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Autore: Tigre Rossa    31/07/2015    1 recensioni
Hunger Games, 70esima edizione. Quando Merlin Emrys, anonimo sedicenne del Distretto 3, viene estratto per partecipare ai Giochi, in cuor suo sa già che il suo destino è segnato. Non sopravviverà. Non può sopravvivere. Ma è deciso a vendere cara la pelle.
Quando però, pochi giorni prima della sua discesa nell’inferno, incontra gli occhi chiari del tributo del Distretto 2, improvvisamente si rende conto che non sarà l’Arena la causa della sua fine.
Non la vera causa, almeno.
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Hunger Games Au, Merthur, Violenza
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo 1- Il principio della fine
 



 
E’ appena l’alba quando scivolo fuori dal letto, attento a non svegliare mia madre che, raggomitolata al mio fianco sotto le coperte leggere, ha finalmente ceduto alla stanchezza e si è addormentata.
Poso i piedi per terra, rabbrividendo al contatto con il pavimento gelato, e velocemente mi infilo la prima camicia che mi capita tra le mani, la giacca di pelle e gli stivali, cercando di non fare rumore.
Mi avvolgo il fazzoletto rosso attorno al collo e mi passo una mano tra i capelli, rinunciando subito all’idea di dargli una sistemata, indomabili come sono. Mi alzo dal letto e, afferrati un foglio stropicciato e una matita quasi senza punta, scarabocchio un breve messaggio per mia madre, in modo che al suo risveglio non si preoccupi della mia assenza. Lascio il foglio sul cuscino, mi abbasso su di lei e le poso un leggero bacio sulla fronte, come ogni mattina, per poi sgattaiolare fuori dal minuscolo monolocale che è la nostra casa.
Appena la porta si chiude con un cigolio alle mie spalle, sollevo il viso verso il cielo e respiro a pieni polmoni, mentre i primi pallidi raggi di sole mi accarezzano la pelle pallida in una timida ma rassicurante carezza.
Mi prendo qualche secondo per immergermi in questa nuova giornata e poi mi avvio per le strette strade del mio distretto, seguendo un percorso che ormai conosco a memoria.
 
Non è un grande distretto, il 3. Certo, è il distretto delle fabbriche e della tecnologia, e la maggior parte di noi è costituita da ingegneri o inventori, ma non abbiamo poi questa grande importanza all’interno di Panem, o almeno noi non ne vediamo gli effetti. Per quanto siamo capaci di creare le più grandiose tecnologie del pianeta non c’è splendore nella nostra vita. Le strade e le case sono malmesse e cadenti, i soldi scarsi, i lussi praticamente inesistenti. Stringiamo la cinghia tanto quanto alcuni dei distretti più poveri, come l’11 o l’8, anche se non siamo messi male come il 12, e molti di noi, per quanto dotati di un cervello che farebbe impallidire gli Strateghi di Capitol City, sono costretti a vivere un’esistenza stentata ed odiosa.
Io e mia madre Hunith ne siamo un esempio. Lei è un’insegnate, ha studiato per molti anni e ha competenze in molti ambiti, da quelli letterali a quelli più tecnici, eppure ci troviamo spesso e volentieri a dover digiunare. E io, beh, prendo tessere da quando ho compiuto dodici anni e per arrotondare gli scarsi guadagni di mia madre mi do’ da fare fin da quando ero bambino. Quando ero piccolo mi occupavo per di più di lavoretti vari, ma da anni ormai sono l’assistente di Gaius, un vecchio medico del distretto, un caro amico di famiglia e praticamente un secondo genitore per me. Consegno rimedi o medici ai pazienti più lontani o che non possono muoversi, gli procuro farmaci o erbe particolari, lo aiuto a medicare le ferite più urgenti, roba così. Non è male, dopotutto, e dopo tanto tempo ho imparato qualcosa di utile anche io.
 
Svolto l’ultimo angolo, ed arrivo di fronte al Villaggio dei Vincitori, dove vive Gaius con sua moglie Alice, che ha vinto gli Hunger Games tipo quaranta anni fa, forse anche di più. E’ la nostra vincitrice più vecchia, se non si conta Kilgharrah, la leggenda vivente del nostro Distretto. Ha vinto uno dei primi Giochi, i decimi mi sembra, ed a Panem è noto a tutti come ‘Il Grande Drago’. I bambini hanno un po’ paura di lui e di quell’aria minacciosa e solenne che assume ogni volta che entra in contatto con qualche altro essere vivente. E anche la maggior parte degli adulti, a dire il vero.
Mi sistemo meglio la sciarpa attorno al collo e percorro velocemente l’ultimo pezzo di strada che mi divide dalla casa di Gaius, per poi bussare alla porta.
La porta si apre scricchiolando appena e subito Alice, gli occhi stanchi come sempre ma il viso gentile, mi rivolge un piccolo sorriso “Buongirono, Merlin. Sei mattiniero, oggi.”.
Mi stringo nelle spalle, un po’ imbarazzato “Non riuscivo a dormire e ho pensato di venire a vedere se potevo fare qualcosa.” spiego, distogliendo per un attimo lo sguardo.
Lei mi rivolge un’occhiata comprensiva “Ma certo. Entra, Gaius è nel suo laboratorio.” dice facendomi segno di entrare, mentre gli occhi le diventano tristi. Sa fin troppo bene il motivo della mia presenza così mattiniera e della mia insonnia. Dopotutto, oggi è giorno di Mietitura.
Annuisco ed entro, per poi dirigermi quasi di corso verso l’ultima stanza della grande casa, quella che Gaius ha trasformato in laboratorio e studio e dove trascorre la maggior parte del suo tempo.
L’uscio è spalancato, e così mi infilo dentro senza bussare.
Gaius è di spalle, a sfogliare un vecchio libro, ma non faccio in tempo ad aprire bocca che subito mi anticipa “Non ti ho mai visto arrivare così presto, ragazzo mio.”.
Mi passo una mano tra i capelli e subito mi affretto a ribattere, costringendomi a mantenere un tono di voce disinvolto e scherzoso “Non vedo perché non dovrei. Non siete voi a lamentarvi sempre dei miei continui ritardi?”.
Si volta verso di me e mi scruta intensamente con i suoi occhi chiari, quegli occhi che mi conoscono fin troppo bene e che sanno leggermi dentro quasi meglio di quanto faccia io stesso “Vero. Meglio approfittare di questa tua improvvisa buona volontà, allora.” ribatte dopo qualche impercettibile secondo di silenzio, porgendomi un sacchetto di erbe “Secca queste e dividi la belladonna e la melissa che sono in quel contenitore, mentre io finisco di preparare la medicina del signor Geoffrey.”.
Sbruffo, ma afferro il sacchetto e mi siedo al piccolo tavolo al centro della stanza, iniziando a lavorare in silenzio e costringendomi a non pensare, cosa praticamente impossibile, considerando che giorno è oggi.
 
Oggi, come ogni anno dai Giorni Bui, i cittadini dei Dodici Distretti di Panem si preparano ad affrontare la prima, straziante fase degli Hunger Games, con i quali il nostro governo continua ad instillare nei nostri cuore la paura giorno dopo giorno, anno dopo anno, decennio dopo decennio. In questo giorno, chiamato giorno della Mietitura, vengono raggruppati tutti i bambini dai dodici ai diciotto anni e tra di loro vengono estratti a sorte due tributi, un maschio e una femmina, per ogni Distretto, che in pochi giorni verranno gettati nell’Arena per combattere tra di loro come bestie primitive ed assicurarsi la vittoria.
E’ una tradizione malsana e crudele, malvagia e senza senso, capace solo di spezzare vite innocenti e di infondere così tanta paura e dolore nei nostri cuori da tenerci sotto controllo come bravi servitori quali siamo agli occhi di Capitol City.
In questo momento, ne ho l’assoluta certezza, ogni ragazzo dell’intera Panem sta lottando come me contro la sensazione di ansia e di timore che cresce di secondo in secondo, avvolgendoti l’anima, stringendoti il cuore e la mente in una morsa dolorosa, cancellando tutto il resto e lasciandoti con un solo pensiero in testa.
Fa che non sia io.
Questo è il quinto anno ormai che affronto la Mietitura, e per quanto tento di nascondere la paura dietro qualche battuta e un sorriso, per il bene di mia madre e di coloro che mi circondano, non posso evitare di sentirmi terrorizzato al pensiero che il bigliettino che sarà sorteggiato quest’anno potrebbe contenere il mio nome, scritto in bella grafia su quel pezzo di carta che sa di morte.
Certo, non ho solo paura per me. Temo per i pochi amici che ho, temo per coloro che verranno sorteggiati, tempo per le loro famiglie. Però, pian piano che l’ora della scelta si avvicina, non riesco a far altro che a pensare a me, alla possibilità che i numerosi bigliettini col mio nome possano uscire da quella maledetta brocca, cancellando il mio futuro.
Perché io conosco meglio di altri il vuoto che può lasciare un nome estratto il giorno della Mietitura.
 
“Ecco fatto.” esclama Gaius, distraendomi dai miei pensieri “Se hai finito con il resto puoi andare a fare il tuo solito giro di consegne.”
“D’accordo.” mi alzo dal tavolo ed afferro la vecchia borsa di pelle con cui trasporto le medicine di Gaius da una parte all’altra del Distretto “Devo fare qualcos’altro in giro o poi posso tornare subito qui?”.
“E’ meglio che tu vada a casa, dopo.” risponde “La Mietitura inizierà alle nove, dovresti essere pronto in tempo.”.
Annuisco, lo stomaco stretto in un nodo familiare “Va bene.” sussurro “Allora ci vediamo in piazza più tardi.”.
“A più tardi, Merlin.” mi saluta lui, posandomi una mano sulla spalla in un gesto rassicurante “E buona fortuna.”
Gli faccio un piccolo sorriso, tentando di sembrare tranquillo, mentre dentro di me tutto è in subbuglio “Fortuna? Non ne avrò bisogno, Gaius, state tranquillo.”.
Come se la fortuna fosse mai stata a mio favore, del resto.
 
 
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Solitamente tento di completare il mio quotidiano giro di consegne il più velocemente possibile, ma quest’oggi ci metto il doppio del tempo, forse per l’ansia che cresce di momento in momento e che mi attanaglia lo stomaco, forse solo per ritardare il momento in cui dovrò tornare a casa ed incontrare lo sguardo teso e spaventato di mia madre, che soffre ancora più di me questi giorni di paura.
Mi fermo a chiacchierare con i vari clienti, come Geoffrey, il vecchio librario che mi presta in continuazione i suoi libri senza mai chiedere qualcosa in cambio, e resto per quasi mezz’ora di fronte alla vecchia scuola con Will e Gwen, i miei migliori – e unici tra l’altro- amici. Will, che ha la mia stessa età, è in classe con me e siamo inseparabili, quasi come due fratelli, mentre Gwen è la figlia di Tom, l’unico fabbro del nostro Distretto ed amico di vecchia data di mia madre, e per quanto ci passiamo circa un anno siamo molto legati.
Io e Will cerchiamo di scherzare e di tirare su di morale Gwen, che tra di noi è la più preoccupata, anche se tenta di non farlo vedere, come tutti del resto. L’aria è pesante, densa di malvagia attesa e di trepidante timore, anche tra noi, che siamo amici da sempre, e le nostre battute e i nostri scherzi cadono praticamente nel vuoto.
Quando, intorno alle otto, ci separiamo per andarci a preparare, non posso fare a meno di pensare che questa potrebbe essere anche l’ultima volta che ci ritroviamo tutti e tre insieme, ma scaccio subito questo pensiero dalla mente.
Non deve essere per forza uno di noi. mi dico mentre torno a casa E’ tutta una questione di caso e di probabilità, nient’altro. Non dobbiamo essere per forza noi. No.
Inutile dire che ciò non mi rassicura per niente.
 
Una volta arrivato di fronte alla porta di casa, prima di abbassare la maniglia ed entrare, mi passo una mano tra i capelli e mi stampo in faccia il sorriso migliore che mi esce in quel momento. L’ultima cosa che voglio è fare preoccupare mia madre ancora di più di quanto già non sia.
Lei mi accoglie con un sorrisetto forzato e una bacinella di acqua fresca.
Mi sciacquo corpo e volto, tento di darmi una sistemata ai capelli e mi infilo silenziosamente una camicia blu, quella che conservo solo per i giorni come questi, un paio di calzoni scuri e i miei soliti stivali. Faccio per voltarmi verso la mensola sopra il camino, dove di solito poggio il fazzoletto rosso quando non lo indosso, ma poi mi rendo conto che mia madre, seduta sul letto, lo tiene in mano e ne sta lisciando la stoffa consumata, come se potesse infonderle sicurezza. Subito si alza e senza una parola si avvicina a me, per poi avvolgermi il fazzoletto attorno al collo e sistemarlo con amara dolcezza.
“Ecco.” sussurra infine, alzando gli occhi sul mio viso “Adesso sei perfetto.”.
Nel suo sguardo c’è tutta la paura che strazia entrambi e l’ombra di un antico dolore mai dimenticato ed ora più forte che mai.
Solleva una mano e la posa sulla mia guancia, dandomi una lieve carezza. Le sorrido e poso una mano sulla sua “Non preoccuparti, mamma. Andrà tutto bene, vedrai.”.
So che per lei quelle parole sono completamente vuote, senza senso, ma non posso fare a meno di pronunciarle, di tentare di darle sollievo in qualche modo.
Lei mi fa un piccolo sorriso ed annuisce “Certo, ne sono sicura.” mormora, cercando di fingere una tranquillità inesistente.
Sappiamo entrambi che mente, eppure fingiamo di non saperlo, e ci avviamo, l’uno stretto all’altra per farci forza, verso la piazza.
 
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Non si sente nemmeno un rumore mentre l’intero Distretto osserva, il cuore stretto in una morsa, l’Accompagnatrice del 3, Aithusa, un’elegante donna dai lunghi capelli bianchi raccolti in un’elaborata acconciatura, camminare con grazia fino al centro del palco eretto di fronte al Palazzo di Giustizia. C’è solo il respiro trattenuto di chi si aspetta una tragedia.
Aithusa si ferma proprio in mezzo alle due bocce di vetro che contengono i nomi di tutti noi e scruta la silenziosa platea con i suoi occhi chiari ed illeggibili.
La sua voce lontana, che sembra provenire da un universo parallelo, spezza il silenzio carico di tensione “Felici Hunger Games!” esclama, allargando appena le braccia “E possa la fortuna sempre essere a vostro favore.”.
Non dice molto altro. Forse anche lei avverte il dolore e la paura che grava su tutti i presenti. Lentamente si avvicina alla prima bocca, quella con i nomi delle ragazze, e dopo aver annunciato che è il momento della scelta, infila la mano in quel mare bianco ed uniforme di carta e timore. La fa girare per qualche secondo, come se avesse paura di fare la sua decisione, ma infine afferra un bigliettino ed indietreggia, mentre lo stringe tra le dita pallide.
Torna fino alla pedana, apre la strisciolina di carta e dopo qualche momento di silenzio, secondi dolorosi in cui tutti noi tratteniamo il respiro, legge il nome ad alta voce.
“Guinevere Queen!”
Sobbalzo e lancio un rapido sguardo sconvolto a Will che, in piedi accanto a me, ha riflesso negli occhi lo stesso orrore che provo io in questo momento.
Entrambi ci voltiamo verso il gruppo delle quindicenni, dove vediamo Gwen, la nostra Gwen, spiccare in mezzo a tutte quelle ragazze tristi ma dall’aria evidentemente sollevata.
Dopo un impercettibile momento di esitazione, avanza verso il palco, lo sguardo fisso in avanti e all’apparenza deciso, il passo sicuro e controllato, ma le mani strette a pugno lungo i fianchi.
Procede con sicurezza fino ai gradini, che sale con la calma di una regina, come se in realtà non stesse andando verso morte certa, e dentro di me mi sento tremare dal dolore e dalla rabbia.
Non posso crederci. Gwen, la dolce e gentile Gwen, un tributo. Costretta ad affrontare quei Giochi di morte per il divertimento di Capitol. Destinata a combattere in quella maledetta Arena fino alla morte.
Non può essere. Non può e basta.
Accanto a me sento Will fremere “Forse può farcela.” sussurra piano, stringendo i denti e tentando di calmare il caos che entrambi sentiamo dentro “Suo padre è un fabbro, armeggia con spade e pugnali fin da quando era piccolissima. Forse ha una possibilità.”
Mi ritrovo ad annuire “Forse.” mormoro, anche se so che difficilmente riuscirà ad uccidere abbastanza persone per restare in vita fino alla fine, buona com’è. Ma voglio credere che ce la farà. Voglio e devo farlo.
“Bene!” esclama Aithusa, posando una mano sulla spalla di Gwen “Ed adesso è il turno del nostro tributo maschile.”.
Ancora più lentamente di prima, si avvicina all’altra boccia e ripete gli stessi movimenti, estraendo infine un altro bigliettino.
Io e Will ci facciamo impercettibilmente più vicini e sono così preso dalle fitte dolorose che avverto all’altezza dello stomaco e del cuore che quasi non sento il nome che viene letto pochi secondi dopo.
Quasi, però.
 
“Merlin Emrys!”
 
Il mondo, intorno a me, smette di girare e improvvisamente resto solo io e quel nome, il mio nome, che si espande nell’aria come il suono di uno sparo.
Non è possibile.
E’ questo tutto ciò che riesco a pensare.
Non è possibile.
Accanto a me, Will trattiene a stento un gemito, ed è quel suono a confermarmi che invece si, è possibile, perché sta avvenendo, proprio in questo momento, proprio ora.
Ciò che ho temuto di più in tutti questi anni si è avverato.
Lentamente, come se fossi in un incubo, sbatto le palpebre una volta, per mettere a fuoco ciò che mi circonda, e dentro tutto si rimescola fino a quando mi rendo veramente conto di quello che sta succedendo.
Avverto una mano, la mano di Will, afferrarmi con forza il braccio e stringermelo forte, come se volesse fermare tutto questo.
Deglutisco e, quasi facendo violenza contro il mio corpo, mi costringo a sottrarmi alla sua presa e, senza guardare nessuno, ad incamminarmi in silenzio verso il palco, lo sguardo puntato davanti a me, deciso a non mostrare il minimo segno di paura. Non voglio che mia madre veda come sto crollando dentro.
Salgo sul palco e per prima cosa incontro lo sguardo di Gwen che, incredula come me, non riesce a impedire alle labbra di tremare.
Mi fermo accanto ad Aithusa e quando sposto gli occhi sulla platea silenziosa ma sollevata mi sfioro il fazzoletto che porto al collo con un gesto all’apparenza casuale, alla ricerca del coraggio che sento venirmi improvvisamente meno alla consapevolezza che, al massimo tra qualche giorno, sarò morto.
 
 
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Come da tradizione, alla fine della Mietitura io e Gwen veniamo portati nel palazzo di Giustizia e lasciati in due stanze diverse, per permetterci di salutare in pace i nostri cari, che verranno a dirci addio nell’ora che ci separa dalla nostra partenza per Capitol City.
Appena la porta dietro di me si chiude mi lascio cadere sulla prima sedia disponibile e mi copro il viso con le mani, cercando di controllare la tempesta che sta sconvolgendo tutto quanto, dentro di me.
Sento gli occhi bruciarmi, ma tento in tutti i modi di trattenere le lacrime e di concentrarmi e riordinare i pensieri. Non posso lasciarmi andare all’angoscia. Devo pensare. Devo . . .
Uno scricchiolio mi richiama alla realtà e quando alzo la testa vedo Will sulla porta, lo sguardo teso e le mani strette dietro la schiena.
Mi alzo dalla sedia e cerco di fargli un piccolo sorriso, ma tutto quello che mi esce fuori è una smorfia.
Lui si avvicina ed abbassa lo sguardo “Mi dispiace tanto, Merlin.” mormora “Davvero.  Io . . . non posso ancora crederci . . .” si passa una mano tra i capelli, e per un attimo mi ricorda l’impacciato ma coraggioso bambino di sette anni con cui correvo a perdifiato tra le strette strade del Distretto per sfuggire dai ragazzi più grandi a cui, accidentalmente ovvio, avevamo fatto scomparire qualcosa o fatto cadere in una buca.
“Lo so.” sussurro, mentre il cuore mi si stringe un po’ “Ma sono felice che non sia stato tu, almeno, ad essere estratto.” Ed è vero. Non avrei potuto sopportare il pensiero del mio migliore amico nell’Arena. Sarebbe stato più straziante di tutto questo, lo sento.
Will alza finalmente lo sguardo “Puoi farcela, sai?” mi dice, la voce un po’ più sicura di prima “Ne sono sicuro. Puoi farcela. Sei più forte di quanto chiunque altro possa immaginare. Puoi uscire vivo da quell’Arena. Puoi vincere. Lo so.”.
La sua fiducia e la sicurezza che leggo nel suo sguardo per un attimo mi lasciano tramortito. Non ho possibilità, lo so bene. Sono solo un ragazzino scheletrico, maldestro e senza particolari abilità. Non posso sopravvivere. Non posso e basta.
Però cerco di buttarla sul ridere “Si, se stordisco tutti gli altri a forza di chiacchiere. Non sei tu a dirmi sempre che le mie battutacce sono letali?”.
Una risata strozzata esce fuori dalla gola di Will, e finalmente un piccolo sorriso, seppur timido e spezzato, gli illumina il volto. “Sei sempre il solito, eh?” borbotta, scuotendo appena la testa.
Faccio per ribattere, ma lui subito mi si avvicina e blocca qualsiasi risposta in un abbraccio.
Per un attimo resto immobile, ma poi rispondo all’abbraccio, mentre lo sento mormorare piano “Non farti ammazzare, Merlin. Il Distretto 3 diventerebbe fin troppo noioso senza di te. E io ho bisogno del mio migliore amico vivo.”.
Deglutisco appena “Farò il possibile, Will. Lo prometto.”.
Lui si stacca e mi scruta qualche secondo, come se volesse dire altro, e poi scuote la testa “Vado, allora. Vorrai stare con tua madre, immagino.”.
Annuisco, ed allora lui ma da’ un’affettuosa pacca sulla spalla e va verso la porta. Prima di uscire, però, si volta un’ultima volta e mi dice, la voce roca eppure controllata “Buona fortuna, amico.”.
Mi mordo le labbra, mente osservo la porta chiudersi.
A quanto pare, ne avrò bisogno, d’ora in poi.
 
La seconda persona a venirmi a trovare è mia madre.
Entra in silenzio, senza fare rumore, quasi fossimo in un tempio maledetto, e mi scruta con i suoi occhi addolorati, le mani strette nervosamente in grembo.
“Bambino mio.” mormora, avvicinandosi piano a me. Non dice altro. Non c’è bisogno di parole tra noi, dopotutto. Non adesso.
Prendo un profondo respiro e allungo le mani per stringere le sue tra le mie. Solo guardarla mi fa male. Mi fa male il pensiero che la sto costringendo a rivivere di nuovo tutto questo una seconda volta. Mi fa male la consapevolezza che sto per lasciarla di nuovo da sola. Mi fa male la certezza che mi vedrà morire attraverso uno schermo, di fronte agli occhi di tutti. Mi fa male sapere che questa sarà l’ultima volta che la vedrò. Mi fa male doverle dire addio.
I suoi occhi sono lucidi, ma non una lacrima scende sulle sue guance. Si sta facendo forza per me? Non lo so, e non lo voglio sapere.
Tutto quello che riesco a fare è stringerla dolcemente a me, un’ultima volta.
“Ti voglio bene, mamma.” mormoro, tentando di controllare la voce. Non dico altro, perché non c’è altro da dire. Potrei provare a rassicurarla, a dire che me la caverò, che tornerò da lei, ma so che è inutile. Lei conosce meglio di chiunque altro i rischi dei Giochi e la consistenza vuota di certe promesse.
“Anche io, figlio mio. Anche io.” sussurra , il cuore che batte disperato accanto al mio, mentre alza lo sguardo su di me e io mi perdo nei suoi occhi.
Restiamo così  lungo, l’uno stretto contro l’altra, fino a quando i Pacificatori non entrano e non la trascinano via, allontanandoci per sempre.
Solo allora mi lascio cadere a terra, senza più forza né coraggio, mentre il cuore grida il suo dolore per quell’addio ingiusto e crudele, e resto inerme a fissare il pavimento e a stringere quasi con furia il fazzoletto che tengo al collo.
 
“Merlin.”
Una voce, familiare, conosciuta, rassicurante mi fa sobbalzare ed improvvisamente alzo lo sguardo verso la porta, dove un’altra, inaspettata persona mi aspetta.
“Gaius . . .” sussurro, la gola stretta in una morsa, mentre mi alzo in peidi.
Vederlo lì, alla porta, cancella all’istante quel po’ di calma che ero riuscito a mantenere con mia madre e con Will. Non pensavo che sarebbe venuto, anche se dentro di me lo speravo.
Subito lui mi si avvicina e mi stringe forte a sé, in un abbraccio caldo e rassicurante, un abbraccio che sa di affetto, di pace, di casa.
“Ragazzo mio...” mormora lui, la voce solitamente così calma rotta, e dentro di me tremo un po’.
Lui è sempre stato come un padre per me. Mi ha praticamente cresciuto ed è sempre stato al mio fianco contro tutto e tutti. E sapere di doverlo lasciare, di dover perdere anche lui, mi fa male in un modo indescrivibile.
Lentamente si stacca da me, ma continua a tenermi le mani strette sulle braccia, come se avesse paura che una volta spezzato questo contatto io possa svanire di fronte ai suoi occhi  “Non abbiamo molto tempo, quindi ascoltami bene. So quanto terribili possano essere gli Hunger Games, e so quanto siano pericolose le prove contro cui dovrai batterti per restare in vita. So come questi Giochi distruggono l’essere delle persone prima ancora della loro esistenza, e so che ci saranno ragazzi pronti a tutto per vincere. Ma so anche, Merlin, che tu sei abbastanza forte da poterci tenere testa.”.
Scuoto la testa, amaramente “Non è così Gaius, e tu lo sai bene. Siamo ventiquattro, e molti di loro saranno più forti, più agili, meglio nutriti e più fortunati di me.”
“Ci saranno pure ragazzi più forti, più agili o con più fortuna di te, ma tu hai qualcosa di molto più importante.” ribatte, e poi solleva una mano per posarla sulla mia tempia “Un cervello ben allenato.” mormora, per poi abbassare la mano e poggiarmela sul petto “E un buon cuore. Non ti serve altro.”
Un cervello e un cuore. Ecco tutto quello che ho. Bell’affare.
Trattengo a stento uno sbruffo sconsolato “Credo che mi serva qualcosa di più di tutto questo. Un bel po’ di muscoli, ad esempio.”
Gaius stringe le labbra e mi fulmina con lo sguardo “I muscoli sono utili, certo, ma mai come un cervello come il tuo. Hai letto più libri di quanto abbia mai fatto io nella mia lunga vita, hai un buon intuito, sei intelligente e fantasioso, conosci molti rimedi naturali e piante commestibili e hai osservato con attenzione tutte le Edizioni passate che ti è stato dato modo di vedere. La maggior parte dei tributi saranno spaventati a morte, commetteranno errori facilmente evitabili e non penseranno ad altro che ad eliminarsi a vicenda. Tu puoi giocare su questo. Allontanati dalla mischia, fai in modo di avere cibo ed acqua a sufficienza, sfuggi ai pericoli con intelligenza e resta nascosto il più a lungo possibile. Fidati del tuo intuito e trovati degli alleati, come Gwen, magari. E’ tua amica da sempre, sa utilizzare le armi e non ti tradirà nemmeno lì, fedele com’è. Impara qualche tecnica di sopravvivenza e di autodifesa e non dare nell’occhio. Molti dei passati Vincitori hanno utilizzato questa strategia e sono riusciti a sopravvivere contro qualsiasi aspettativa.”.
Le sue parole hanno un fondo di realtà e di coerenza, e mi riaccendono dentro un po’ di speranza. E’ vero, non sarò forte né potente, ma sono astuto, e ho osservato con attenzione gli Hunger Games passati. So tenermi lontano dai guai e so riconoscere piante e erbe commestibili. Forse non posso sopravvivere, ma almeno posso tirare avanti il più possibile. Posso vendere cara la pelle, in un modo o nell’altro.
Annuisco, lentamente, e Gaius continua, le labbra che gli tremano impercettibilmente “Sii cauto. Sii prudente. E, soprattutto, sii te stesso. Là dentro cercheranno di manipolarti, di renderti ciò che non sei, prima ancora di ucciderti. Nessun tributo resta mai quello che era prima della Mietitura. Tu non devi permetterlo. Resta fedele a te stesso, e qualunque sarà il tuo destino sappi che tutti noi siamo e saremo sempre fieri di te.”
A quelle parole non resisto più e stringo con forza Gaius in un altro abbraccio, nascondendo il volto nella sua spalla per non fargli vedere le lacrime represse che mi bruciano gli occhi.
Per un attimo resta immobile, ma poi risponde alla stretta, e nel suo calore posso avverti il calore che tanto avevo desiderato da bambino prima di trovarlo in lui, il calore di un padre.
“Stalle vicino, Gaius.” mormoro, cercando di controllare la mia voce “Non lasciare mia madre ad affrontare da sola tutto questo.”.
Lui si tira indietro per guardarmi in viso “Non preoccuparti per lei, Merlin. Hunith è una donna forte, e comunque non ho alcuna intenzione di lasciarla da sola. Adesso devi concentrarti solo su di te. D’accordo?”
La gola mi si stringe, ma mi ritrovo ad annuire “D’accordo.”.
Vorrei dirgli tante l’altre cose, perché so che questa è la mia ultima possibilità, l’ultima occasione che ho per parlare con lui, ma tutte le parole sembrano essersi bloccate a metà strada tra il cuore e la gola e pronunciare adesso diventa troppo difficile.
Eppure, quando Gaius mi accarezza dolcemente il viso, sento che tutte quelle cose mai dette lui le sa già.
 
Gaius resta con me fino a quando Aithusa, scortata da cinque Pacificatori e con Gwen al suo fianco, viene a chiamarmi per portarmi in stazione, da dove partiremo per Capitol.
Io e lui ci scambiamo un’ultima occhiata, e poi lui mi accarezza piano il viso “Va.” sussurra.
Annuisco e seguo quel piccolo corteo bianco, ma non rpiam di essermi voltato un’ultima volta verso Gaius , il mio ultimo legame con tutto ciò che fino ad oggi ho chiamato casa.
Ed è proprio mentre i nostri sguardi si incontrano per l’ultima volta che capisco.
Non posso sopravvivere, questo è sicuro. Non ne ho la forza, né la capacità. Ma non posso darmi per vinto in partenza. Non posso lasciarmi abbattere con tanta facilità. Non posso lasciare che Capitol mi cancelli ancora prima di uccidermi.
Devo stringere i denti e resistere il più a lungo possibile.
Devo vendere cara la pelle.
Devo andarmene alle mie condizioni, versare il mio sangue al momento giusto, per mia volontà.
Per Will. Per Gaius. Per mia madre.
Devo resistere. Devo combattere per loro.
E lo farò.
Fosse l’ultima cosa che faccio, lo farò.
 
 
 
La tana dell’autrice
 
 
E rieccomi ancora qui! : )
Per prima cosa voglio ringraziarvi di cuore per l’accoglienza che avete riservato alla mia fic che, a dire il vero, sinceramente non mi aspettavo! Grazie, grazie davvero di cuore!
 
Ed ecco qui il primo, vero capitolo, nel quale vediamo il nostro Merlin affrontare la Mietitura. Ho preferito concentrami solo su di lui e sulle sue emozioni per questo capitolo, ma dal prossimo in poi introdurrò non solo il nostro beneamato re, ma anche alcuni degli altri tributi.
Non ho trovato molte informazioni sul Distretto 3, che dai più è conosciuto come il Distretto dei ‘cervelloni’, come testimoniato da alcuni dei loro più celebri Vincitori, Beetee e Wiress, e così mi sono dovuta affidare all’immaginazione, basandomi sempre su alcuni indizi disseminati nei romanzi della Collins, che lo presenta come un Distretto pronto a rischiare tutto per la rivolta.
Le tessere a cui ha accennato Merlin all’inizio sono quelle razioni in più di cibo che Panem da a ogni ragazzo in età di mietitura che accetta volontariamente di avere maggiori nomine.
Qui Gwen è presentata come il tributo femmina del 3 –posto che, nella mia mente, si è a lungo contesa con Freya, che adoro nonostante il mio amore per la Merthur- e ha, nonostante tutto, una caratterizzazione abbastanza positiva, o almeno così dovrebbe essere nelle mie intenzioni. Per me è un personaggio affine a Mary Watson di Sherlock, sempre della BBC : inizialmente detestabile perché la sua presenza cancella la possibilità di fa diventare canon la mia coppia preferita, ma troppo vicina alle corde del cuore per essere odiata a lungo. Certo, se si fosse messa con Lance invece che con il nostro biondo preferito l’avrei apprezzata molto di più, ma vabbè.
E si, ho inserito anche il mio dolce Willy! Ho una passione smisurata per questo personaggio, davvero! Credo di non essermi mai ripresa dalla sua morte, sigh! Inizialmente doveva essere il tributo del 12, ma poi mi sono resa conto che c’erano troppi personaggi maschili positivi nell’arena e ho deciso di ‘graziarlo’.
E con questo, credo che sia tutto. Non so quando riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo perché questo fine settimana partirò per le vacanze e avrò difficoltà a connettermi ad internet, ma giuro che tenterò di tutto per aggiornare il prima possibile.
 
Un abbraccio a tutti voi!
 
T.r.
  
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