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Autore: Flitwick    12/08/2015    3 recensioni
“La vita di Sora era sempre stata piuttosto tranquilla, scandita dagli stessi ritmi, dallo stesso modo di vivere e di affrontare le situazioni. Era una persona ordinaria, con i suoi amori, le sue delusioni e i suoi successi… Finché non si era imbattuto in lui.” Un giorno la vita di Sora prenderà una svolta incredibile a causa di uno strano ragazzo apparso per caso nella sua città. Niente sarà più come prima e tutto ciò a cui è stato legato in passato andrà perduto per sempre.
 
{Seconda classificata al contest La Morte ti fa Bello indetto da La Fe_10 sul Forum di EFP}
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Sora
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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La tua luce nelle mie lacrime


 

La vita di Sora era sempre stata piuttosto tranquilla, scandita dagli stessi ritmi, dallo stesso modo di vivere e di affrontare le situazioni. Era una persona ordinaria, con i suoi amori, le sue delusioni e i suoi successi… Finché non si era imbattuto in lui.
Le sue certezze crollarono in una fresca serata d’agosto, durante uno dei suoi soliti raduni in spiaggia con gli amici. Era stato Riku a telefonargli, quel pomeriggio. La sua voce tradiva un qualcosa euforico e aveva terminato la chiamata con un beffardo: «Io e Kairi abbiamo una sorpresa per te.» Non c’era mai da fidarsi di Riku in quelle situazioni, era capace di qualunque cosa. Poteva aver architettato lo scherzo più cattivo del mondo e lui ci sarebbe cascato in pieno come un pollo… Tuttavia, le sue parole eccitate e la sua voce che tratteneva a malapena l’entusiasmo convinsero Sora a fidarsi, per quella volta. Fra poco sarebbe stato il suo compleanno e tutto faceva presagire una festa a sorpresa. Sperò in una bicicletta nuova, ma purtroppo non andò così. Dopo averli raggiunti Kairi e Riku gli corsero incontro, ma dietro di loro non vide né una bici né altro che assomigliasse a un dono, soltanto un ragazzino molto basso che cercava di nascondersi alla sua vista. Roxas, così si era presentato con un fil di voce. Avvolto in un lungo cappotto nero sembrava ancora più piccolo di quanto fosse in realtà. Aveva dei capelli biondo-dorato che probabilmente non avevano mai visto un pettine e gli incorniciavano il piccolo viso roseo in una maniera che Kairi definì “assolutamente adorabile”, ma la cosa che incuriosì Sora furono i suoi occhi. Grandi e malinconici, di un azzurro così brillante da sembrare un terso cielo di primavera. Gli sorrise in modo incoraggiante, ma il ragazzino lo fissò silenziosamente per poi allungare la mano verso di lui. Sora la strinse e in quell'istante un brivido freddo gli attraversò la schiena. Prese un bel respiro. Dopotutto quel tipo non sembrava così male, o almeno così sperava.

Col passare del tempo Sora iniziò ad apprezzare il carattere taciturno del nuovo arrivato. Non era sicuramente un tipo socievole, ma aveva un ottimo senso dell’umorismo e questo bastava a renderglielo simpatico. Dopo quella serata disastrosa in spiaggia dove per poco non arrivavano a picchiarsi, avevano instaurato un'amicizia che piano piano diventava sempre più stabile. Roxas aveva grinta e spirito di competizione che incitavano Sora a dare sempre il meglio in sua presenza. Nonostante ciò, quel ragazzo gli infondeva un senso d'inquietudine e malinconia. I suoi occhi azzurri erano sempre velati di tristezza ogni qualvolta si posavano su di lui, ma dopo diverso tempo Sora smise di porci attenzione.

Le vacanze di Natale erano quasi terminate e l’allegra combriccola era ben decisa a trascorrere quegli ultimi giorni sulla neve del parco. In quel periodo dell’anno la città diventava silenziosa e quieta, mentre la neve la avvolgeva dolcemente, facendola rassomigliare a uno di quei piccoli villaggi decantati nelle fiabe e i ragazzi spendevano il loro tempo a creare pupazzi di neve e organizzare gare di snowboard.«Secondo me dovremmo fare una battaglia di palle di neve» propose Sora, raggiante, assaporando già la faccia di Riku quando l’avrebbe colpito in pieno viso.
«Oppure potremmo pattinare sul lago, hanno detto che ormai è sicuro.» esclamò Kairi, stringendosi la sciarpa al petto per ripararsi.
«Meglio evitare il lago… L’anno scorso Sora per poco non ha fatto precipitare due bambini nell'acqua ghiacciata.» borbottò Riku, lanciando un’occhiataccia al ragazzo, che ridacchiò imbarazzato al ricordo di quel giorno.
Tutti tacquero, pensando al da farsi, finché Sora si voltò con un bel sorriso verso Roxas. «Rox, tu cosa vuoi fare? Te ne stai zitto zitto! Dacci un’idea!»
Il biondino sospirò, formando una piccola nuvoletta che si dissolse in fretta, per poi aggiungere piano: «E se andassimo a fare una passeggiata nel bosco? Potremmo tornare presto, così non ci saranno pericoli.»
I tre ragazzi si guardarono senza fiatare, per poi vedere il viso di Sora illuminarsi e fare l’occhiolino al biondo. «Bella idea, Rox! Io posso andare a casa a prendere qualche panino da mangiare durante il ritorno.»
«Hai intenzione di fare Pollicino, Sora?» scherzò Riku, scatenando le ire del castano, che minacciò di lasciarlo senza cibo.
Dopo diversi screzi fra i due, i quattro si diedero appuntamento al confine della città un’ora dopo. Ognuno avrebbe portato qualcosa per la passeggiata e Kairi intimò a Sora di non divorarsi tutta la torta al cioccolato prima del loro appuntamento.
Il ragazzo si avviò verso casa borbottando che non era un mangione e si sarebbe comportato bene, ma preferì non pensarci più e tirò fuori dal suo zainetto le cuffiette per ascoltare la musica. Si sarebbero divertiti sicuramente quel pomeriggio e lui avrebbe stravinto contro Riku e Roxas alla battaglia di palle di neve. Li avrebbe affogati. Sorrise al pensiero del biondino. Roxas si era integrato perfettamente nel loro gruppo, neppure con Riku aveva avuto problemi, riusciva a piacere a chiunque, nonostante il suo muso e il suo cappotto da stalker. Ridacchiò, ricordando la figuraccia che fece con la sua vicina. Lo aveva scambiato per un ladro e per poco non gli aveva rotto un osso a furia di picchiarlo con l’ombrello. Fu una delle scene più esilaranti a cui avesse mai assistito, anche se un po’ gli dispiaceva per Roxas.
Attraversò la strada quando, improvvisamente, sentì il telefono vibrargli nella tasca. Si fermò per cercarlo; doveva decidersi a comprare dei pantaloni con delle tasche meno profonde. Dopo diversi tentativi riuscì ad afferrarlo e a tirarlo fuori, ma in quel momento una luce abbagliante lo sorprese. Alzando lo sguardo la paura s'impadronì di lui. Guardò quella luce così intensa avvicinarsi sempre di più, non riusciva né a muoversi né ad urlare. Chiuse gli occhi e pregò che andasse tutto bene.
Si sentì alzare di diversi metri dal terreno, per poi atterrarvi di nuovo bruscamente. Un dolore lancinante s'impossessò del suo corpo, facendolo rantolare. Faticava a respirare, come se avesse un masso sul torace.
Cercò di alzarsi, ma le gambe sembravano non rispondergli, rimanevano immobili. Girò lentamente la testa, senza sollevarla, per cercare di mettere a fuoco la scena e capire dove fosse, ma soprattutto cosa fosse successo in quei pochi secondi. Il collo gli doleva insistentemente, mille aghi appuntiti lo trafiggevano sul capo mentre uno strano senso di nausea si impossessava di lui. Guardò il cielo grigio cercando più aria possibile, ma più respirava, più ne aveva bisogno, iniziando a boccheggiare per la disperazione. Mormorò qualcosa, mentre un liquido caldo e denso scendeva lento dalle sue orecchie e si faceva largo per il suo collo. Singhiozzò piano, senza curarsi del dolore incredibile alle costole. Sentì dei piccoli fiocchi di neve che gli caddero uno dopo l'altro sul viso. Una lacrima scese lenta e solitaria sulle sue guance sporche di fango, mentre i suoi occhi si aprivano al buio.


Non sapeva dire quanto tempo fosse passato, ma almeno il dolore al collo e al torace era sparito, lasciando posto al sollievo. Cercò di aprire gli occhi, anche se la vista era ancora appannata dalle lacrime versate in precedenza. Non riusciva a ricordare cosa fosse successo. Era stato investito, sì, ma dopo? L'unica cosa che ricordava era il dolore. L’avevano portato in ospedale o si era ripreso?
«Finalmente ti sei svegliato.» Sobbalzò, sentendo una voce familiare dietro di lui. Si girò di scatto, e vide Roxas seduto su una roccia, con in mano un gelato al sale marino. Aveva un’espressione tranquilla e soddisfatta mentre lo gustava. «Sono quasi due ore che aspetto, è stato davvero noioso, sai? Continuavi a ripetere parole sconnesse e non mi sono divertito per niente.»
Sora si mise in piedi, cercando di capire che diavolo volesse dire con quelle parole. Lo stava prendendo in giro? «Intendi dire che al pronto soccorso ero in stato di incoscienza?»
Roxas tacque, guardandolo, allibito. Diede un morso al gelato e si mise in piedi. «Pronto soccorso? Ma che stai farfugliando? Eppure non dovresti essere ancora in agonia.»
Sora impallidì. Come sarebbe in agonia? Cosa significava? Forse l’aveva trovato in condizioni pietose e l’aveva aiutato, non c’era altra spiegazione. Si morse il labbro, mentre il ragazzino biondo continuava a gustarsi il suo gelato azzurro. «Roxas, tu mi hai salvato, vero? Non avevo ferite così gravi…»
L’altro tacque, ignorando la domanda e terminando il suo snack. Dopodiché lo guardò dritto negli occhi e Sora percepì il brivido che lo aveva accompagnato in tutti quei mesi.
«Possibile che dobbiate fare tutti la stessa scenata e negare l’evidenza? Che noia…» Si avvicinò al ragazzo; nonostante fosse più alto di lui, i suoi occhi fiammeggiavano. «Sono stato con te tutto il tempo, ho aspettato per ben due ore. Voi umani non riuscite proprio a metabolizzarlo, eh?»
Sora tacque, non capendo. Di che diavolo parlava? Ma, all'improvviso, una strana e terribile idea gli venne in mente, mentre Roxas lo sorpassava e si dirigeva in un punto ben preciso del prato innevato.
Veramente Roxas lo aveva lasciato lì a soffrire, senza intervenire? E se l'aveva abbandonato lì, senza chiamare i soccorsi, questo poteva significare soltanto…
«Mi hai lasciato morire…» sussurrò con sgomento, mentre il giovane vestito di nero si voltava, sorridendogli dolcemente.
«Non lo hai proprio capito, vero, Sora?» Roxas lo guardò negli occhi. Stavolta non erano né malinconici, né tristi. Al contrario: sprigionavano quasi una certa soddisfazione. «Io non ti ho lasciato morire.» Un sorriso gli increspò le labbra. «Io sono la tua morte.»
Sora sbatté le palpebre più volte, guardando attentamente il biondino, per poi scoppiare a ridere. Questa era davvero buona! Era a dir poco impossibile, doveva essere uno scherzo di quei tre e lui ci stava cascando in pieno. La pancia gli doleva e si era accasciato, trattenendo le lacrime fuoriuscite dalle troppe risate. Adesso sarebbero sbucati fuori Riku e Kairi da qualche cespuglio borbottando infastiditi. Passarono diversi secondi, ma dei due nessuna traccia. Alzando il viso, lo sguardo infuriato di Roxas lo investì: non lo aveva mai visto così arrabbiato. Gli occhi, un tempo azzurri e pacati, mutarono in un blu, cupo come il mare che si prepara alla tempesta, mentre le sue mani fremevano nelle tasche.
«Non prenderti gioco di me, mortale.» Sguainò una spada, fino a poco prima ben nascosta sotto il mantello, e la puntò contro il castano.
Sora deglutì: Roxas non aveva l'aria di scherzare. Le sue labbra, contratte in una smorfia, tremavano di rabbia, mentre l’arma si avvicinava alla gola del ragazzo. Non aveva mai visto niente del genere. Sembrava una chiave, la cui lama era spessa e nera, mentre il manico era decorato con una gemma viola; oltre l’impugnatura scorse una piccola coroncina nera con incisa una minuscola R d’argento. «Questo non è un gioco, smettila di ridere.»
Le risa di poco prima riecheggiavano nella sua mente, mentre Roxas diminuiva la pressione sulla sua carne. Lui non poteva essere veramente morto, era troppo giovane, aveva così tanto da fare… Quel pomeriggio… Quel pomeriggio non sarebbe più tornato a casa, non avrebbe più rivisto i suoi genitori… Non avrebbe più rivisto Riku e nemmeno Kairi. Lui sarebbe sparito ed il mondo avrebbe continuato a vivere senza di lui.
«Alzati, Sora, devo mostrarti una cosa.» La rabbia era svanita e i suoi occhi azzurri erano coperti di tristezza. I pensieri vagavano vorticosi nella sua testa, senza riuscire a rispondergli. Roxas lo prese per mano, facendolo alzare di scatto. Si lasciò guidare docilmente, mentre il biondino si dirigeva verso un masso poco distante da loro. Sora sapeva già cosa ci sarebbe stato dietro quella roccia, ma… Era veramente pronto per vederlo? Era pronto ad affrontare la realtà? Roxas si voltò di scatto, guardandolo negli occhi. Sembrava angosciato e irrequieto, la sua mano rossa e sudata stringeva quella di Sora con forza, come se non lo volesse lasciar andare. Aveva forse paura della sua reazione?
«Non vorrei che tu vedessi, ma… Sarebbe contro il regolamento. Ti chiedo di perdonarmi, ma sono obbligato.» Si spostò, lasciando che Sora incontrasse ciò che era nascosto dietro la pietra. I suoi occhi si sgranarono, mentre le sue gambe cedevano lentamente, trascinandolo sulla neve appena posata. Roxas si fece ancora da parte e lui poté vedere tutto.
Il suo corpo, morto, disteso su una coltre di ghiaccio scarlatto. Sora si accostò strascicando le ginocchia sul terreno. Il suo volto era cereo e immobile, gli occhi serrati e le sue guance ancora bagnate dalle lacrime che aveva versato per il dolore. Le orecchie intrise di sangue gocciolavano, macchiando la sua felpa grigia. Sora tremò, avvicinando la mano a quelle del suo corpo. Gelide, racchiuse nell’ultima morsa in cui le aveva lasciate. Il suo colorito era più candido della neve, ma sulle sue labbra livide non c’era alcun segno di disperazione, solo di pace, come se finalmente fosse tutto finito. Il ragazzo sentì gli occhi pizzicare di lacrime pungenti mentre accarezzava le sue guance cianotiche e fredde. «Q-Quanto tempo è passato...?» sussurrò, con voce tremante.
Roxas tacque, per poi guardare le montagne e dire semplicemente: «Tre ore e mezzo. Hai avuto un’agonia breve, ma il distacco dal corpo è stato piuttosto lungo.» Posò una mano sulla sua testa. «Non avevi proprio intenzione di lasciarlo. Ho dovuto tirarti fuori di peso.» Percepì le spalle del ragazzo muoversi per colpa dei singhiozzi mal trattenuti. Frugò nella tasca, trovandovi un fazzoletto che porse al castano mentre alzava gli occhi pieni di lacrime.
«Ho come l’impressione... Che le mie vacanze siano terminate.» Guardò Roxas, per poi scoppiare in un pianto disperato. Si aggrappò al suo mantello, abbracciandolo. Il biondino rimase immobile, palesemente imbarazzato. Perché doveva capitare proprio a lui quel ragazzino piagnucolone? Si sentiva un idiota, in quasi mille anni di lavoro non gli era mai capitata una reazione simile. La maggior parte inveiva contro di lui, cercando di picchiarlo, o peggio, ucciderlo, ma ovviamente era impossibile. Soltanto i bambini lo prendevano per mano, o gli anziani. I giovani spesso cercavano di sfuggirgli, nascondendosi o correndo via, come se lui non potesse raggiungerli. Eppure, nessuno aveva mai pianto, abbracciandolo. Non avrebbe dovuto avvicinarsi così tanto a Sora, glielo avevano ripetuto tante volte. Le persone come lui dovevano tenersi alla larga dagli esseri umani, e presentarsi soltanto in caso di necessità o per lavoro, tuttavia Roxas se ne era bellamente infischiato. Amava gli esseri umani, con la loro caducità e i loro difetti: una vita breve, ma luminosa, proprio come Sora. Già, Sora. Aveva dovuto litigare con Axel per poter avere l’incarico da Xemnas di appropriarsi della sua anima. Un’anima così leggera e pura che Roxas ne era rimasto affascinato. Dopo la nascita l’anima di un uomo inizia pian piano a macchiarsi dei vari peccati da lui commessi, ma quella di Sora era ancora candida e limpida, come quella di un bambino. Voleva incontrarlo, voleva incontrare questo strano umano dall’anima brillante e diventare suo amico.
«Ehm…» Si diede mentalmente dell’idiota, mentre Sora non accennava a voler smettere di piangere. Altro che shinigami, l’avrebbero messo al reparto lattanti se continuava così. Allontanò leggermente Sora dal suo manto per poi alzargli il viso con due dita. Gli occhi rossi e gonfi generavano lacrime incessantemente, gocce cariche di tristezza che si impadronivano del suo viso, sfigurandolo. Roxas prese il fazzoletto e goffamente lo asciugò. «Smettila di piangere, non riporterai in vita il tuo cadavere, sei già in decomposizione. Datti un contegno, sembri una femminuccia.»
Sora annuì, asciugandosi frettolosamente gli occhi e cercando di sembrare dignitoso. «Sono piuttosto penoso…»
«Abbastanza.»
Stava per rispondergli a tono, quando sentì in lontananza le sirene di un'ambulanza. Roxas sbuffò. «Ecco che arrivano gli umani più inutili di questo mondo, come se fossero loro a decidere chi dobbiamo portarci via.»
Il castano tacque, vedendo diverse automobili fermarsi a poca distanza dalla staccionata. Avvicinandosi riconobbe due figure familiari scendere lentamente.

Sora cercò di sorridere, voltandosi verso Roxas. «Posso salutarli, vero?»
«Aspetta, Sora…!»
Il castano ignorò le ultime parole dello shinigami, iniziando a correre a perdifiato verso di loro. I due ragazzi avevano attraversato lo steccato e appena lo videro Kairi urlò, precipitandosi verso di lui.
Forse aveva davvero un’altra possibilità, poteva dirgli addio e lasciar loro dei messaggi per i suoi genitori. Dopotutto, non sarebbe sparito in silenzio, loro avrebbero saputo. Si fermò di scatto, aprendo le braccia, aspettando che Kairi si fiondasse sul suo petto, ma lei non si bloccò, né tentò di abbracciarlo. Semplicemente, gli passò attraverso. Rimase scioccato a fissare le sue braccia vuote, mentre la ragazza correva in lacrime verso il suo corpo. Non si voltò, Sora. Guardò il cielo, lasciando cadere mollemente le braccia sui fianchi. Roxas osservò la giovane accasciarsi e prendere il viso del cadavere fra le mani. Gli accarezzò e gli baciò le guance, sporcandole di lacrime, mentre parole singhiozzate uscivano senza sosta dalla sua bocca. Gli voleva bene da sempre, era il suo migliore amico e lei non lo avrebbe mai dimenticato.
Sora non parlò, facendo presagire a Roxas lo scoppio di un pianto imminente, ma tutto ciò non accadde. Il ragazzo non parlò, né pianse, rimase immobile per diversi minuti a fissare il cielo mentre Kairi continuava a parlare al suo corpo. Non avrebbe più parlato con loro, ma almeno a lui era concesso di sentire le loro voci un’ultima volta. Chissà cosa sarebbe successo dopo al suo corpo, se Riku lo avrebbe salutato, o se Kairi avrebbe pianto ancora cercando di pulirgli il viso dalla neve. Si voltò, rivolgendo un piccolo sorriso al biondo. «Direi che è proprio ora di andare.»
Roxas annuì, attendendo che Sora lo raggiungesse, per poi prenderlo nuovamente per mano e tirare fuori la sua spada. «Sei proprio sicuro di voler andare? Ti posso concedere dell’altro tempo.»
Il castano scosse la testa, sorridendogli dolcemente. Poi afferrò con forza la sua mano, sperando di ritrovarsi in un posto migliore. Rivolse lo sguardo al cielo per un’ultima volta, prima di essere risucchiato da una densa nuvola nera.

 


Era quasi un'ora che attendevano e la pazienza di Roxas era agli sgoccioli. Stava seduto scomposto su una piccola sedia della sala d’aspetto, decorata con delicate piante di ortensia.
Avevano viaggiato a lungo attraverso il portale oscuro. Secondo le poche parole snocciolate da Roxas avrebbero dovuto raggiungere un’azienda chiamata “Organizzazione XIII”, ma a cui a quanto pare non era tanto facile arrivare. Durante il viaggio nel portale, Sora vide cose straordinarie: mondi che galleggiavano, navi volanti controllate da animali parlanti e scorse persino diversi castelli dal quale, nonostante la lontananza, sentiva provenire della musica. Rimase a bocca aperta. Non avrebbe mai potuto immaginare l’esistenza di altri mondi, per di più così strani. Porse a Roxas una serie infinita di domande, a cui il ragazzo rispose di malavoglia o tacendo.
Sora non capiva il perché del suo comportamento; quando erano sulla terra non si era mai comportato così con lui. Non era certo la gentilezza e la loquacità fatta a persona, ma era solito ridere e scherzare. Da quando erano partiti, però, del vecchio Roxas non era rimasto più niente, nemmeno il sorriso. Lo guardava di traverso, assicurandosi che stesse bene e ce la facesse a camminare, ma non gli aveva mai rivolto la parola. Percepì qualcosa di strano quando passarono di fronte a uno di quei mondi sospesi. Era color del tramonto e su di esso padroneggiava una grande torre dorata con un'imponente orologio sulla cima. Roxas lo scrutò in silenzio, stringendo con forza la sua mano. I suoi occhi erano malinconici e nostalgici, come se conoscesse bene quel mondo, ma non vi si soffermò a lungo; strattonò Sora con forza, mormorando uno stanco: «Sbrighiamoci, siamo in ritardo.» Per cosa, il castano non lo aveva ancora capito.
Lo osservò sbattere ritmicamente il piede sul pavimento, impaziente e palesemente scocciato. Appena arrivati erano stati accolti dal sorriso incoraggiante di una ragazza corvina sospesa a mezz'aria. Poco sopra la sua testa scintillava una piccola aureola dorata, che ad ogni suo saltello rimbalzava. Sulla sua canotta candida apparve una piccola targhetta argentata con su scritto “Ciao! Io sono Yuffie!” e, dopo averli accolti calorosamente, li invitò a sedersi e ad aspettare il loro turno nella sala. Roxas sbuffò sonoramente, cercando di convincerla dell’urgenza del suo “caso”, ma quella non gli diede retta. Sorrise avvicinandosi a Sora e gli donò un innocente bacino sulla guancia che lo mise in imbarazzo, per poi sparire in una nube di luce gialla.
Sentì Roxas brontolare qualcosa come «Angeli repressi» e «Esibizionisti come al solito», per poi sedersi sulla sediolina argentata della sala, incrociare le gambe e tacere. Sora lo imitò, sedendosi di fronte a lui. Voleva porgli tantissime domande su cosa sarebbe accaduto, ma il cipiglio poco rassicurante del biondino non gli piaceva per niente. Cercò di trattenersi dal farlo innervosire e iniziò a pensare a come poter cominciare una conversazione civile, ma la prima domanda che gli veniva in mente era “Cosa sei?”, che non sarebbe stata esattamente la cosa più carina da chiedere a uno che fino a qualche ora prima giocava con te nel parco.
Sospirò, lasciandosi cadere sullo schienale, ma la voce atona di Roxas lo risvegliò dai suoi pensieri: «La smetti di sospirare? Inizi a irritarmi.»
Sora abbassò lo sguardo, dispiaciuto, torturandosi le mani. «Mi dispiace, non volevo infastidirti, ma…»
«Ma hai così tante domande che ti potrei prendere a pugni.» Il biondo alzò il viso, scrutandolo. Da quando erano partiti aveva cercato di evitare di dar ascolto al cuore, e di seguire la ragione. Tenere bene a mente la sua missione e terminarla il prima possibile senza lasciarsi coinvolgere, anche se ormai questa parte era già abbondantemente fallita. Aveva potuto vedere tutta la vita di Sora e per un brevissimo periodo aveva anche avuto l’onore di farne parte. Oltre l’anima candida, Sora possedeva tantissime qualità che avevano affascinato Roxas, facendolo affezionare a lui. La sua gioia di vivere e la sua bontà d’animo lo avevano destabilizzato, portandolo a chiedersi se la morte di questo meraviglioso essere umano avrebbe fatto più male a lui o a se stesso. Più volte aveva provato a modificare il suo destino, convincendo il Concilio dei Tredici a lasciarlo in vita il più a lungo possibile, ma ogni tentativo era stato vano. La sentenza era stata emessa e lui non poteva fare altro se non obbedire. Sora non lo aveva colpevolizzato, né odiato, ma vedere le sue lacrime di paura prima della fine lo avevano scosso. Aveva tirato fuori la sua anima leggera, cullandola nel suo sonno ristoratore. Si sentiva solo un assassino, e la sua vittima lo aveva preso per mano, sorridendogli.
Prese un bel respiro, cercando di scacciare quei pensieri, e guardò il castano di fronte a lui. «Cosa vuoi sapere?»
Sora sobbalzò, alzando il viso, timoroso.
L’espressione di Roxas si addolcì. «Coraggio, non ti mangio.»
Sora annuì, cercando di pensare a qualche domanda, quando, dopo diversi secondi, prese coraggio e tutto d’un fiato chiese: «Potresti dirmi esattamente cosa sei?»
Roxas lo fissò, incredulo, per poi cercare di nascondere una piccola risatina. Effettivamente non gli aveva ancora spiegato che ruolo avesse lui in tutta quella faccenda. «Sono uno shinigami, un dio della morte. Io ho il compito di scortare la tua anima al giudizio.» Frugò nelle tasche, tirando fuori due piccole caramelle colorate, per poi tirarne una al ragazzo. «Ogni anima viene giudicata dal Concilio dei Tredici shinigami, per decidere la sua sorte.» Scartò la caramella, per poi infilarla velocemente in bocca. Limone, una delle sue preferite. Masticò, osservando il viso curioso di Sora: sembrava un bambino davanti a un giocattolo nuovo. «Esistono quattro tipi di anime: i buoni, coloro la cui anima è pura e spesso possono aspirare al diventare angeli.»
«Come quella ragazza di poco fa?»
Roxas annuì. «Poi ci sono coloro che devono espiare i loro peccati, i dannati, la cui anima è ormai perduta… E infine ci siamo noi.» Il suo viso si rabbuiò, come se qualcuno gli avesse ricordato qualcosa di estremamente spiacevole.
Sora sorrise, piegando leggermente la testa: «Sembra incredibile! Deve essere una forza essere uno shinigami.»
«No, non lo è per niente» sbottò, e Sora vide di nuovo quello sguardo furioso e quel viso, sfigurato da qualcosa che andava ben oltre la rabbia, ma durò un secondo, perché Roxas lo abbassò, mormorando un piccolo «Scusa…» che si perse nel suo mantello.
«Beh… Spero di non essere fra i dannati, non sono stato un essere umano modello, ma almeno…»
Roxas aprì bocca, ma una piccola nuvoletta gialla comparve sulle gambe di Sora, per poi trasformarsi nella ragazza di poco prima. Annunciò loro con un grandissimo sorriso che potevano dirigersi verso la loro stanza e che l'udienza di Sora si sarebbe svolta in serata. Schioccò tre volte le dita e la porticina di fronte a loro si spalancò, ma prima di sparire disse a Roxas: «Rivolgetevi a Penelo per ulteriori informazioni, per quanto riguarda te, Numero XIII, Numero VII vuole vederti per accertarsi delle condizioni del tuo protetto.» Lanciò un ultimo sorriso a Sora, per poi sparire con un piccolo poof nella nuvoletta con cui era apparsa.
Sora, rosso in viso per l’imbarazzo, osservò la vena che pulsava senza sosta sulla fronte di Roxas. «Se diventi un angelo accoglitore ti strappo le piume una ad una, ti avverto.» Si alzò di scatto e Sora lo imitò. «Non li sopporto, si credono simpatici.»
Sorrise: ecco il solito Roxas musone e scontroso che lo accompagnava a scuola tutte le mattine. Quello che non sopportava le ragazze troppo oche perché lo disturbavano durante la sua lettura. Il biondino sospirò. «Andiamo, ci stanno aspettando.»
Attraversarono la piccola apertura. L'interno lo lasciò stupefatto: si aspettava nuvole e luce ovunque, ma la sala assomigliava più a un grande grattacielo. Il soffitto e persino le pareti erano composte da cristallo azzurro, donando alla stanza una luce particolare e unica. Sulla destra scorse due piccole scrivanie, dove sedevano indaffarate due ragazze bionde, anch'esse con la targhetta, ma non presentavano alcuna aureola.
Sora si sporse, curioso, e giurò di aver visto delle piume sulle spalle delle ragazze, prima che Roxas lo trascinasse verso la parte sinistra, dove c’erano dei divanetti bianchi e diverse riviste sparse sul tavolo di vetro. «Aspettami qui, torno subito.» Gli disse, in fretta, prima di allontanarsi velocemente verso la reception.
Sora lo osservò litigare con i due angeli, doveva avere un conto in sospeso con quei due vista la sua faccia rossa e arrabbiata. Nonostante ciò, le due cercarono di calmarlo, anche se con scarsi risultati. Lo sentì sbraitare parole come «Saïx dov'è?», «Come vi permettete di baciare il mio protetto?», e questo lo fece ridere. Roxas, anche quando era arrabbiato, faceva una grandissima tenerezza, svantaggiato dalla sua altezza ed il suo viso ancora infantile.
Improvvisamente sentì una voce provenire da dietro di lui, che lo fece trasalire: «Il funghetto deve essere proprio arrabbiato per arrivare a quella tonalità di rosso.»
Si voltò di scatto, trovando a pochi centimetri di distanza dei grandi e scintillanti occhi verdi che lo fissavano, curiosi. Si trattenne dall'urlare, ma il grido gli morì in gola finendo dritto nello stomaco. Il tipo che lo stava fissando era altissimo e magro, con dei capelli rosso fiamma che volavano da tutte le parti. Indossava lo stesso cappotto nero e pesante di Roxas, ma l’arma che aveva lasciato alla sua destra era completamente differente da quella del suo shinigami: erano due ruote sottili decorate di rosso con delle punte molto affilate sparpagliate sul fianco. Lo vide sorridergli dall'alto. «Io sono Axel, l'hai memorizzato?»
Sora annuì, forse con troppa foga, cercando con scarsi risultati di allontanarsi dal viso di quello strano ragazzo. Il rosso lo fissava intensamente, con il viso inclinato, finché uno strano ghigno nacque sulle sue labbra. «Tu devi essere Sora, il mortale che Roxas mi ha soffiato.»
Il ragazzo tacque, non sapendo cosa rispondere. Si sentiva terribilmente a disagio con quel tipo così bizzarro, ma soprattutto non capiva cosa c’entrasse Roxas con lui. Lo shinigami gli aveva spiegato che era il Concilio a decidere a chi toccasse il compito di prelevare determinate anime, non potevano certo prendere quelle che volevano, cosa intendeva dunque con quella frase? «Io non credo di aver ben capito…»
Axel sghignazzò, allontanandosi dal suo viso. Sembrava abbastanza divertito. «Lascia stare, piuttosto, preparati per l’udienza, piccoletto.»
Il sangue di Sora si ghiacciò al pensiero dell’udienza da lì a poche ore. Cosa gli sarebbe successo? Non era stato un essere umano eccellente, ma aveva sempre cercato di migliorare se stesso. Gli sarebbero toccate le fiamme dell’inferno come destino, delle candide ali come quelle degli angeli accoglitori, oppure sarebbe diventato anche lui un dio della morte? Guardò Roxas, avvolto nel suo pastrano nero, con le guance in fiamme. Chissà cosa aveva fatto per meritare quel destino. Era stato più nobile di angelo, così da meritarsi quel compito? Oppure il peggiore fra i dannati? Sentì la voce di Axel farlo trasalire, mentre gli posava una mano sulla spalla. «Non ammirarlo, nanetto, ma soprattutto non desiderarlo. Le persone come noi sono rinchiuse in un limbo eterno e disperato… Meglio l’inferno di questo.»
Sora si voltò lentamente, incrociando i suoi occhi verdi, ora divenuti vitrei e distanti, gli stessi che aveva visto in Roxas durante il viaggio. «Ma voi siete immortali, non soffrite alcuna pena e…»
«E non abbiamo alcuna ricompensa, ragazzino. Abbiamo compiuto un gesto orribile per qualunque essere umano, e dobbiamo pagare, osservando gli altri che compiono il loro destino, mentre noi siamo bloccati nel limbo per l’eternità.»
Deglutì, voltandosi di nuovo verso Roxas e poi nuovamente verso Axel. Cosa avevano potuto compiere di così orribile? Uccidere? Rubare? Sarebbero stati dannati per sempre, ma non era andata così. Si fece coraggio e alzò il viso: voleva saperne di più su quello shinigami biondo che lo aveva accompagnato, era pur sempre suo amico. «Axel, cosa avete fatto di così tremendo da meritarvi questo?»
Il rosso lo fissò in silenzio, meditando, ma dopo pochi secondi si avvicinò lentamente al suo orecchio bisbigliando poche e semplici parole che lo lasciarono senza fiato. «Ci siamo uccisi.» Si allontanò nuovamente da Sora, riprendendo il suo ghigno soddisfatto e afferrando una piccola rivista sul tavolino.
Non riusciva a crederci. Roxas si era suicidato. Così come Axel e tutti gli altri del concilio. Era veramente così? Avrebbe pensato di tutto, fuorché quello. Roxas poteva essere veramente un suicida? Ma soprattutto, perché? Cosa lo aveva spinto ad un gesto così folle? E perché era destinato proprio a lui quello shinigami così irrequieto e malinconico? Era forse pentito del suo gesto così estremo? Durante la sua permanenza sulla Terra lo aveva sorpreso spesso a emozionarsi per piccole cose che per lui erano quotidiane: un gelato, un sorriso, un abbraccio… I suoi occhi diventavano liquidi di pianto, come se tutto ciò fosse solo un ricordo lontano di una memoria ormai perduta.
Sospirò, mentre il suo accompagnatore si dirigeva verso di lui con un ghigno soddisfatto e una piccola chiave dorata nella mano sinistra. Doveva aver pareggiato il conto con gli angeli, vista la loro espressione stanca e devastata. «Missione compiuta, Sora, possiamo andare nella nostra stanza.» Il suo sopracciglio s'incurvò, rendendo la sua espressione ancora più malefica e soddisfatta. «Quei dannati angeli hanno avuto ciò che si meritavano.»
«Ce l’hai a morte con loro solo perché stanno simpatici a tutti e tu a nessuno» lo interruppe Axel, lanciando la rivista che stava sfogliando sulla poltroncina di fronte.
Il ghigno di Roxas sparì in un'istante, mentre un'espressione imbronciata gli ritornava sul viso. «Che cosa ci fai tu qua? Ero convinto fossi ancora in missione.»
Il rosso fece un gesto annoiato con la mano per poi stiracchiarsi sul divanetto. «La mia missione è stata rinviata a dopodomani, Xemnas ha concesso ancora un paio d'ore di vita a quella ragazza.» Guardò con uno strano sorrisetto la chiave che teneva ben stretta nella mano. «Da quando shinigami e protetto hanno la stessa stanza? Il tuo lavoro dovrebbe terminare qua.»
Il viso di Roxas si fece rosso di rabbia e il suo petto si gonfiò come quello di un pulcino arrabbiato. Era davvero buffo. «Non sono affari tuoi, sai l’urgenza del mio caso.»
«Come potrei dimenticarlo? Sarebbe toccato a me, ma tu hai insistito così tanto che…»
Prima che potesse terminare la frase, la spada nera di Roxas era già sulla sua gola. Il piccoletto non aveva proprio intenzione di sputare il rospo, ma Axel si era divertito abbastanza scandalizzando il suo innocente protetto. «Sta' zitto Axel, o finirai come uno spiedino per cena.»
Il rosso lo fissò dall'alto, allontanando lentamente l’arma dal suo collo. La tensione fra i due era palpabile. Se avesse fatto una mossa più azzardata, Roxas non si sarebbe fermato a delle semplici minacce, ma le avrebbe messe in pratica senza esitazione. Sora seguì la spada con lo sguardo e quando giunse a una discreta distanza dal corpo di Axel, Roxas la rinfoderò con rabbia. Si fissarono a lungo, quando finalmente il rosso abbandonò il suo ghigno divertito. «È contro le regole, lo sai anche tu.»
«Non sono affari tuoi cosa faccio io al di fuori delle regole.»
Axel strinse i pugni con forza, cercando di trattenersi dall'urlargli in faccia o ancora peggio attaccarlo. «Non è legale quella scelta, lo sai benissimo cosa significa legarsi a loro.»
«Taci» sibilò, e stavolta il suo tono gelido non ammetteva repliche, tanto che persino il rosso non osò rispondergli. Voltò il suo viso scuro verso Sora, scrutandolo con rabbia. «Alzati, non abbiamo tempo da perdere. Devi riposare prima dell’udienza.» Incontrò gli occhi verdi del rosso: stavolta avrebbe vinto lui. «Non provarci mai più, Numero VIII, sono stato chiaro?»
L’altro non rispose e Roxas si avviò a gran falcate verso l’ascensore poco distante da loro. Sora boccheggiò, timoroso di seguire il biondo così fuori di sé. Stava per mettersi in cammino, quando la mano ferma e decisa di Axel lo bloccò. «È stato lui a sceglierti.»
S'immobilizzò. Cosa significava? Che aveva un compito speciale? Che Roxas aveva interesse nell'occuparsi di lui? Ma prima che potesse voltarsi, il ragazzo era sparito in una nube nera, lasciandolo con tanti dubbi e poche risposte.


Erano quasi dieci minuti che Roxas litigava con la serratura della porta. Avevano raggiunto la loro stanza al ventisettesimo cielo, scortati da uno strano esserino volante. Il suo bianco e perlaceo corpo era sostenuto da due piccolissime alucce color indaco da pipistrello. Sora sorrise, chiedendosi come facessero a reggere tutto quel peso. I suoi occhi erano chiusi ermeticamente sul grande naso rotondo e rosa. Mentre Roxas cercava di spiegargli la motivazione della sua presenza, il ragazzo notò una strana antennina sul suo capo che terminava con una buffa pallina rossa che ballonzolava. Non aveva mai visto una creatura così bizzarra e carina, sembrava uno dei tanti peluche che Kairi teneva in camera sua e nessuno aveva il permesso di toccare. Kairi… Chissà cosa stava accadendo sulla terra, quanto tempo era passato, come stavano gli altri. Scosse la testa, dicendosi che ormai era inutile chiederselo: non avrebbe più avuto modo di saperlo, tanto valeva preoccuparsi di cosa sarebbe successo a lui. Una strana angoscia lo avvolgeva, aveva un brutto presentimento e cercò invano di rincuorarsi con la speranza di essere stato un bravo essere vivente nonostante i peccati commessi.
Dopo un lungo litigio fra lo shinigami e la chiave, la porta si aprì con un piccolo scatto, rivelando la stanza che era stata assegnata loro. La bocca di Sora si spalancò nel vedere l’interno: era un meraviglioso fondale marino, di quelli che aveva visto solo nelle cartoline e sui libri. Il soffitto era talmente realistico che sembrava ci fosse del sole che filtrava dall'acqua, mentre le pareti raffiguravano pesci di ogni genere finemente decorati, ma la cosa che stupì maggiormente Sora fu il pavimento. Mosse dei piccoli passi verso i due letti azzurri posti al centro, quando percepì qualcosa di granuloso nelle scarpe. Abbassò il viso e un sorriso sincero nacque sulle sue labbra. Sabbia, era sabbia! Si chinò per toccarla, per assicurarsi di non star sognando. Ne afferrò un pugno, per poi lasciarla ricadere nuovamente. Era fine e asciutta a contatto con la sua pelle, sembrava oro in polvere per il suo splendido colore. «Amo il mare…» sussurrò fra sé e sé, continuando a giocherellare con la sabbia dorata.
«Lo so…» Trasalì, per poi voltarsi e vedere Roxas appoggiato alla porta, chiusa. Si era fatto piccolo contro l’uscio, cercando di nascondere il suo viso imbarazzato sotto il grande soprabito scuro.
Sora lo fissò a lungo. Aveva fatto tutto questo per lui?
«Sapevo quanto ti piacesse il mare, allora ho pensato che magari ti sarebbe piaciuto riposare qui…» bisbigliò, terribilmente a disagio. Si maledì per aver fatto una cosa così stupida: Axel aveva ragione, stava esagerando. Eppure voleva che almeno i suoi ultimi momenti con Sora fossero piacevoli prima del suo giudizio. Era convinto che sarebbe diventato un angelo, probabilmente il più bello e il più splendente di tutto il firmamento. Non capiva come gli venisse anche solo il terrore di cadere negli inferi, quando la sua anima era così candida da far invidia a qualsiasi altro mortale. Alzò il viso con circospezione e vide Sora avvicinarsi con un piccolo sorriso riconoscente. Quando furono a poca distanza, Roxas percepì le braccia insicure del ragazzo abbracciarlo goffamente. S'irrigidì, bloccato fra lo stipite e il corpo di Sora. I suoi capelli ispidi gli solleticavano leggermente la guancia mentre cercava di respirare normalmente. Che diavolo stava facendo quel mortale? Si sentiva un imbecille, lì, intrappolato, poteva percepire il suo calore. «Grazie, Rox.»
Roxas lo allontanò velocemente, più imbarazzato che mai: quel mortale gli stava facendo perdere l’obiettivo della sua missione. Si sentiva confuso e instabile vicino a lui, non era solo la curiosità a spingerlo, ma ben altro che andava oltre il desiderio di sapere. Scosse il capo, sedendosi sulla panca di conchiglie, mentre Sora tornava a giocherellare contento con la sua sabbia. Lo guardò a lungo. Possibile che lui non sentisse tutte le emozioni che lo invadevano quando era in sua compagnia? Quando lo aveva assistito durante l’agonia, aveva pianto a lungo, cercando di confortarlo e di rincuorarlo, anche se lui non poteva ancora percepire la sua presenza. Poteva permettere la fine di un ragazzo così speciale? Aveva pensato di disobbedire all’Organizzazione, salvandolo, ma la punizione e il pensiero che qualcun altro avrebbe preso il suo posto vicino a lui lo avevano dissuaso. Aveva fatto sul serio la scelta giusta? Dopo il giudizio non avrebbe più avuto modo di rivederlo, sarebbero stati separati per sempre. Dei della morte ed angeli non hanno mai avuto niente da spartire e Sora si sarebbe dimenticato di lui. Inclinò il capo, mentre uno strano senso di malinconia lo avvolse. Era abituato a perdere ciò che aveva di più caro, sia per mano sua che per opera del fato, eppure avrebbe rinunciato a lui così facilmente? I suoi litigi con diversi membri dell’Organizzazione gli avevano fruttato ore preziose da spendere con il suo protetto, ma il suo cuore non si capacitava che molto presto quel tempo sarebbe scivolato via dalle sue mani come la sabbia che vedeva sul pavimento e Sora sarebbe sparito per sempre dalla sua misera esistenza. La sua espressione venne notata dal bruno, che, dopo aver lasciato per terra le conchiglie e la sabbia, si volse verso di lui.
Axel gli aveva detto tante cose che lo avevano sconvolto e a cui non riusciva a smettere di pensare. Più lo guardava, più non riusciva a credere che Roxas si fosse tolto la vita. Lo aveva sempre considerato una persona estremamente equilibrata e gentile, che non avrebbe mai potuto far del male a nessuno, tanto meno a se stesso. Parlavano veramente dello stesso Roxas? Oppure gli aveva detto delle menzogne per impaurirlo? Rifletté, mentre le sue ultime parole rimbombavano nella sua mente: «Lui ha scelto te.» Sospirò. Era inutile farsi domande su domande senza riuscire ad ottenere una risposta, bisognava cercare una fonte di risposte e la sua era a pochi metri da lui, mentre frugava nelle tasche alla ricerca di qualche dolciume.
Richiamò la sua attenzione con un colpo di tosse. Non era per niente sicuro delle sue intenzioni, aveva paura della reazione che avrebbe potuto avere, ma cercò di farsi coraggio. «Rox, posso farti delle domande...?» Il biondo annuì meccanicamente, scartando l’ennesima caramella che aveva trovato nel suo giubbotto. «Cosa accade durante il giudizio? Ho diritto ad un avvocato?»
Roxas alzò un sopracciglio, mentre masticava il dolcetto. Non aveva mai visto un’udienza in tutta la sua vita? «Sarò io il tuo avvocato difensore. Lo shinigami accompagnatore ha il dovere di mostrare alla corte le azioni e i comportamenti migliori del suo protetto, ma saranno loro a decidere se valutarli o meno. La corte è sovrana e dopo aver osservato tutta la tua vita deciderà qual è il tuo destino.» Prese un lungo respiro, a lui sarebbero bastati pochi comportamenti di Sora per fargli arrivare immediatamente un’aureola. «Dopo il giudizio verrai condotto nella tua nuova casa e inizierà la tua nuova vita ultraterrena.» Buttò la carta nel cestino «Questo è tutto.»
«Sarai tu ad accompagnarmi?»
Roxas lo guardò. Aveva cercato di evitare quelle domande per tutto il viaggio e ora si riversavano su di lui come un fiume in piena, ferendolo duramente. «No, io e te ci separeremo al termine dell’udienza.» Roxas strinse la mascella quasi fino a sanguinare. Dover lasciare andare Sora sarebbe stato più difficile del previsto e lui aveva sbagliato. Non avrebbe dovuto affezionarsi a lui così tanto, il distacco finale lo avrebbe ucciso di dolore, ma poteva fare qualcosa? Era in trappola ormai, nessuno poteva salvarlo.


«Sai, Axel mi ha detto una cosa su di te e… Beh…»
«Sì, mi sono suicidato.» La risposta, così diretta e semplice, scosse Sora, facendolo sudare freddo. Era vero, era tutto vero. Quel ragazzo fragile, timido e sensibile si era tolto la vita. «Sono precipitato dalla torre più alta della mia città.» La sua voce mutò, divenendo più cupa e rotta, come se il ricordo di quel momento ancora lo sconvolgesse. «Sono morto per la tua stessa causa: trauma cranico.» Deglutì, mentre i suoi occhi si riempivano di tristezza. «Sono rimasto solo per tantissime ore, finché Axel non mi ha trovato. Mi ha liberato dal dolore e sono diventato uno shinigami.» Si voltò di scatto, guardando Sora negli occhi. «Sono orribile.» sussurrò, mentre le sue labbra tremavano di disperazione. Gli esseri come lui erano più infidi degli stessi dannati. Codardi, incapaci di andare avanti. Si era chiesto spesso cosa sarebbe successo se quel giorno non fosse saltato dalla torre. Avrebbe avuto ancora qualche motivo per vivere, magari essere felice. Tornava raramente nel suo mondo, mettendo a dura prova il suo contegno. I primi tempi si era ritrovato in lacrime sulla sua tomba dove nessuno aveva posto un fiore, era stato dimenticato, alla fine lui non era mai stato nessuno. Con il passare del tempo la sua lapide venne corrosa e divorata dall’edera, sarebbe rimasto solo e sconosciuto fino alla fine.
La mano tremante di Sora toccò la sua guancia calda, facendolo trasalire. Sorrise, tranquillo, per poi alzarsi e sedersi vicino a lui. «Non penso che tu sia orribile, sei speciale.»
Roxas rimase stupito. Nessuno lo aveva mai definito così, si era sempre considerato un vigliacco il cui unico destino poteva essere solo quello di restare da solo in eterno. Ma era veramente solo? O era stato soltanto cieco a lungo?
Appoggiò delicatamente la sua mano su quella del suo protetto, riscaldandola. Forse aveva sbagliato tutto sin dal principio. «Sai, Axel ha ragione, ho infranto le regole per incontrarti.» Tacque, chiudendo gli occhi. «Uno shinigami non ha diritto a scegliere il suo protetto, ma io non ho potuto farne a meno.» Aumentò la pressione sulla sua mano, come se volesse avvicinarla di più al suo viso. «Tu avevi una gioia di vivere che io non avevo mai visto, né provato. Traevi piacere dalle piccole cose che la vita ti offriva, senza chiedere altro. Io… Io cercavo sempre e disperatamente qualcosa che mi rendesse felice, senza mai riuscirci. Brancolavo nel buio.» Aprì gli occhi, mentre una piccola lacrima argentea attraversò il suo viso. «Tu eri luce pura e io non ho potuto fare a meno di esserne ammaliato.»


Attraversarono il corridoio in silenzio, cercando un ascensore che potesse scortarli fino all’aula dove si sarebbe tenuta l’udienza. Sora camminava a poca distanza da Roxas, mentre il suo cuore si faceva sempre più pesante ad ogni passo. Non avrebbe voluto lasciarlo andare, sarebbe rimasto lui solo, stavolta. Senza nessuno a guidarlo e a consigliarlo. La morsa allo stomaco aumentò quando entrarono silenziosi nell’ascensore. Roxas snocciolò poche parole con la creaturina dell’ascensore, spiegandogli la loro destinazione, ma lui non ci prestò attenzione. Ancora poco e sarebbe finito tutto. Avrebbe avuto la sua nuova vita e Roxas sarebbe tornato alla sua, come se niente fosse successo. Lo osservava sott’occhi, era tornato calmo e pacato, come un cielo primaverile dopo il temporale. I suoi occhi limpidi e sereni guardavano i vari tasti che quello strano animaletto stava premendo. Il groppo alla gola gli impediva di parlare, chissà se pure lui si era sentito così quando lo avevano accolto nell’Organizzazione. La sua voce gentile lo risvegliò bruscamente dai suoi pensieri mentre l’ascensore si apriva con un leggero sobbalzo. Uscirono, dirigendosi verso una porta scura poco distante da loro. «Siamo arrivati. Sora, ti ricordi cosa ti ho detto su Xemnas?»
Sora annuì, deglutendo «Non lo devo fissare negli occhi e devo restare calmo.»
Roxas sorrise. Era giunto il momento, dovevano soltanto superare quest’ultima prova e sarebbe andato tutto per il meglio. Sora si avvicinò a Roxas, cercando la sua mano. La afferrò con forza, intrecciando delicatamente le loro dita. «È ora di entrare.» Sora annuì.
La porta si spalancò e loro entrarono in silenzio, senza lasciarsi.

 

 

 

 

  
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