Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Ricorda la storia  |       
Autore: Jakrat    31/07/2015    2 recensioni
Ponyville è l'epicentro della felicità e dell'armonia. Il gruppo di pony capeggiato da Princess Twilight Sparkle garantisce l'ordine in città e nel regno, così come l'amicizia.
Ma sarà davvero così?
Genere: Avventura, Azione, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Le sei protagoniste, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Prologo

Principi


Vista dall'alto, la grande città sembra un caleidoscopico paradiso di asfalto, case e giardini. E, camminandoci dentro, è davvero così.

Le larghe strade di asfalto di allungano in tutte le direzioni, in una fitta rete dove le automobili sfrecciano in tutte le direzioni, brillanti come diamanti grazie alle carrozzerie lucide.

Il sole e i lampioni ai lati delle case garantiscono tanta luce che pare non debba mai calare la notte. Grazie a questo, i grandi palazzi del centro, trionfi di cemento armato e vetro che nella loro altezza sembrano voler sfidare il cielo, splendono come cavalieri in armatura: epici eroi che, con la forza del lavoro, della politica e della burocrazia, garantiscono l'ordine nella vita dei cittadini.

Ma sotto i grandi palazzi, dietro le strade illuminate e le famiglie felici, un altro tipo di ambiente si sviluppava: in una eterna penombra dovuta alle decine di piani dei palazzi intorno a loro, la parte più disagiata della popolazione dava libero sfogo ai loro istinti.

Nonostante le strade sporche dalle cartacce e sacchetti buttati a terra alla rinfusa, vagabondi e senzatetto restavano seduti su pannelli di cartone, imbacuccati in coperte di flanella mentre battevano i denti e guardavano con occhi supplichi i passanti; nelle piccole case tra un palazzo e l'altro, una lanterna rossa appesa alla parete lasciava ben intendere che genere di attività si stesse svolgendo al suo interno; oscenità scritte sulle pareti e un notevole viavai e passamani di buste, siringhe e denaro lasciavano ben intendere quale clima si respirasse dietro alla facciata di ordine che il centro città dava.

In mezzo a questo degrado, una figura massiccia e imponente avanzava, con le mani intrecciate dietro la schiena, respirando a pieni polmoni quell’ambiente che, per lui, sapeva di casa.

Lui, un armadio di due metri per più di un quintale di peso che rispondeva al nome di Alastor Sullivan, era il classico soggetto che la gente evita come la peste. Grosso come un bue e poco più sveglio, si guadagnava da vivere usando la sua forza erculea per sistemare alcuni affari «ostici» per conto di una delle famiglia malavitose del posto.

La famiglia Sullivan esercitava un rigido controllo su una parte della città e si era perso il conto di ossa che avevano fatto spezzare e denti fatti ingoiaRe per estorcere denaro o minacciare. E una buona parte di queste spedizioni punitive erano affidate ad un solo uomo: Alastor. Il nipote del padrino.

Era ironico vederli assieme, poiché il capofamiglia, Lucius Sullivan, in piedi non arrivava nemmeno al petto del suo scagnozzo, eppure il rispetto tra i due era tangibile nell’aria, ogni volta che i due si incontravano.

Rispetto, non affetto. Non bisogna mai mischiare gli affetti con gli affari e Alastor, almeno in apparenza, sembrava avesse accettato questo fatto.

Il suo ambiente era quello, una strada, tanta criminalità intorno e un’alta probabilità di farsi passare quel prurito fastidioso alle mani che sentiva spesso.

Sì, perché se c’era qualcosa che Alastor soffriva era quel dannato prurito che affliggeva quelle mani grandi come badili, più simili a zampe come pelle, piuttosto che veri e propri arti umani. Se c’era qualche spedizione da compiere per conto dello zio, poteva farselo bastare per una giornata, ma quando gli affari sono stabili… insomma, c’è bisogno di qualcos’altro.

Aveva provato a farsi passare questo sfogo andando in palestra, ma il solo fatto di dover seguire delle regole per mettere fuori gioco qualcuno gli levava tutto il divertimento. Al quarto incontro perso perché, a quanto sembrava, non potevi prendere un uomo per la cintura e lanciarlo come un pacco postale fuori dal ring, Alastor aveva capito che quello non era il suo posto.

Certo, era un atteggiamento rischioso e tutti i tagli e cicatrici che si potevano vedere sul suo volto e sul petto lasciavano intendere come la sua cortesia nel limitarsi a lasciare occhi neri e fratture multiple dietro di se veniva spesso ricambiata con una quantità di piombo pari al suo peso.

Non che gli dispiacesse, ovvio. Era giusto lasciare qualcosa con cui compensare il divario di forze tra loro due.

Nonostante tutto, c’erano una regola o due che affollavano la testa, principi che seguiva diligentemente: era più bestia che uomo, questo lo ammetteva anche lui, ma anche le bestie hanno i loro principi!

Forse.

Nel dubbio, lui gli aveva.

Quella sera in particolare, mentre avanzava tra i rifiuti di un vicolo perpendicolare alla via principale, avrebbe dovuto rispettare uno di quei due principi.

Prima di svoltare, udì un rumore inconfondibile: passi rapidi, gente che si butta a lato per non farsi travolgere e un pesante ansimare sommerso dalle risate di alcuni aguzzini. Qualcuno che scappava, Dio sapeva da cosa e perché. Dal suono che facevano i suoi passi, il fuggiasco doveva avere indosso delle scarpe con i tacchi alti: forse era una prostituta che scappava da clienti troppo violenti.

Almeno, in quel neurone che rimbalzava nel cranio di Alastor, se qualcuno indossava i tacchi doveva essere una donna. Niente mezze misure.

Sfortunatamente per gli aguzzini, uno di questi principi che regolavano la vita di Alastor era che le donne non si potevano toccare neppure con un fiore: per quanto poteva saperne, potevano essere la madre di qualcuno… ed era meglio non dire cosa lui aveva fatto al cane che aveva avuto l’ardire di alzare una mano su sua madre.

Si può solo dire che alzò una mano, perché l’altra stanno ancora cercando di levargliela dalla bocca.

Alastor rimase in attesa, nascosto dietro l’angolo in attesa che la donna in pericolo gli passasse davanti, così da poterlo lasciare divertire con gli assalitori.

Passò avanti a lui una ragazzina dai lunghi capelli scuri e vestita di stracci. Nonostante le scarpe, le sue gambe innaturalmente lunghe le davano una grande velocità.

Ma questo non gli importava molto, così come le ragioni dietro la sua fuga: forse doveva dei soldi a quei tizi, forse si era spinta troppo in là con gli insulti…

Non appena la donna superò Alastor, lui sbucò dal vicolo con il braccio teso, prendendo in pieno collo il primo degli inseguitori. Questo, una volta colpito, fece una capriola a mezz’aria prima di atterrare sgraziatamente di schiena sull’asfalto del vicolo, emettendo in tutto questo tempo solo un gridolino soffocato.

Il secondo, senza ancora accorgersi di cosa stesse succedendo, ricevette un diretto sul volto che percepì come se avesse corso contro un muro e finì con il fare compagnia all'altro già per terra.

Il terzo, infine, fece appena in tempo ad accorgersi che due suoi compagni si erano scontrati contro un muro che aveva girato l’angolo, prima di trovarsi afferrato per la faccia e sbattuto contro la parete. Se la faccia non va alla parete, la parete va alla faccia.

Terminata l’opera, Alastor rimase in piedi, osservando i tre tizi che tentennavano ad alzarsi mentre si massaggiavano il grosso livido sul muso. Si trattava di teppisti estremamente stereotipati: fisico esile e slanciato, occhialoni da sole, naso aquilino, piercing sulle labbra e le narici, una fantasiosa cresta sul capo altrimenti rasato e un linguaggio da strada così abusato da aver perso ogni credibilità e tono di minaccia.

Quando questi riuscirono finalmente a rialzarsi, trovarono Alastor a guardargli in cagnesco massaggiandosi le nocche.

Ricordandosi improvvisamente di non avere a disposizione un fucile anticarro, o almeno una falange romana per difendersi dall'energumeno, il trio si diede alla fuga correndo di gran carriera nella direzione opposta a dov'erano venuti.

Rimasto solo, Alastor udì qualcuno cadere. Voltandosi, riconobbe la donna che stava scappando: uno dei tacchi le si era rotto ed era rovinosamente inciampata su di una pila di sacchi dell’immondizia.

Senza aggiungere una parola, lui la raggiunse con passo pesante.

La ragazza lo guardò, indecisa se essere spaventata o no: ai suoi occhi apparve un omone semplicemente enorme, il volto squadrato pieno di tagli e cicatrici, i capelli scuri che cadevano lisci lungo il volto e il fisico possente, sembrava un blocco di granito animato da qualche incantesimo.

Lentamente, le labbra di Alastor si piegarono in un timido sorriso. Si stava sforzando di apparire affabile, questo era evidente, eppure sul suo volto quel gesto appariva più come uno spasmo che un gesto di galanteria.

Finalmente poteva guardarla meglio: quello che gli era parso un vestito di stracci era una giacca di jeans dalle maniche strappate come andava di moda, una canottiera e un paio di lunghi jeans bordeaux tenuti legati in vita da una coppia di cinture. I capelli, lunghissimi e scuri con fantasiose mesches azzurre, erano raccolti in due interminabili code poste ai lati della testa che scendevano dietro le sue spalle. Era una ragazza dal fisico estremamente slanciato ma atletico, eppure di fianco ad Alastor appariva come un fringuello.

I suoi occhi erano viola ed enormi, Alastor ci si poté specchiare non appena i loro sguardi si incrociarono.

Senza aggiungere una parola, lui allungò una mano per aiutarla ad alzarsi. Aiuto che questa ragazza accettò, non senza qualche titubanza.

Alla fine, quando ritornò in piedi, Alastor parlò con voce grave e tonante «Di solito, in queste occasioni, si ringrazia.»

La donna, ritrovato apparentemente il proprio spirito ribelle, sbuffò guardandolo dritto negli occhi. Quel commento così diretto l’aveva piuttosto infastidita «Cosa ti aspetti, che mi prostri ai tuoi piedi?»

«Mi accontenterò di un grazierispose Alastor, indifferente all'insulto e facendo spallucce.

La ragazza, ritrovato l'equilibrio poco dopo, lasciò la presa sulla mano di Alastor e agitò le mani sui pantaloni per levare lo sporco depositato dopo la caduta, aggiungendo «Devi scusarmi. Sono un po’ scossa… il fatto è che sono in una brutta situazione. Molto brutta…»

Alastor affondò le mani nelle tasche della giacca con il cappuccio, osservando «Non ho molto da fare, questa sera.»

La ragazza rise, ritornando in piedi «Oh, credimi, è una di quelle situazioni che non si risolvono in una serata…»

«Perché allora non cominci con il dirmi il tuo problema?»

Infastidita dall'avere a che fare con uno sconosciuto così insistente, la ragazza incrociò le braccia al petto e si piegò verso la sua faccia, domandando «Posso chiederti per quale motivo vuoi tanto aiutarmi?»

«Perché l’ho appena fatto. Ma, se sei così nei guai come dici, presto ritorneranno. E non mi piace lasciare qualcosa a metà: se si inizia qualcosa è giusto finirlo.»

La ragazza rimase per qualche istante perplessa. La semplicità con cui l'omone avanti a se parlava era tale che istintivamente avrebbe voluto chiedergli da quale fattoria venisse, ma alla fine annuì, sospirando mentre andava a massaggiarsi la testa «E va bene… odio dirlo, ma un aiuto è proprio quello di cui ho bisogno, in questo momento.»

«Ora ragioniamo.» commentò Alastor, annuendo soddisfatto, prima di presentarsi «E comunque, il mio nome è Alastor Sullivan. E tu sei…»

«Aria.» Rispose la ragazza «Mi chiamo Aria Blaze.»


  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Jakrat