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Autore: OmegaHolmes    17/08/2015    0 recensioni
Questa storia è un Crossover e AU ispirata alla serie TV irlandese "HUMANS".
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John Watson è un medico militare obbligato a congedarsi a causa delle sue ferite riportate in guerra; incapace di riuscire a reinserirsi nella società troppo monopolizzata e spinta al progresso, è obbligato a prendersi un Synth, ovvero un "sintetico", cioè un robot di ultima generazione.
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Dal testo:
"La donna lo fissava intensamente, coltivando quel silenzio, contraddistinto da profondi pensieri, poi disse:
-Ha pensato di prendersi un Synth, come le ho consigliato?-
L’ex medico militare emise una risatina acuta e nervosa, facendo cenno negativo con il capo:
-Io non ho bisogno di una bambola che si prenda cura di me.-
-Credo che invece ne avrebbe davvero bisogno, John. Questo la aiuterebbe ad inserirsi più facilmente nella società, con l’aiuto di un synth programmato appositamente per aiutarla.-"
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John!Humas - Sherlock!Synth
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Johnlock
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell'autrice: Ecco qui un altro capitolo! Sono veloce, perchè prima finisco, meglio è, dato che ho degli esami importanti. Soprattutto, anche perchè odio le attese nelle storie. 
Perciò, Sherlockians, sincronizzate le antenne, perchè qui ci son deduzioni all'orizzonte.
Grazie infinite per le recensioni e per la lettura!
Fatemi sapere :D
O_H


Un raggio di sole entrò prepotente dalle tende pesanti che soccombevano sulla finestra della stanza da letto.
John percepì il sottile raggio di luce colpire i suoi occhi ancora chiusi, portandolo a svegliarsi.
Non riusciva a capire bene come, ma dopo quel massaggio era riuscito a dormire pacifico come un bambino. Non dormiva così bene da mesi, ormai.
 
Scivolò con passo incerto in cucina, cercando con lo sguardo Sherlock che se ne stava ancora in ricarica sulla sua sedia.
Cercando di fare poco rumore, mise a bollire l’acqua del the.
 
-Salve, John.-
 
Quel saluto lo fece sobbalzare:-Sherlock…mi hai fatto spaventare..! Buongiorno. Vuoi del the?-
-I sintetici non possono bere né mangiare.-
-Oh, giusto…alle volte dimentico che…lascia stare.-
Il sintetico si alzò avvicinandosi con sguardo penetrante all’umano:- Che cosa, John?-
L’ex militare si voltò a guardarlo, senza riuscire a distaccarsi da quello sguardo:-Che…che non sei umano, Sherlock.-
Cadde il silenzio.
I loro occhi incatenati da un lunghissimo sguardo magnetico, il battito di John che accelerava, pulsando con insistenza nella testa del sintetico, poi…
 
-Cucù! Ragazzi?-
 
John sobbalzò, arrossendo, allontanandosi velocemente:-Signora…Signora Hudson! Come sta?-
-Bene, Dr Watson! Spero di non averla disturbata!-
-Oh, no…niente affatto, sto per fare colazione.-
La signora Hudson entrò in cucina e guardò nuovamente Sherlock dalla testa ai piedi:-In qualcosa mi ricorda mio marito…-
-Il signor Hudson?- domandò John.
-Sì, proprio lui.-
-E dov’è adesso?-
-Oh, è morto. Sa, la sedia elettrica. Ma è stato un sollievo sa? Aveva certi brutti vizi!.-
-Oh…l’FBI immagino?-
-Oh no, un detective privato. Chissà che fine avrà fatto quel povero ragazzo!-
John si accigliò:-Un ragazzo detective?-
-Sì, era ancora un principiante, ma…-
-John, oggi hai un colloquio di lavoro alle 9:30- li interruppe con freddezza Sherlock.
Il dottore si diede una pacca sulla fronte:-Cielo! Lo avevo scordato!-
-Oh, allora è meglio che vada. Se ha bisogno di qualcosa, sono qui sotto.- disse la padrona di casa, scendendo le scale.
Il medico tornò al suo the, quando gli sorse un dubbio:-Come sai del mio colloquio?-
-Ho letto la tua mail, John.-
-Cosa?!- domandò irritato:-Come hai fatto?-
-E’ stipulato nel contratto: “Ogni synth ha diritto di accedere alla posta elettronica del proprio utente primario per servirlo al meglio”, John.-
-Ah… okay.-
Sherlock annuì e andò a sistemare alcuni libri nella libreria.

* * *
-Santo cielo…lei è troppo preparato. Insomma, laurea presso al Bart’s Hospital conseguita con 110, specializzazione in chirurgia, carriera militare che ha portato al grado di Capitano. Non è forse troppo banale un posto in ambulatorio per lei?- domandò la dottoressa Sarah Sawyer, responsabile dell’ambulatorio.
-La banalità…la banalità va benissimo, mi creda.- rispose con un sorriso dolce John.
-Altre capacità?-
-Quando avevo 10 anni suonavo il clarinetto.-
-Bene..!- ridacchiò lei –Allora…cosa ne dice, domani alle 9 in punto?-
Il cuore di John esplose in un tumulto di battiti:-Perfetto! Sarò puntuale.-
-Bene, allora a domani, Dott. Watson.-
Il nuovo assunto prese la giacca e si alzò, ma arrivato alla porta si volse:- Sono inopportuno se le chiedo se questa sera le va di bere qualcosa insieme? Non…non è un appuntamento, ho solo bisogno di parlare con qualcuno di…umano, ecco.-
La dottoressa lo fissò sorpresa, ridendo imbarazzata:-Sì…va bene…va bene! Per le…7?-
-7 sia! Magnifico!-

* * *
L’aria gli pareva improvvisamente più calda di quanto fosse stata poche ore prima, donando al suo volto prima stanco e malaticcio, un colorito vivo.
“John Watson è tornato” pensò, ridacchiando.
Decise di concedersi una lunga passeggiata, fino in centro.

Le vetrine multicolori gli davano il buongiorno accendendosi al suo passaggio e John si accorse, in quell’esatto istante, quanto amasse Londra, la sua vita, le sue luci, la sua aria e anche le persone.

La vetrina di un negozio di telefonia mobile attirò la sua attenzione.
Si rese conto che se ne avesse avuto bisogno, Sherlock non avrebbe saputo come contattarlo.
Così decise di entrare, acquistando un cellulare piuttosto base con connessione a internet.
“Ne sarà entusiasta!” pensò.
Per quanto ci provasse, non riusciva a vederlo come un automa, continuando a pensare a quello che nella notte passata Sherlock gli aveva detto: -E’ il dolore a renderci forti.-
Eppure un istante dopo aveva affermato che i synth non ne provassero. Avrebbe potuto dire “Il dolore rende forti” o “Il dolore rende forti gli umani”, invece aveva affermato “E’ il dolore a renderci forti”. NOI. Ma, esattamente, noi chi?
 
Scrollò le spalle e chiamò un taxi, portando il suo pensiero alle prospettive che l’attendevano in serata.

* * *
 
-Sherlock! Sherlock?- correndo per le scale la voce del dottore squillava energica alla ricerca del sintetico.
Sherlock si posizionò di fronte all’entrata:-Salve, John. Noto che oggi non hai il bastone.-
 
Gli occhi del biondo si sgranarono:-Cosa…?-
Osservò le proprie mani e poté constatare a sua volta che non aveva preso il bastone e…aveva addirittura fatto una passeggiata.
-Già…me lo sarò dimenticato.-
-Psicosomatico.-
-Come scusa?-
-Il tuo zoppicare è psicosomatico, John.-
-Come fai a saperlo?-
Sherlock lo fissò intensamente, per alcuni minuti, poi rispose:-Non capisco la tua domanda, John.-
-O-okay…ti ho preso una cosa, oggi!-
-Ti hanno assunto, allora. Congratulazioni, John.- emise un sorriso falso.
-Sì…comunque, ti ho preso un cellulare, così in caso di ogni evenienza, puoi contattarmi qui.- gli porse la scatola, sorridendo appena.
Sherlock parve sorpreso, guardando la scatola incantato:-Non posso accettare il regalo, John.-
-Perché?- domandò accigliato.
-Ai synth non è permesso avere cellulari, John.-
-Ah…va beh, tu non lo dici a nessuno. Okay?-
L’automa aprì la bocca come per dire qualcosa, ma subito la richiuse, prendendo la scatola tra le mani sottili.
-Grazie, John.- così detto, con la sua scatola, andò a sedersi sulla poltrona.

John aveva acquistato alcuni litri di latte e quando si diresse in cucina, il proprio sguardo si fece torvo vedendo che il tavolo era stato ricoperto da oggetti scientifici, come provette, becker e becchi bunsen.
-Sherlock….cosa…cosa significa questo?- domandò titubante il dottore, puntando il dito verso alla tavola.
-Cosa, John?- domandò apatico.
-La cucina…la…la roba…insomma…quelle cose…da dove saltano fuori?-
-Ah. Le ho trovate in cantina, John.-
-C-cantina? Quale..quale cantina?-
 
-Dottor Watson? E’ in casa?- la signora Hudson si affacciò al salotto.
-Ah…signora Hudson…sì. Senta, sa dirmi da dove viene questa roba sulla mia tavola?-
-Oh, ma che strano! Erano nella mia cantina! Chi le ha portate quì?-
-Il mio…insomma, Sherlock le ha prese, ma…gliel’ha chiesto lei?-
-Oh, no. Erano di un ragazzo che veniva sempre a giocare qui con quei cosi da adolescente…quel detective che le ho detto prima. Era un presuntuoso! Ma…era anche molto dolce, sa? Quando le accarezzavo i capell-- -
-Signora Hudson!- la richiamò spazientito John -…sono dispiaciuto che il mio synth si sia preso una tale libertà, ora glieli farò risistemare.-
-Oh, non fa nulla! Laggiù prendevano solo polvere! Vedo che invece qui hanno ripreso vita! Lo lasci giocare, si annoierà, poverino. –
-Già…- rispose sempre più confuso il dottore –Già…-
-Allora?- domandò d’un tratto raggiante la signora.
-A-allora cosa?-
-L’hanno assunta?-
-Ah! Il colloquio! Sì, sì, mi hanno preso! Inizio domani!-
La padrona di casa esplose in una risata simile al verso di un gufo torturato e battè le mani:-E’ magnifico! Dobbiamo festeggiare!-
-Oh, no, no, la prego…non c’è n’è bisogno! Lo farò stasera...Ho un appuntamento…più o meno.-
-E Sherlock?-
-Sherlock…cosa?-
-Lo lascia da solo?-
-Lui…lui non è il mio—lasci stare.-

* * *

Si era lavato e profumato come un damerino e ora si specchiava in camera da letto, indeciso se indossare o meno la cravatta.
-Sherlock!- lo chiamò, mentre continuava ad osservarsi.
-Sì, John.-
Il medico si voltò con la cravatta in mano:-Con o senza?-
-Cosa, John?-
-Cravatta! La metto o no?-
-Esci?- domandò l’automa mentre con passò sicuro si avvicinava alla figura dell’uomo.
-Sì…con una mia futura collega.-
-Capisco.-
-Non credo tu possa…-
-Mh.- il synth prese la cravatta dalle sue mani e gliela mise intorno al collo, mentre le sue dita la annodavano con una facilità incredibile, lasciando John a bocca aperta.
-Rimani a bocca aperta troppo spesso, John. Ecco fatto.-
Gli cinse le spalle con le mani sottili per farlo voltare, mentre da sopra la spalla del biondo gli occhi verdi lo penetravano con insistenza.
Lo sguardo del dottore viaggiava dal proprio riflesso, al volto di Sherlock, per poi scendere sulle sue mani:-S-sì…-
-Devi andare, John.- sussurrò profondamente nel suo orecchio.
-Sì…sì, hai ragione.- si schiarì la voce e si scostò, andando a prendere la giacca.

-Per qualsiasi cosa, Sherlock, mandami un messaggio, okay?-
Il sintetico annuì:-Buona serata, John.-
 
* * *
 
-Dici sul serio?! Hai bevuto la coca cola dal naso per vincere 5 sterline?!- rise con voce cristallina la donna, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.
-Sì…sì..l’ho fatto.- ridacchiò a sua volta John mentre giocherellava con il sotto bicchiere della sua birra.
 
Si sentiva incredibilmente vivo al fianco di Sarah; lei era così simpatica, bella, gioiosa, la sua voce era dolce e i suoi occhi, quando sorrideva, brillavano di una luce unica, simile a quella delle stelle nella notte di S. Lorenzo.
La musica jazz echeggiava languida nel pub, mentre loro, seduti ad un tavolino rotondo, si erano raccontati tutta la loro vita, ridendone sù, come se appartenesse a qualcun altro.


John aveva sempre amato le donne, il loro civettare, la loro voce, eppure, non era mai funzionata realmente con nessuna. Lui, dopo alcuni appuntamenti, si spazientiva, perché tutte erano sempre più sofisticate, difficili, con il passare del tempo.
Volevano essere corteggiate, coccolate, ma nessuna si chiedeva mai che cosa voleva lui.
Forse solo una scopata o forse semplicemente un abbraccio ed essere amato.
Doveva sempre essere lui il primo a dire la formula magica “ti amo” e sempre lui ad essere lasciato a piedi.
“Non sei abbastanza”, oppure “sei simpatico, ma ti vedo più come un fratello” o “restiamo amici?”.
Lui non voleva amici, non voleva essere trattato come uno dei tanti, lui voleva solo essere amato.

Sarah pareva diversa, ma “tutte sembrano diverse all’iniziò” pensò.
Nonostante ciò, poteva già percepire il suo cuore aprirsi, i suoi occhi disegnarla nella sua mente e le sue mani che prudevano per la voglia di accarezzarle i capelli.
 
Tutto era perfetto.
Tutto parev—
 
Una scossa proveniente dalla sua tasca dei pantaloni lo fece sobbalzare:-Scusami, il cellulare…-
Estrasse lo smartphone dalla tasca e lesse:
 
Sherlock:
Mrs Hudson è caduta dalle scale, John. –S
 
-Dannazione! Sarah, scusa…devo proprio scappare!- disse alzandosi frettoloso dal tavolo, lasciando la banconota per pagare sul tavolo.
-oh! Cosa…cosa è successo?- domandò preoccupata.
-La mia padrona di casa…è caduta dalle scale! Devo andare! Scusami ancora, davvero…! Ci vediamo domani, okay?-
 
* * *
 
Il taxi gli pareva incredibilmente lento quella sera.
-Non potrebbe andare un po’ più veloce?-
Il sangue gli pulsava nelle vene, insieme all’adrenalina e al nervosismo.
Se si era rotta il bacino? Se stesse perdendo sangue? Cosa avrebbe fatto?
“Dio, sono in quella casa da due giorni e già succedono gli incidenti!”.
 
Quando il taxi lo lasciò di fronte all’abitazione, aprì la porta che erano ancora in moto e corse dentro, percependo l’aria sferzargli tra i capelli, facendolo rabbrividire. Con impeto aprì il portoncino, facendolo sbattere contro al muro.
Il sangue al cervello gli pulsava così forte che pareva potesse uscirgli dalle orbite:
-Mrs Hudson!- urlò a squarciagola, senza fiato, cercandola disperato con lo sguardo.
-Mrs Hudson!!!-
La signora, tutta impettita, uscì dal proprio appartamento:-Ma insomma! Che cos’è tutto questo baccano, dottore?!-
Mentre cercava di riprendere fiato, ripiegandosi sulle ginocchia, si accigliò:-Lei….lei non…lei non è caduta dalle scale?!-
-Cosa? No! Non le ho nemmeno salite!-
-Cos--- ? Allora, perch-?-
-Si sente bene?-
-Sì, sì….m-mi…mi scusi. Torni a dormire.-

* * *


C’era sinceramente qualcosa che non andava nel suo sintetico e questa ne era l’ennesima prova. “Ecco perché non danno i cellulari a quegli ammassi di rottami che non sono altro!”.
Furibondo, salì le scale, energicamente.

-Salve, John.- lo salutò il sintetico alle prese con un esperimento.
-Cos-…cosa stai facendo?-
-Miglioro il mio software, John.-
-Tu hai la più pallida idea di che cosa hai fatto?-
Sherlock alzò il volto inespressivo, posando gli occhi su di lui:-Cosa ho fatto, John?-
Dio, voleva ucciderlo. Lo guardò incredulo:
-Hai sabotato il MIO appuntamento. Sai cosa vuol dire?! Mi hai fatto correre…per mezza Londra, facendomi credere che la signora Hudson fosse morente…e non era vero?!-
-Non era un appuntamento, John.- rispose serio, poi continuò:-Oh. Per quello. Mrs Hudson si è inciampata nel tappeto. Credevo fosse grave, John.-
-Nel…- “ma mi pigli per il culo?!” –nel…tappeto?! Lei, Sherlock, ha un synth per questo.-
-Vera è stupida, John.-
Il dottore sgranò gli occhi, con un sorriso incredulo:-Perché tu chi sei, Mr “intelligentone”?! Sei solo un computer! Sei…sei intelligente perchè sei solo un ammasso di algoritmi, tutto qui!-
Sherlock lo guardava con gli occhi vitrei, in silenzio, eppure, improvvisamente parve ferito.
-Sherlock io non-- -John si passò una mano sul volto, sentendosi in colpa:- non volevo, io---sc-- -
-Devo mettermi in carica, John. Livello batteria residua: 25%.-
-Sherlock aspetta!-
Il synth, senza dargli ascolto, si sedette vicino alla presa e semplicemente, si spense, andando in modalità economica.
 
-Cristo…- sbuffò il medico, andando a prendersi una bottiglia di cognac:-Pure con i synth non vado d’accordo…ottimo!-
 
Mentre si sedeva in poltrona, accese la tv, per poi ingoiare quasi con dolore, abbastanza alcool da potersi addormentare profondamente, senza incubi.
 

 
  
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