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Autore: Severia85    20/08/2015    1 recensioni
Dicembre 1981: Voldemort è scomparso e Bellatrix Lastrange è sconvolta. Non volendosi arrendere all'evidenza, decide di tentare un incantesimo per irportare l'Oscuro da lei. Ci riuscirà?
Prima classificata al contest "Inventa il piatto potteriano - 3 edizione" di RoseDust.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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RITUALE DI MORTE E RINASCITA
 
Bellatrix entrò in biblioteca a passo svelto, sbattendo la porta: era furiosa. Non le importava di quello che suo marito, insieme a quel branco di inetti codardi, continuava a ripetere: lei sapeva che il Suo Signore non se ne era andato, almeno non completamente. Lo sentiva in ogni centimetro della pelle e nel profondo del suo cuore. Bisognava solo trovarlo, farlo tornare, eppure tutti le davano della pazza, le dicevano che ormai era ora di arrendersi. Neppure mostrare loro il Marchio era servito a convincerli: era sbiadito, ma ancora lì, presente e affascinante, intriso di potere.
Se Rodolphus non l’avesse fermata, avrebbe ucciso quell’idiota di Jules, facendolo soffrire: nessuno poteva azzardarsi a dire davanti a lei che l’Oscuro era stato sconfitto e ucciso, nessuno.
Ancora tremante di rabbia, dagli scaffali scelse alcuni vecchi tomi polverosi, li appoggiò su un tavolo e accese le candele. Non si sarebbe arresa. Torturare quei due Auror le aveva procurato una certa dose di piacere e di soddisfazione, tuttavia non ne aveva ricavato nulla di utile. Ora avrebbe cercato tra quelle pagine: ricordava vagamente di aver sentito parlare di un incantesimo antico che l’avrebbe aiutata. Doveva tentare, a costo di consumarsi gli occhi su quei testi.
 
Era notte fonda quando trovò ciò che stava cercando. Il suo viso segnato dalla stanchezza si illuminò, mentre gli occhi scorrevano gli antichi caratteri. Il capitolo era dedicato al tema della morte e della rinascita e spiegava un incantesimo potente, in grado di riportare alla vita coloro che se ne erano andati. Il rito era complesso e prevedeva molte variabili, ma lei era una strega dotata e intelligente: sarebbe riuscita nel suo intento, a qualunque costo.
Le occorrevano vari elementi per poter procedere: un luogo adatto, una data magica, una vittima da sacrificare, un dono per l’anima richiamata. Il manoscritto consigliava di recarsi nel luogo in cui la persona era deceduta e di offrirgli un pane, simbolo di rinascita e di vita: la ricetta era in fondo alla pagina, insieme alle parole da recitare.
Era il quindici dicembre e la strega pensò che avrebbe aspettato alcuni giorni, in modo da celebrare il rito durante il solstizio di inverno, quando la notte è più lunga che mai, ma promette giorni nuovi e più luminosi.
 
***
 
La data si avvicinava e Bellatrix aveva ormai pensato ad ogni cosa: la notte del ventuno avrebbe condotto Jules nel luogo in cui si trovava la casa dei Potter, dove il Suo Signore era misteriosamente scomparso, lo avrebbe ucciso e avrebbe utilizzato il suo sangue per compiere il rito. Jules Petit era un mago francese, delle parti di Lione, che si era trasferito per mettersi al servizio dell’Oscuro. Era mediocre, senza particolari talenti, e non si era mai distinto nelle missioni affidategli; inoltre, aveva osato dire che il Signore Oscuro era morto, sparito nel nulla per sempre. Avrebbe pagato a caro prezzo quelle parole: lo avrebbe fatto soffrire e ne avrebbe goduto.
Ora, non le restava che cucinare il pane, da offrire all’anima che ritornava. Stranamente, questa parte del piano la metteva in difficoltà: era un’abile strega, capace di compiere incantesimi complessi, non aveva scrupoli ad uccidere, ma non aveva mai preso in mano un mestolo per cucinare. Apparteneva ad una famiglia purosangue che aveva sempre avuto schiere di elfi domestici che preparavano i pasti e provvedevano ai lavori di casa. Sentiva però che non poteva affidare quel compito così delicato ad uno stupido elfo ignorante, privo di bacchetta. Lo avrebbe fatto con le proprie mani: in fondo, era una Black.
 
Lesse più volte la ricetta: non sembrava troppo complessa. Si era procurata tutti gli ingredienti che ora giacevano sul tavolo della cucina, in attesa di essere utilizzati. Bellatrix aveva cacciato tutti gli elfi: non voleva che nessuno assistesse al suo lavoro; nemmeno al marito aveva spiegato che cosa stava combinando: Rodolphus sembrava solo preoccupato di scappare, lasciare la loro casa, prima che qualche Auror scoprisse che erano stati loro a torturare i Paciock. Era un codardo: nessuno li avrebbe scoperti e nessuno avrebbe osato mettersi contro di loro. Inoltre, se anche li avessero smascherati, non si sarebbero fatti catturare tanto facilmente.
Si tirò su le maniche della veste, soffermandosi ancora una volta a guardare ciò che restava del Marchio. Si accarezzò il polso con il dito, seguendone i contorni sbiaditi e questo le fece provare un brivido di eccitazione.
Si mise al lavoro. Per prima cosa sbriciolò cinquanta grammi di lievito in una terrina e li sciolse in settecento grammi di latte caldo. Non era difficile: era come preparare una pozione, seguendo le istruzioni. Aggiunse due cucchiai di miele, cento grammi di burro, quattro cucchiai di semi di papavero e un po’ di sale. Quest’ultima operazione la mise in difficoltà: cosa significava l’espressione “sale quanto basta”? Perché non c’era un’indicazione più precisa? Che cosa ne sapeva lei di quanto sale occorreva? Decise di affidarsi all’istinto e ne mise un pizzico abbondante. Mescolò con attenzione. Quando le sembrò che il composto si fosse amalgamato per bene, passò alla fase successiva. Sul tavolo vi erano cento grammi di diverse farine: farina integrale, di frumento, di segale, d’orzo e d’avena. Quando le versò all’interno della terrina, si alzò una leggera nuvoletta bianca che le fece prudere il naso e gli occhi. Impastare. Tentò con un cucchiaio, tuttavia si rese conto che non era possibile. L’opzione che aveva davanti la ripugnava, ma per amore dell’Oscuro, avrebbe subito anche quell’umiliazione. Immerse le mani nel composto e cominciò a stringere i pugni: sentì l’impasto viscido scivolarle tra le dita e accumularsi sotto le unghie ben curate. Provò un moto di ribrezzo, ma non si fermò. Ci vollero diversi minuti perché il tutto cominciasse a solidificarsi e a diventare morbido. Bellatrix lasciò la palla di impasto in una ciotola pulita perché lievitasse. Impiegò la mezz’ora successiva a lavarsi le mani. Riprese quindi il suo lavoro, rimaneggiando l’impasto per altri dieci minuti: questa volta però la sensazione fu quasi piacevole. Modellò una pagnotta e la mise in una teglia, a lievitare un’altra ora. Poi lo pose a cuocere sulla fiamma alta del camino per venti minuti, alimentando il fuoco magicamente, perché mantenesse una temperatura costante di centocinquanta gradi.
Quando il lavoro fu finito, la strega ammirò il suo pane con grande orgoglio, annusando l’aria profumata.
Ormai tutto era pronto: il suo Signore sarebbe presto tornato da lei.
 
***
 
Convincere Jules a seguirla si era rivelato più difficile di quanto credesse e, alla fine, era stata costretta a ricorrere alla maledizione Imperius.
Ora si trovavano entrambi a Godric’s Hallow, di fronte ai resti della casa dei Potter. Bellatrix non poté fare a meno di chiedersi per l’ennesima volta cosa fosse accaduto in quel luogo: come poteva un bambino di appena un anno sconfiggere il mago oscuro più potente del mondo? Quale magia sconosciuta aveva utilizzato? Che ne era stato del Suo Signore? Erano settimane che si arrovellava su quegli interrogativi, senza trovare risposte, tormentata da un dolore terribile, tuttavia quella notte avrebbe potuto domandarlo a Lui in persona.
La strega si riscosse dai suoi pensieri e iniziò a disporre dodici candele in cerchio. La loro luce era piuttosto debole nel buio della notte, ma risplendeva sulla neve, creando strane ombre. Ordinò a Jules di collocarsi al centro e inginocchiarsi: il mago non sembrava rendersi conto di quanto stava accadendo. A quel punto, iniziò a recitare una cantilena in latino, a voce bassa e con gli occhi semichiusi. Quando ebbe ripetuto l’incantesimo sette volte, sfilò da una tasca del lungo cappotto un pugnale, ne osservò la lama con sadico piacere e la spinse nel petto di Jules, trafiggendogli il cuore, senza esitazioni e senza pietà. Fu un colpo secco e profondo, poi, non ancora soddisfatta, rigirò la lama nella ferita. Un lampo di consapevolezza si impresse nello sguardo del francese, ma benché i suoi occhi rimanessero spalancati, non riuscì a vedere il proprio sangue insozzare la purezza della neve. Si accasciò, privo di vita.
Con il cuore martellante, Bellatrix guardò l’uomo dissanguarsi piano piano, poi gli depose accanto il vassoio d’argento sul quale aveva posto il pane e si mise in attesa.
Il libro dal quale aveva tratto l’incantesimo non specificava quanto tempo sarebbe occorso, eppure lei era certa che il suo Signore sarebbe ritornato da lei immediatamente, l’avrebbe ringraziata, avrebbe mangiato quello che lei aveva cucinato con le sue stesse mani e l’avrebbe innalzata al di sopra di chiunque altro. Insieme avrebbero dominato il mondo. Mentre fantasticava, iniziò a scendere una neve soffice che prese a coprire ulteriormente il paesaggio: le case, le strade, gli alberi addobbati.
 
Bellatrix non sapeva dire da quanto tempo attendeva, ferma immobile sotto la neve: nessuno era ritornato da lei. Aveva le estremità congelate e le lacrime premevano agli angoli degli occhi per uscire, ma lei era una Black e non avrebbe pianto. Le prime luci dell’alba si accesero a est e solo allora la strega si arrese all’evidenza. Lanciò nell’aria fredda un urlo di dolore che si perse nelle stradine deserte. Il dolore si trasformò subito in rabbia cieca: prese a calci il corpo inerme di Jules e anche la sua pagnotta che finì nella neve rossa, macchiandosi. Che cosa era andato storto? Che cosa aveva sbagliato? Perché il suo incantesimo non aveva funzionato, nonostante avesse eseguito le istruzioni alla lettera?
Furiosa, si smaterializzò e ricomparve di fronte al portone della propria casa. Nell’ingresso, mentre si toglieva il cappotto - quasi strappandoselo di dosso - avvertì qualcosa di strano e sfoderò la bacchetta in un lampo.
Expelliarmus!” gridò una voce sconosciuta.
La sua bacchetta volò per la stanza, compiendo un lungo arco. Nello stesso momento, una spessa corda le si avvinghiò al corpo, bloccandole braccia e gambe.
“Bellatrix Lastrange, siamo Auror. L’ho imprigionata per condurla alla prigione di Azkaban.”
Gli occhi della strega avvamparono di odio.
“Non potete farmi questo!” urlò a pieni polmoni, in faccia a un mago compiaciuto.
“Oh, sì che possiamo. Sarà detenuta fino a quando non risponderà delle accuse che le sono state rivolte.”
“Quali accuse?”
“Lei e suo marito siete ritenuti responsabili delle torture e del conseguente stato dei coniugi Paciock.”
Bellatrix strinse i denti e provò a divincolarsi, tuttavia la fune la teneva bloccata. Dalla gola le uscì un ringhio di frustrazione che si trasformò in un urlo acuto.
Senza timore, l’Auror l’afferrò per un braccio e la trascinò via.
 
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N.d.A.
Questa fic si è classificata prima al contest "Inventa il piatto potteriano - 3 edizione" di RoseDust. Il mio pacchetto prevedeva che Bellatrix cucinasse per Voldemort.
Ho modificato il titolo (Rituale di morte e rinascita) il 10 ottobre.
Curiosando in internet alla ricerca di un’idea per questo contest, mi sono imbattuta nei riti di Lammas – Lughnasadh, tipici del Nord Europa, legati alle stagioni e ai raccolti. In particolare, ho trovato la ricetta del pane di Lugh e ho pensato di sfruttarla.
 
Ricetta di Lughnasadh

 
Pane ai semi di papavero
Ingredienti per 4 persone:
100 gr di farina integrale di frumento
100 gr di farina di segale
100 gr di farina d'orzo
100 gr di farina d'avena
50 gr di lievito di birra
100 gr di burro
2 cucchiai di miele
4 cucchiai di semi di papavero
700 ml di latte intero
sale qb
 
Nella cronologia di Wickipedia, ho trovato che Bellatrix e il marito vengono arrestati nel mese di dicembre.
  
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