelli sul lavandino e, una volta pettinati, si apprestò a tagliare.

I capelli di Sherlock erano mossi come l'oceano, come l'animo del detective, ma lei, una sforbiciata dopo l'altra, riuscì a domare quella chioma ribelle. Il suo tocco, gentile e delicato, sembrò rilassare Sherlock, che non si accorse del tempo che passava e si sorprese della velocità della donna.

Alla fine del lavoro si guardò ben bene allo specchio, voltandosi per vedere anche dietro la testa, e annuì soddisfatto.

“Dovrei assumerti come mia parrucchiera, altro che ...”

Si fermò di botto. Stava per dire “carceriera”, ma capì che non era la definizione adatta. Non sapendo come sostituire quella parola decise di lasciar perdere e le prese la mano, stringendola piano.

“Ti ringrazio, Morgana.”

La donna sorrise, rinfrancata da quel cambio di umore. Il contatto fisico aveva rilassato Sherlock e, sebbene nei suoi occhi permanessero ancora le ombre della sua anima tormentata, vide uno spiraglio di luce attraverso le nubi della tempesta che preannunciavano il ritorno del bel tempo.

Era ancora troppo presto per poter dire che la burrasca era finita, i danni che aveva provocato erano ancora presenti e dolorosi e ben visibili nel corpo magro del detective, ma ormai tra di loro era nata una profonda fiducia, seppure inconscia, che li stava lentamente avvicinando.

Sherlock si alzò e fece per andare alla finestra, ma proprio in quel momento una folata di vento la fece sbattere con un sonoro tonfo.

Insieme a Morgana andò a chiuderla e vide, non senza un velo di preoccupazione, il cielo, ormai grigio e gonfio di nuvole, che si stava preparando ad una tempesta.

   
 
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