Crossover
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Autore: Feel Good Inc    05/08/2015    4 recensioni
Doctor Who x Eroi dell'Olimpo
«Smettila di fingerti stupido! Sei un Titano, no? Non so come tu abbia assunto questa forma da sfigato ma...»
«
Ehi» si risente il tizio, «non insultare il mio aspetto! I cravattini sono forti!»
Nico & Eleven | Nico pre-Hazel + Eleven post-Ponds | hurt/comfort
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Libri, Telefilm
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Doctor Where?'
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Find someone. Save someone.

{ ode to serendipity }

 

 

 

 

 

and she’s happy now

I’m going home

another day

another cruel reminder

 

 

 

 

«Sono arrivato troppo tardi.»

 

 

Ci sono un ragazzino, una cabina blu e il fiume dell’inferno.

Nico strizza gli occhi incredulo, rilevando il tutto come la scena iniziale di una barzelletta un po’ macabra. E, intendiamoci, non è il fiume dell’inferno il problema. Ormai lo Stige è un vecchio amico – anche in quei momenti in cui l’umore di lui è più cupo delle sue acque, anche oggi che l’ha preso a sassate perché all’inferno non ha trovato quello che voleva – invece quella cabina blu, ecco, quella è un’altra faccenda. A Los Angeles non si vede una cabina telefonica da decenni, di questo è abbastanza sicuro; figuriamoci una blu, e figuriamoci una cabina blu piazzata proprio all’ingresso degli Inferi.

Incerto se avvicinarsi o andare a chiedere delucidazioni a qualcuno, magari a Caronte, o magari a suo padre, Nico rimane lì per qualche secondo di troppo. Dà così modo alla barzelletta di svilupparsi ulteriormente: le porte della cabina si aprono e ne sbuca un tizio in bretelle e cravattino.

La situazione sta sfuggendo a qualsiasi schema.

«Oh, interessante.» L’uomo si sistema la giacca sulle spalle, si ravviva il ciuffo di capelli scuri sulla tempia e si guarda intorno. Osserva il fiume grigio gonfio dei suoi cimeli spezzati, le mura grigie che cingono la terra grigia al di là della vita, giù fino al palazzo di Ade che si staglia alto e scuro all’orizzonte – e alla fine, senza degnare lui di uno sguardo, si volta ancora verso l’interno della cabina (uno spazio che da quell’angolazione, per un qualche mistero ottico, sembra essere molto più grande del dovuto) e manifesta un garbato disappunto, in un tono di voce venato di commiserazione. «Perdonami, tesoro, ma non mi sembra proprio l’Armorica. A te sembra l’Armorica? Stiamo di nuovo prendendo iniziative strampalate, vero?»

Nico comincia a chiedersi se non sia il caso di mettere mano alla spada. Lo sconosciuto non ha certo un aspetto semidivino, e del resto qui non c’è Foschia che possa mascherare un mostro, ma quelle parole non hanno granché senso nemmeno per un mortale. La cabina resta – giustamente – in silenzio, mentre l’uomo stavolta punta uno sguardo seccato direttamente su di lui e brontola qualcosa sul chiedere indicazioni, come in risposta alle sollecitazioni di un’invisibile consorte. L’occasione di alzare le armi passa, e in meno di due secondi Nico si ritrova al centro di un esame accuratissimo, con il tizio così chino su di lui da respirargli quasi in faccia.

«Salve, sono il classico turista imbranato che segue i cartelli sbagliati. Ti prego di assecondarmi, non ci vorrà molto. Questa non è l’Armorica, è ragionevolmente certo, quindi per favore, potresti dirmi dove siamo?»

Nico si rende conto di essere rimasto a bocca aperta. Non esattamente la miglior prima impressione che possa fare un figlio di Ade. Cerca di adeguarsi all’atteggiamento dignitoso dello sconosciuto e lo squadra dalla testa ai piedi, rendendosi conto di non riuscire ad attribuirgli né un’età, né una nazionalità, niente di niente. Un mistero in bretelle e cravattino.

«Sei un mortale?» è tutto ciò che gli viene sul momento, perché davvero, deve capire chi o che cosa è prima di considerare l’eventualità di prenderlo sul serio.

L’altro si trasforma – non letteralmente, non da mostro, ma di colpo lo guarda come se parlassero la stessa lingua. «Questa sì che è una domanda che non mi fanno tutti i giorni. Vediamo un po’» lo studia ancora, ma adesso svolazzandogli intorno, come se di fronte ai suoi occhi fosse appena spuntato un reperto raro, «mortale, be’, sì, lo sono. Conosco qualche trucchetto, però. Sono un Signore del Temp— oookay, non lo dico se non ti piace.» Nico ha estratto la spada di ferro nero prima ancora di lasciargli finire la frase; gliela punta alla gola, dal basso in alto, e l’uomo assume una buffa posizione disarticolata, cercando di alzare le mani senza perdere d’occhio la lama che gli sfiora il mento. «Vacci piano, amico. Ci sono affezionato, a questo mento. È il mio preferito tra tutti quelli che...»

Nico ignora le farneticazioni senza senso e si concentra sulle parole che invece ha capito alla perfezione. «Signore del Tempo... Sei un figlio di Crono» lo accusa, facendo più forza sulla spada.

«Crono? Be’, etimologicamente parlando...»

«Cosa diavolo ci fai agli Inferi?»

«Agli Inferi? Siamo negli Inferi?» L’uomo strabuzza gli occhi. Per un attimo è talmente sconcertato da tendersi fino al limite raggiungibile dal suo collo entro il raggio di manovra della spada, e si rivolge di nuovo alla cabina blu, mezzo isterico. «Mi hai portato negli Inferi?! Aspetta un attimo» aggiunge senza riprendere fiato, «ma non ha senso.» Si volta con il busto per osservare meglio le mura dell’Erebo, e Nico gli va dietro con la spada, sforzandosi di non sentirsi troppo preso in giro. «No, io ci sono stato all’inferno. Non era così. E quel pianeta non c’è più... Sì, sono sicurissimo di aver mandato il diavolo al diavolo.» Sbircia Nico e accenna una strizzatina d’occhi. «L’hai capita? Carina, vero? Ehi, e se questi fossero gli Inferi cosa ci farebbe un bimbo come te a guardia delle mura, me lo sai dire? Certo, suppongo ci sia penuria di cani a tre teste nel mondo reale

«Cerbero è più avanti, e io sono il figlio di Ade.» Un silenzio interdetto. Nico si sente avvampare: gli sta dando troppa corda. «Smettila di fingerti stupido! Sei un Titano, no? Non so come tu abbia assunto questa forma da sfigato ma...»

«Ehi» si risente il tizio, «non insultare il mio aspetto! I cravattini sono forti!»

«Ma sei serio?» Suo malgrado, Nico si ritrova ad abbassare appena il braccio armato. Nessun Titano degno di questo nome potrebbe recitare così bene; per quanto possano rivelarsi furbi, i Titani sono ottusi. Mentre questo... questo... «Non sembri affatto imparentato con Chirone, te lo concedo.»

«Oh, grazie. Chi è Chirone? Non mi piace non conoscere le persone, ha del destabilizzante.»

Nico ha già imparato a ignorare i tre quarti di ciò che gli esce di bocca. «Ma Crono è stato distrutto. Percy ha compiuto la profezia.» Lo scruta a occhi socchiusi. «Cosa c’entri, tu, con Crono?»

«Non comportarti come se io conoscessi Crono, sei stato tu a tirare in ballo Crono per primo» è la risposta, a questo punto prevedibile, accompagnata da un broncio ben poco minaccioso. «E devo ancora capire questa storia degli Inferi e di te che saresti figlio di Ade, per inciso. Dammi un momento, vuoi? Vedi, mi aspettavo un nugolo di pazzi e irriducibili galli, non certo...» un altro sguardo comprendente Erebo, Stige e Nico, «questo

Nico abbassa l’arma del tutto. Non può fare a meno di notare che lo sconosciuto ne approfitta per sistemarsi il cravattino come ne andasse della sua stessa vita. «Va bene. Chi accidenti sei?»

«Sono il Dottore.» Per la prima volta, lui sorride. «Della razza dei Signori del Tempo. Se, come suppongo, siamo ancora sulla Terra...»

«Siamo sotto Los Angeles.»

«Ecco, quindi questo fa sì che per te io sia un alieno» spiega con semplicità.

«Un...» Nico emette un verso a metà tra una risata e un sospiro. «Certo. Non so come ho fatto a non accorgermene prima.»

«Non è colpa mia se giungi a conclusioni affrettate. Questo Crono che vuoi per forza piazzare nel mio albero genealogico dev’essere il cattivo, eh?»

«No, senti, sul serio. Non puoi essere un alieno. Non esistono gli alieni.»

Il Dottore solleva le sopracciglia sottilissime, oltraggiato. «Disse il figlio di una divinità mitologica.»

«Gli dei esistono!» Nico si sente di nuovo arrossire. «Quello è lo Stige, nel caso non l’avessi già capito. E io sono davvero il figlio di Ade.» E non dovrebbe parlargli di nessuna di queste cose, si rammarica, ma tanto ormai.

Il presunto alieno sbuffa, ostentando superiorità. «Se è così, ti ripeto: perché te ne stai qui fuori? Non dovresti – non so – gironzolare nel palazzo di papà e... e divertirti con il tuo esercito di scheletrini o... qualsiasi cosa facciano i pargoli del dio dei morti? Ma guardami, adesso parlo come se credessi nel dio dei morti» e la sua faccia assume un’espressione preoccupata. «Sarà una crisi di mezza età? Avrei giurato di averla superata da un pezzo.»

Nico lo scruta, furiosamente perplesso, stringendo l’elsa della spada. Il Dottore sembra ancora in attesa di una risposta alla sua stupida domanda. Lui inghiotte la rabbia.

«È... complicato.»

E all’improvviso il Dottore si illumina – quasi letteralmente. Il suo sorriso è molto più caldo, gli occhi si fanno consapevoli, e adesso più che mai sarebbe impossibile stabilire se abbia quindici anni o centocinquanta. «Oh, figlio di Ade. Perché non l’hai detto prima? Adoro le cose complicate. Racconta!»

 

 

«Mi dispiace.»

 

 

Nico esce dal TARDIS più rintronato di quanto lo fosse mentre ci entrava, sulla scia del Dottore che biascicava di galassie e di stelle in formazione.

Non ha programmato niente di tutto quel che è appena successo, e ci mancherebbe anche. Quando si è svegliato stamattina, quando ha saputo che qualcuno ha aperto le Porte della Morte, il suo unico pensiero è stato quello di andarsi a riprendere Bianca nell’Elisio... Non avrebbe mai potuto immaginare la macchina del tempo e l’alieno completamente pazzo in bretelle e cravattino. Sull’onda della delusione e del rimpianto (Bianca non c’era: Bianca vivrà ancora, ma senza di lui) lo ha seguito senza scopo, senza meta, appena dopo avergli raccontato la sua storia, e nemmeno per un secondo si è fermato a chiedersi se il Dottore gli avesse mostrato l’universo per un motivo ben preciso.

Perciò è una sorpresa, quando rimette piede sulla sponda dello Stige e di colpo capisce.

Muove qualche passo da solo: il Dottore è rimasto sulla soglia, e Nico si sente i suoi occhi sulla nuca. Anche ora che conosce parte della sua vita non saprebbe dire quanti anni hanno, quegli occhi. Sa che hanno perso qualcosa d’importante, però, e non una volta sola. Sa perché il Dottore lo ha preso con sé per un intervallo di tempo impossibile da definire e sa anche perché, poi, lo ha riportato a casa.

Si volta. «Grazie... credo.»

Gli strizza l’occhio per l’ultima volta. Non gli dice che si rivedranno, un giorno. Nico pensa che il Dottore non lo ammetterà mai, ma che serva del tempo a lui, adesso, per accettare il fatto di avere appena scorrazzato in giro per il tempo e lo spazio il figlio di un vero dio greco, che non c’entra niente con quel diavolo sconfitto ma che è altrettanto reale, con tutti i suoi fratelli e cugini e quant’altro. E a quel pensiero, per la prima volta da un bel pezzo, si ritrova a sorridere.

Le porte del TARDIS si chiudono. La cabina blu emette quel suono stranissimo che annuncia la partenza e a poco a poco scompare.

Nico affonda le mani nelle tasche del giubbotto. Ha ancora la testa piena di stelle, ma lo stesso il suo sguardo vaga fino all’Elisio, oltre le mura. E continua a sentire le parole del Dottore... sul fatto che, nonostante tutto, non riesce mai a restare da solo.

All’inizio crede siano solo echi impressi nella memoria o nell’immaginazione, ma dopo un po’ si rende conto che il TARDIS sta tornando indietro. Forse è la cosa più sorprendente dell’intero pomeriggio. Si volta di nuovo e la cabina è di nuovo lì e di nuovo le porte si aprono – non è il Dottore ad affacciarsi, ma una ragazza con occhi e capelli scuri, il naso all’insù, sicuramente sui vent’anni.

«Ehi, ehm, ciao. Nico.» Si gira a guardare alle proprie spalle, dove la sala di controllo crepita di esplosioni più o meno contenute. «Senti, abbiamo qualche problema tecnico e questa nave mi odia, ma è voluto tornare per darti un messaggio... Cerca nelle Praterie degli Asfodeli. È importante.»

Nico la guarda e si chiede quanto tempo sia passato per lei e per il Dottore. «Perché? Lì ci sono solo anime senza ricordi.»

La ragazza gli sorride radiosa. «Non smettere mai di cercare. Lui ha trovato me.»

Da qualche parte la voce del Dottore gli urla un saluto, ma per il TARDIS è tempo di continuare a correre. Lui annuisce.

 

 

Nico allungò una mano. «Anche tu sei mia sorella: ti meriti un’altra possibilità. Vieni.»

 

 

 

 

I could be happy

and I’ll never know it

till never a day comes back

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Mi faccio viva sempre con le idee peggiori, bene così.

Crossoverare Doctor Who con qualsiasi cosa (literally qualsiasi) è la mia missione nella vita, e morivo dalla voglia di farlo non appena iniziata la lettura di Percy Jackson e relativi Eroi dell’Olimpo. Penso di aver deciso quasi subito – appena entrato in scena – che il mio Dottore avrebbe interagito con Nico, solo che ancora non sapevo come (benché dolorosa, Bianca era una faccenda un po’ scontata) finché non ho conosciuto Hazel e il modo in cui Nico ha salvato lei in luogo di Bianca. Redenzioni e seconde possibilità ovunque. Qui doveva entrare in scena il Dottore.

E niente, probabilmente non è molto ben approfondita... Ho cercato di attenermi a uno stile veloce che mettesse in luce soprattutto la frustrazione di Nico, perché scommetto che nonostante tutto era arrabbiatissimo prima di trovare Hazel. Ho immaginato un Dottore post-Ponds e pre-Clara, combattuto tra il bisogno di trovare l’impossibile ragazza dei soufflé e il bisogno di stare da solo per evitare di perdere qualcun altro. Find someone e Save someone sono due cose che Donna ha detto al Dottore e che, credo, lui non dimenticherà mai, e ho pensato che volesse trasmetterle a Nico, una volta conosciuta la sua storia. Se tutto il resto (compreso il periodo imprecisato di companion!Nico) è brumoso e frettoloso è perché ho voluto concentrarmi soprattutto su questo, e me ne prendo tutta la colpa. *piagnucola afflitta*

I versi sono tratti da Never a day, degli Wood, dalla soundtrack del film Serendipity, mentre il testo in corsivo è tratto dal finale del ventinovesimo capitolo di Eroi dell’Olimpo: Il figlio di Nettuno, il primo incontro tra Nico e Hazel.

I riferimenti ai pazzi galli dell’Armorica stanno lì perché di tanto in tanto mi torna la fissa per Astérix, e basta XD

Thanks for reading,

Aya ~

   
 
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