Nickname
EFP/FFZ: Letsneko_chan (entrambi)
Fandom:
originale
Titolo: «Esiste
soltanto il noi, adesso, Isbel».
Rating:
giallo
Genere: soprannaturale
(Angeli)
Avvertimenti:
/
Note: /
Fobie:
11) Apeirofobia: paura dell’infinito, 30) Mnenofobia: paura dei ricordi.
Prompt:
42) Angelo
Generi:
fantasy, romantico
Lunghezza
(One shot o long): one shot
Conteggio
parole di Word: 4778
NdA: in
questa storia parlo di un angelo. Non è certo inteso come argomento religioso e
non è assolutamente mia intenzione offendere la sensibilità di qualcuno.
Partecipante
al “Fobie Contest” indetto da Kirame amvs
«Esiste soltanto il noi, adesso, Isbel».
Ti porti
una mano sulla fronte e stringi i denti, cercando di allontanare il dolore.
La testa
ti fa male, ma non è niente in confronto al dolore che attanaglia tutto il
corpo, partendo dall'attaccatura delle ali.
Abbandoni
la testa sull'erba ancora umida per la rugiada: sopra la tua testa, le nuvole
nascondono a tratti il cielo stellato. C'è pace, tutt'intorno a te. Ma non sei
in grado di apprezzarla.
Sai bene
che ogni tanto gli abitanti di Alesem si chiedono perché quella zona sia sempre
coperta dalle nubi. Sorridi mesto, mormorando poi la risposta tra te.
Una fitta
di dolore più intenso ti fa perdere i sensi all'improvviso. Di nuovo, la pace
si trasforma in un buio dolore.
Ti svegli
di soprassalto. Provi a metterti seduto, ma il dolore te lo impedisce. Gemi
appena, artigliando le lenzuola.
«Non
agitarti, per carità!»
Una mano
ti accarezza il viso ma ti ritrai istintivamente: non riesci a fidarti delle
persone. Non dopo ciò che è successo.
«Non
voglio farti del male».
«Chi
sei?»
«Mi
chiamo Isbel».
«Dove
sono? Questa non è la foresta!» mormori confuso mentre ti guardi intorno.
«Certo
che no! Siamo ad Alesem!» ride Isbel. Lo guardi spaventato.
«Perché
mi hai portato ad Alesem?»
Essere in
una città di umani – cacciatori di angeli – non è sicuro per un angelo come te.
«Abito
qua e non potevo lasciarti mezzo morto nella foresta».
«Io sono
Kalech» mugugni.
«Come mai
eri svenuto nella foresta?»
Volti lo
sguardo dall'altra parte, osservando con aria assente il paesaggio cittadino
che si vede dalla finestra. Fa male ripensare agli eventi appena accaduti.
«C'è
qualche problema?» ti chiede timidamente Isbel, allungando una mano verso di
te.
«No... sto
bene...» rispondi con un certo disprezzo.
«Ti
agitavi nel sonno. Parlavi anche di una condanna ingiusta».
Ti porti
un braccio a copriti gli occhi. Vuoi nascondere quella lacrima che rischia di
rigarti il viso.
«Non...
Non ricordarmelo... Ti prego...»
«Come
vuoi. Desideri qualcosa da mangiare?»
Isbel
ridacchia quando il tuo stomaco gorgoglia.
«Nelle
tue condizioni è meglio una minestra» ti dice Isbel porgendoti un piatto.
Storci il
naso, osservando con disgusto il contenuto.
«Cos'è
quella sbobba? Io ho fame!»
«Non è
una sbobba. È una minestra» sospira Isbel.
«Ma io ho
fame!»
Quello
poggia la ciotola su tavolo, aiutandoti poi a metterti seduto.
«Sembri
un bambino piccolo» ridacchia il giovane mentre t’imbocca.
Incroci
le braccia: quello è un insulto bello e buono.
«E tu con
quel visino dolce, quei capelli riccioli e biondi e gli occhi azzurri sembri
una bambola...»
Isbel
arrossisce lievemente e non puoi fare a meno di ghignare.
I giorni
passano in fretta ma Isbel si è subito abituato ai tuoi commenti su come si
prenda cura di te. Tuttavia, anche se scrolla le spalle e ride insieme a te,
non può fare a meno di arrossire.
«Immagino
che tu voglia tornare lassù, una volta che sarai in grado di volare...»
Siete
distesi sul tetto, intendi a osservare il cielo. Tuttavia, Isbel sembra più
interessato a quell'albero nel giardino. Ti è sembrato turbato quando gli hai
proposto di osservare le stelle ma non ci hai dato troppo peso. Probabilmente ha avuto una giornataccia.
Il tuo
sguardo si rabbuia.
«Non sono
ancora in grado di alzarmi da terra... E poi, perché dovrei tornare lassù?»
«Non è il
tuo posto, quello?»
«Non
più... Lo era...»
«Vuoi
raccontarmi la tua storia?»
Stringi i
pugni.
«Meglio di
no. Non voglio rovinare questa bella serata primaverile con una storia triste.
Buonanotte, Isbel».
Isbel ti
osserva confuso mentre scendi la scala e sparisci nel buio della casa.
Immagini
che sospiri rassegnato: ogni volta che prova a chiederti qualcosa sul tuo
passato, tu eludi la domanda. Alcune volte cambi argomento, altre ti chiudi in
un mesto silenzio.
«Io
vorrei solo aiutarti, Kalech...»
Ripensi a
quelle parole, dette in una sera di pioggia qualche giorno prima.
Passando
per il corridoio, non resiste alla tentazione di lanciare uno sguardo
all'interno della stanza che ha preparato per te.
Sei
seduto sul davanzale della finestra: la luna sfiora i tuoi capelli rossi e le
piume candide delle ali.
Si ferma
un attimo davanti alla porta, indeciso se entrare o no. L'hai notato con la
coda dell'occhio ma hai deciso di far finta di niente, almeno per il momento.
Rimase in
silenzio, ascoltandoti cantare.
«Che ci
fai qui?» gli chiedi voltandoti all'improvviso e guardandolo con astio.
«Io
vorrei solo aiutarti...»
Di nuovo
quelle parole. È strano come un animo gentile come il suo sia sopravvissuto
così a lungo in un mondo spietato e perennemente in guerra.
«Non ho
bisogno di niente! Tantomeno di te!» urli prima di chiudere la porta con un
tonfo.
Lo senti
singhiozzare, poi i suoi passi si allontanano veloci nel corridoio.
«Perché
ti comporti così con me?»
Alzi la
testa, fissando Isbel.
Dopo
giorni, passati a curare in silenzio le tue ferite, Isbel ha trovato la forza
di rivolgerti quella domanda. Non lo dai a vedere ma ciò ti rende felice.
Scuoti la
testa, riprendendo poi a mangiare.
Isbel si
alza, borbottando qualcosa su delle commissioni da svolgere. Il giovane esce,
sbattendo la porta. Guardi confuso il pezzo di legno e poi scuoti le spalle.
Che
idiota.
Per
quanto tu abbia cercato di tenerlo lontano da te, Isbel non sembra intenzionato
a lasciarti andare senza prima di averti curato.
Grazie
alle sue cure sei riuscito a riprendersi piuttosto in fretta; tuttavia, Isbel
ha iniziato a fare troppe domande e ciò è una delle cose che non riesci a
sopportare.
Ti
avvicini alla finestra, osservando il cielo: il desiderio di volare è troppo
forte.
Scuoti la
testa - probabilmente sei ancora troppo debole e le ali non ti reggerebbero -
cercando di scacciare quel pensiero.
Decidi di
fare una passeggiata nel giardino: per tua fortuna, Isbel vive piuttosto
lontano dalla confusione cittadina e, soprattutto, lontano dagli sguardi
famelici dei cacciatori. Dalla finestra della cucina si vede la città che si
erige maestosa.
Inspiri
una boccata d'aria fresca, godendoti la leggera brezza primaverile. Ti togli le
scarpe, lasciando che l'erba del prato, costellato di boccioli colorati, ti
solletichi le piante dei piedi.
Ti
arrampichi velocemente su un albero, fermandoti su uno dei rami più alti.
Lasci
penzolare una gamba e incroci le braccia dietro la testa. Osservi le nuvole che
si muovono in cielo, cercando di reprimere il desiderio di volare.
Chiudi
gli occhi, canticchiando una vecchia canzonetta d'amore.
Li riapri
poco dopo, asciugandosi delle lacrime con il dorso della mano.
«No...
Lasciatemi stare... Andatevene...» mormori tra i singhiozzi.
Guardi il
terreno: per la prima volta senti un senso di disgusto mentre osservi un roso.
E dire
che tu ami le rose! Adori ogni cosa di quei fiori: il colore, il profumo e
soprattutto, la loro caducità. La brevità della loro vita ti trasmette un senso
di tranquillità. Non hai mai saputo dare una risposta a chi ti chiede per quale
motivo le rose ti tranquillizzino.
Dimentico
per un attimo delle raccomandazioni di Isbel, ti alzi in volo.
***
Tornato a
casa, ti lasci sfuggire un grido di puro orrore. La busta che porti tra le mani
cade a terra, rovesciando il suo contenuto. Guardi appena le mele che rotolano
sul pavimento, precipitandoti poi in giardino. In fondo, la scena che hai
appena intravisto dalla finestra è più importante di quei miseri frutti. Il
cuore batte all'impazzata, non riesci a formulare un pensiero coerente.
T’inginocchi
accanto a Kalech – quell'angelo dal passato tanto oscuro – e gli scosti dei ciuffi
rossi dalla fronte.
Non
appena sei entrato, attraverso la finestra, hai visto l'angelo disteso sul
prato.
Lo
stringi a sé mentre una lacrima ti riga il viso.
«Stupido...
Stupido Kalech! Io te l'avevo detto...»
Lo prendi
in braccio, portandolo con qualche difficoltà nella camera che gli hai
preparato. Non riesci ad ammetterlo nemmeno a te stesso, ma più passano i
giorni, più ti senti perso senza la sua compagnia. Un solo sguardo di fuoco –
Kalech te li rivolge spesso – è capace di farti mozzare il respiro in gola.
Lo
distendi a letto, cercando di sistemargli le ali nel miglior modo possibile.
Ti
avvicini alla finestra guardando l'unico elemento che dava – sì, dava. Ormai il
tempo di quel fiore è scaduto – un po' di allegria alla stanza: la prima rosa
che è fiorita nel giardino.
Quando
Kalech ti ha detto di amare le rose, hai aspettato con ansia che il tuo adorato
roso fiorisse. Non appena hai visto la prima rosa, l'hai colta, sistemandola in
quel vaso. Sapevi che non sarebbe resistita a lungo ma Kalech ha insistito
affinché la lasciassi lì anche una volta appassita. Ma adesso, quel fiore
appassito ti trasmette solo un senso di tristezza.
Rimani a
lungo con la mano sul vetro, indeciso se restare lì o andartene. D'altra parte,
è stato lo stesso Kalech a dirti di non aver bisogno d'aiuto.
Sospiri,
dirigendosi poi verso la porta. Mentre passi accanto al letto, senti la mano
dell'angelo sfiorare la tua. Il cuore perde un battito, il respiro ti si mozza
in gola eppure...
«Isbel...»
Eppure
stringi i pugni.
«Non
andartene...»
«L'hai
detto tu stesso di non aver bisogno di me».
«Allora
perché mi hai salvato di nuovo?»
Rimani
spiazzato da quella domanda.
«Lo vedi?
Non riesci a darmi una risposta».
«Se vuoi
startene a dormire all'aperto, sai come arrivare al giardino».
Kalech
sospira.
«Non vuoi
perdonarmi?»
«Non
perdono le persone senza un motivo ben preciso».
«Ti ho
trattato come il più infame degli esseri, dovrebbe bastare come motivo!»
«Non
intendo questo. C'è qualcosa di più profondo che ti ha spinto a fare ciò. Io
voglio sapere questo qualcosa» rispondi serio, sedendoti sul letto e facendo
cigolare le molle del vecchio materasso.
Lo
sguardo di Kalech si rabbuia e l'angelo volta la testa di lato.
Aggrotti
la fronte, infastidito da quella reazione.
«Forse...
Forse è la mia paura...»
«Anche
gli angeli hanno fantasmi che li tormentano?» chiedi alzando un sopracciglio.
«Be'...
Presumo di sì... Non siamo quelle creature dolci che tutti immaginano...»
«Siete
guerrieri spietati».
«Come fai
a saperlo?»
Abbassi
la testa.
«Nella
mia famiglia tutti sono cacciatori d'angeli... Io... Io ci non sono riuscito e
mi hanno escluso... Vivo qua da solo, curando il mio giardino e passeggiando
nella foresta...» ammetti imbarazzato.
Kalech si
mette a sedere, stringendoti a sé.
«Cosa non
sei riuscito a fare?»
«Quando
mio padre decise che era giunto il momento, mi portò con sé a caccia. Fu un
giorno fortunato – se così si può dire. Tuttavia, quando mi ordinò di uccidere
l'angelo che aveva appena catturato, mi rifiutai».
«Con il
tuo visetto dolce, dubito che tu possa far del male a qualcuno...»
«Mio
padre si adirò, dicendomi che non voleva più vedermi. Né come persona né come
figlio».
«Hai
avuto timore dell'ira divina?» chiese Kalech ridacchiando.
Isbel
scosse la testa, alzandosi e ritornando davanti alla finestra.
«Non fu
quello. Eravamo sull'altopiano, davanti a noi si estendevano solo nuvole e
campi. Era impossibile vedere le Montagne Nere».
«E con
ciò? Non dirmi che hai paura dell'infinito!»
«Esatto.
Iniziai a tremare e a piangere. Mi rannicchiai contro un albero mentre mi
sentivo impotente. Le cose senza un limite, una fine mi fanno paura. Non riesco
a guardare neppure cielo senza sentire un senso di oppressione».
Stringi
forte la coperta, così forte che le nocche sbiancano.
Kalech ti
si avvicina, abbracciandoti da dietro e posando il mento nell'incavo della tua
spalla. Il cuore inizia a battere all'impazzata, le guance diventano rosse:
Kalech è troppo vicino. Vorresti scrollartelo di dosso ma non ce la fai. Ormai,
ogni sera, prima di dormire, sogni ad occhi aperti le sue labbra che si posano
sulle tue.
«Posso
tentare di farti passare questa fobia?»
«Se ci
tieni... A proposito, prima stavi parlando della tua ma non mi hai detto di
cosa hai paura».
Cerchi di
mostrarti forte ma in realtà lui è riuscito ad abbattere ogni tua difesa.
«Prometti
di non ridere?»
«Promesso».
«Sono i
ricordi a terrorizzarmi».
***
Tra
battibecchi e risate, un mese è passato in fretta, ma la preoccupazione di
Isbel verso di te ha raggiunto livelli che mal sopporti. Abituato a una libertà
pressoché totale, il fatto di avere Isbel quasi sempre tra i piedi ti irrita
abbastanza.
«Non voglio
che tu svenga di nuovo!» ti dice una mattina prima di uscire. Annuisci ma non
appena quello esce, ti precipiti alla porta che da sul giardino, nella speranza
di fare una passeggiata. E perché no, avresti potuto provare a svolazzare un
po'.
Rimani
spiazzato quando capisci che Isbel non ha chiuso soltanto la porta del giardino
ma anche tutte le finestre. Da quanto gli hai rivelato che i ricordi - belli o
brutti che fossero - ti terrorizzano, Isbel si è sempre premurato di
distoglierti da essi. Tuttavia, quando sei da solo, sei vittima di crisi e
forse pensi – se fosse così, ne saresti veramente felice – che Isbel abbia
paura che, volando da solo, tu potessi cadere di nuovo.
Sbuffi
rassegnato, sedendoti sul tavolo: ti guardi intorno, nella speranza di trovare
qualcosa da fare. In qualche modo devi passare la mattina.
«Kalech?
Ci sei?»
Sei
sicuro che Kalech abbia notato che, negli ultimi giorni, i tuoi occhi s’illuminano
ogni volta che lui ti sta vicino.
È
questo, dunque, ciò che chiamano amore?
«Sì» risponde
l'angelo affacciandosi dalla ringhiera del piano superiore.
«Vuoi
qualcosa di particolare per pranzo?»
«Qualcosa
di diverso dalle solite minestre, se possibile! E appena puoi, vieni qua. Ti
devo far vedere una cosa!»
Ridacchi
e annuisci, affaccendandoti poi ai fornelli. Cerchi di fare il più velocemente
possibile: fremi all'idea che Kalech abbia qualcosa per te. Un regalo?
«Allora...
Cos'è che volevi farmi vedere?» chiedi mentre sali le scale.
Kalech ti
viene incontro e non puoi fare a meno di notare che gli luccicano gli occhi.
L'angelo
ti allunga un oggetto coperto da un piccolo pezzo di stoffa e tu lo prendi in
mano timidamente.
«Su,
forza! Scoprilo, dai!»
Lasci
cadere a terra la stoffa, osservando stupito l'oggetto.
«Allora?
Ti piace?» ti chiede Kalech con apprensione. Si vede che l'angelo è felice di
averti fatto quel regalo, eppure...
«Be'...
Cos'è?»
Pur
osservandolo in ogni parte, non riesci proprio a capire cosa sia.
Alzi lo
sguardo su Kalech: sembra che il cielo gli sia appena crollato addosso.
«Sei un
ingrato!» urla correndo verso la tavola.
Lo
raggiungi poco dopo, poggiando l'oggetto sul tavolo.
«Sei
arrabbiato?»
Kalech ti
rivolge un'occhiataccia, continuando a mangiare in silenzio.
«Mi vuoi
dire gentilmente cos'è?»
Kalech
sbuffa, chiudendosi in uno strano mutismo per qualche ora.
Poi,
all'improvviso, mentre sei intento a giocare un solitario, sbotta: «È tanto
difficile capire che è una rosa?»
«Be'...
Sì...»
Osservi
divertito la sua reazione: Kalech sta guardando attentamente la sua creazione.
Anche se lui non parla, è chiaro che, mentre la intagliava, gli fosse sembrata
una rosa perfetta. Tuttavia, il risultato finale si è rivelato pressappoco un
ammasso di legno appena sbozzato.
Gli metti
una mano sulla spalla, cercando di tirargli su il morale.
«Non ti
scoraggiare, è il pensiero che conta».
«Se lo
dici tu...»
Gli
accarezzi una guancia, sorridendogli dolcemente.
«Pensavo...
adesso potresti provare a volare... Sei guarito, no?»
«Ma se mi
hai lasciato chiuso in casa per timore che provassi a volare!»
«Be',
l'ho fatto perché non ti mettessi nei guai!»
«Adesso
mi lasceresti davvero provare?»
«Certamente,
ma io ti starò a guardare».
Gli occhi
di Kalech s’illuminano e senti solo il tonfo di una sedia sul pavimento prima
di ritrovarti stretto tra le braccia dell'altro.
«Kalech...
Mi stai soffocando...»
Kalech
ride, allentando appena la stretta.
«Grazie».
«E di
cosa? Di lasciarti volare di nuovo? Sei un angelo, Kalech, questo non è il tuo
mondo. Rischieresti la vita se resti ad Alesem».
«Hai
fatto tanto per me, Isbel. Mi hai salvato la vita. Adesso è giunto il momento
che mi sdebiti con te».
«E come?»
«Vedrai»
ti risponde Kalech strizzandoti l'occhio e correndo fuori tenendoti per mano.
Che
cosa ha intenzione di fare, quell'idiota?
Ti siedi
sotto un albero, incrociando le gambe e osservando con curiosità Kalech.
L'angelo
ti sorride, alzandosi poi in volo.
«Va tutto
bene?» gli urli.
«Perfettamente!»
risponde l'altro alzando i pollici.
Kalech si
guarda intorno, ammirando il panorama. Come ogni sera, il cielo di Alesem e
dintorni era coperto da nuvole nere.
Lo
osservi confuso: rimane fermo immobile, fissando l'orizzonte con aria
assente.
«...issimo»
le parole ti escono da sole, riportando però Kalech alla realtà.
«Che hai
detto?» ti chiede scendendo a terra e fermandosi davanti a te.
«Dicevo
che sei bellissimo» sussurri arrossendo appena.
Kalech
ghigna, prendendoti poi in braccio e alzandosi nuovamente in volo. Cacci un
urletto, avvinghiandoti a lui e nascondendo la faccia nell'incavo della sua
spalla.
No...
Non può essere... Non può averlo fatto davvero. Kalech... Ti prego...
«Non ti
lascio, Isbel. Puoi guardare tranquillamente. C'è un bel panorama da quassù».
«No!»
urli aumentando la presa sui suoi abiti.
«Isbel.
Non devi aver paura dell'infinito. È immotivata la tua paura. Pensa che tutte
le cose hanno un limi-».
No! È
inutile che tu me lo dica! Siamo piccoli, deboli, indifesi e inutili. Lo vedi,
stupido Kalech, quant'è grande il mondo che ci circonda?
«Le so
già queste cose! Pensi che non ci abbia provato? Eppure non ci riesco,
qualsiasi tentativo faccia!»
«Forse
hai bisogno dell'aiuto di qualcuno... Dopo quello che hai fatto per me, posso
sdebitarmi solo così. Ti aiuterò a superare questa paura, va bene?»
Annuisci,
in parte sollevato dal fatto che Kalech sarebbe rimasto con te ancora per un
po'.
Kalech
ritorna in terra e, poiché non vuoi saperne di allentare la presa, entra in
casa tenendoti in braccio. Tremi e singhiozzi, pensando a quanto tu sia
indifeso.
Ti posa
sul letto, stringendoti a sé.
«Scusami...
Non pensavo che...»
«È... È
tutto apposto» gli dici asciugandoti le lacrime.
Kalech
annuisce, ma non è del tutto convinto.
Ti bacia la fronte e tu, balbettando qualche scusa, ti alzi, dirigendosi
verso la tua camera. Tieni la testa bassa, cercando di nascondere il leggero
rossore che ti tinge le guance.
Stupido
Kalech...
Ti
distendi sul letto, incrociando le braccia dietro la testa.
Riesci a
vedere il cielo e un senso di oppressione t’invade all'istante. Ti precipiti a
chiudere le tende, sedendoti poi a terra con il cuore che batte all'impazzata.
Tremando,
si rialzi.
Fai per
mettersi sotto le coperte quando un urlo cattura la tua attenzione.
Corri con
il cuore in gola attraverso il corridoio, spalancando poi la porta della camera
di Kalech.
Vedi
l'angelo rannicchiato sul letto: le braccia stringono le gambe e ciuffi
scomposti gli cadono sulla fronte.
«Kalech...»
Quello
alza appena la testa e noti che ha gli occhi lucidi. Ti avvicini lentamente,
sedendoti poi davanti a lui.
«Isbel...»
«Sono qui».
Isbel
apre le braccia e tu, con riluttanza, ti rannicchi tra le sue braccia.
Rimanete
in silenzio a lungo: Isbel ti accarezza dolcemente i capelli, cercando di
calmarti. Tremando, gli stringi una mano.
«Vuoi
spiegarmi cosa ti è successo? Un incubo?»
«Magari
fosse quello...»
Isbel ti
alza il viso.
«Hai
promesso di aiutarmi. Voglio fare lo stesso con te».
«Non
essere stupido. Liberarsi dei ricordi non è così facile».
«Finché
sei solo. Nessuno può farcela senza l'aiuto altrui».
Lo guardi
male.
«Non fare
quella faccia, voglio aiutarti! Che cosa hai subito di tanto terribile per aver
paura dei ricordi?»
Sospiri.
«Se non
vuoi dirmelo, non importa...»
Devi
dirglielo. Vuoi dirglielo cos'è che ti fa soffrire.
«È meglio
che tu lo sappia».
«Come
vuoi».
«Tu cosa
fai quando non vuoi ricordare mentre fissi un oggetto? Scuoti la testa, vero?»
«Sì...»
«Per me
non è così». Ti distese sul letto, continuando a tenere le dita incrociate a
quelle di Isbel.
«Ogni
notte mi rannicchio, sudo e mi tremano le mani. In genere piango, ma soffoco i
singhiozzi nel cuscino. Prima non ce l'ho fatta e ho urlato. Capita, talvolta».
No,
non talvolta. Urli sempre ma il cuscino soffoca le tue grida, disperate
richieste d'aiuto.
Isbel ti
si distende accanto, osservandoti confuso.
«Per
quale motivo ti senti così ogni notte?»
Ti volti
dall'altra parte.
«Sei tu
il motivo...»
«Io? Ma
se non ci siamo mai incontrati prima d'ora!»
«I tuoi
gesti, il tuo aspetto...»
«Kalech,
io non capisco!»
«Vedi, il
motivo per cui mi hai trovato nella foresta è che sono un angelo caduto...»
«Eh?»
«Oh,
insomma! Possibile che tu debba essere sempre così ottuso?»
«Grazie
tante».
«Andava
tutto bene, finché quel bastardo non spiattellò tutto. Da lì iniziai a temere
il passato».
«Spiattellare
tutto... Cosa?»
Lo guardi
alzando un sopracciglio.
«Pensi
che avere una relazione con un altro sia così angelico?»
Isbel si
gratta la testa.
«Be',
no».
«Capisci
adesso?»
«Sì...»
Lasci la
mano dell'altro, tirandoti addosso la coperta.
«Adesso
lasciami dormire in pace. La serata deprimente è finita».
Isbel si
mette le mani sui fianchi.
«Nossignore.
Non ti lascio di certo così».
Lo scacci
con un gesto della mano ma Isbel tira via la coperta.
«Se credi
che non ti aiuti ti sbagli di grosso!»
«E come
pensi di fare? L'unico modo per non aver paura dei ricordi è non vivere, così
da non avere un passato».
«Per non
averla. Ma puoi sempre superarla».
«Non
farmi ridere».
«Forse se
pensi al periodo in cui eri felic-».
Lo
interrompi. E poi, quando sei stavo veramente felice? Sei sempre vissuto in
un mondo falso e bugiardo.
«È ancora
peggio».
«Allora
non resta che una cosa da fare».
«Cosa?»
«Fai
qualcosa di diverso! Così non pensi al passato!»
Ti volti
verso di lui.
«Qualunque
cosa faccia mi ricorda il passato».
Isbel ti
si distende accanto, abbracciandoti dolcemente.
Per la
prima volta, non vuoi – non riesci – a mandarlo via.
Tuttavia,
provi a scrollartelo di dosso ma il giovane non sembra avere intenzione di
spostarsi.
«E va
bene, signorino. Dormi qua per stanotte».
«Non era
quella la mia intenzione».
«E cosa
volevi fare allora?» gli chiedi voltandoti verso di lui.
Isbel ti
sorride.
Quel
sorriso è capace di farti sciogliere: ogni volta che lo vedi, non puoi fare a
meno di pensare a quanto sia bello.
«Chiudi
gli occhi...»
Con
diffidenza, fai come l'altro ti dice.
Senti le
sue dita sfiorarti una guancia e il loro tocco delicato ti fa rabbrividire.
Arrossendo
violentemente, gli prendi poi il viso tra le mani, posando le tue labbra sulle
sue. Fremi a quel contatto – da qualche tempo lo desideri, lo sogni – e non
puoi fare a meno di assaporare il suo dolce sapore.
Kalech,
colto alla sprovvista, apre gli occhi e ti scosti appena.
«Scusami...
Io...»
Hai paura
che non ti voglia. Temi di aver rovinato tutto il rapporto che si è intrecciato
giorno dopo giorno tra di voi.
Kalech
non ti da modo di finire la frase: ti distende sotto di sé, zittendoti con un
bacio meno casto del precedente.
«Vuoi
portarmi alla dannazione eterna?» ti chiede Kalech prima di baciarti
nuovamente. Gli accarezzi la schiena, soffermandoti sull'attaccatura delle ali.
Sfiori quelle piume candide: la prima volta che l'hai visto hai pensato che
fosse lì per caso. Il loro candore non ti ha fatto pensare che potesse aver
commesso qualche atto impuro.
«N-no...»
«Eppure
ci stai riuscendo pienamente» ti dice Kalech sorridendo e scostandoti i
riccioli biondi dalla fronte.
Arrossisce:
a causa di quei baci, non riesci a formulare un pensiero coerente.
«Isbel».
«S-sì?»
L'angelo
posa la sua fronte sulla tua
«Riuscirai
a farmi dimenticare il passato?»
«No».
«Ma...»
Gli metti
un dito sulle labbra.
«Non puoi
dimenticare il passato. Fa parte di te. E più lo allontani da te, più lui ti
tormenterà. Pensa al presente: a me, a te… a noi».
Arrossisci
nel pronunciare quelle parole e Kalech sorride. Ti dici che non esiste niente
di più bello. E vista la sua espressione, è facile capire che Kalech stia
pensando la stessa cosa.
***
Camminate
in silenzio, sotto lo sguardo vigile della luna.
Isbel
trema, lo sai, lo vedi chiaramente che quel senso di pace - infinito - data da
quel paesaggio sterminato lo turba. Gli metti un braccio sulle spalle,
stringendolo a te.
«Fermiamoci
qui... Ti prego...»
Annuisci
e lo baci sulla fronte.
Il più
piccolo trema, è sul punto di piangere. Sorridi, ricordando che anche tu,
appena pochi giorni prima, avevi la sua stessa espressione quando un ricordo ti
assaliva.
Eppure
lui, Isbel, è riuscito a farti passare quell'insana - strana - paura.
Lui dice
che non ha fatto niente di speciale, tuttavia sai bene che i suoi gesti, le sue
parole hanno colmato il vuoto del presente, distraendoti dal passato. Ma non
solo. Ti ha rubato il cuore, quell'umano dai capelli biondi.
Isbel si
distende subito a terra, si gira su un fianco e chiude gli occhi. T’inginocchi
accanto a lui, accarezzandogli dolcemente i capelli.
«Isbel...»
Lui non
risponde.
Soltanto
i singhiozzi dimostrano che è vivo.
All'improvviso
ti abbraccia, ti stringe, affonda la testa nell'incavo della tua spalla.
Ricambia
la stretta, ascoltando con attenzione le sue parole.
Abbracciati
l'uno all'altro, rimanete in silenzio. Gli alzi il viso, baciandolo poi
dolcemente.
Isbel è
cambiato da quando siete fuggiti da Alesem.
È
sconvolto, parla poco, il suo sorriso è scomparso.
Ha visto
il suo mondo crollare in pochi secondi, ne sei ben consapevole.
E l'unica
via di fuga da quel crollo era fuggire verso le montagne, verso le zone
sconfinate del nord.
L'hai
notato anche tu quanto siete piccoli, inutili e insignificanti davanti
all'immensità del cielo.
«Perché?»
ti chiede singhiozzando.
«Perché
cosa?»
«Perché
mio padre ha fatto ciò?»
Gli baci
la fronte, cercando di rassicurarlo.
«È tutto
finito. Siamo liberi».
Lo
stringi forte a sé: appena pochi giorni prima, se avessi cercato di ripensare a
quell'evento, saresti crollato in ginocchio e avresti pianto finché, vinto
dalla stanchezza, non saresti crollato addormentato.
Però, in
quel momento, solo un brivido ti scuote. È l'orrore del momento - quelle armi
puntate addosso - che ti fa rabbrividire, non la paura del ricordo. Giorno dopo
giorno, mese dopo mese, Isbel è riuscito a farti passare la paura dei ricordi.
Tuttavia, il vostro mondo felice è stato distrutto da quei maledetti
cacciatori. Erano passati appena due anni e per poco non hai perso la persona
che ami. Grazie a tutti i tuoi sforzi, Isbel è riuscito a sentirsi più
tranquillo davanti all'immensità del cielo stellato. O almeno così dice lui. E
adesso che siete in fuga, soli sotto il cielo, Isbel è nuovamente vittima del
pianto.
Gli
accarezzi il viso, osservando i suoi tratti delicati distorti dalla paura.
Lo baci,
stringendolo a te.
Senti le
sue mani sganciare lentamente i bottoni della tua camicia.
Lo guardi
confuso e lui sussurra le sue intenzioni. Non puoi fare a meno di sorridere
mentre lo lasci fare.
Osservi
in silenzio il suo volto: la paura ha lasciato il posto al piacere e senti di
non riuscire più a tenerti dentro alcune parole.
«Isbel».
Alzi la
testa, fissando i suoi occhi lucidi per il piacere. Ansimi un sì, continuando a
muoverti su di lui. Sei avvinghiato al suo corpo: mai lasceresti andare
quell'ancora di salvezza.
Kalech si
morde un labbro. Lo guardi curioso, certo che stia per dire qualcosa d’importante.
«Sei tu
stesso a essere così dolce che non creda di poter comparare con le parole...
Sei veramente la mia salvezza: sono stato cacciato dalla mia stessa casa e qui
sarei morto e mi avrebbero strappato le ali se non fosse stato per te... Mi hai
fatto conoscere tante cose che noi Angeli possiamo solo immaginare... Le vere
emozioni, per esempio. Da noi portano alla disobbedienza e sono proibite... Ma
qui... Voi, tu, sei stracolmo di generosità, bontà, dubbi, tristezza, rabbia, volontà...»
Kalech sorride: per la prima volta ti pare - no, è - un sorriso sincero. «Tu
significhi tutto questo per me... Sei la bellezza del mondo che tutti
cercano...»
Avvampi:
quelle parole ti fanno sciogliere il cuore. Lo guardi e sorridi. Kalech ti
bacia, con passione, ti stringe a sé.
E quando
vi staccate, ansimando per la mancanza d'aria, raggiungi l'apice del
piacere. Getti la testa all'indietro,
spalancando gli occhi e la bocca.
Kalech ti
accarezza la schiena e, per la prima volta, ammiri il cielo senza provare
paura. L'angelo ti guarda sorridendo: senti le sue labbra sfiorarti la spalla e
il petto.
«Kalech...»
«Sì,
tesoro mio?»
Tesoro mio. Lo dice raramente ma ogni volta ami
il modo in cui lo dice, il tono che assume la sua voce mentre siete uniti.
«Sei un
angelo...»
Kalech
ridacchia, divertito da quell'affermazione.
«Grazie
tante, sono un angelo caduto che ti sta trascinando all'inferno!»
«No, non
hai capito. Sei l'angelo che mi ha fatto passare la paura. Sei il mio angelo».
Kalech
sorride.
Lo so,
amore mio. Il mio cuore appartiene a te, è inutile negarlo. E così, allo stesso
modo, tu appartieni a me. Anzi. Ormai non esistiamo né io né te.
«Esiste
soltanto il noi, adesso, Isbel».