"Innocence"
Waking up I see that everything is OK
The first time in my life and now it's so great
Slowing down I look around and I am so amazed
I think about the little things that make life great
I wouldn't change a thing about it
This is the best feeling
Guardava le sue
manine stringersi e aprirsi meccanicamente. Il suo viso
era attaccato al seno, ma invece di succhiare dormiva. Si sorprese di
quanto
potesse essere peloso un neonato, con tutti quei capelli d’un
rosso vivo che
stavano ritti sulla sua testa, quasi avesse preso la corrente.
A dispetto delle preoccupazioni, era un bambino perfettamente sano. Lo
vedeva da quella sua pelle, piena di chiazze rosse, che non lasciava
spazio ai
dubbi: lei era certa che sarebbe stato un bambino forte.
Per gran parte del tempo in cui l’aveva tenuto dentro, aveva
temuto di
rigettare a vista quell’esserino una volta resosi conto che
proveniva dal suo
ventre. Soffriva la paura, segreta e inconfessabile, di odiare quel
bambino da ancora
prima che venisse al mondo. Non sapeva di preciso perché. Lo
soffrì come un
virus che la stava divorando dentro, quando si era accorta che oramai
esisteva
dentro di lei. Non ne aveva nutrito alcun sentimento che non fosse una
forte
repulsione. E il suo timore era che quella repulsione, repressa
successivamente, fosse potuta esplodere alla vista di chi aveva
occupato il suo
corpo per nove mesi.
Ed invece, si accorse che non fu così. Non appena
l’infermiera del
reparto maternità gliel’aveva porto, le sue
braccia si allungarono
automaticamente, quasi come se in quel momento non potesse fare altro
che amare
quella creatura. Lo sentiva agitarsi tra le braccia deboli; e
avvertì
immediatamente che lui, sangue del suo sangue, era e sarebbe stato
sicuramente
molto più forte di lei, e che era dotato di una indole che
le apparteneva.
Si sentiva impedita, ma grazie all’aiuto
dell’infermiera riuscì a nutrire quella
piccola bestia affamata, la quale si attaccò al seno con una
voracità che lei
scambiò per attaccamento disperato alla vita.
Era sera, oramai; il travaglio era stato più lungo di quanto
avesse
immaginato. Ed anche più doloroso, nonostante gli anestetici
che le avevano
somministrato. Altra paura scampata, però: nessun parto
cesareo, e quindi
nessuna cicatrice. Solo una settimana più tardi avrebbe
cominciato a preoccuparsi
di smagliature (immaginarie) sul suo corpo.
“Si può?...”
La voce di James si era accompagnata ad un bussare di nocche sulla
porta. In quel momento, Jessie si affrettò a coprirsi, e lo
fece entrare.
James sembrava più distrutto di quanto lo fosse lei stessa,
eppure era
invasato da una timida eccitazione. Non aveva assistito al parto;
l’aveva
concordato prima con Jessie, che ne aveva ritenuto la presenza troppo
invadente. Eppure in quel momento aveva pianto di terrore, e si era
maledetta
cento volte per non aver lasciato che lui entrasse a stringerle la
mano, invece
che farsela tenere da un’aiuto-ostetrica.
Al solo vederlo due lacrime le salirono agli occhi, ma fu abile a
ricacciarle in dentro sbattendo le palpebre al cielo. La sua comparsa
le aveva
provocato un allentamento di tensione.
Anche Meowth era presente. Il Pokémon gatto era stato
visibilmente in
ansia per tutto il tempo, ansia le cui tracce trasparivano ancora nei
suoi
grandi occhi felini.
James era entrato con un mazzo di rose rosse misto a fiorellini di
campo, ma in quel momento nessuno di loro diede importanza al dono. Lui
semplicemente lo poggiò sul comodino, e sembrava incapace di
dire una sola
parola. Anche Jessie avrebbe voluto mostrargli il bambino, ma non
sapeva da
dove cominciare.
“Ciao, piccolino…” miagolò
Meowth, guardandolo dal bordo del letto.
Il bambino, svegliatosi quando la madre l’aveva staccato da
sé, si
stiracchiava, le sue braccia già molto lunghe. Fu in quel
momento che James
riuscì a tirare fuori le parole.
“Posso… posso vederlo?”
esordì timidamente.
Jessie glielo porse. James sembrava spaventato, e cercò di
tenerlo
quanto meglio era possibile.
“Si agita troppo!” esclamò, con una
strana nota nella voce da cui non si
capiva se fosse estremamente eccitato o se stesse trattenendo la
commozione. Si
abbassò leggermente, seduto sulla sedia, per farlo vedere
meglio a Meowth.
Il neonato aveva grandi occhi grigi e si agitava prepotentemente, con
una energia insolita per un essere così piccolo.
“ Ha i tuoi stessi occhi, Jessie!”
commentò Meowth. “Anche azzurri!”
In quel momento era ancora troppo presto per poterne vedere il colore.
In seguito, infatti, sarebbero divenuti di quello stesso verde intenso
del
padre che lo osservava rapito.
I hope that it will stay
This moment is perfect
Please don't go away
I need you now
And I'll hold on to it
Don't you let it pass you by
“Senti…” cercò di sembrare
quanto più disinteressata possibile. James le
rivolse la sua attenzione.
“Il cognome” disse lei, senza guardarlo negli
occhi.
“Il cognome, dagli il tuo”.
James sembrava piacevolmente incredulo.
“Sei sicura, Jessie? Ne abbiamo parlato” disse lui.
“Non ti preoccupare,
per me va benissimo se…”
“Sono sicura” tagliò corto lei.
“Sempre se vuoi”.
James non lasciò passare nemmeno un secondo da
quell’affermazione.
“Certo che lo voglio”.
Si fermò un attimo con gli occhi su quel neonato, che alzava
le braccia
in aria come se stesse cercando di prendere il controllo del proprio
corpo.
“Certo che lo
voglio”.
Nota dell’autrice:
Finalmente Johnny è nato, il figlio di Jessie e James avuto
da
una gravidanza non desiderata. Il capitolo era pronto da anni, e mi
scuso per
averlo postato solo ora!
La canzone, come forse si è capito, è
“Innocence” di Avril
Lavigne.
Alla
prossima!