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Autore: _Secret_    25/07/2015    2 recensioni
STORIA REVISIONATA
"Lui aveva scelto lei, lui avrebbe sempre scelto lei. E lei sarebbe sempre tornata da lui. Questa era la sua unica certezza."
Perché a volte i finali che il Dottore tanto odia potrebbero essere migliori di quello che pensa.
Perché il finale che era stato scelto per lui e la sua Rose stava un po' stretto ad entrambi.
Perché sono troppo carini insieme per restare separati.
Perché in fondo fantasticare un po' su come invece sarebbe potuta andare non fa male a nessuno.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 1, Doctor - 10, Rose Tyler
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era sdraiata da ore sul suo letto nella TARDIS e non aveva affatto voglia di alzarsi. Aveva aiutato Mikey a trovare la stanza preparata per lui, poi si era chiusa alle spalle la porta della sua, si era sdraiata sul letto e non aveva più mosso un muscolo. Non un singolo muscolo. Cercava con tutte le forze di addormentarsi per riposare un po’, per non pensare, ma ogni volta che chiudeva gli occhi le tornava in mente quella maledetta immagine. L’immagine di lui che la lasciava, in sella ad un cavallo, per salvare Reinette, la paura di averlo perso per sempre, e poi lui che tornava e la lasciava di nuovo, sempre per lei. In quel momento aveva finalmente compreso. Aveva capito che lui aveva fatto la sua scelta e quella scelta non era lei. Non lo era mai stata. Ed ora immobile in quella stanza chiudeva gli occhi e si malediceva, si dava della stupida, perché lei credeva, sperava. Aveva sempre sperato di essere la sua scelta come lui era stato la sua. Il Dottore le avrebbe detto che infondo era proprio quella stupida speranza a renderla così umana.
Un lieve bussare alla porta la riscosse dai suoi pensieri. Si tirò a sedere poggiando la schiena contro la spalliera dell’ampio letto a due piazze che la TARDIS aveva sistemato per lei, ma non rispose. Attese in silenzio, ascoltando il suono debole della porta che veniva aperta, gli occhi fissi nel vuoto.
Non aveva scelto lei.
“Siamo appena atterrati in un balzar” le disse il Dottore, con la testa infilata nella fessura della porta aperta di poco. “Pensavo che l’ideale per rilassarci un po’ fosse un po’ di shopping. Mikey ha detto che per questa volte passa, aspetterà sul TARDIS. Tu vieni?”
Ascoltò attentamente parola per parola, cogliendo ogni sfumatura di quella voce che tanto amava e che trasudava tristezza, di quella che solo un cuore spezzato può generare. Una tristezza simile a quella che si era annidata nel suo cuore spezzato alla fine di quell’ennesima avventura. Finalmente dopo ore, dopo che l’aveva lasciato solo nella sala console, si voltò a guardarlo. Ma per la prima volta lo fissò con sguardo vuoto, senza riuscire a sorridere come faceva sempre. Mai si era resa conto di quanto le venisse naturale sorridergli.
Accennò un lieve segno di assenso con il capo e si alzò dirigendosi all’armadio per prendere vestiti puliti. Si spogliò e si rivestì con movimenti meccanici, incurante del dottore che era ancora fermo sulla porta, ora leggermente più aperta. Sapeva che lui era li e, anche se non sapeva cosa gli stesse passando per la testa, non le importava.
Non aveva scelto lei.
Si pettinò i capelli e mise un po’ di mascara, poi si avviò verso la porta raggiungendolo. Quando si fermò esattamente di fronte a lui, a pochi centimetri di distanza dal suo viso, si guardarono negli occhi per un po’, solo il leggero ronzio della TARDIS ad accompagnare i loro pensieri. Era bello lui, questo nuovo lui. Rose adorava guardarlo. La linea della mascella, le labbra sottili, e gli occhi. Amava quegli occhi, quei profondi occhi scuri. Ci si perdeva dentro ogni volta, sempre di più.
Girò su se stessa avviandosi a passo svelto verso la sala della console, sentendo i passi del dottore seguirla poco dopo. Attese che fosse lui ad aprire la porta della nave spaziale per poi seguirlo fuori, ascoltandolo distrattamente parlare senza sosta di stelle e pianeti su cui sarebbero potuti andare, di epoche da visitare, mentre un sorriso ironico e triste le si formava sul volto quando, guardandosi intorno, si rese conto di dove l’aveva portata.
Il suo balzar preferito, uno dei più grandi, su un pianeta il cui nome per lei era ancora impronunciabile. Il balzar dove l’aveva portata a festeggiare il suo compleanno. Il sorriso si allargò al ricordo della giornata fantastica che avevano passato in quel luogo, ma in un attimo, come se non ci fosse mai stato, si cancellò di nuovo dal suo volto.
Non aveva scelto lei.
Passeggiarono a lungo fianco a fianco. Il Dottore cercava continuamente le sue mani, che però erano saldamente artigliate nelle tasche della felpa pesante che aveva indossato. Non riusciva a farsi sfiorare da lui, non in quel momento.
Improvvisamente si fermò davanti ad una vetrina colta da un ricordo inaspettato. Quello era il primo negozio che avevano visitato lì, e lei per poco non si faceva ammazzare quella volta, per non aver rispettato la legge del pianeta che impone la cortesia dell’inchino prima di entrare in un qualsiasi negozio. La morte immediata era la pena per l’infrazione di questa legge, e solo grazie al Dottore che aveva spiegato l’equivoco era riuscita a salvarsi.
Questa volta non ebbe problemi. Seguì alla lettera il protocollo e, quando la porta del negozio si aprì davanti a lei, entrò con tranquillità seguita dal Dottore  che aveva ormai smesso di parlare, notando che la sua compagna non accennava a rispondergli. Girarono silenziosi tra gli scaffali, lei che curiosava lui che la osservava. Sentiva i suoi occhi bruciarle ogni centimetro di pelle come fuoco ardente. Come se lei fosse l’unica cosa importante da guardare. Ma non  era così.
Non aveva scelto lei.
Continuarono così per minuti interminabili che parevano ore, finche lei non si fermò di fronte ad uno specchio. L’intarsio decorato sulla cornice scura lo faceva sembrare antico, molto antico, e terrestre. Ma viaggiando con il dottore aveva imparato una lezione importantissima: non farsi ingannare dalle apparenze. Guardò il suo riflesso ed ebbe la conferma a quella grande verità.
La Rose riflessa nello specchio sembrava identica a lei. Stesse vecchie converse, stessi jeans strappati, stessa felpa pesante. Ma a differenza sua sorrideva, di un sorriso bellissimo, felice e pieno d’amore. Un sorriso che era certa non fosse presente sul suo viso in quel momento.
Un battito di ciglia.
L’immagine era cambiata. Ora non era più solo il suo riflesso nello specchio, c’era il Dottore accanto a lei che le stringeva la mano. I loro visi erano volti a guardarsi l’un l’altro, gli sguardi incrociati con complicità.
Ancora un battito di ciglia.
Ancora un’altra immagine, più dolorosa di quella precedente. Erano sempre loro due, ma stretti in un dolce abbraccio, le loro labbra congiunte in un dolce bacio.
Una cosa che mai sarebbe accaduta per quanto lei lo desiderasse.
Non aveva scelto lei.
Una lacrima che silenziosa le solcava il viso la riscosse dal tugurio di sensazioni e sentimenti che quella visione le aveva provocato. Si affrettò a portarla via, ma era comunque troppo tardi, perché lui l’aveva già vista.
“Rose…” il Dottore non poté finire la frase perché la proprietaria del negozio lo interruppe.
“Quello è un oggetto molto particolare, sapete” disse con tono dolce, guardandola con i suoi occhi ambrati e rassicuranti. “È  uno specchio che mostra a chi lo guarda solo i suoi desideri più profondi. Legge l’anima e non tutti riescono a sopportarlo.”
Rose guardò l’anziana signora che continuava a parlare. Era piccola ed esile, ma aveva lo sguardo fiero di aveva acquisito la saggezza dettata dall’esperienza.
“Sapete molte coppiette come voi vengono qui a guardare nello specchio, per sapere cosa ci vedono dentro. Secondo la legenda lo specchio rifletterà il vero amore mostrando ad entrambi lo stesso desiderio annidato nel profondo dei loro cuori.”
A quelle parole Rose voltò il viso verso il Dottore, chiedendosi che cosa lui avesse visto nello specchio. Lo osservò fissare il riflesso con gli occhi di nuovo velati da quell’ombra di tristezza amara che aveva colmato le sue ultime ore e capì, dal suo sguardo perso nel vuoto dello specchio, che ci vedeva lei, Reinette. E fu allora che lo sentì. Sentì il suo cuore spaccarsi definitivamente e non resistette oltre. Salutò cortesemente l’anziana signora con la voce che era poco più che un sussurro per via del groppo alla gola che le impediva di respirare, e fuggì di corsa da quel negozio, le lacrime che le rigavano il viso. Corse, corse, corse a perdifiato come solo il dottore le aveva insegnato a fare. Corse come se ne andasse della sua stessa vita, e in un certo senso era così. Corse fino a raggiungere il TARDIS e, oltrepassate le porte, corse ancora fino alla sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle e accasciandosi sul letto senza forze.
Non aveva scelto lei.
Le tornarono alla mente le parole di Sarah Jane quando le aveva detto che valeva la pena farsi spezzare il cuore per vedere quello che c’è là fuori. Se lo ripeteva spesso negli ultimi tempi, ma in quel momento Rose non ne era poi molto sicura. Perché nessun pianeta o stella avrebbe potuto arginare quel dolore, farla sentire meno sola.
Era così presa dai suoi pensieri, persa nei singhiozzi incontrollati che le toglievano il fiato, mentre lacrime salate bagnavano il cuscino che si accorse appena della porta della sua stanza che veniva aperta. Così sussultò quando sentì il Dottore chiamarla, seppur debolmente. Al suono della sua voce calmò immediatamente i singhiozzi, senza però fare null’altro.
Lo senti avvicinarsi, ma non si mosse. Le parve persino di trattenere il respiro, tanto era immobile.
“Rose…” ripeté lui quando, arrivato ai piedi del letto poté guardarla negli occhi. “Cosa c’è? Cos’è successo?” La sua voce le apparve come il sussurro di chi è alla deriva e, disperato, cerca un’ancora di salvezza. “Perché sei scappata in quel modo? Perché stai così? Sono ore che non dici una parola.”
Lei si alzò a sedere sul bordo del letto di fronte a lui per poterlo guardare meglio, per potersi perdere in quegli occhi cioccolato che tanto amava, ma non rispose. Ancora una volta rimase in silenzio. Come poteva spiegargli cosa la faceva stare male? Se lo avesse fatto, era sicura, lo avrebbe perso definitivamente. E per quello non era ancora pronta.
In risposta al suo silenzio il dottore avvicinò le dita alle sue tempie cercando un contatto, un collegamento. “Mostramelo Rose. Mostrami ciò che ti fa stare male.” Ma non appena i polpastrelli le sfiorarono la pelle si ritrasse come scottata. Distolse gli occhi da quelli di lui e si alzò appoggiandosi al muro più lontano e tornando a guardarlo.
“Per favore Rose, non posso aiutarti se non so cos’hai”
Ma lei non rispose, continuò semplicemente a guardarlo, con sguardo vuoto, quasi come se non lo vedesse davvero. Nella sua mente continuavano a susseguirsi immagini confuse: loro due felici nei i loro innumerevoli viaggi continuamente alternate dagli avvenimenti delle ultime ore che tanto l’avevano scossa.
Lo guardò mentre le si avvicinava di nuovo, cauto, come un ricercatore che vorrebbe avvicinarsi ad un animale bellissimo ma ha paura di spaventarlo.
Lo vide guardarla con calma una volta arrivatole vicino, studiandola per cercare di captare ogni minima reazione. Ma non c’erano, lei era completamente immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, gli occhi puntati su di lui. Così il dottore alzò di nuovo le mani per appoggiargliele sulle tempie, ma prima che potesse arrivarci lei gli afferrò i polsi fermandoli a mezz’aria.
“Vuoi davvero sapere cos’ho?” parlò finalmente, dopo ore di completo silenzio. Le pareva quasi di aver dimenticato come fare. La sua voce uscì roca e spezzata, come il lamento di un animale ferito che non riesce a sopportare tutto quel dolore.
Lo fissò e lo vide annuire con movimento della testa appena accennato.
“Basta un contatto per stabilire il collegamento vero?”
Lui annuì di nuovo, in silenzio, come se dal momento in cui aveva di nuovo parlato i ruoli si fossero improvvisamente invertiti.
Lei lo guardò a lungo, indecisa e poi lo fece. Fece congiungere le loro labbra e aprì la sua mente mostrandogli tutto. La paura di averlo perso, il dolore della consapevolezza che lui l’aveva abbandonata per un’altra, anche se aveva promesso che con lei non sarebbe stato così, la rabbia verso se stessa per aver creduto, sperato che scegliesse lei. E il dolore più forte quando l’aveva visto seduto nella sala console, distrutto per averla persa, l’altra.
Non aveva scelto lei.
E poi le immagini, i riflessi della sua anima nello specchio dei desideri. Desideri che sapeva darebbero rimasti solo fantasia.
Quando si allontanarono Rose si sentiva stanca, affannata, quasi non riusciva a stare sulle sue gambe, come se ancora non si fosse ripresa dalla corsa precedente. Alzò gli occhi sul Dottore che continuava a guardarla con uno sguardo indecifrabile, ma non disse una parola. Aspettò. Aspettò che fosse lui a fare qualcosa, perché lei si era appena mostrata interamente nella sua fragilità e non aveva altro da poter fare se non aspettare la reazione di lui, sperando che non avrebbe deciso di riportarla a casa per via di quel gesto sconsiderato.
Persa nelle sue preoccupazioni non si accorse della ripresa di lui dalle immagini che gli aveva mostrato, così si rese conto solo dopo di avere la sua mano ancorata alla nuca, a tirarla verso di lui, facendo ricongiungere le loro labbra. E stavolta fu lui a mostrarle qualcosa. La mostrò il dolore di aver dovuto fare una scelta che sapeva l’avrebbe bloccato così lontano da lei, Rose. La felicità nel sapere che sarebbe potuto tornare da lei e riabbracciarla. Poi di nuovo il dolore, per aver perso un’amica, per aver perso Reinette. La paura, la paura schiacciante, angosciante che lo attanagliava per la consapevolezza che un giorno sarebbe successo anche con lei, con Rose, la sua Rose ed era certo, non avrebbe avuto la forza di rialzarsi. Il desiderio di renderla felice, di vederla sorridere, perché solo un suo sorriso l’avrebbe potuto salvare, solo il suo sorriso poteva essere la sua ancora di salvezza. La preoccupazione nel vederla così distante, così strana, così vuota. Non avrebbe mai voluto vederla così, perché lei era l’unica che era stata capace di dare di nuovo ai suoi due cuori  una ragione per battere ancora.
Lui avrebbe sempre scelto lei.
E poi le mostro le immagini. I riflessi che lui aveva visto nello specchio. Erano le stesse cose che aveva visto lei, viste da un’altra angolazione, quella del Dottore.
Quando si allontanarono i loro sguardi si ancorarono come memorie di un contatto ormai esaurito. E si guardarono con occhi nuovi, in silenzio, consapevoli dei sentimenti l’uno dell’altro.
Poi, come fossero diventati una persona sola, si mossero all’unisono congiungendo di nuovo le loro labbra, e Rose sta volta poté saggiarle davvero. Tastò la loro morbidezza con una calma quasi esasperante e quando lui le chiese gentilmente accesso alla sua bocca lei glielo concesse subito, facendo incontrare le loro lingue in una danza dolcissima. Assaggiandolo e permettendogli di assaggiarla.
Si scambiarono un bacio dolce e pieno d’amore mentre il Dottore le accarezzava dolcemente la schiena e lei infilava le dita tra i suoi capelli.
Ma ben preso all’amore si sostituì la passione, l’impazienza di soddisfare un desiderio che per troppo a lungo era stato represso. Il bacio divenne un’indomabile corsa contro il tempo. Il Dottore premette Rose contro di se andando alla ricerca della pelle delicata di lei che sembrava infuocarsi ad ogni suo tocco. Le sfilò prima la felpa e poi la canotta che aveva messo sotto, fermandosi dal baciarla solo per lo stretto necessario, mentre lei combatteva conto il nodo della cravatta, per poi sbottonare giacca e camicia e farle scivolare insieme sulle spalle di lui fino a farle cadere a terra in un frusciare di stoffe, per poter passare i polpastrelli leggeri sulla pelle del petto di lui.
Rose accarezzò con calma la pelle del Dottore, godendosi ogni istante, ogni sussulto che gli procurava scendendo pian piano fino ad arrivare al bottone del pantaloni con cui giocò un momento, facendogli trattenere il respiro, prima di slacciarlo e far scorrere i pantaloni verso il basso. Il Dottore si tolse velocemente le sue amate converse per liberarsi definitivamente dei pantaloni, poi tornò a guardarla. La prese in braccio facendola sdraiare sul letto per scendere a baciargli il collo, il seno, il ventre piatto, mentre le slacciava i pantaloni. Guardandola con uno sguardo che Rose non gli aveva mai visto, le tolse le scarpe con estrema lentezza per poi far scorrere i suoi jeans verso il basso, baciando gentilmente ogni centimetro di pelle che il tessuto scopriva, fino a lasciarla in intimo. La guardò un momento, estasiato. Il viso arrossato, il respiro affannato, la pelle candida esposta a lui, i pochi centimetri ancor coperti da un leggero intimo di pizzo nero e rosa. Era bellissima, lo aveva sempre saputo, ma mai avrebbe potuto immaginare quanto bella potesse diventare solo per lui.
Rose lo vide fissarla, gli occhi liquidi di piacere, prima di sdraiarsi sopra di lei per riprendere a baciarla, ad assaggiarla lentamente. In poco tempo anche gli ultimi indumenti che li coprivano raggiunsero gli altri a terra così che i due potessero diventare una cosa sola nel corpo e nell’anima, abbandonandosi completamente, amandosi fino perdere il fiato, fino ad accasciarsi sul letto nudi ed accaldati, ma saldamente ancorati l’uno all’altro, perché finché fosse arrivato il loro tempo per dividersi loro si sarebbero tenuti stretti più che potevano. Si addormentarono così, finalmente completi.
 
Qualche ora dopo il Dottore si ritrovò ad osservare Rose dormire tranquilla. Il petto che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo del respiro regolare. Le accarezzò il volto con la mano e lei parve sorridere leggermente. Si avvicinò per lasciarle un tenero bacio sulle labbra socchiuse prima di stringerla a se possessivamente.
“oh Rose…” la voce gli uscì poco più che un sussurro “Cosa farò io quando tu non ci sarai più?”
Ma Rose continuò a dormire tranquilla, ignara della preoccupazione di lui, perché adesso aveva una certezza che nessuno avrebbe potuto toglierle.
Lui aveva scelto lei, lui avrebbe sempre scelto lei.
 
Ma il tempo e il fato non sono amici gentili, lo sapevano bene, e le certezze, per quanto forti non servono a fermarli.
Fu così che si ritrovarono su una fredda e grigia spiaggia della Norvegia. Darlig ulv strandem. Baia del lupo cattivo.
Il luogo più brutto che avrebbero mai ricordato, il luogo in cui si stavano dicendo addio.
“Quanto tempo abbiamo?” la voce le uscì strozzata.
“Circa due minuti” solo due minuti.
“Non riesco a pensare cosa dire” avevano solo due minuti, ma neanche tutto il tempo del mondo le sarebbe bastato.
“Hai ancora il tuo Mikey comunque” Lei sorrise, come se lui non sapesse a chi apparteneva il suo cuore.
“Siamo in cinque adesso, mamma, papà, Mikey e il bambino.” Lo guardò semplicemente, sperando che capisse.
“Tu sei…?” una domanda incompiuta, ma le bastò per capire. Annuì semplicemente in risposta.
“È tuo Dottore, nostro” Prese un respiro profondo “Ed io te lo riporterò, troverò il modo, è una promessa” un singhiozzo le uscì senza che potesse trattenerlo.
Il Dottore sorrise a quelle parole, perché sapeva, era sicuro che lei l’avrebbe fatto a costo di far crollare le dimensioni, se avesse potuto. Glielo avrebbe riportato. Suo figlio. Non riusciva a crederci.
Vide le lacrime solcare quel viso che tanto amava e i cuori gli si spezzarono, sapendo che nonostante la testardaggine della sua Rose probabilmente non si sarebbero rivisti mai più.
“Tu sei morta, intendo nell’altra terra” la voce del Dottore si spezzò nel pronunciare quella frase “Sono morti in tanti quel terribile giorno, sei nella lista dei caduti, e invece eccoti qui che vivi una vita giorno dopo giorno, un’avventura che io non potrò mai avere”
Rose lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, singhiozzi che non riusciva a fermare che rompevano i pochi attimi di silenzio, e si chiese se veramente lui pensasse che le a lei potesse piacere una vita grigia e monotona senza lui al suo fianco.
 “Io…” il fiato le mancò per un momento, ma si fece coraggio. Non l’avrebbe lasciato senza dirgli quello che provava. “Io ti amo” poi non riuscì più a contenere il pianto disperato che le irrompeva da dentro.
“Grande notizia…” Il Dottore le sorrise gentilmente, ma con gli occhi velati di dolore, un dolore sconfinato. “Io suppongo che… sia l’ultima occasione per dirlo” Prese un respiro profondo “Rose Tyler…”
Poi sparì davanti agli occhi di lei che si accasciò a terra, stringendosi le braccia al ventre, come a proteggere la cosa più preziosa che le era rimasta dal peso di tutta quella sofferenza che la stava schiacciando, e pianse, pianse tutte le sue lacrime, giurando a se stessa che un giorno sarebbe tornata da lui per sentire come finiva quella frase. Perché lei aveva un’unica certezza.
Lui aveva scelto lei, lui avrebbe sempre scelto lei.
E lei sarebbe sempre tornata da lui.
 
Un paio di anni dopo una donna bionda con una giacca di pelle blu e una maglietta viola camminava tranquilla verso il Dottore, nonostante il pericolo imminente, sorridendogli come solo lei sapeva fare, tenendo stretta la mano di una bambina di appena due anni, con riccioli biondi e occhi castani, vispi e profondi proprio come quelli del padre. Si raggiunsero guardandosi come se pensassero di essere in un sogno poi si abbracciarono teneramente.
Era tornata. Era tornata da lui. Gli aveva portato sua figlia. Era tornata per restare e sta volta per sempre.
  
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