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Autore: BloodyRoad    07/08/2015    1 recensioni
Raccolta di one-shot AkuSai. Futuro rating rosso.
Prima One-Shot.
"Dal tono raggelante che aveva usato, così freddo che la fontana parve congelarsi, Isa capì che Lea non ce l’aveva col mondo intero.
Ce l’aveva con lui.
Ma insomma, perché?"
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Saix
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prima di iniziare.

Voilà. Inizio il  mio ambizioso progetto. Il dottore ha detto che tutti voi avete una tremenda carenza di AkuSai e io sono qui per salvarvi la vita.

Nell’AkuSai day inizio a postare questa.

Sarebbe stato meglio pubblicarla domani, ma…nulla. Ho bisogno di attenzioni.

 

 

 

“What day is today?”

 

 

 

Urla. Sudore. Esseri senza cervello. Rincorse sfrenate.

Un’apocalisse zombie?

Magari. Isa l’avrebbe sicuramente preferita a quell’inferno.

Una normale mattina di piena estate.

 

In effetti, però, nemmeno lui poteva venir meno al rituale umano di refrigerio per i comuni mortali sprovvisti di un conto in banca bello sostanzioso. Non poteva certo andarsene in una spiaggia caraibica con più libri nel suo zaino che in una biblioteca comunale. Nemmeno poteva cercare di intrattenere un simpatico gruppo di pinguini cicciotti nell’Artico, anche se ne era sicuro, avrebbe potuto intrecciarci conversazioni decisamente più intelligenti che con l’adolescente medio di Radiant Garden.

Ma in mancanza di contanti liquidi e di coraggio per una rapina, aveva deciso di seguire Lea ad un evento che in quel piccolo borgo poteva essere considerato come un secondo Natale.

Il permesso al pubblico di usare le fontane come piscine.

Normalmente, i piani alti punivano severamente chiunque si tuffasse anche solo col pensiero in quello che era l’orgoglio della cittadina. Ma viste le circostanze –ed il caldo infernale- decisero che era possibile fare uno strappo alla regola, per una volta. Con le dovute restrizioni, ovviamente ignorate dalla maggior parte della fauna locale.

I ragazzini, per intenderci.

Per Isa potevano essere tranquillamente scimmie, a lui non importava.

Nonostante ciò, però, qualcosa mancava. Doveva…sforzarsi per sentirsi inacidito. Doveva concentrarsi e trovare qualcosa che lo irritasse enormemente, perché qualcuno lì non stava facendo il suo dovere.

Non c’era nessuno che cercava di trascinarlo in acqua. Non c’era nessuno che cercasse di bagnarlo di proposito. Non c’era nessuno che gli lanciasse stupidissimi frisbee con su disegnate delle fiammelle molto espressive.

Non c’era Lea ad ossessionarlo.

E diamine se la cosa gli dava fastidio.

Non sapeva nemmeno lui per quale istinto masochistico la pensasse così. La realtà era che Lea quel giorno era…decisamente strano. Aveva proposto di andare alle fontane quasi controvoglia, come se fosse una vera necessità contro il calore e non l’ennesimo piano per saltargli addosso ridacchiando.

Non aveva detto una sola parola lungo il tragitto da casa sua alla loro destinazione, e cosa ancora più grave, niente frisbee.
E non un sorriso. Nemmeno per sbaglio. Nemmeno per dirgli ‘buongiorno Isa!’ con quell’ottimismo che si trova solo nelle pubblicità dei biscotti.

Per farla breve: Lea era di cattivo umore. E quando era di cattivo umore potevano tranquillamente fare a gara a quale broncio fosse il più cupo. Ed era una cosa grave, considerando che in tutta la scuola lui deteneva il record come il più musone della seconda liceo. Una cosa che le ragazzine sembravano trovare follemente sexy, mentre per lui era uno stile di vita.

Forse per questo aveva scelto come amico un invasato coi capelli rossi che non capiva proprio il concetto di abbinare i colori nel vestirsi. Gli serviva una controparte.

E dannazione, quella controparte non stava facendo il suo dovere.

Poteva essere, forse, per il fatto che poco prima di togliersi le magliette per andare in acqua avessero beccato uno degli scienziati del castello –quello vecchio con i capelli biondi, Even forse? – che aveva affibbiato loro un adorabile bambino con metà volto coperto da un ciuffo –Ienzo, giusto?- . Non perché se ne fidasse ciecamente: erano i primi idioti che aveva beccato, e tra i più grandi lì in mezzo, per giunta. Quindi con un bel ‘ve lo affido ragazzi, per favore’ era tornato nel castello. Et voilà: Isa aveva pensato, con amarezza, ‘Bene, dovrò badare a due bambini oggi…’  e cavolo, gli dava fastidio che a conti fatti l’infante con lui fosse solo uno.

Perché diavolo Lea si comportava in quel modo? Perché non gli parlava, ed era a bordo piscina, un occhio vigile su Ienzo come una mammina amorevole? Lea aveva sempre saputo farci coi bambini, certo, ma era proprio perché la sua età mentale poteva arrivare al massimo a quella di un decenne. Perché non scorazzava in acqua urlando, perché non faceva a gara di spruzzi con Ienzo, perché era così…così serio?

Era come se si fosse spento il sole.

Con questo pensiero sdolcinato, seduto a poca distanza su un asciugamano sottile e scomodo, così tanto che il suo fondoschiena sembrava fondersi col cemento sotto di lui,  ed un libro in mano che serviva a fare solo scena –nessuno poteva leggere Orwell con trentadue gradi all’ombra e rimanere sano di mente, nemmeno lui, ma aveva una reputazione da mantenere- , Isa si rese conto che le cose non potevano andare così. Aveva bisogno di…capire. Normalmente non gli sarebbe interessato un tubo, giorni ‘no’ potevano capitare anche a chi aveva i grilli al posto dei neuroni come Lea, ma era una questione di principio. C’era un equilibrio tra loro due, e andava mantenuto.

Detto questo, si alzò, lasciando il libro in bella mostra sull’asciugamano cosicché il titolo troneggiasse sulla plebe ignorante, sistemò il suo costume blu scuro che gli arrivava quasi sotto al ginocchio e, dopo un sospiro indignato, si avviò al bordo di una delle fontane, quella dove Lea era seduto e seguiva come ipnotizzato ogni movimento del bambino, che si limitava a scorazzare qua e là nell’acqua a godersi un po’ di fresco. Senza dire una parola, si accomodò accanto a lui, a debita distanza, ed infilò anche lui i piedi nell’acqua, rabbrividendo alla sensazione di gelo che improvvisamente gli arrivava fino alle caviglie. Cominciò a fissarlo, sperando che la sua presenza si imponesse in lui. Fissò i suoi capelli rossi, così appariscenti, un pochino ammaccati per l’umidità che avevano preso, e la sua pelle più rosata del solito a causa del sole, e la sua figura esile coperta solo da un costume arancione che gli arrivava sopra al ginocchio. Lo fissò così tanto che ancora un po’ e avrebbe sviluppato dei raggi X per potergli fare una radiografia.

 Lea non sembrò notarlo nemmeno, e questo riuscì, se possibile, a mandarlo ancora più in crisi.

Ora mi sente.

Nessuno poteva ignorarlo se non era lui a stabilirlo, ecco tutto.

LEA non poteva ignorarlo, per essere più precisi.

-Insomma, che hai?

Eccola lì, la domanda fatidica. Diretta come un proiettile, precisa come una freccia scoccata da un elfo.

Lea non poteva affatto ignorarlo adesso. In quella domanda, all’apparenza così semplice, Isa aveva dimostrato che sì, sapeva che qualcosa non andava, era stato così fine ed arguto da averlo intuito. A dire la verità sapeva che non ci voleva un pozzo di scienza per capire che ‘Persona di solito sorridente improvvisamente sembra avercela col mondo= qualcosa non va’. Ma insomma, dettagli.

Solo che Lea non venne colpito né dal proiettile né dalla freccia. Non sollevò nemmeno il viso, né si voltò verso di lui. Si limitò ad indirizzare gli occhi in sua direzione, ma fu per qualche nanosecondo. Il suo sguardo era di nuovo concentrato sul nuoto a cagnolino del bambino affidatogli per quella mattinata.

La risposta arrivò, comunque. Terribile e spietata. L’incubo di chiunque sappia che c’è qualcosa di sbagliato, ma non capisce cosa.

Lea rispose semplicemente:

-Niente.

Allora la cosa è seria.

Nuove informazioni si aggiunsero al quadro della situazione. Dal tono raggelante che aveva usato, così freddo che la fontana parve congelarsi, Isa capì che Lea  non ce l’aveva col mondo intero.

Ce l’aveva con lui.

Ma insomma, perché? Si raddrizzò improvvisamente, con una faccia che poteva prendere benissimo il posto di ogni punto interrogativo del libro che stava fingendo di leggere prima, ed iniziò a riflettere sulla contromossa. Ok, non era un mostro di eloquenza a dire il vero. Ma suppose che in quel caso, essere chiari era la soluzione migliore, visto che qualcuno a quanto pare aveva deciso di non esserlo.

 

-Lea, so che c’è qualcosa che non va. Non apri bocca da stamattina, e di solito devo implorarti per tacere. Non mi hai trascinato in acqua solo per il gusto di infastidirmi, e non stai sfruttando quel bambino per farmi qualche dispetto. So per certo che qualcosa non va.

 

-Perché ruota tutto attorno a te, giusto Isa?

 

Il tono acido della risposta che Lea gli diede gli fece accapponare la pelle. Non era…non era da lui. E normalmente avrebbe preparato un destro da rifilargli in testa, vista la rabbia che gli stava montando. Come si permetteva? Gli stava dando inconsciamente dell’egocentrico e questo non lo sopportava. Nessuno l’avrebbe sopportato, giusto?

Ma non riuscì a fare nulla, nemmeno a controbattere, perché Lea si alzò in piedi davanti a lui, a braccia incrociate, le labbra strette ed il viso arrossato, e gli occhi che nonostante il fuoco che emanavano, erano così lucidi da far presupporre un principio di pianto. E anche questo aggiunse gravità alla situazione. Lea piagnucolava praticamente per qualsiasi cosa –per una mole troppo alta di compiti, per una visita dal dottore, per Isa che non voleva accontentare le sue richieste bambinesche…- ma non piangeva mai. Non seriamente. Non in quel modo così furente che se avesse potuto avrebbe incenerito Isa solo con quegli occhioni verdi e umidi.

Isa riuscì a trovarlo minaccioso, per quanto, la maggior parte delle volte, Lea incuteva lo stesso timore di un marshmellow.

Cosa diamine succede.

La domanda successiva del ragazzo coi capelli rossi lo costrinse a far lavorare ulteriormente il cervello.

 

-Che giorno è oggi, Isa?

-…sei arrabbiato perché in casa non hai un calendario?

-Ahah. Quanto sei spiritoso. Allora, che giorno è oggi?

Isa roteò gli occhi, pensandoci un po’ sopra. Che domanda malefica. Nessuno tiene davvero conto dello scorrere dei giorni in estate. Si tratta di una legge universalmente conosciuta, e lui non faceva eccezione.

-…sabato.- Rispose con sicurezza. Ma Lea sbuffò.

Risposta sbagliata.

-...che giorno è oggi.- Ripeté con una calma glaciale. E nonostante la sua voce fosse solo un bisbiglio, qualcuno si era voltato perché a quanto pareva stavano dando scena. Insomma, la gente li conosceva, anche solo di vista, e sapevano che erano amici. Il fatto che tra loro sembrasse non tirare buona aria aveva incuriosito non pochi, e anche Ienzo sembrava intrigato alla vista di Lea che sovrastava un imbarazzatissimo Isa, in evidente agitazione, che non sapeva cosa dire.

Tuttavia ritentò. Dunque. Il sei erano andati in pizzeria, ed era l’altroieri, quindi tecnicamente quel giorno era…

-…l’otto agosto?

Lea sembrò incredulo, più che arrabbiato. Le braccia conserte ora cadevano a peso morto lungo i fianchi sottili, e scosse la testa lentamente, fissando negli occhi il suo migliore amico…forse ancora per poco.

Aveva il labbro inferiore tremante. E stava stringendo i pugni per la frustrazione.

E anche la voce non era certo delle più ferme.

Oddio, Lea stava davvero per piangere.

-…Ma allora non mi stavo sbagliando. Te ne sei davvero dimenticato?- domandò con un tono così patetico che ad Isa sembrò fare quasi pena. Il ragazzo coi capelli blu sembrò bruciare nella sua stessa pelle, mentre indietreggiava, insicuro e nel panico più totale. Oddio, non riusciva proprio a capire. Cosa stava sbagliando? Cosa aveva dimenticato?

-...a-avevamo qualcosa da fare oggi?- domandò arrossendo lievemente, balbettante come un ladro colto in flagrante.

-…ISA. CHE GIORNO E’ OGGI.- domandò per l’ennesima volta Lea, stavolta così ad alta voce che ancora più gente si voltò. Lea aveva perfino pestato un piede, come un bambino capriccioso, ma stavolta Isa non se la sentì di rimarcare la cosa. Però insistette ancora, vittima del suo stesso orgoglio, e scattò in piedi anche lui, furente che Lea lo stesse mettendo in quella situazione. A differenza di lui, era una persona pacata. E intendeva finire quel teatrino, il prima possibile.

 

-L’OTTO AGOSTO, TE L’HO DETTO. SEI TALMENTE STUPIDO DA NON CAPIRE? CHE GIORNO DOVREBBE ESSERE?

-IL GIORNO DEL MIO DANNATO COMPLEANNO, ISA!

 

…silenzio. Puro silenzio.
Lea aveva urlato così forte che ora tutti i presenti nel raggio di tre chilometri avevano voltato la testa.

Isa rimase pietrificato come se avesse guardato negli occhi Medusa. Si sentiva come…svuotato da quella improvvisa realizzazione. Il cervello gli andò in stand-by, ed il corpo gli divenne così freddo che per un secondo si domandò se non fosse morto all’istante per la vergogna.

Perché oh, c’era da vergognarsi eccome.

Ma no, era impossibile. Lui era…quello intelligente tra i due. Non poteva essersi dimenticato di una cosa tanto basilare ed importante.

Non poteva essersi dimenticato di un evento di tale importanza. A-almeno per Lea. No, era importante anche per lui. Come era potuto passargli di mente?

Il volto prese tutto il calore del mondo, arrossendo. Gli occhi blu gli si spalancarono così tanto  che per un attimo si sentì l’eroina di uno shojo manga, e non si azzardò a parlare per i successivi secondi che sembravano un’eternità. Otto agosto…dannazione, era vero. ERA IL COMPLEANNO DI LEA.

DEL SUO MIGLIORE AMICO.

E LUI SE NE ERA COMPLETAMENTE DIMENTICATO.

Ricordava ancora i primi tempi, quando erano bambini, ed iniziavano a conoscersi.         

Il mio compleanno è l’otto agosto. L’hai memorizzato?’

Si scambiarono le date dei compleanni così, tanto per. Giusto perché già da piccoli si sa che nelle relazioni di base ci sono eventi che dimostrano chi davvero ti è amico e chi no.

E da piccoli, tacitamente, entrambi dimostrarono a vicenda di avere grandi progetti per quell’amicizia.

Insomma, l-lui non ne aveva. Ma era buona norma, no? E Lea era l’unico che sopportasse il suo carattere, quindi in mancanza d’altro…

…no, non era vero.

Lui ci teneva a Lea. Tantissimo.

E lo conosceva benissimo, aveva impresso nella mente ogni singolo dettaglio, ogni movimento, ogni sua abitudine ed ogni cosa che lo riguardasse.

E sapeva, sapeva quanto ci tenesse a quella data. Per questo non aveva mai fatto cilecca.

Ogni otto agosto, da quando avevano sette anni, si presentava a casa sua con un regalino –quei frisbee che tanto odiava glieli aveva regalati lui, così come quella kefiah gialla che proprio non immaginava avrebbe abbinato ad un gilet arancione, dio che orrore-  e passavano del tempo insieme. Tempo che Lea premiava costringendo i suoi a ricoprire Isa di leccornie. Ed ogni volta il suo sorriso era sempre più grande, più luminoso, ad ogni anno che passava.

Perché ogni anno diventavano sempre più amici, sempre più indispensabili l’uno per l’altro.

E anche Lea non si dimenticava mai del suo compleanno. Proprio un mese ed un giorno prima, il sette luglio, si era presentato a casa sua a mezzanotte, con un pacco regalo immenso che conteneva un telescopio montabile per osservare la luna –perché Isa amava osservare la luna-  e avevano trascorso la notte così, mangiando gelati fino a farsi venire il mal di pancia.

O meglio, Lea aveva trascorso la notte osservando gli occhi di Isa che brillavano mentre provava il suo nuovo regalo.

Era stata una notte magica, avrebbe osato definirla quasi…romantica.

E lui lo aveva premiato così.

Un mese ed un giorno dopo, si era dimenticato del suo compleanno.

Iniziò a cercare di mettere su qualche scusa, ma appena la sua bocca prendeva aria, nessun suono ne usciva.

Sembrava annegasse nel suo stesso imbarazzo, mortificato dal grido mentale che si stava dedicando da solo.

SONO UN MOSTRO.

 

-… Lea…- iniziò a mormorare, la voce piccola piccola, per una volta con l’orgoglio da parte perché sapeva di avere torto. Beh, sì, non per questo rinunciava ad accampare qualche scusa. -…è…è che…di solito ne parli sempre e io…-

 

-Al sedicesimo anno che lo festeggio posso supporre di non doverlo annunciare al mondo, specialmente al mio migliore amico, per sentirmi dire un maledetto ‘tanti auguri’.- commentò Lea con una tale amarezza che Isa si sentì la bocca impastata. Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione ma lui non si rassegnava. Nemmeno si curava ormai della gente che li stava guardando come se fossero una coppietta sposata sul punto di divorzio. Doveva risolvere la faccenda. Ad ogni costo. Anche quello di gettare al vento la sua dignità.

 

-…Lea, a-andiamo…è presto, possiamo ancora festeggiare! A-andiamo a fare una gita. Ti compro io il gelato. N-no, una valanga di gelati. E un bellissimo regalo. Quello che vuoi! Ma…-

 

Lea non volle sentire altre ragioni. Quel tentativo di riparare la situazione era così…imbarazzante da provocargli un’aria quasi indignata. Si voltò verso Ienzo, con uno scatto, ignorando completamente i vari balbettii di Isa. Ormai era arrabbiato. Il fuoco era stato attizzato, e doveva bruciare tutto quello che trovava prima di divampare in un incendio e scemare a poco a poco. Funzionava così la sua collera. Non c’era altro da fare che aspettare. E Isa lo sapeva, ma non capiva perché, non smetteva di pensare ad un modo per uscire da quella situazione.

Come dire, era come se cercasse di spegnere il suddetto incendio con una pistola ad acqua.

Impossibile.

-Ienzo, vieni. Ce ne andiamo.- Lea ordinò al bambino che li fissava con un’aria ingenua di uscire, e lui obbedì, senza fiatare. Il sogno proibito di qualsiasi genitore incapace, in pratica. Il ragazzo prese un asciugamano e l’avvolse attorno a quel corpicino minuscolo, per poi prenderlo per mano e dirigersi verso le sue cose, senza degnare il suo migliore amico nemmeno di uno sguardo.

Il tempo scorreva e nulla era stato risolto.

Isa entrò ancora di più nel panico, ma non inseguì il suo amico: obiettivamente, non sapeva che fare.

La situazione vista da fuori poteva sembrare quasi comica. Insomma, un tale dramma per un compleanno dimenticato.

Ma Lea era una regina del dramma e Isa era succube della sua scena.

Scartò ogni parola che gli veniva in mente, ma sostanzialmente, lasciò semplicemente correre.

Accidenti a lui e alla sua incapacità di esprimere i suoi sentimenti.

Lo avrebbe condannato ad una situazione senza ritorno, ne era certo.                      

Ed anche in quel momento, non è che gli stesse facendo un gran bene.

Gli permetteva solo di stare a guardare imbambolato Lea, mentre si allontanava, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, con un bambino, mano nella mano.

Quella scena gli spezzava talmente tanto il cuore che ne era certo, l’avrebbe rivista presto.

Nei suoi incubi o in un’altra vita.

 

 

 

 

La mattinata era andata. Nel peggiore dei modi.

Isa non aveva potuto fare altro che dedicare un sorrisetto imbarazzato ai presenti che avevano assistito a quella scena, raccattare le sue cose, e tornare a casa, con un senso di rabbia e mortificazione.

Insomma. Rifletteva a testa bassa, con un ringhio infastidito, innervosito ancora di più dal sole cocente. Okay, si era dimenticato del suo compleanno. Gran cosa. Non è che facesse poi tante altre cose sbagliate nella loro amicizia, no? Cercò di redimersi almeno ai suoi stessi occhi, mentre osservava i ciottoli della strada, scalciando qualche povero sasso che divenne martire innocente di quei sentimenti repressi.

Insomma, non era certo un pessimo amico. Giocava con Lea, andava a casa sua, lo aiutava nei compiti e gli faceva compagnia, e lo accontentava nelle sue stupide richieste.

…e a volte gli dava dell’idiota.

Sì, ma era per scherzo, no?

…a volte non prendeva minimamente in considerazione le sue opinioni.

B-beh, a conti fatti, quello maturo era lui, era…una sorta di riflesso…

…a volte ignorava completamente i suoi bisogni, ma Lea come un cagnolino se ne fregava, e rimaneva scodinzolante accanto a lui.

P-perché tutti hanno i loro momenti…no?

Stava impazzendo. A poco a poco i sensi di colpa gli stavano sadicamente sbattendo in faccia tutti gli errori che commetteva con Lea.

Gli voleva bene, certo. Molto più che bene.

Ma quante volte glielo dimostrava…?

Mai. O quasi.

Lea invece lo abbracciava spesso, ignorando quella regola socialmente imposta che diceva che i ragazzi non fanno certe cose costringendolo a fingere che la cosa lo infastidisse. Lea gli portava spesso un gelato quando era giù. Lea gli faceva spesso i complimenti, mostrandosi ammirato anche per le più piccole cose. Lea aspettava tranquillamente che lui lo chiamasse quando gli diceva di andarsene al diavolo perché non era dell’umore. Lea gli stava accanto pazientemente attendendo che lui finisse di leggere un libro, e quando aveva finito, se ne aveva voglia, giocavano. Altrimenti Lea lo salutava con un sorrisone rimandando la sessione di gioco al giorno successivo.

Lea era il suo mondo e lui non glielo dimostrava abbastanza.

Ci credeva che si era sentito così…trascurato. Il suo compleanno era l’unico giorno dell’anno in cui Isa la piantava di essere un dannato essere senza cuore e lo faceva sentire speciale.

Mancare quell’unico giorno significava vanificare tutti gli sforzi di Lea di rimanergli amico.

E non c’era modo carino per dirlo…ma aveva fatto un casino assurdo.

Tralasciando i motivi per cui aveva dimenticato un evento del genere –a dire il vero proprio non se lo spiegava- decise che per una volta, era il caso di pensare come Lea. Agire come Lea.

Cosa avrebbe fatto il suo amico per farsi perdonare di una cosa così orrenda?

 

 

 

 -Non ci siamo. NON CI SIAMO, NON CI SIAMO.

Isa stava girando da ore e niente. Nulla.

Nessuna vetrina gli aveva mostrato magicamente il regalo perfetto per farsi perdonare.

Roba su roba costosa ed inutile, che non dimostrava abbastanza quanto gli dispiacesse di essere stato un perfetto idiota.

Un’altra sciarpa? In estate, grandioso.

Un pallone? A sedici anni ancora giocattoli?

Un libro? Lea si era divorato tutti i fantasy in circolazione e non gli interessava altro. 

Un mistico oggetto che invocasse alla pace e alla meditazione? Glielo avrebbe fatto ingoiare, ne era certo.

La realtà era che Isa aveva capito che non bastava un regalo per dimostrare a Lea quanto fosse importante per lui.
Avrebbe anche potuto svuotare i negozi della città, e Lea gli avrebbe dato in cambio quell’occhiata di disprezzo che lo lacerava dentro.

Ed ormai era il tramonto. Non avrebbe fatto comunque in tempo. Le botteghe stavano chiudendo una ad una, precludendogli ogni possibilità di acquistare qualcosa. Non poteva farci più niente.

Era finita.

aveva perso per sempre il suo migliore amico.

 

 

..a meno che…

Isa si fermò nel bel mezzo della strada per tornare a casa.

Era un ragazzo intelligente, molto più maturo della sua età.

E aveva capito il suo errore.

Non aveva affatto agito come Lea.

Sapeva a quel punto cosa doveva fare.

Ingoiò quel po’ di orgoglio che restava, e ordinò al suo cervello invadente di tacere, per una volta.

Forse era il caso di accendere il cuore.

Sarebbe stato…imbarazzante. Tremendamente non da lui.

Ma avrebbe fatto questo ed altro per farsi perdonare.

 

 

Era circa l’ora di cena.

Isa sapeva che da lì a poco Lea si sarebbe messo a tavola con la sua famiglia.

Sua nonna probabilmente gli avrebbe preparato una bella torta enorme, al cioccolato e vaniglia come piaceva a lui,  e magari si stava domandando perché mancasse Isa all’appello.

Forse non doveva disturbare, pensava, mentre fissava la porta della sua piccola casa con aria quasi impaurita. Come se temesse che quel campanello si trasformasse in una bestia feroce e gli staccasse il dito a morsi. Se lo sarebbe meritato…

No, doveva piantarla con l’autocommiserazione.

E agire.

Un respiro. Due respiri. Tre, quattro…

Dlin dlon.

Silenzio.

Eppure le luci in casa erano accese, ma nessuno sembrava dare segni di vita.

Isa iniziò a pensare bene di sgattaiolare via, come se avesse appena fatto uno scherzo, ed in effetti nemmeno dieci secondi dopo stava già girando i tacchi, quando…

..la porta si aprì.

Isa sentì il suono secco e metallico della serratura alle sue spalle. Sapeva che doveva voltarsi e chiedere se Lea era tornato o qualcosa del genere, ma…

 

-…Isa?

 

…ebbe la sua risposta.

Sì, quella era la sua voce confusa, e lo stava chiamando.
Isa si voltò timidamente verso di lui, con un mezzo sorriso impacciato. Mise le mani dietro alla schiena, e si rifiutava di guardarlo dritto negli occhi. Mai, mai era sembrato così timido e patetico in tutta la sua vita.

Ma aveva una dannata paura di essere rifiutato anche in quel momento. E soprattutto di vedere ancora il volto di Lea arrabbiato con lui.

Effettivamente un po’ era così…ma solo un po’.

Lea stava dritto davanti alla porta, e lo guardava incuriosito. C’era sempre quel po’ di stizza nel suo sguardo, ma quello era scontato.

Passarono diversi secondo prima che proprio lui rompesse quel ghiaccio. Chiuse la porta alle sue spalle, e ruppe il silenzio.

-Allora, cosa vuoi?

Isa rimase immobile, in piedi davanti a lui. Si azzardò a sollevare lo sguardo, ma nulla più.

-...Non so leggere la mente, Isa.

-N-no, ovvio.
-A cosa devo l’onore della tua visita?

Isa non poteva sopportarlo. Non poteva sopportare quel tono freddo.

Lea era il suo calore. Lea era l’unica cosa che scaldasse quel ghiaccio che aveva attorno al cuore e si riformava ogni volta che non era con lui .

Lea era…era…
Lea era speciale.

E non riusciva a dirlo, no di certo.

Ma si augurava che i gesti parlassero per lui.

Con uno scatto quasi improvviso, si avvinghiò a lui, abbracciandolo. Cogliendolo così di sorpresa che se Lea avesse voluto non avrebbe potuto sottrarsi.

Invece, sorpreso, lo lasciò fare, con un’espressione stupita in volto.

…e figurarsi quanto ancora più stupita divenne quando sentì le labbra di Isa appoggiarsi alla sua guancia, schioccandogli un bacio tanto tenero quanto timido.

Durò pochissimo, ma bastò per far avvampare completamente Lea, il cui viso assunse la stessa tinta dei suoi capelli.

Il cuore gli batteva forte. Ed ancora di più quando sentì le parole che Isa gli sussurrò all’orecchio.

 

-…Sono stato un idiota. Mi dispiace. Sei speciale per me.

 

…tre cose che mai più avrebbe sentito Isa dire.

A quel punto c’era da aspettare la reazione di Lea. Che tardò ad arrivare, a dire il vero.

…ma per Isa ne valse la pena.

Una risatina. Non di scherno, non di imbarazzo. Una risata squillante di gioia. E Lea strinse ancora di più il suo migliore amico, abbracciandolo così forte che Isa sentì quasi mancargli il respiro.

Ma a dire il vero non era certo quello il motivo.

Si sentiva così sollevato. Così…felice che quasi non riusciva a crederci.

Rimasero avvinghiati così, per un po’, sulla soglia di casa di Lea, noncuranti del fatto che chiunque avrebbe potuto beccarli da un momento all’altro. Che importava? Erano di nuovo amici. Molto amici.

E Isa aveva di nuovo tutte le attenzioni e l’affetto di Lea.

Non poteva desiderare altro.

-…Guarda che un regalo lo voglio comunque.- commentò poi il festeggiato, staccandosi per un secondo e mostrando un sorriso che poteva illuminare la notte al ragazzo davanti a lui.

Isa fece una risatina che però suonò come uno sbuffo, borbottando qualcosa come ‘ma certo’. E poi aggiunse.

-Beh, non mi inviti ad entrare.

…fu il turno di Lea di tacere. E di sembrare molto, molto imbarazzato.

-…Non posso.

-Perché?

-…i miei non sono ancora tornati e ho chiuso la porta. Non…non ho le chiavi.

…in pratica, erano rimasti fuori.

-…e quando tornano i tuoi?

-Boh.

Fantastico.

Così…tipico di lui.

Era tutto tornato alla normalità.

Ancora stretti in quell’abbraccio, Isa non riuscì proprio a trattenersi dal dirlo.

Ma in fin dei conti, sarebbe solo stata la prova che tra loro tutto era come prima. Se non anche meglio.

Però non poteva più trattenersi. Si era ripromesso di essere più carino e gentile con lui.

Ma…

-…Lea, sei un idiota.

 

 

 

 

 

 

 

Note finali.

Grazie Facebook che ci ricordi dei compleanni.

   
 
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