Voglio
raccontarvi una storia. È vera? Probabile. È il frutto della sfrenata e folle
fantasia di un’autrice con seri problemi di ipersensibilità?
No, di storie così ce ne sono ovunque. E adesso
capirete perché nessuno le racconta…
C’era una volta,
come in tutte le storie serie, una donna che aspettava un figlio.
Nacque una
bambina, né bionda, né con gli occhi azzurri, come ogni principessa: nacque una
bambina con cappelli castani tendenti al chiaro e due occhi verdi scuri, quasi
marroni. Bellissima per la madre, il padre e la famiglia, una
neonata strillante per tutto il resto del mondo. Una
normalissima nascita, avvenuta senza complicazioni dopo nove mesi di
noiosissima gravidanza.
Solo una cosa
impedì alla bimba di vivere una normalissima vita, immersa nell’anonimato più
assoluto; la bimba nacque sorridendo. Sorrideva, con quella boccuccia sdentata,
quando aveva appena pochi istanti di vita, mente strillava con forza, urlando a
tutto l’ospedale la sua venuta, sorrideva quando prese
per la prima volta il latte materno, sorrideva tra le braccia dei genitori
quando lasciò l’ospedale, avvolta in una morbida copertina rosa. Inutili furono
le numerose visite dai migliori medici; la bimba era sanissima, senza nessuna
malformazione facciale, senza il minimo problema. I due genitori smisero di
farsi problemi, e allevarono con amore e ramanzine quella loro creatura sempre
sorridente. Inconsapevolmente, però, cercavano di farle cambiare espressione; a ogni sgridata osservavano il faccino rotondo inondato da
lacrime, che finivano inevitabilmente in una bocca schiusa in un sorriso.
Arrivò un giorno
importante per la bambina: il primo giorno di elementari,
il primo contatto con altri bambini della sua età; fin dal primo istante in cui
posò il suo piede fasciato da graziose scarpette nere, la bimba illuminò la
classe con il suo sorriso. Con il passare del tempo, la bambina trovò grandi
amicizie fra i suoi compagni, specialmente tra i maschi, attirati da quel
sorriso, che ricordava quello della loro mamma, o quello che si fa per sfidare un amico; il sorriso della bimba aveva
moltissime forme, centinaia di significati, che riscuoteva la fiducia della
gente: quando giocava con le sue amiche a prendere il thè,
faceva la padrona di casa, sempre cordiale e sorridente; quando giocava a palla
avvelenata con i suoi amici rimaneva nelle retrovie del campo, pronta a
liberare i suoi amici catturati.
Crescendo,
incontrò inevitabilmente il suo primo amore, in quinta elementare: divennero
amici, come succedeva sempre, ma nulla più: il ragazzo aveva paura di perdere
un’amica così fidata, così sincera e leale, e l’ultimo giorno di scuola,
sapendo che non si sarebbero più rivisti, le disse semplicemente:- Sei davvero simpatica.- e se ne andò, per non vedere le
lacrime solcare il viso della sua amica, finendo inevitabilmente nella bocca
dischiusa nel perenne sorriso. La delusione e i rimpianti la soffocarono per
tutta l’estate, senza riuscire a vincere il sorriso che la contraddistingueva:
quello stesso sorriso l’accompagnò alle medie, dopo conobbe l’odio, la
rivalità, l’ipocrisia e la falsità che distrussero per sempre il suo mondo di
sorrisi. Vide migliori amiche con centinaia di facce, una per ogni istante,
vide piccoli, crudeli gesti quotidiani ripetersi ogni giorno per ferire tante
persone; vide delle certezze che le sembravano d’acciaio sciogliersi come burro
per un niente. Vide lacrime e volti disperati, vide l’odio trasformarsi in
amore e l’amore svanire nel nulla. E tutto questo con quel
suo sorriso sulle labbra. E alle medie cominciò una catena che l’avrebbe
imprigionata per tutta la sua vita, racchiusa in tre semplici parole, gridate
in un sussurro…:- Ti prego, aiutami…- e così fece.
Cominciò ad
aiutare amiche vere e false, a fare una relazione, a trovare un modo per
uscire, per dimagrire, per sembrare un po’ più alta: aiutò a conquistare il
ragazzo dei propri sogni, che a volte era anche il suo; aiutò anche a
dimenticarlo, con quel suo sorriso che agli altri appariva come uno scoglio,
una luce nel buio, e che per lei era solo una prigione. Finirono le medie, e il
suo sorriso continuò a far accorrere povere vittime, bisognose di affetto, consigli e consolazione.
La bambina,
ormai divenuta ragazza, incontrò tante altre volte l’amore, e fu il suo stesso
sorriso a impedirle di essere felice: i ragazzi
avevano bisogno di quella sua smorfia benevola, anche a costo di rimanere solo
amici. Ogni volta che la ragazza sentiva ripetere quella terribile
frase…:- Tengo troppo a te, non voglio perderti!! Rimaniamo amici.- sentiva le lacrime bruciare sotto gli occhi, senza potere
uscire: anche loro si erano arrese a quel sorriso così tenace. Continuò a
passare il tempo, e la ragazza divenne donna, poi vecchia, continuando ad
aiutare le persone, nella speranza di dimenticare il suo dolore; non si sposò,
troppo occupata a far sbocciare nuovi amori e a
incollare cuori infranti; non ebbe figli piccoli da coccolare e figli grandi da
guidare, troppo indaffarata a curare e a far ragionare quelli degli altri. Non
ebbe nipoti a cui raccontare storie, impegnata a portare a spasso quegli degli altri. Morì da sola, senza gli amici che aveva
aiutato, sorridendo, e venne chiusa in una scatola e
sepolta in un cimitero. A ricordarla, una lapide, con scritto
nome e cognome, data di nascita e di morte, con una semplicissima frase incisa…
“Il tuo sorriso ci illuminerà
sempre”
ma la bambina, ragazza, donna, vecchia riuscì a
vincere la sua battaglia, proprio un attimo prima di lasciare questo mondo; per
la prima volta, in tutta la sua vita, riuscì a sorridere per se stessa, non per
gli altri… pensò a tutto quello che aveva fatto, all’amore che non era riuscita
a dare, per occuparsi di quello degli altri; pensò alle sue lacrime, morte nei
suoi occhi, consapevoli di non poter dare sfogo al suo dolore, racchiuso nella
prigione sorridente che l’aveva perseguitata.
E sorrise.
Un
attimo prima di morire, sorrise
veramente, con tutto il suo cuore, con tutto il corpo, con tutta la sua anima.
Mise tutta se stessa nel suo primo vero sorriso. E
sapete perché? Era felice. Aveva vissuto per gli altri, ma sarebbe
morta per se stessa. Capito perché storie come queste non ve le sentirete mai raccontare? Chi ha voglia di ricordarsi di
qualcuno che non può più aiutare nessuno? Ecco perché Lei
sorrideva sempre…. Sapeva che sarebbe morta, e che la sua tortura
avrebbe avuto fine.