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Autore: ChiiCat92    07/08/2015    3 recensioni
“Perché in città hai mandato la tua vita a puttane.”
Controlliamo il linguaggio, coscienza. Niente parolacce.
E no, non ho mandato la mia vita da nessuna parte, ho solo deciso che era arrivato il momento di cambiare aria.
Un spiffero gelido proveniente da chissà quale dei tanti pertugi della casa mi fa rabbrividire, e subito dopo arriva uno starnuto, che risuona così patetico nell'ambiente vuoto e misero del soggiorno.
“Oh sì, cambiare aria ti fa bene.”
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Saix
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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04/08/2015

 

- Il lieto fine è roba per le favole e per gli sciocchi. -

 

Oh Dio, piove di nuovo. Questa settimana non ha fatto altro. Ho quasi l'impressione che l'acqua si sia insinuata non solo attraverso il controsoffitto ammuffito e giù nel mio soggiorno, ma anche dentro le mie ossa, scivolando nel nucleo più caldo del mio essere per farlo tremare di freddo.

Tonk! Forse sbatto la pentola un po' troppo forte sul pavimento, ma che importa. L'acqua comincia subito a gocciolare al suo interno.

Se mi soffermassi un attimo a guardare il soggiorno chiederei subito tutti i soldi indietro a quell'idiota di agente immobiliare che mi ha venduto la casa.

“Vecchia, ma in perfetta condizioni, stile coloniale impeccabile, un vero paradiso, si troverà bene!”

Al diavolo, non c'è niente qui che sia in perfette condizioni.

Non il soffitto, bucherellato in punti invisibili ad occhi umani; non la cantina, piena di ragnatele e muffa e insetti che non voglio incontrare neanche per sbaglio; non la soffitta, che rigurgita polvere e scatoloni dei vecchi proprietari.

Perché mi sono fatto convincere a comprarla?

Perché in città hai mandato la tua vita a puttane.”

Controlliamo il linguaggio, coscienza. Niente parolacce.

E no, non ho mandato la mia vita da nessuna parte, ho solo deciso che era arrivato il momento di cambiare aria.

Un spiffero gelido proveniente da chissà quale dei tanti pertugi della casa mi fa rabbrividire, e subito dopo arriva uno starnuto, che risuona così patetico nell'ambiente vuoto e misero del soggiorno.

Oh sì, cambiare aria ti fa bene.”

Benissimo, riesco ad essere sarcastico anche con me stesso.

Sbuffo, da qualche parte deve essere lo scatolone con le coperte. Non dovrei avere problemi a trovarlo. Mi sono trasferito qui solo da una settimana, la maggior parte dei miei effetti personali sono ancora al loro posto nelle scatole del trasloco, rigorosamente etichettate.

“Coperte”, eccolo qui, proprio sopra “Cucina”.

Soddisfatto, lo apro per prendere un plaid e metterlo sulle spalle.

Partisse almeno il riscaldamento.

Giuro su qualsiasi forza che governa questo universo che l'agente immobiliare che mi ha venduto questa catapecchia farà una fine lenta e dolorosa se mi capita tra le mani. La più lenta e dolorosa che riesco a immaginare.

Pensare al suo collo stretto tra le mie mani e il suo viso paonazzo con gli occhi iniettati di sangue mi fa sentire meglio, tanto che quasi riesco a passare sopra al devasto di pentole, ciotole e contenitori che cercano di raccogliere l'acqua piovana che filtra dal tetto. Piove più forte qui dentro che lì fuori, il che è tutto dire.

Quanto meno la corrente elettrica funziona, così come la caldaia: luce e acqua calda è già qualcosa.

Mentre fuori il mondo sembra una slavata macchia incolore, mi rifugio in cucina, nel conforto di un tè caldo. Mi fa sentire già meglio.

Mentre butto giù piccoli sorsi di tè comincio a scaldarmi, tanto che posso togliermi dalle spalle il plaid.

Il silenzio è rotto solo dal continuo gocciolare della pioggia nelle pentole sul pavimento, per il resto...tutto tace.

Fuori, anche se nascosto dal velo d'acqua che sciaborda contro le finestre, c'è un giardino che col bel tempo dovrò domare, un enorme albero di mele a cui è appesa una vecchia altalena, e la veranda con la sedia a dondolo. Tutto sembra uscito da una fotografia in bianco e nero, pittoresco e tranquillo come un quadro. L'ambiente ideale per calmare i nervi.

Pace, solitudine: non potrei desiderare di meglio per finire di scrivere il libro. In città lo stress del mio editore aveva raggiunto livelli critici, davvero, davvero critici.

Oh no, no! Non ringrazierò quell'agente immobiliare solo perché l'unica cosa effettivamente vera che ha detto di questa casa è che è immersa nel silenzio e nella tranquillità. Lo voglio ancora uccidere. Sì. Sempre nel peggiore dei modi. Sì. Sì.

È proprio quando la testa comincia a ciondolarmi sul petto e la tazza di tè si è raffreddata che lo sento per la prima volta.

Un suono, flebile, sottilissimo, come un cigolio. Insonnolito, non mi riesce subito di distinguerlo in mezzo al fracasso della pioggia, però lo colgo comunque.

Per qualche strana ragione mi vengono i brividi, ma poi quel suono tace e all'improvviso mi sento solo stupido. È una vecchia casa, piena di vecchie cose, sorretta da vecchie travi, con un vecchio pavimento in parquet: perché dovrebbe essere esente da cigolii e rumori molesti?

Me ne convinco, ma non riesco a sentirmi comunque tranquillo.

 

*

 

Con il sorgere del sole e la scomparsa della pioggia i lavori di restaurazione da apportare alla casa affinché sia vivibile mi sembrano meno faticosi, meno gravosi, meno difficoltosi. Riesco quasi a non essere troppo di cattivo umore quando andando in soggiorno recupero le pentole da svuotare nel lavello della cucina.

Gli uccellini cinguettano, l'aria comincia a scaldarsi, una lieve brezza asciuga i fili d'erba in giardino.

Delizioso.

Ed io sono di nuovo sarcastico.

Impilate tutte le pentole su una parte del tavolo, non mi resta che rimboccarmi le maniche e mettermi a lavorare.

Si intende che ho comprato questa villetta per rimanerci in esilio durante la stesura dei miei romanzi, non sono di certo intenzionato a viverci per sempre, ma quanto meno deve essere un posto in cui...vivere. Ora come ora ho ispirazione solo per riparare il tetto prima che torni la pioggia, non di certo per scrivere.

Una scala, ci sarà una scala in questa casa?

Mentre immagino quale sia il posto più logico in cui tenere una scala, passo davanti allo specchio impolverato appeso in corridoio. Con la coda dell'occhio catturo la mia immagine riflessa e non posso fare a meno di soffermarmi a guardare. Perfetti come sempre, i capelli zaffiro sono lisci e impeccabili. Ci passo la mano in mezzo per tirarli indietro. Forse sono un po' pallido, dovrei dormire di più, le occhiaie non mi donano e...

Cos'è quell'ombra alle mie spalle?

Mi volto di scatto, non spaventato ma sorpreso. Niente. Torno allo specchio. Niente.

- Sei stressato Saïx, tutto qui. -

Dico a me stesso, rigido, constatando che mi si sono contratte le pupille, tanto da essere quasi ingurgitate dall'iride dorata.

Paura.

No. Io non ho paura di niente.

Magari un uccello passato davanti alla finestra ha per un attimo gettato un'ombra alle mie spalle, catturata poi dallo specchio. È andata di certo così.

Cantina, la scala dev'essere in cantina, forza.

 

Dopo aver passato tutta la mattinata arrampicato sulla scala a stuccare il controsoffitto ho un leggero mal di testa, e lo stomaco, sgarbatamente, brontola.

Aspetta un po', inutile organo, sto lavorando.

L'ultima passata, e tutto il soggiorno puzza di stucco fresco, un odore che sa di vittoria: nessun soffitto bucato può pensare di avere la meglio di me.

A quel punto posso scendere dalla scala e giungere alla conclusione che tutti i muscoli sono pieni di acido lattico. Soddisfacente: vuol dire che ho lavorato bene. Ripongo la spatola e chiudo il barattolo dello stucco per evitare che si secchi, dopo di che costringo le gambe a dirigersi in cucina per il pranzo. Un sandwich andrà benissimo prima di riprendere.

Tiro fuori dal frigo pomodori e lattuga e poi lo sento di nuovo. Il suono di ieri sera, quel cigolio basso e frustrante di cui non si capisce la provenienza.

I brividi tornano a farmi accapponare la pelle. È così umiliante che il mio corpo reagisca così senza che io possa farci niente.

Il suono, stavolta, sembra un po' più forte, o forse semplicemente sono io ad essere lucido abbastanza da sentirlo bene.

È una specie di...scricchiolio più che un cigolio, come di passi sul parquet.

Al piano di sopra ci sono le stanze da letto, e ancor più la soffitta. Chi o cosa potrebbe muoversi in mezzo alle pile di scatoloni tanto da provocare quegli scricchiolii?

- Un topo. -

Lo dico ad alta voce senza neanche rendermene conto. Trovo il suono della mia voce confortevole in mezzo a tutto quel silenzio.

Sì, un topo, deve essere di certo un topo.

Quel suono estraneo cessa esattamente come la prima volta e all'improvviso torna tutto come prima. È ancora l'ora di pranzo, il mio stomaco gorgoglia ancora, il pomodoro e la lattuga sono ancora tra le mie mani, come se mi fossi immaginato tutto.

Meglio così, ho troppo da fare per mettermi anche ad inseguire uno stupido topo.

 

Il ghiaccio dentro al bicchiere tintinna piano, la televisione mormora qualcosa che non riesco a seguire.

Essere riuscito a montarla nel soggiorno di fronte al divano e vederla funzionare è stata una gran soddisfazione. Bisognava per forza festeggiare con un bicchierino di scotch.

Il liquido ambrato mi ricorda vagamente un paio d'occhi appartenenti a qualcuno che ho lasciato in città.

Bhè, al diavolo anche lui.

Un brivido mi percorre la schiena.

Non riesco a mandarlo al diavolo, nonostante i chilometri che ci separano.

Con lo sguardo percorro il soggiorno buio. È scesa presto la sera, cogliendomi alla sprovvista mentre spolveravo l'ingresso. La casa è immersa in un'oscurità tanto densa da sembrare viva.

Saïx, qual è veramente il motivo per cui te ne stai andando?”

Ho bisogno di staccare dalla routine, devo completare il romanzo.”

Lo sappiamo entrambi che è una bugia.”

Mani, che mi toccano, che mi afferrano il viso, e quegli occhi d'oro che mi inchiodano.

SBAM!

Salto in aria sulla poltrona, tanto che mi cade di mano il bicchiere che si frantuma sul pavimento.

Dannazione!

Il vento deve aver fatto sbattere una porta al piano di sopra. Anche se non ricordo di aver lasciato finestre aperte.

Ma a preoccuparmi non è quello, a preoccuparmi sono i ricordi che sono saltati fuori all'improvviso senza il mio permesso.

Stupido, stupido, stupido. Sei davvero stupido.

Cercando di non calpestare i vetri rotti con le pantofole vado in cucina per prendere qualcosa con cui raccogliere i cocci e asciugare lo scotch. Che spreco.

Mentre sono praticamente carponi sul pavimento nel tentativo di raccogliere tutti i vetri senza l'ausilio della scopa e della paletta (entrambe disperse chissà in quale anfratto di questa casa), la porta sbatte di nuovo.

Prima di prendermela con me stesso, come se lo sbattere delle porte potesse dipendere in qualche modo da qualcosa che ho o non ho fatto, mi rendo conto che non c'è un alito di vento: le piante che si intravedono nel buio fuori dalla finestra del soggiorno sono immobili.

Anche se ci fosse una finestra aperta, non ci sarebbe la corrente necessaria per far sbattere le porte con tanta violenza.

Sembra quasi che sia stato qualcuno a farlo.

Un altro brivido di freddo mi percorre la schiena, del tutto immotivato e subito soppresso dal buon senso.

Finisco di raccogliere i cocci del bicchiere e getto tutto nella pattumiera prima di salire al piano di sopra per vedere qual è la porta incriminata.

Quella della mia stanza è ancora aperta, in fondo al corridoio lo stanzino invaso dalla polvere (me ne occuperò domani) non si può neanche chiudere con tutte quelle cianfrusaglie sparse ovunque, il bagno è aperto...rimane solo la stanza degli ospiti, o meglio, la seconda stanza da letto inutilizzata per cui adibita a stanza degli ospiti (anche se non mi aspetto di avere ospiti tanto presto). La porta è chiusa, è stata questa a sbattere. Facendo mente locale, mentre salivo non ho notato nessuna finestra aperta, il che esclude nuovamente l'ipotesi che sia stata una corrente d'aria a farla sbattere. E poi, com'è possibile che si sia aperta e chiusa da sola due volte?

Afferro la maniglia e provo ad aprirla. Oppone un'inaspettata resistenza prima che io riesca a spalancarla, quasi colpendola con una spallata.

L'interno è abbastanza...ridicolo. Sembra la stanza di un ragazzino. Di colpo ricordo perché ho scelto quell'altra al posto di questa, benché non avessi bisogno di chissà quanto spazio per me stesso.

Anche se mancano tutti gli effetti personali della persona che ci ha vissuto, le pareti dipinte di un rosso arancione decorate con fuoco e fiamme rendono immediatamente l'idea di qualcuno molto giovane e molto stupido che non avrebbe mai dovuto chiedere alla mamma “posso ridipingere la mia stanza?”. Le mensole sopra la scrivania sono piene di polvere, ma non è difficile immaginarle colme di libri, giocattoli, o qualsiasi cosa abbiano i ragazzini nella loro stanza. C'è ancora l'impronta di vecchi poster sul muro.

In sintesi, niente di strano, e la finestra è chiusa. Giusto per accertarmene la controllo, aprendola e chiudendola. Sì, non sembra avere alcun difetto.

Mi stringo nelle spalle, sarà stato un caso, magari è la porta ad essere difettosa. In ogni modo non mi va di pensarci adesso: sono decisamente troppo stanco per mettermi a rincorrere certi pensieri.

Sto per uscire quando noto che la cassettiera ha un cassetto appena aperto.

Lungi da me cedere alla curiosità ma...questa è casa mia adesso.

Lo apro. Oltre ad un forte odore di muffa e un paio di ragni, sul fondo c'è una foto stinta. A giudicare dalla data sul retro non è di molto tempo fa, forse è proprio del ragazzino che ha conciato così la stanza.

Se non ricordo male, l'agente immobiliare mi aveva detto che prima di me in questa casa ci abitasse una famiglia, poi tornata in città per motivi che non ha saputo dirmi almeno dieci anni fa. Da allora la casa è rimasta disabitata, tranne che per le visite del custode una volta alla settimana. Il che avrebbe dovuto farmi pensare a quanti problemi avrei dovuto risolvere, ma no, questo era il posto più lontano ma allo stesso tempo più vicino che potessi trovare.

Troppo codardo sia per rimanere in città che per lasciarla davvero.

Scuoto la testa e volto la foto. Uno scatto del giardino con l'albero con l'altalena sullo sfondo e un ragazzino al centro che si sbraccia per salutare chiunque gli abbia scattato la foto. Ma il suo entusiasmo l'ha fatto venire sfocato nella foto, tanto che non si capisce nemmeno che faccia abbia, si scorgono a malapena i suoi capelli. Rossi. Sì, è decisamente il proprietario della stanza.

Capisco perché abbia lasciato la foto, dato che è venuta male, ma non capisco proprio perché l'abbia sviluppata visti i risultati.

Riesco già a immaginarmi le lagne e i capricci del ragazzino con il rullino della macchina fotografica in mano. Sarà per questo che è venuto fuori quest'obbrobrio.

Bah!

Rigetto la foto nel cassetto e poi lo chiudo. Tanto è molto probabile che col tempo butterò via la cassettiera.

Uscendo chiudo bene la porta alle mie spalle, accertandomi che non possa sbattere ancora, dopo di che l'unica cosa che conta è il letto della mia stanza.

Al diavolo le foto e le porte che sbattono.

 

*

 

È una giornata tanto brutta quanto è stata bella quella di ieri. È tornato a piovere, ma quanto meno non ci sono più perdite dal soggiorno. Ora piove solo in cucina e all'ingresso. È già un miglioramento.

Nel cercare di arginare le perdite sono di nuovo piegato in due a poggiare pentole e contenitori sul pavimento.

Con la pioggia non posso neanche lavorare per riparare il tetto, quindi per adesso farò finta di non essere infastidito dall'umido, dal freddo e dallo sgocciolare continuo.

Torno nuovamente a rifugiarmi nel tè, più che caldo che mai, rigirando piano il cucchiaino per sciogliere il miele nell'acqua.

Tap tap tap

Criiiii

I rumori improvvisi mi fanno sobbalzare. I peli delle braccia si rizzano immediatamente e mi viene spontaneo alzare gli occhi verso l'alto, verso la soffitta. Ora più che mai sono convinto che gli scricchiolii vengano da lì.

SBAM!

Oh no, non di nuovo. Quella stramaledetta porta è stata chiusa tutto il giorno! L'ho controllata!

Come un furia, mollo la tazza di tè dove capita (anche se il mio cervello registra che l'ho appoggiata fuori dal piattino e che questo lascerà un alone rotondo sul tavolo che lo rende molto scontento) e corro su per le scale.

È di nuovo la porta della stanza degli ospiti. La camera di quel ragazzino idiota incapace di farsi scattare una foto come si deve. È chiusa.

La apro. Tutto come prima, tutto come sempre. Tranne che per il cassetto con la foto: è aperto e non c'è più nessuna foto.

- Divertente. -

Mi trovo a commentare, piuttosto causticamente, mentre tento di chiudere il cassetto. È bloccato. Lo forzo, lo scrollo, provo a tirarlo in fuori e poi spingerlo...niente: aperto era e aperto rimane.

- Al diavolo. -

Sbotto, con una smorfia frustrata.

Tap tap tap.

Ancora quel suono di passi.

Ora comincia ad essere molesta la cosa.

Mi toccherà chiamare una ditta di disinfestazione, qualunque animale gironzoli per casa si è messo a frugare nei cassetti. Non è buono.

Seguo il suono dei passi fino alla scaletta che porta alla soffitta. Indubbiamente, ora che sono tanto vicino, si capisce che viene da lì.

È uno scalpiccio intenso, convulso, come di qualcuno che scappa per nascondersi ma non trova il posto adatto per farlo. Un comportamento molto da topo.

I traballanti gradini emettono un cigolio molesto mentre salgo.

Su, è subito buio. Davvero, davvero buio. Fortuna che posso usare la torcia del telefono.

Scatoloni, scatoloni, scatoloni, polvere, polvere, polvere, ragnatele, ragnatele, ragnatele. Di topi nessuna traccia.

Lo scalpiccio è cessato, l'unico suono che si sente è la pioggia sul tetto, più forte che mai. È come il basso ruggito di un animale addormentato.

Sono perso nell'ascolto quando qualcosa di freddo mi soffia sul collo. Mi si rizzano i peli sulla nuca e mi volto. Niente. Sbandiero il telefono in tutte le direzioni come un matto, ma non trovo alcuna logica ragione per lo spiffero freddo che mi ha fatto rabbrividire.

Un fruscio improvviso, un altro soffio d'aria e uno degli scatoloni cade a terra con un tonfo.

Inevitabile il mio sobbalzo per la paura, di cui subito mi vergogno benché non ci sia nessuno a guardarmi.

Poi un'ombra alle mie spalle. Appena punto la torcia quello che vedo mi paralizza.

- Ciao! -

Il telefono mi cade dalle mani, scivolo su qualcosa che c'è sul pavimento (qualcosa caduto dallo scatolone probabilmente) e cado all'indietro, verso le scale.

Ogni singolo scalino si imprime sui miei glutei, sulle anche, sulle cosce, sulla testa, ovunque mentre rotolo giù senza controllo.

Il pavimento del piano di sotto frena la mia caduta, e il dolore si porta via la mia coscienza.

 

Quando riprendo i sensi c'è qualcosa di freddo e bagnato sul mio addome. Per un attimo penso che si tratti delle perdite del soffitto e che io ci sia proprio sotto, finendo con il bagnarmi tutto. Poi, man mano che mi tornano l'udito, la vista e le facoltà cognitive capisco che non è acqua.

C'è un ragazzino seduto su di me all'altezza dello stomaco. Un ragazzino che parla a ruota libera con lo sguardo perso nel nulla.

Appena si accorge che ho gli occhi aperta mi punta addosso i suoi. Verdi, verdi come niente che abbia mai visto, verdi di tutti i verdi del mondo: smeraldo, prato, menta, pastello, tutte le sfumature che riesco ad elencare. Poi i suoi capelli, sparati all'insù come se gli avessero dato fuoco, e del fuoco hanno il colore. Il sorrisetto sulle sue labbra è qualcosa di indefinibile, irriverente, come solo il sorriso di un moccioso può essere. Avrà almeno dieci anni meno di me, come nella foto nel cassetto. Perché adesso lo so: il ragazzino sfocato in quella foto è lui.

- Oh, sei sveglio! - sveglio, ma non so se tutto intero. Si sporge su di me, fissandomi con quegli occhi strani e profondi, mi squadra, mi studia. - Hai una brutta cera. Ti sei fatto male? -

Bofonchio qualcosa sul fatto che cadere da una scala fa sempre male e che aver perso i sensi non è un buon segno.

Smetto di provare a proferire parole sensate più o meno quando mi rendo conto che il ragazzino non pesa niente, non mi pesa addosso. Sento solo freddo lì dov'è seduto, e continuo a sentirmi umido.

Per un momento penso che forse sto perdendo sangue, e l'idea di dissanguarmi così, senza poter fare niente, mi fa ghiacciare.

- Togliti. Di. Dosso. -

Riesco a sputare tra i denti.

Lui si rende conto di essere appollaiato come un qualche strano uccello rosso sul mio addome. Da in una risatina e annuisce.

Si sposta.

Cioè...

Non...

Non sono sicuro che quello che ho appena visto.

Sì, il ragazzino si sposta, il punto è che...fluttua via.

Mi tiro su a sedere e la prima cosa che faccio dopo aver constatato che no, non sono bagnato né sanguinante, è spingermi indietro finché non tocco il muro con la schiena.

Il ragazzino fluttua a mezz'aria. Ha fluttuato per togliersi dal mio addome, e adesso fluttua di fronte a me, le gambe incrociate come se fosse seduto.

Probabilmente lo stupore mi si legge in faccia perché il ragazzino alza gli occhi al cielo e poi mi rivolge un'occhiata quasi languida.

- “Fantasma”, la parola che stai cercando è “fantasma”. -

- I fantasmi non esistono. -

È quasi un mormorio il mio, cosa che mi fa capire che da qualche parte dentro di me devo essere spaventato a morte. Ridicolo. Io, spaventato.

- Bhe, i fantasmi esistono, e io sono un fantasma. -

- Provalo. -

Che cosa stupida da dire. Me ne sono conto solo quando anche lui mi rivolge un'occhiata che da sola ha il significato di “che cosa stupida da dire”.

- Il fatto che fluttuo nel vuoto non è abbastanza? - non si aspetta una risposta, ed io di certo non sono intenzionato a dargliela. Visto il silenzio tra noi, sbuffa, e si avvicina ad una parete - Guarda attentamente, eh? - sparisce dentro il muro. Lo attraversa. E poi sbuca solo fino al petto: il resto del suo corpo è ancora dentro la parete - Che dici, adesso mi credi? -

Sì. Gli credo. E se fossi una persona più suscettibile di quanto non sia forse darei di matto.

Ma io sono una persona dotata di intelletto e raziocinio.

- Un'allucinazione. - mormoro ancora. Il ragazzino piega di lato la testa, perplesso. - Ho battuto la testa cadendo dalla scala, e adesso ho le allucinazioni. E la tua immagine l'ho presa dalla foto nel cassetto. Tutto qui. Un'allucinazione. - mi viene fuori una risatina mentre scuoto la testa, sollevato dalle mie considerazioni - Devo chiamare un'ambulanza, forse ho un trauma cranico, non si sa mai. Non posso guidare fino all'ospedale. -

Quindi mi alzo, lentamente, cercando di capire dai sintomi del mio corpo se c'è qualcosa che non va. Ma a parte qualche ammaccatura sul fondoschiena mi sento...bene. Per cui mi viene spontaneo alzare gli occhi sul ragazzino. È ancora lì. Ancora che fluttua e mi guarda perplesso.

- Certo che voi umani siete così strani. Preferisci credere di avere un trauma cranico piuttosto che di trovarti davanti ad un fantasma. Non mi hai sentito in questi giorni? Ho fatto dei rumori, ti ho lasciato degli indizi. Dovresti essere terrorizzato. -

Mi viene fuori un'altra risatina, nervosa e senza entusiasmo. Ora è una questione di principio. La mia allucinazione vuole parlare? Bene, parliamo.

- Sei tu l'origine dei rumori in soffitta? -

Lui annuisce, quasi orgoglioso.

- Ho anche fatto sbattere la porta della mia stanza. -

- La tua stanza? -

Il livello di isterismo nella mia voce è ancora controllabile, non ha superato il punto critico.

- Certo. Di chi credi che sia? Questa è la mia casa e quella è la mia stanza. -

- Ragazzino, ho comprato questa casa e la tua stanza con regolare contratto, non c'è niente di tuo qui dentro, a parte il premio per l'allucinazione più molesta dell'anno. -

- Non sono un'allucinazione! -

E per un attimo, in concomitanza con il suo gesto imitato di battere un piede a terra, sento uno spiffero gelido colpirmi il volto e la lampadina sul soffitto traballa, come se minacciasse di spegnersi.

Il temporale infuria, il cielo si fa sempre più scuro, i lampi accendono a tratti le nuvole cariche di pioggia. È così scuro che sembra quasi notte.

- Se non sei un'allucinazione, cosa sei? -

- Per l'ultima volta, sono un fantasma. -

- Va bene. Sei un fantasma. - acconsento, roteando gli occhi verso l'alto - E cosa vorresti, signor fantasma? -

Il sorriso poco amichevole che si apre sulle labbra del ragazzino lo fa sembrare spaventoso per un attimo, tanto che mi si accappona la pelle e mi sento tremare.

- Ti voglio fuori da casa mia, e ti farò passare le pene dell'inferno. -

 

*

 

Purtroppo per me e per il mio benessere mentale, il ragazzino non è un'allucinazione, è davvero un fantasma. Un fantasma della peggiore specie.

Un Poltergeist.

Il termine poltergeist deriva dal tedesco e significa “spirito rumoroso”. Si manifesta sostanzialmente con il movimento improvviso di oggetti: quadri che cadono, mobili che si spostano, elettrodomestici che si accendono e si spengono, pietre e sassi che volano con traiettorie insolite.

Gli episodi di poltergeist tendono ad essere accompagnati da altre manifestazioni soprannaturali come l'autocombustione, levitazione di persone, comparsa di pozze d'acqua e di scritte sui muri fino alla produzione di voci.

In genere i racconti e le testimonianze sui poltergeist sono accomunati da tre caratteristiche costanti:

  • Gli oggetti in movimento colpiscono raramente le persone presenti o danneggiano gravemente la casa.

  • Le manifestazione durano alcune settimane o alcuni mesi al massimo.

  • Si manifestano quasi sempre in presenza di una particolare persona, detta persona focale.

E questo è quanto ho appreso spulciando tutti i siti di occulto che sono riuscito a consultare, prima che il ragazzino facesse impazzire il mio telefono impedendomi di connettermi a internet “finché non te ne vai da casa mia”, parole sue.

Rumoroso è rumoroso, non c'è che dire, e di certo gli piace far cadere qualsiasi cosa io abbia appena sistemato, solo per farmi dispetto. Spero che non cominci con levitazioni o altre cose del genere, ma al momento sembra solo intenzionato a darmi fastidio. E ci riesce egregiamente.

Nel giro di tre giorni ho imparato come ignorare le sue lunghe, lunghissime conversazioni, che sono più un ciarlare continuo e diffuso per tutta casa.

Ha fatto l'elenco dei suoi colori preferiti almeno cinque volte, partendo da quello che meno gli piace, il blu ovviamente, il colore dei miei capelli.

Ha parlato dei suoi animaletti domestici deceduti in circostanze misteriose, che tanto misteriose non sono: per quanto parla avrebbe potuto benissimo annoiarli a morte.

Ma quel che è peggio è che non mi lascia lavorare. Quel poco di ispirazione che avevo nello scrivere è sfumata via quando lui si è piazzato sopra il tavolo della cucina, comodo come se fosse sdraiato su una poltrona, e ha cominciato a parlare del tempo, a come sia davvero insopportabile la pioggia degli ultimi giorni.

Anche se la cosa più insopportabile alla quale riesco a pensare è proprio lui.

Frustrato, chiudo con un colpo secco il notebook. È ovvio che non ha intenzione di lasciarmi in pace.

- Posso sapere che cosa vuoi dalla mia vita? -

Esalo, prendendomi la testa tra le mani. L'emicrania mi distrugge più del ciarlare continuo di quel moccioso.

- Te l'ho detto. - sbuffa lui. È un atteggiamento così infantile che vorrei prenderlo a schiaffi. - Voglio che te ne vai da casa mia, semplice, no? -

- Come devo dirtelo. - e ora mi sento davvero come un genitore alle prese con un figlio tardo di mente - Questa è casa mia, l'ho comprata, ci sono tutti i documenti che lo testimoniano. Non c'è niente di tuo qui. -

- Mi dispiace, ma la vendita non è valida. Come vedi il vecchio proprietario vive ancora qui, quindi qualsiasi roba pizzosa tu abbia firmato non è altro che carta straccia. -

Respira Saïx, respira. Quest'incubo finirà molto presto.

Non è ancora detto che tutto questo non sia frutto della mia mente stressata, no? Oppure ho davvero un trauma cranico. Forse sarei dovuto andare in ospedale dopo la caduta.

- Ragazzino. Chiudi quella boccaccia. Devo lavorare. -

- Oh, peccato. Non penso che lavorerai stasera. -

Agita appena una mano e sento un brivido freddo che mi accappona la pelle mentre il computer scivola dal tavolo e cade a terra.

Mi affiora alle labbra un'imprecazione ma evito di dargli voce. Non sprecherò fiato per lui.

Raccolgo il piccolo computer da terra e lo squadro appena con occhio critico.

- Spero per te che non si sia rotto. C'è tutto il mio romanzo qui dentro. -

- Sei uno scrittore? Interessante! Vuoi conoscere i miei mille romanzi preferiti in ordine alfabetico? -

Gli ringhio contro, ma lui, invece di rimanere quanto meno basito dalla mia reazione aggressiva, risponde a sua volta con un ringhio, cosa che fa rimanere me basito.

Questo moccioso non ha ritegno.

La mia espressione, lo so, deve essere ridicola, infatti il ragazzino comincia a ridere, tenendosi la pancia. Piegato in due fluttuando sopra la mia testa. Cose che succedono tutti i giorni.

- Dovresti...vederti! - ride e ride e ride, vorrei poterlo uccidere con le mie mani...se non fosse già morto - Ah, dopo tanto tempo è bello poter tornare a divertirsi con qualcuno! -

- Non so se l'hai notato ma io non mi sto divertendo. -

- Che sagoma. - finge di asciugarsi un occhio e scuote la testa - Sei esilarante Saïx. -

Mi sento congelare per un secondo e sgrano appena gli occhi, anche se cerco di non dare a vedere la mia sorpresa.

- Come fai a conoscere il mio nome? -

- Oh, è da quando sei arrivato che ti osservo. -

La malizia nella sua voce mi fa all'improvviso pentire di tutte le docce calde che ho fatto nell'ultima settimana, tutte le volte che mi sono avvolto nelle coperte in boxer perché ero troppo stanco per mettere il pigiama...e anche le rare volte che ho impegnato le mani in attività poco pulite.

Immediatamente mi viene un brivido...e mi viene anche spontaneo mettere le mani tra le gambe, come a volermi nascondere.

- Ormai è un po' tardi per quello. -

Il fatto che mi indichi in quel modo fa tremare qualcosa dentro di me e per la prima volta ringrazio la mia capacità di autocontrollo.

- Più che un fantasma sei un guardone. -

Il ragazzino si stringe nelle spalle, come a dire che non gli importa. Chissà che cosa succederebbe se gli lanciassi qualcosa. Lo attraverserebbe e basta?

- Mi annoiavo parecchio, e disturbarti sembra un'attività interessante. -

- E se semplicemente ti ignorassi? -

- Puoi provarci. -

Tira fuori un sorrisetto soddisfatto.

Dio, come lo odio.

 

Se mai amassi la musica, il ragazzino me la farebbe odiare.

Canta, ed è stonato come una campana.

Avendo finito l'elenco delle cose che gli piacciono e che non gli piacciono (in cima alla seconda lista ci sono io, ovviamente), ha cominciato a cantare. Non una canzone specifica, no, sarebbe quasi piacevole, ma una melodia mugugnata, a tratti fischiettata, che non ha né capo né coda.

È tanto molesto che per un attimo vorrei dargliela vinta e andarmene per sempre da questa casa.

Poi realizzo che non posso lasciare che quella sottospecie di apparizione paranormale mi rovini l'esistenza.

Questa casa è mia e me la terrò.

Quindi, mentre lui canta, io comincio a parlare. L'unica cosa che posso raccontagli sono le trame dei miei romanzi, con tutti i risvolti per i possibili sequel.

Parlo mentre lavo i pochi piatti rimasi nel lavello, parlo mentre spolvero i soprammobili nel soggiorno, parlo mentre stucco il soffitto dell'ingresso.

Parlo. Non ho mai parlato tanto. E farlo zittisce il ragazzino, più a lungo di quanto avessi sperato.

- E qui mi sono fermato. Dovrei finire di scrivere gli ultimi capitoli, ma c'è qualcuno che mi impedisce di farlo. -

Alzo gli occhi verso il ragazzino, fluttuante in un angolo della stanza. Spero che nel mio sguardo ci sia abbastanza rabbia per fargli capire che è tutta colpa sua.

Lui aggrotta le sopracciglia. Da quell'espressione mi sembra chiaro che no, non ha capito che cosa volevo insinuare.

- E poi? Quel numero VIII a chi tieni di più? Al piccoletto biondo o a quell'altro? E perché non hanno un cuore? E com'è che sono vivi? -

Sospiro, avvilito.

- Non mi hai sentito? Non posso finire di scrivere se continui a molestarmi, quindi non ho risposte alle tue domande. -

- Oh, ma devi finire assolutamente! È una trama avvincente! -

Mi viene quasi spontaneo sbuffare dal naso, sorpreso.

- Il mio editore non l'ha pensata così quando gliel'ho proposta. -

- Nonono, tu devi finire di scrivere, forza! -

Il suo entusiasmo, o almeno credo che sia il suo entusiasmo, per un attimo fa brillare tutte le lampadine. È inquietante a sufficienza per farmi rabbrividire.

- Quindi adesso mi lascerai in pace? -

Lui capisce di essere arrivato ad un impasse e che o me la da vinta o non saprà mai come finisce il romanzo, e sbuffa, alzando quegli occhioni verdi verso l'alto.

- Ti lascerò in pace solo quando scrivi. -

- Perfetto, ragazzino. -

Silenzio. Non risponde, non ribatte, non aggiunge niente.

Silenzio.

Oh, meraviglioso silenzio.

Finisco di sistemare gli attrezzi, chiudo il barattolo dello stucco e torno in cucina, dove il pc è rimasto in attesa. Sembra che alla fin fine il mio piano abbia avuto successo. Sono venuto qui per trovare la tranquillità necessaria per scrivere, e ora posso farlo.

Riaccendo il notebook, che per fortuna non ha riportato danni dalla caduta, e riapro il file per poter continuare a scrivere.

- Lea. -

Dice all'improvviso. Aggrotto le sopracciglia e torno a guardarlo. Quasi mi ero dimenticato che era lì.

- Lea? -

Ripeto, leggermente perplesso.

- È il mio nome, non chiamarmi “ragazzino”. -

Davvero? Si sta presentando?

Cos'è questo, una specie di armistizio?

- Okay, ma non contarci. “Ragazzino” ti sta meglio. -

Lui borbotta qualcosa molto simile a “continua a scrivere che è meglio”.

E mentre le dita corrono da sole sulla tastiera del notebook come non facevano da molto tempo, mi rendo conto di stare sorridendo.

 

*

 

- Numero VIII alza la mano di fronte a sé ed evoca il keyblade, con sommo stupore dei presenti. Fine del capitolo. -

- Bhuuu. -

Lea mi mostra entrambi i pollici in giù.

Invece di fluttuare in giro per la stanza in quel modo inquietante che mi da i brividi, ha cominciato a camminare a livello del pavimento. Sempre stando qualche centimetro in aria, ma è meglio che vederlo svolazzare da una stanza all'altra.

È un inaspettato ottimo lettore. Leggergli quello che scrivo aiuta anche me a capire se è buono o no, così sono riuscito a tirar fuori qualche buon capitolo.

Per qualche ragione, però, essere così vicino alla fine del libro non mi fa sentire meglio come avevo sperato.

Sfilo gli occhiali da lettura, lentamente, e poi alzo lo sguardo su di lui.

Non mi sono mai molto soffermato a come appare, perché mettermi a fissare un fantasma e pensarlo come realmente esistente mi fa uno strano effetto. Però adesso che la sua presenza ha smesso di essere così molesta potrei promuoverlo ad animaletto domestico. Non è così male.

La zazzera scompigliata di capelli rossi ha un suo perché nel modo in cui l'ha tirata su col il gel. È vestito come per uscire durante una giornata di primavera, completamente smanicato ma con una kefia giallo senape intorno al collo.

- Perché stai fischiando il mio capitolo? -

Gli chiedo. Tiene le mani incrociate dietro la testa, una posizione tanto rilassata quanto infantile.

- Perché è stupido! Numero VIII non può avere il keyblade. E che ne è di VII? Ora saranno avversari? È passato dalla parte dei buoni così - e schiocca le dita per farmi capire cosa intende - come se niente fosse? No, non mi piace, non mi convince. -

Scuote la testa, serio, tanto che mi farebbe scoppiare a ridere...se mai avessi un cuore per ridere.

- Okay, va bene. - alzo le mani in segno di resa - Dimmi tu come finisce allora. -

Tutto d'un tratto si fa scuro in volto, pensieroso. Potrei riuscire quasi a vedere il suo cervello lavorare. Wow, non avrei mai immaginato che sapesse pensare.

- Affronta VII, porta il suo culo a casa, lo fa rinsavire e vivono per sempre felice e contenti. -

Tiro fuori una risata di scherno, piuttosto fredda.

- Benissimo, e XIII? Come la mettiamo? -

- A chi frega un cazzo di XIII? -

- Lea. -

Lo guardo male da sopra la montatura degli occhiali.

- Che c'è? -

- Niente parolacce. -

Lui gonfia le guance e sbuffa platealmente come il ragazzino qual è.

- Va bene. Ma il succo non cambia. -

- Bhe, ragazzino, a miei lettori XIII piace, quindi non posso solo eliminarlo come se non fosse mai esistito. -

- Allora fai in modo che vadano tutti d'accordo! VII, VIII e XIII. -

Stavolta rido sul serio, senza poterlo controllare. Scuoto la testa, più perché è assurdo che sia riuscito a farmi ridere che perché è così convinto di quello che dice.

- Non penso che VII e XIII andranno mai d'accordo. E non è neanche verosimile un finale del genere. -

- Questo perché tu non riesci a contemplare un lieto fine. -

- Oh ma nella vita non esiste il lieto fine. -

- Sì ma quello è un romanzo, può esserci. -

- Non sarebbe più verosimile, non ha senso. -

- Sei un testone! -

La lampadina sopra la mia testa brilla intensamente...e poi scoppia. C'è una pioggia di vetri da cui riesco a proteggermi solo per puro istinto.

La stanza è piombata nel buio. Persino il pc è andato in cortocircuito, spegnendosi. Sono grato di aver salvato gli ultimi tre capitoli sul pendrive prima di questo. Probabilmente anche il telefono è andato, per cui mi alzo alla ricerca dell'interruttore della luce nel corridoio.

Clack.

Niente. È proprio saltata la luce.

- Grazie Lea, adesso sarà una pacchia scendere in cantina con questo buio. -

Bofonchio, arrabbiato. Ma lui non risponde. Se mi sta guardando, ha deciso di godersi lo spettacolo.

Sbuffo ancora e tastando tutto intorno cerco di raggiungere la porta della cantina.

È così...strano non sentire la sua voce all'orecchio come un irritante moscerino.

Mi appendo al corrimano della scala e comincio a scendere. All'improvviso mi sembra tutto troppo buio, troppo silenzioso, troppo...diverso.

Mi sono davvero assuefatto alla presenza di Lea?

Assurdo.

Con le mani riesco a trovare il contatore e lo faccio scattare.

Al piano di sopra vedo la luce del corridoio accendersi, ma niente spiritello molesto, da nessuna parte.

Torno su e do un'occhiata in giro. Niente in cucina, niente in soggiorno, niente nei dintorni dello sgabuzzino.

Un cigolio al primo piano mi fa capire dove può essersi andato a cacciare. Dove se non nella sua stanza?

La porta è socchiusa, le luci accese. Mi sembra di disturbare qualcuno quindi...busso. Non che mi aspetti che risponda. Infatti non lo fa.

Entro comunque e lo trovo accucciato sul letto, le gambe strette al petto e il viso nascosto tra le ginocchia.

Non mi ero mai accorto di quanto fosse trasparente la sua figura. Ora che lo guardo meglio è inevitabile notarlo contro la materia solida di cui è fatto il letto.

- Qual è il problema? -

Sbrigativo, non ho intenzione di consolarlo nei suoi sbalzi d'umore paranormali.

- Vattene. -

La voce è attutita e bassa, e quello è un capriccio in grande stile. Alzo gli occhi al cielo.

- Va bene, non ho voglia di starti dietro. -

- Vattene da questa casa. -

Stavolta un brivido mi fa tremare. Sbaglio o all'improvviso si è fatto tutto...più freddo? Sembra quasi che la temperatura sia scesa di dieci gradi almeno.

- Ne abbiamo già parlato, non me ne vado. -

- Siete tutti uguali. - continua, come se non avessi mai detto niente - Vi lamentate di tutto e usate il cinismo per difendervi dalle vostre emozioni invece di vivere le vostre vite. Tu non sai cosa vuol dire non avere un lieto fine, ti interessa solo imbottire ogni pagina di sofferenza e dolore. -

Quasi mi battono i denti per il freddo. Vedo il mio respiro condensarsi nell'aria e piccoli cristalli di ghiaccio crepare il vetro della finestra. È lui che sta facendo tutto questo?

- È solo un romanzo, non c'è niente di vero. -

- Non mi trattare come un bambino! - trattengo il fiato quando alza lo sguardo su di me. Mi sento inchiodare sul posto, persino i brividi di freddo per un attimo si sono bloccati, congelati dai suoi occhi duri come pietre - Smettila con questa condiscendenza e questo darsi un tono. -

All'improvviso la finestra si spalanca, il vento della sera mi fa tornare a tremare e mi costringe a socchiudere gli occhi. Quando li riapro la stanza è...diversa. È tornata viva, colorata, abitata. Non c'è più polvere, non c'è abbandono.

Le mensole sono piene di libri, alcuni sono accatastati sulla scrivania, altri sul pavimento, ovunque ci sia spazio. Sopra la cassettiera è montata una piccola libreria che nel presente non c'è. Nel presente, sì, perché quella che sto vedendo è la stanza di Lea quando la abitava, nel passato, e lui sembra un po' più solido, un po' più reale.

- L'unica compagnia che avevo era quella dei libri. Mio padre era un alcolizzato e mia madre gli era sottomessa. Non c'era nessuno che potesse capirmi, nessuno che mi amasse. Solo...i libri. - mi sembra di sentire la sua sofferenza trapassarmi il cuore, quella solitudine che l'ha attanagliato stringermi il petto. Poi un fruscio, e quando mi volto dall'uscio sta entrando un ragazzino, della sua età, serio. Lea lo osserva con gli occhi lucidi, ma lui è un ricordo non può vederci. Tiene in mano un pacchetto rettangolare e lo offre a qualcuno di invisibile seduto alla scrivania, con un sorriso leggero sulle labbra. - Poi è arrivato Isa. Era lui il mio lieto fine. - riesco a vedere spaccati della vita quotidiana di Lea come se fossero i miei occhi e non i suoi a vederli. Vedo giornate primaverili passate a giocare a rincorrersi come due bambini, vedo ore e ore passate a leggere l'uno per l'altro, e poi vedo i primi goffi tentativi di esprimere un amore che va oltre l'amicizia, vedo un bacio, uno solo, e poi la porta della stanza che sbatte, forte, mentre Isa viene trascinato giù per le scale da quello che so essere per istinto il padre ubriaco di Lea. - Quella è stata l'ultima volta che l'ho visto. Mi hanno chiuso in camera, isolato dal mondo. E poi una notte... -

So già che non voglio vedere, ma non posso chiudere gli occhi.

Sento puzza di alcool nell'aria, forte, e riconosco il suono di passi pesanti che salgono le scale. La porta della stanza si apre, lentamente, e la figura imponente del padre di Lea si getta su di me, su di lui, non riesco a capirlo, non voglio capirlo.

Non sento il dolore delle percosse, ma sento ogni singolo colpo sulla pelle, sento le urla del ragazzino imploranti, sento il richiamo disperato di aiuto.

E poi buio.

Freddo.

Silenzio.

Quando riapro gli occhi la stanza è di nuovo com'era, svuotata di ogni traccia di vita.

Solo in quel momento mi accorgo di come mi batte forte il cuore, del sudore gelido che mi ricopre la schiena, di come non mi riesce neanche di respirare.

- Mio padre mi ha ucciso di botte quand'era ubriaco. L'indomani mattina, tornato lucido, ha cercato di nascondere l'omicidio. Ha buttato il mio corpo chissà dove e si è sbarazzato di tutte le prove. Risulto scomparso negli archivi della polizia. L'ha fatta franca, e mia madre gli è stata complice. Non ho mai saputo quanto effettivamente abbia scoperto della faccenda, so solo che qualche settimana dopo si sono trasferiti. -

Ho la gola secca, deglutire è quasi doloroso. Porto una mano viso che sento gelido e madido di sudore. Senza parole, riesco solo a rivolgere a Lea uno sguardo. Non so se di pietà o comprensione, ma lui ricambia con un mezzo sorriso incerto.

- Quando mi sono risvegliato e ho capito di essere...bhè, un fantasma, ho cominciato a sognare che Isa tornasse a prendermi per portarmi via, per salvarmi da questa non-vita, come succedeva a volte nei romanzi che leggevamo insieme. Sognavo che venisse a darmi il mio “vissero felici e contenti”. Ma non è mai successo. E mai succederà. -

- È per questo - riesco a parlare solo dopo diversi tentativi a vuoto - che non mi volevi in questa casa? Aspettavi lui? -

Lui annuisce, lentamente, come se se ne vergognasse, e torna a stringere le gambe al petto con le braccia.

- Ora penserai che sono stupido. -

- Non lo penso. -

E per la prima volta...sono sincero. Non c'è alcuna traccia di sarcasmo nella mia voce.

Rimaniamo in silenzio. Sento che lui tira su col naso. I fantasmi possono piangere? Mi piacerebbe poter essere d'aiuto invece che rimanere immobile come un blocco di ghiaccio senza sapere cosa fare.

- Sai...in qualche modo me lo ricordi. -

Mi guarda da sotto le ciglia folte. I due smeraldi che sono i suoi occhi cercano i miei e per un attimo tutto il cielo che mi ha fatto tremare si scioglie come neve a primavera.

Si avvicina appena, per poi fermarsi quando è troppo vicino.

La sua presenza è fredda come un spiffero d'aria, il suo corpo da una sensazione di umido al tatto, come quando l'aria è tanto pregna d'acqua da bagnare i vestiti.

Mi poggia una mano sul viso e anche se so che la reazione giusta da avere sarebbe di disgusto, di paura o quanto meno di rifiuto, non mi tiro indietro.

- Non è vero che non mi piace il più...Isa vestiva sempre di blu. -

- Quindi i miei capelli ti piacciono. -

Mi rivolge un sorrisetto furbo mentre annuisce, così piano che non sono sicuro che l'abbia fatto davvero.

Poi è un attimo, davvero veloce, davvero inaspettato. Le sue labbra, piccole, fredde, leggere come piume, si poggiano sulle mie e mi sento fremere sin nella più piccola molecola del mio essere. È un bacio che non ha peso, non ha sapore, non ha consistenza, eppure...brucia.

- Va bene. - dice ad un tratto, tirandosi indietro con un sorriso triste. Gli rivolgo un'occhiata confusa. - Va bene se VIII ha il keyblade, non è così stupido in fondo. Però promettimi che farai in modo che abbia il suo lieto fine con VII, in qualche modo. -

- Te lo prometto. -

Riesco a dirgli, senza neanche pensarci.

I suoi occhi sondano i miei, penetrando a fondo come a voler cercare una traccia di bugia, qualcosa che non lo soddisfi, ma non trovando niente annuisce appena.

- Penso di dovermene andare adesso. -

- ...cosa? -

- Sai, la luce bianca e tutto il resto. Tutto sommato ho ottenuto quello che desideravo, qualcuno è venuto comunque a salvarmi. -

È una mia impressione o il suo corpo comincia a diventare più...chiaro, traslucido? Mi sembra di potergli vedere attraverso il petto.

- No...aspetta, non puoi andartene! -

Rantolo, ma non riesco a muovermi. Le labbra mi bruciano, il cuore batte come mai prima d'ora.

- Tu conosci la mia storia adesso, non sento più la necessità di rimanere. - mi rivolge un sorrisetto sornione - Però è stato divertente guardarti mentre ti toccavi. -

- Idiota. - sbotto. Mi bruciano gli occhi, mi impedisco anche solo di pensare che siano lacrime quelle che mi pungolano le palpebre. - E come pensi che possa finire di scrivere il romanzo adesso? -

- Oh, scommetto che non mi deluderai. Sei cambiato - mi rivolge un occhiolino - in meglio. -

Non riesco a rispondergli, e quando mi sporgo come per afferrarlo, la mano afferra solo un nulla freddo.

Lea non c'è più. È sparito.

 

*

 

Il profumo di carta e inchiostro mi riempie le narici, misto al legno degli scaffali.

Una libreria vecchio stile, arredata con comode poltrone e tavoli per poter consultare i libri a proprio piacimento.

C'è nell'aria una sorta di elettricità, un'eccitazione sottile che cerco di ignorare.

Il mio libro, scintillante, con la copertina fresca di stampa, se ne sta esposto in vetrina su un tre piedi, e nel bel mezzo della libreria è stato allestito un piccolo banchetto con altre copie del libro dove oggi si terrà la sessione di autografi.

Se non fosse per Lea non avrei mai avuto tutto questo successo.

Prima dell'orario di apertura sono già seduto al mio posto, la penna in mano ma la mente altrove.

Sono passati otto mesi da allora, otto mesi e sette giorni per essere precisi.

Riesco ad adocchiare fuori dalla porta una fila di persone venute per me, o per il mio libro, chissà.

È la prima sessione di autografi che mi capita di sostenere da quando sono scrittore.

Sapere che nessuno dei miei primi lavori ha riscosso tanto clamore nel pubblico mi fa un po' storcere il naso, perché non posso non pensare che questo successo sia in qualche modo fittizio.

Non ci ho lavorato proprio da solo...no?

- Pronto? -

Mi chiede la commessa, la mano sulla chiave per aprire la libreria.

Annuisco e sento il cuore mandare un battito di agitazione e ansia, del tutto inadeguate.

La folla di lettori si accalca di fronte al banchetto in un'elegante e ordinata fila indiana. Dal mio punto di vista, seduto dietro quel tavolo, è lunga all'infinito, fin dove il mio sguardo riesce a spingersi.

Sono freddo e scostante, me ne rendo conto, mentre chiedo “come ti chiami?” per poter firmare la prima pagina del libro.

Mi viene così automatico che neanche alzo lo sguardo su chi mi porge il libro. La penna scorre sulla carta e presto attenzione solo a scrivere nel modo più leggibile e veloce possibile.

- Come ti chiami? -

Tendo la mano in avanti per prendere il libro e lo apro. Lo scricchiolio della copertina rigida mi ricorda un suono simile. Come di passi sottili in una soffitta.

Visto che la risposta tarda ad arrivare, comincio a scrivere l'unica parola che mi riesce di scrivere, oltre al mio nome.

“Grazie, Saïx.”

Intanto alzo gli occhi sulla persona a cui appartiene il libro.

E rimango folgorato.

Il ragazzo che ho di fronte deve avere la mia età, forse un anno in meno ma non di più. Alto e dinoccolato, sottile come giunco, ha gli occhi più verdi che abbia mai visto. No, mi correggo. Una volta ho visto occhi verdi come i suoi.

Mi scruta con un sorriso, portando una mano tra i capelli rosso fuoco, li pettina indietro con nonchalance. Intorno al collo, una kefia giallo senape.

- Alla fine VII e VIII hanno il loro lieto fine. -

La penna quasi mi scivola via su uno dei due puntini sopra la i.

- Prego? -

La mia voce ridotta ad un sussurro suona patetica persino alle mie orecchie.

- Dico, nel libro. Alla fine VII e VIII hanno il loro lieto fine. -

Ripete, con calma.

La sua voce è così familiare.

- Sì. - tengo gli occhi su di lui - Ho promesso ad una persona che avrei trovato il modo di dargli un lieto fine. -

- Sì? È una persona importante? -

Le persone dietro di lui cominciano a spazientirsi, ma non ho ancora intenzione di lasciarlo andare.

- Solo uno stupido ragazzino. -

Lo sento sbuffare, ma colgo la scintilla di divertimento nei suoi occhi.

- Axel. È il mio nome, non chiamarmi “ragazzino”. -

- Okay, ma non contarci. -

Sorrido. Questa volta non è un'allucinazione, e neanche un fantasma.

Non sparirà dalla mia vita. 

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The Corner 

Ciaaaaao a tutti; 
questa è il mio...diciamo regalo(?) per il mio niisan e per la mia amica(?)
Entrambi(?) 
Voglio bene a tutte e due <3

   
 
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