Prima di
iniziare.
Voilà.
Inizio il mio
ambizioso progetto. Il
dottore ha detto che tutti voi avete una tremenda carenza di AkuSai e
io sono
qui per salvarvi la vita.
Nell’AkuSai
day inizio a postare questa.
Sarebbe
stato meglio pubblicarla domani, ma…nulla. Ho bisogno di
attenzioni.
“What
day is today?”
Urla.
Sudore. Esseri senza cervello. Rincorse
sfrenate.
Un’apocalisse
zombie?
Magari.
Isa l’avrebbe sicuramente preferita a
quell’inferno.
Una
normale mattina di piena estate.
In
effetti, però, nemmeno lui poteva venir meno al
rituale umano di refrigerio per i comuni mortali sprovvisti di un conto
in
banca bello sostanzioso. Non poteva certo andarsene in una spiaggia
caraibica
con più libri nel suo zaino che in una biblioteca comunale.
Nemmeno poteva
cercare di intrattenere un simpatico gruppo di pinguini cicciotti
nell’Artico,
anche se ne era sicuro, avrebbe potuto intrecciarci conversazioni
decisamente
più intelligenti che con l’adolescente medio di
Radiant Garden.
Ma
in mancanza di contanti liquidi e di coraggio per
una rapina, aveva deciso di seguire Lea ad un evento che in quel
piccolo borgo
poteva essere considerato come un secondo Natale.
Il
permesso al pubblico di usare le fontane come
piscine.
Normalmente,
i piani alti punivano severamente
chiunque si tuffasse anche solo col pensiero in quello che era
l’orgoglio della
cittadina. Ma viste le circostanze –ed il caldo infernale-
decisero che era
possibile fare uno strappo alla regola, per una volta. Con le dovute
restrizioni, ovviamente ignorate dalla maggior parte della fauna locale.
I
ragazzini, per intenderci.
Per
Isa potevano essere tranquillamente scimmie, a
lui non importava.
Nonostante
ciò, però, qualcosa mancava. Doveva…sforzarsi per sentirsi inacidito. Doveva
concentrarsi e trovare qualcosa che lo irritasse enormemente,
perché qualcuno
lì non stava facendo il suo dovere.
Non
c’era nessuno che cercava di trascinarlo in
acqua. Non c’era nessuno che cercasse di bagnarlo di
proposito. Non c’era
nessuno che gli lanciasse stupidissimi frisbee con su disegnate delle
fiammelle
molto espressive.
Non
c’era Lea ad ossessionarlo.
E
diamine se la cosa gli dava fastidio.
Non
sapeva nemmeno lui per quale istinto
masochistico la pensasse così. La realtà era che
Lea quel giorno
era…decisamente strano. Aveva proposto di andare alle
fontane quasi
controvoglia, come se fosse una vera necessità contro il
calore e non
l’ennesimo piano per saltargli addosso ridacchiando.
Non
aveva detto una sola parola lungo il tragitto da
casa sua alla loro destinazione, e cosa ancora più grave,
niente frisbee.
E non un sorriso. Nemmeno per sbaglio. Nemmeno per dirgli
‘buongiorno Isa!’ con
quell’ottimismo che si trova solo nelle pubblicità
dei biscotti.
Per
farla breve: Lea era di cattivo umore. E quando
era di cattivo umore potevano tranquillamente fare a gara a quale
broncio fosse
il più cupo. Ed era una cosa grave, considerando che in
tutta la scuola lui
deteneva il record come il più musone della seconda liceo.
Una cosa che le
ragazzine sembravano trovare follemente sexy, mentre per lui era uno
stile di
vita.
Forse
per questo aveva scelto come amico un invasato
coi capelli rossi che non capiva proprio il concetto di abbinare i
colori nel
vestirsi. Gli serviva una controparte.
E
dannazione, quella controparte non stava facendo
il suo dovere.
Poteva
essere, forse, per il fatto che poco prima di
togliersi le magliette per andare in acqua avessero beccato uno degli
scienziati del castello –quello vecchio con i capelli biondi,
Even forse? – che
aveva affibbiato loro un adorabile bambino con metà volto
coperto da un ciuffo
–Ienzo, giusto?- . Non perché se ne fidasse
ciecamente: erano i primi idioti
che aveva beccato, e tra i più grandi lì in
mezzo, per giunta. Quindi con un
bel ‘ve lo affido ragazzi, per favore’ era tornato
nel castello. Et voilà: Isa
aveva pensato, con amarezza, ‘Bene,
dovrò
badare a due bambini oggi…’ e
cavolo, gli dava fastidio che a conti fatti l’infante con lui
fosse solo uno.
Perché
diavolo Lea si comportava in quel modo?
Perché non gli parlava, ed era a bordo piscina, un occhio
vigile su Ienzo come
una mammina amorevole? Lea aveva sempre saputo farci coi bambini,
certo, ma era
proprio perché la sua età mentale poteva arrivare
al massimo a quella di un
decenne. Perché non scorazzava in acqua urlando,
perché non faceva a gara di
spruzzi con Ienzo, perché era
così…così serio?
Era
come se si fosse spento il sole.
Con
questo pensiero sdolcinato, seduto a poca
distanza su un asciugamano sottile e scomodo, così tanto che
il suo
fondoschiena sembrava fondersi col cemento sotto di lui, ed un libro in mano che
serviva a fare solo
scena –nessuno poteva leggere Orwell con trentadue gradi
all’ombra e rimanere
sano di mente, nemmeno lui, ma aveva una reputazione da mantenere- ,
Isa si
rese conto che le cose non potevano andare così. Aveva
bisogno di…capire.
Normalmente non gli sarebbe interessato un tubo, giorni
‘no’ potevano capitare
anche a chi aveva i grilli al posto dei neuroni come Lea, ma era una
questione
di principio. C’era un equilibrio tra loro due, e andava
mantenuto.
Detto
questo, si alzò, lasciando il libro in bella
mostra sull’asciugamano cosicché il titolo
troneggiasse sulla plebe ignorante,
sistemò il suo costume blu scuro che gli arrivava quasi
sotto al ginocchio e,
dopo un sospiro indignato, si avviò al bordo di una delle
fontane, quella dove
Lea era seduto e seguiva come ipnotizzato ogni movimento del bambino,
che si
limitava a scorazzare qua e là nell’acqua a
godersi un po’ di fresco. Senza
dire una parola, si accomodò accanto a lui, a debita
distanza, ed infilò anche
lui i piedi nell’acqua, rabbrividendo alla sensazione di gelo
che
improvvisamente gli arrivava fino alle caviglie. Cominciò a
fissarlo, sperando
che la sua presenza si imponesse in lui. Fissò i suoi
capelli rossi, così
appariscenti, un pochino ammaccati per l’umidità
che avevano preso, e la sua
pelle più rosata del solito a causa del sole, e la sua
figura esile coperta
solo da un costume arancione che gli arrivava sopra al ginocchio. Lo
fissò così
tanto che ancora un po’ e avrebbe sviluppato dei raggi X per
potergli fare una
radiografia.
Lea non sembrò
notarlo nemmeno, e questo riuscì, se possibile, a mandarlo
ancora più in crisi.
Ora
mi sente.
Nessuno
poteva ignorarlo se non era lui a
stabilirlo, ecco tutto.
LEA
non poteva ignorarlo, per essere più precisi.
-Insomma,
che hai?
Eccola
lì, la domanda fatidica. Diretta come un
proiettile, precisa come una freccia scoccata da un elfo.
Lea
non poteva affatto ignorarlo adesso. In quella
domanda, all’apparenza così semplice, Isa aveva
dimostrato che sì, sapeva che
qualcosa non andava, era stato così fine ed arguto da averlo
intuito. A dire la
verità sapeva che non ci voleva un pozzo di scienza per
capire che ‘Persona di
solito sorridente improvvisamente sembra avercela col mondo= qualcosa
non va’.
Ma insomma, dettagli.
Solo
che Lea non venne colpito né dal proiettile né
dalla freccia. Non sollevò nemmeno il viso, né si
voltò verso di lui. Si limitò
ad indirizzare gli occhi in sua direzione, ma fu per qualche
nanosecondo. Il
suo sguardo era di nuovo concentrato sul nuoto a cagnolino del bambino
affidatogli per quella mattinata.
La
risposta arrivò, comunque. Terribile e spietata.
L’incubo di chiunque sappia che c’è
qualcosa di sbagliato, ma non capisce cosa.
Lea
rispose semplicemente:
-Niente.
Allora
la cosa è seria.
Nuove
informazioni si aggiunsero al quadro della situazione.
Dal tono raggelante che aveva usato, così freddo che la
fontana parve
congelarsi, Isa capì che Lea
non ce
l’aveva col mondo intero.
Ce
l’aveva con lui.
Ma
insomma, perché? Si raddrizzò improvvisamente,
con una faccia che poteva prendere benissimo il posto di ogni punto
interrogativo del libro che stava fingendo di leggere prima, ed
iniziò a
riflettere sulla contromossa. Ok, non era un mostro di eloquenza a dire
il
vero. Ma suppose che in quel caso, essere chiari era la soluzione
migliore, visto
che qualcuno a quanto pare aveva
deciso di non esserlo.
-Lea,
so che c’è qualcosa che non va. Non apri bocca
da stamattina, e di solito devo implorarti per tacere. Non mi hai
trascinato in
acqua solo per il gusto di infastidirmi, e non stai sfruttando quel
bambino per
farmi qualche dispetto. So per certo che
qualcosa non va.
-Perché
ruota tutto attorno a te, giusto
Isa?
Il
tono acido della risposta che Lea gli diede gli
fece accapponare la pelle. Non era…non era da lui. E
normalmente avrebbe
preparato un destro da rifilargli in testa, vista la rabbia che gli
stava
montando. Come si permetteva? Gli stava dando inconsciamente
dell’egocentrico e
questo non lo sopportava. Nessuno l’avrebbe sopportato,
giusto?
Ma
non riuscì a fare nulla, nemmeno a controbattere,
perché Lea si alzò in piedi davanti a lui, a
braccia incrociate, le labbra
strette ed il viso arrossato, e gli occhi che nonostante il fuoco che
emanavano, erano così lucidi da far presupporre un principio
di pianto. E anche
questo aggiunse gravità alla situazione. Lea piagnucolava
praticamente per
qualsiasi cosa –per una mole troppo alta di compiti, per una
visita dal
dottore, per Isa che non voleva accontentare le sue richieste
bambinesche…- ma
non piangeva mai. Non seriamente. Non in quel modo così
furente che se avesse
potuto avrebbe incenerito Isa solo con quegli occhioni verdi e umidi.
Isa
riuscì a trovarlo minaccioso, per quanto, la
maggior parte delle volte, Lea incuteva lo stesso timore di un
marshmellow.
Cosa
diamine succede.
La
domanda successiva del ragazzo coi capelli rossi
lo costrinse a far lavorare ulteriormente il cervello.
-Che
giorno è oggi,
Isa?
-…sei
arrabbiato perché in casa non hai un
calendario?
-Ahah. Quanto
sei spiritoso. Allora, che giorno è oggi?
Isa
roteò gli occhi, pensandoci un po’ sopra. Che
domanda malefica. Nessuno tiene davvero conto dello scorrere dei giorni
in
estate. Si tratta di una legge universalmente conosciuta, e lui non
faceva
eccezione.
-…sabato.-
Rispose con sicurezza. Ma Lea sbuffò.
Risposta
sbagliata.
-...che
giorno è oggi.- Ripeté con una calma
glaciale. E nonostante la sua voce fosse solo un bisbiglio, qualcuno si
era
voltato perché a quanto pareva stavano dando scena. Insomma,
la gente li
conosceva, anche solo di vista, e sapevano che erano amici. Il fatto
che tra
loro sembrasse non tirare buona aria aveva incuriosito non pochi, e
anche Ienzo
sembrava intrigato alla vista di Lea che sovrastava un imbarazzatissimo
Isa, in
evidente agitazione, che non sapeva cosa dire.
Tuttavia
ritentò. Dunque. Il sei erano andati in
pizzeria, ed era l’altroieri, quindi tecnicamente quel giorno
era…
-…l’otto
agosto?
Lea
sembrò incredulo, più che arrabbiato. Le braccia
conserte ora cadevano a peso morto lungo i fianchi sottili, e scosse la
testa
lentamente, fissando negli occhi il suo migliore amico…forse ancora per poco.
Aveva
il labbro inferiore tremante. E stava
stringendo i pugni per la frustrazione.
E
anche la voce non era certo delle più ferme.
Oddio,
Lea stava davvero per piangere.
-…Ma
allora non mi stavo sbagliando. Te ne sei
davvero dimenticato?- domandò con un tono così
patetico che ad Isa sembrò fare
quasi pena. Il ragazzo coi capelli blu sembrò bruciare nella
sua stessa pelle,
mentre indietreggiava, insicuro e nel panico più totale.
Oddio, non riusciva
proprio a capire. Cosa stava sbagliando? Cosa aveva dimenticato?
-...a-avevamo
qualcosa da fare oggi?- domandò
arrossendo lievemente, balbettante come un ladro colto in flagrante.
-…ISA.
CHE GIORNO E’ OGGI.- domandò per
l’ennesima
volta Lea, stavolta così ad alta voce che ancora
più gente si voltò. Lea aveva
perfino pestato un piede, come un bambino capriccioso, ma stavolta Isa
non se
la sentì di rimarcare la cosa. Però insistette
ancora, vittima del suo stesso
orgoglio, e scattò in piedi anche lui, furente che Lea lo
stesse mettendo in
quella situazione. A differenza di lui, era una persona pacata. E
intendeva
finire quel teatrino, il prima possibile.
-L’OTTO
AGOSTO, TE L’HO DETTO. SEI TALMENTE STUPIDO
DA NON CAPIRE? CHE GIORNO DOVREBBE ESSERE?
-IL
GIORNO DEL MIO DANNATO COMPLEANNO, ISA!
…silenzio.
Puro silenzio.
Lea aveva urlato così forte che ora tutti i presenti nel
raggio di tre
chilometri avevano voltato la testa.
Isa
rimase pietrificato come se avesse guardato
negli occhi Medusa. Si sentiva come…svuotato da quella
improvvisa
realizzazione. Il cervello gli andò in stand-by, ed il corpo
gli divenne così
freddo che per un secondo si domandò se non fosse morto
all’istante per la
vergogna.
Perché
oh, c’era da vergognarsi eccome.
Ma
no, era impossibile. Lui
era…quello intelligente tra i due.
Non poteva essersi dimenticato di una cosa tanto basilare ed importante.
Non
poteva essersi dimenticato di un evento di tale
importanza. A-almeno per Lea. No, era importante anche per lui. Come
era potuto
passargli di mente?
Il
volto prese tutto il calore del mondo,
arrossendo. Gli occhi blu gli si spalancarono così tanto che per un attimo si
sentì l’eroina di uno
shojo manga, e non si azzardò a parlare per i successivi
secondi che sembravano
un’eternità. Otto agosto…dannazione,
era vero. ERA IL COMPLEANNO DI LEA.
DEL
SUO MIGLIORE AMICO.
E
LUI SE NE ERA COMPLETAMENTE DIMENTICATO.
Ricordava
ancora i
primi tempi, quando erano bambini, ed iniziavano a conoscersi.
‘Il mio compleanno è l’otto
agosto. L’hai memorizzato?’
Si
scambiarono le date dei compleanni così, tanto
per. Giusto perché già da piccoli si sa che nelle
relazioni di base ci sono
eventi che dimostrano chi davvero ti è amico e chi no.
E
da piccoli, tacitamente, entrambi dimostrarono a
vicenda di avere grandi progetti per quell’amicizia.
Insomma,
l-lui non ne aveva. Ma era buona norma, no?
E Lea era l’unico che sopportasse il suo carattere, quindi in
mancanza d’altro…
…no,
non era vero.
Lui
ci teneva a Lea. Tantissimo.
E
lo conosceva benissimo, aveva impresso nella mente
ogni singolo dettaglio, ogni movimento, ogni sua abitudine ed ogni cosa
che lo
riguardasse.
E
sapeva, sapeva quanto ci tenesse a quella data.
Per questo non aveva mai fatto cilecca.
Ogni
otto agosto, da quando avevano sette anni, si
presentava a casa sua con un regalino –quei frisbee che tanto
odiava glieli
aveva regalati lui, così come quella kefiah gialla che
proprio non immaginava
avrebbe abbinato ad un gilet arancione, dio
che orrore- e
passavano del tempo
insieme. Tempo che Lea premiava costringendo i suoi a ricoprire Isa di
leccornie. Ed ogni volta il suo sorriso era sempre più
grande, più luminoso, ad
ogni anno che passava.
Perché
ogni anno diventavano sempre più amici,
sempre più indispensabili l’uno per
l’altro.
E
anche Lea non si dimenticava mai del suo
compleanno. Proprio un mese ed un giorno prima, il sette luglio, si era
presentato a casa sua a mezzanotte, con un pacco regalo immenso che
conteneva
un telescopio montabile per osservare la luna –perché
Isa amava osservare la luna- e
avevano trascorso la notte così, mangiando
gelati fino a farsi venire il mal di pancia.
O
meglio, Lea aveva trascorso la notte osservando
gli occhi di Isa che brillavano mentre provava il suo nuovo regalo.
Era
stata una notte magica, avrebbe osato definirla
quasi…romantica.
E
lui lo aveva premiato così.
Un
mese ed un giorno dopo, si era dimenticato del
suo compleanno.
Iniziò
a cercare di mettere su qualche scusa, ma
appena la sua bocca prendeva aria, nessun suono ne usciva.
Sembrava
annegasse nel suo stesso imbarazzo, mortificato
dal grido mentale che si stava dedicando da solo.
SONO
UN MOSTRO.
-…
Lea…- iniziò a mormorare, la voce piccola
piccola, per una volta con l’orgoglio
da parte perché sapeva di avere torto. Beh, sì,
non per questo rinunciava ad
accampare qualche scusa.
-…è…è che…di
solito ne parli sempre e io…-
-Al
sedicesimo anno che lo festeggio posso supporre
di non doverlo annunciare al mondo, specialmente al mio migliore
amico, per sentirmi dire un maledetto ‘tanti
auguri’.-
commentò Lea con una tale amarezza che Isa si
sentì la bocca impastata. Aveva
ragione. Aveva dannatamente ragione ma lui non si rassegnava. Nemmeno
si curava
ormai della gente che li stava guardando come se fossero una coppietta
sposata
sul punto di divorzio. Doveva risolvere la faccenda. Ad
ogni costo. Anche quello di gettare al vento la sua dignità.
-…Lea,
a-andiamo…è presto, possiamo ancora
festeggiare! A-andiamo a fare una gita. Ti compro io il gelato. N-no,
una
valanga di gelati. E un bellissimo regalo. Quello che vuoi!
Ma…-
Lea
non volle sentire altre ragioni. Quel tentativo
di riparare la situazione era così…imbarazzante
da provocargli un’aria quasi
indignata. Si voltò verso Ienzo, con uno scatto, ignorando
completamente i vari
balbettii di Isa. Ormai era arrabbiato. Il fuoco era stato attizzato, e
doveva
bruciare tutto quello che trovava prima di divampare in un incendio e
scemare a
poco a poco. Funzionava così la sua collera. Non
c’era altro da fare che
aspettare. E Isa lo sapeva, ma non capiva perché, non
smetteva di pensare ad un
modo per uscire da quella situazione.
Come
dire, era come se cercasse di spegnere il
suddetto incendio con una pistola ad acqua.
Impossibile.
-Ienzo,
vieni. Ce ne andiamo.- Lea ordinò al bambino
che li fissava con un’aria ingenua di uscire, e lui
obbedì, senza fiatare. Il
sogno proibito di qualsiasi genitore incapace, in pratica. Il ragazzo
prese un
asciugamano e l’avvolse attorno a quel corpicino minuscolo,
per poi prenderlo
per mano e dirigersi verso le sue cose, senza degnare il suo migliore
amico
nemmeno di uno sguardo.
Il
tempo scorreva e nulla era stato risolto.
Isa
entrò ancora di più nel panico, ma non
inseguì
il suo amico: obiettivamente, non sapeva che fare.
La
situazione vista da fuori poteva sembrare quasi
comica. Insomma, un tale dramma per un compleanno dimenticato.
Ma
Lea era una regina del dramma e Isa era succube
della sua scena.
Scartò
ogni parola che gli veniva in mente, ma
sostanzialmente, lasciò semplicemente correre.
Accidenti
a lui e alla sua incapacità di esprimere i
suoi sentimenti.
Lo
avrebbe condannato
ad una situazione senza ritorno, ne era certo.
Ed
anche in quel
momento, non è che gli stesse facendo un gran bene.
Gli
permetteva solo di
stare a guardare imbambolato Lea, mentre si allontanava, senza nemmeno
degnarlo
di uno sguardo, con un bambino, mano nella mano.
Quella
scena gli
spezzava talmente tanto il cuore che ne era certo, l’avrebbe
rivista presto.
Nei
suoi incubi o in
un’altra vita.
La
mattinata era
andata. Nel peggiore dei modi.
Isa
non aveva potuto
fare altro che dedicare un sorrisetto imbarazzato ai presenti che
avevano
assistito a quella scena, raccattare le sue cose, e tornare a casa, con
un
senso di rabbia e mortificazione.
Insomma.
Rifletteva a
testa bassa, con un ringhio infastidito, innervosito ancora di
più dal sole
cocente. Okay, si era dimenticato del suo compleanno. Gran
cosa. Non è che facesse poi tante altre cose
sbagliate nella
loro amicizia, no? Cercò di redimersi almeno ai suoi stessi
occhi, mentre
osservava i ciottoli della strada, scalciando qualche povero sasso che
divenne
martire innocente di quei sentimenti repressi.
Insomma,
non era certo
un pessimo amico. Giocava con Lea, andava a casa sua, lo aiutava nei
compiti e
gli faceva compagnia, e lo accontentava nelle sue stupide richieste.
…e
a volte gli dava
dell’idiota.
Sì,
ma era per scherzo,
no?
…a
volte non prendeva
minimamente in considerazione le sue opinioni.
B-beh,
a conti fatti,
quello maturo era lui, era…una sorta di riflesso…
…a
volte ignorava
completamente i suoi bisogni, ma Lea come un cagnolino se ne fregava, e
rimaneva scodinzolante accanto a lui.
P-perché
tutti hanno i
loro momenti…no?
Stava
impazzendo. A
poco a poco i sensi di colpa gli stavano sadicamente sbattendo in
faccia tutti
gli errori che commetteva con Lea.
Gli
voleva bene, certo.
Molto più che bene.
Ma
quante volte glielo
dimostrava…?
Mai.
O quasi.
Lea
invece lo
abbracciava spesso, ignorando quella regola socialmente imposta che
diceva che i ragazzi non fanno certe cose costringendolo
a fingere che la cosa lo infastidisse. Lea
gli portava spesso un gelato quando era giù. Lea gli faceva
spesso i
complimenti, mostrandosi ammirato anche per le più piccole
cose. Lea aspettava
tranquillamente che lui lo chiamasse quando gli diceva di andarsene al diavolo perché non era
dell’umore. Lea gli stava
accanto pazientemente attendendo che lui finisse di leggere un libro, e
quando
aveva finito, se ne aveva voglia, giocavano. Altrimenti Lea lo salutava
con un
sorrisone rimandando la sessione di gioco al giorno successivo.
Lea
era il suo mondo e lui non glielo dimostrava abbastanza.
Ci
credeva che si era
sentito così…trascurato. Il suo compleanno era
l’unico giorno dell’anno in cui
Isa la piantava di essere un dannato essere senza
cuore e lo faceva sentire speciale.
Mancare
quell’unico
giorno significava vanificare tutti gli sforzi di Lea di rimanergli
amico.
E
non c’era modo carino
per dirlo…ma aveva fatto un casino
assurdo.
Tralasciando
i motivi
per cui aveva dimenticato un evento del genere –a dire il
vero proprio non se
lo spiegava- decise che per una volta, era il caso di pensare come Lea.
Agire come Lea.
Cosa
avrebbe fatto il
suo amico per farsi perdonare di una cosa così orrenda?
-Non ci
siamo. NON CI SIAMO, NON CI SIAMO.
Isa
stava girando da ore e niente.
Nulla.
Nessuna
vetrina gli aveva mostrato magicamente il
regalo perfetto per farsi perdonare.
Roba
su roba costosa ed inutile, che non dimostrava
abbastanza quanto gli dispiacesse di essere stato un perfetto idiota.
Un’altra
sciarpa? In estate, grandioso.
Un
pallone? A
sedici anni ancora giocattoli?
Un
libro? Lea si era divorato tutti i fantasy in
circolazione e non gli interessava altro.
Un
mistico oggetto che
invocasse alla pace e alla meditazione? Glielo
avrebbe fatto ingoiare, ne era certo.
La
realtà era che Isa
aveva capito che non bastava un regalo per dimostrare a Lea quanto
fosse
importante per lui.
Avrebbe anche potuto svuotare i negozi della città, e Lea
gli avrebbe dato in
cambio quell’occhiata di disprezzo che lo lacerava dentro.
Ed
ormai era il
tramonto. Non avrebbe fatto comunque in tempo. Le botteghe stavano
chiudendo
una ad una, precludendogli ogni possibilità di acquistare
qualcosa. Non poteva
farci più niente.
Era
finita.
aveva
perso per sempre il suo migliore amico.
..a
meno che…
Isa
si fermò nel bel mezzo della strada per tornare
a casa.
Era
un ragazzo intelligente, molto più maturo della
sua età.
E
aveva capito il suo errore.
Non
aveva affatto agito come Lea.
Sapeva
a quel punto cosa doveva fare.
Ingoiò
quel po’ di orgoglio che restava, e ordinò al
suo cervello invadente di tacere, per una volta.
Forse
era il caso di accendere il cuore.
Sarebbe
stato…imbarazzante. Tremendamente non da
lui.
Ma
avrebbe fatto questo ed altro per farsi
perdonare.
Era
circa l’ora di cena.
Isa
sapeva che da lì a poco Lea si sarebbe messo a
tavola con la sua famiglia.
Sua
nonna probabilmente gli avrebbe preparato una
bella torta enorme, al cioccolato e vaniglia come piaceva a lui, e magari si stava
domandando perché mancasse
Isa all’appello.
Forse
non doveva disturbare, pensava, mentre fissava
la porta della sua piccola casa con aria quasi impaurita. Come se
temesse che
quel campanello si trasformasse in una bestia feroce e gli staccasse il
dito a
morsi. Se lo sarebbe meritato…
No,
doveva piantarla con l’autocommiserazione.
E
agire.
Un
respiro. Due respiri. Tre, quattro…
Dlin
dlon.
Silenzio.
Eppure
le luci in casa erano accese, ma nessuno
sembrava dare segni di vita.
Isa
iniziò a pensare bene di sgattaiolare via, come
se avesse appena fatto uno scherzo, ed in effetti nemmeno dieci secondi
dopo
stava già girando i tacchi, quando…
..la
porta si aprì.
Isa
sentì il suono secco e metallico della serratura
alle sue spalle. Sapeva che doveva voltarsi e chiedere se Lea era
tornato o
qualcosa del genere, ma…
-…Isa?
…ebbe
la sua risposta.
Sì,
quella era la sua voce confusa, e lo stava
chiamando.
Isa si voltò timidamente verso di lui, con un mezzo sorriso
impacciato. Mise le
mani dietro alla schiena, e si rifiutava di guardarlo dritto negli
occhi. Mai,
mai era sembrato così timido e patetico in tutta la sua vita.
Ma
aveva una dannata paura di essere rifiutato anche
in quel momento. E soprattutto di vedere ancora il volto di Lea
arrabbiato con
lui.
Effettivamente
un po’ era così…ma solo un
po’.
Lea
stava dritto davanti alla porta, e lo guardava incuriosito.
C’era sempre quel po’ di stizza nel suo sguardo, ma
quello era scontato.
Passarono
diversi secondo prima che proprio lui
rompesse quel ghiaccio. Chiuse la porta alle sue spalle, e ruppe il
silenzio.
-Allora,
cosa vuoi?
Isa
rimase immobile, in piedi davanti a lui. Si
azzardò a sollevare lo sguardo, ma nulla più.
-...Non
so leggere la mente, Isa.
-N-no,
ovvio.
-A cosa devo l’onore della tua visita?
Isa
non poteva sopportarlo. Non poteva sopportare
quel tono freddo.
Lea
era il suo calore. Lea era l’unica cosa che
scaldasse quel ghiaccio che aveva attorno al cuore e si riformava ogni
volta
che non era con lui .
Lea
era…era…
Lea era speciale.
E
non riusciva a dirlo, no di certo.
Ma
si augurava che i gesti parlassero per lui.
Con
uno scatto quasi improvviso, si avvinghiò a lui,
abbracciandolo. Cogliendolo così di sorpresa che se Lea
avesse voluto non
avrebbe potuto sottrarsi.
Invece,
sorpreso, lo lasciò fare, con un’espressione
stupita in volto.
…e
figurarsi quanto ancora più stupita divenne
quando sentì le labbra di Isa appoggiarsi alla sua guancia,
schioccandogli un
bacio tanto tenero quanto timido.
Durò
pochissimo, ma bastò per far avvampare
completamente Lea, il cui viso assunse la stessa tinta dei suoi capelli.
Il
cuore gli batteva forte. Ed ancora di più quando
sentì le parole che Isa gli sussurrò
all’orecchio.
-…Sono
stato un idiota. Mi dispiace. Sei speciale
per me.
…tre
cose che mai più avrebbe sentito Isa dire.
A
quel punto c’era da aspettare la reazione di Lea.
Che tardò ad arrivare, a dire il vero.
…ma
per Isa ne valse la pena.
Una
risatina. Non di scherno, non di imbarazzo. Una
risata squillante di gioia. E Lea strinse ancora di più il
suo migliore amico,
abbracciandolo così forte che Isa sentì quasi
mancargli il respiro.
Ma
a dire il vero non era certo quello il motivo.
Si
sentiva così sollevato. Così…felice che quasi non riusciva a crederci.
Rimasero
avvinghiati così, per un po’, sulla soglia
di casa di Lea, noncuranti del fatto che chiunque avrebbe potuto
beccarli da un
momento all’altro. Che importava? Erano di nuovo amici. Molto
amici.
E
Isa aveva di nuovo tutte le attenzioni e l’affetto
di Lea.
Non
poteva desiderare altro.
-…Guarda
che un regalo lo voglio comunque.- commentò
poi il festeggiato, staccandosi per un secondo e mostrando un sorriso
che
poteva illuminare la notte al ragazzo davanti a lui.
Isa
fece una risatina che però suonò come uno
sbuffo, borbottando qualcosa come ‘ma certo’. E poi
aggiunse.
-Beh,
non mi inviti ad entrare.
…fu
il turno di Lea di tacere. E di sembrare molto,
molto imbarazzato.
-…Non
posso.
-Perché?
-…i
miei non sono ancora tornati e ho chiuso la
porta. Non…non ho le chiavi.
…in
pratica, erano rimasti fuori.
-…e
quando tornano i tuoi?
-Boh.
Fantastico.
Così…tipico
di lui.
Era
tutto tornato alla normalità.
Ancora
stretti in quell’abbraccio, Isa non riuscì
proprio a trattenersi dal dirlo.
Ma
in fin dei conti, sarebbe solo stata la prova che
tra loro tutto era come prima. Se non anche meglio.
Però
non poteva più trattenersi. Si era ripromesso
di essere più carino e gentile con lui.
Ma…
-…Lea, sei un
idiota.
Note
finali.
Grazie
Facebook che ci ricordi dei compleanni.