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Autore: Rosebud_secret    20/08/2015    2 recensioni
Thranduil mosse qualche passo, raggiungendo un punto dove il parapetto era del tutto crollato e, lieve, camminò lungo il bordo di quel baratro buio senza alcun timore.
“Un nuovo re è nato. E’ legittimo che io mi domandi se sia amico o nemico, se brillerà come una fulgida stella o se trascinerà queste terre fra le tenebre. Poco mi tange della tua natura e di quanto elfi e uomini possano essere diversi. Non mi fido né degli uni né degli altri, e ancor meno mi fido dei nani. Ogni razza porta con sé colpe inespiabili scritte col sangue nella lunga pergamena della storia. Molte di esse sono persino state bandite dalla memoria dei più per distrazione o per convenienza, ma io le serbo, Ammazzadraghi, e provo timore. La paura non è né turpe né incauta se la si ha per i giusti motivi. Non ha alcuna importanza quanto io possa apparirti esotico, se non addirittura innaturale, sono le mie intenzioni che devi intuire, così da poter anticipare le mie azioni.”
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bard, Thranduil
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A: Questa storia nasce da una collaborazione tra  Miele_e_Cianuro,  _Orlando_  e la sottoscritta. Tra chiacchere notturne e irti colli *Far over the Misty Mountains cold* ci siamo interrogati su come noi tre, Thorinduilliani convinti (quasi tutti. Sì, Miele, sto guardando te e la tua malattia thilbiana >>) saremmo riusciti a tratteggiare delle one-shot Barduil. I risultati che abbiamo ottenuto hanno delle caratteristiche similari, perché più volte ci siamo trovati più che concordi su certi aspetti più che su altri. Quindi, qualora ne troviate, non si tratta di plagi, ma di munifica collaborazione.
Vi invito, quindi, a leggere anche le loro validissime e bellissime storie che trovate qui:
Miele_e_Cianuro: Un potere che non ti è dato
_Orlando_:  Misery's crown
Li ringrazio, inoltre, per aver betato con pazienza e amore questa mia storiellina!

Ovviamente, grazie anche a chiunque leggerà e recensirà queste pagine.
Buona lettura (spero)!
Ros.


 
Il crepuscolo del barcaiolo



Attanagliato da un panico che non sapeva spiegarsi Bard si rigirava sul misero giaciglio, le coperte serrate come spire di serpente lo stringevano, lo soffocavano, rubandogli il meritato riposo. Snervato scostò la lana e lanciò uno sguardo affettuoso ai suoi figli che, l’uno accanto all’altro, combattevano il gelo di quella notte limpida, ferma, tanto da apparire quasi cristallizzata nel tempo. Il silenzio regnava tra i viottoli diroccati di Dale, nessuno aveva voglia, forse neppure forza, di parlare. Sino alla sera prima quelle genti avevano dormito nei loro letti, in condizioni precarie, sì, ma pur sempre meno miserabili.
L’inverno presto sarebbe giunto, bufere di ghiaccio e neve l’avrebbero accompagnato e nessuno di loro aveva più un tetto.

La colpa strinse il cuore del barcaiolo, mentre come uno spettro si avventurava in quelle strade. Proprio quelle che il suo antenato, Girion, non aveva saputo difendere. Lui, invece, c’era riuscito a cogliere il drago in fallo, ma a quale prezzo? Presto il suo cadavere avrebbe cominciato ad imputridire la riva del lago, ma se non avesse trovato una soluzione nessuno di loro avrebbe vissuto a sufficienza da vederne la carcassa diventare scheletro.
Sua era la responsabilità di quanto avvenuto. Se avesse capito prima chi fossero quei nani, se avesse intuito il motivo per cui re Thranduil era così avverso a loro, se avesse fermato Scudodiquercia prima ancora che potesse salire sulla sua barca…

Afflitto, salì sulle mura della città e guardò verso la montagna. Il buio della notte rendeva difficile persino lo scorgere la porta di Erebor, ma lui sapeva che i nani erano svegli, che erano lì, pronti a morire per quell’oro. Non riusciva a comprendere come potessero essere tanto folli da sfidare persino un esercito elfico. Sarebbero morti tutti e, sebbene ciò fosse necessario per la salvezza del popolo che si era ritrovato a guidare, avrebbe preferito trovare una soluzione diversa, pacifica.

A un certo punto gli parve di udire dei passi, quindi si voltò, non c’era nessuno alle sue spalle. Balzò di lato, spaventato, quando notò Thranduil al suo fianco. Scontrò il parapetto di pietra e il cornicione, liso dal tempo, si ruppe, facendo precipitare qualche sasso al di là della cinta. Il rumore sembrò rimbombare nel silenzio della notte e Bard si fece indietro per non cadere a sua volta.
Il re elfico sembrava brillare di luce propria, come se un’aura bianca lo circondasse. Lo studiò e provò persino un po’ di vergogna nel notare le sue labbra piegate in un sorrisino derisorio.

“Non vi ho udito arrivare.”, cercò di giustificarsi.

“Mi avrebbe sorpreso il contrario.”, ribatté il re degli elfi, senza prestargli più attenzione del dovuto e concentrandosi, invece, sulle porte della Montagna Solitaria.
“Ma mi domando come dovrei prendere questo tuo timore, Bard. Sono forse più spaventoso di un drago?”

Era una domanda complicata quella che gli era stata posta e l’uomo fu costretto a prendersi del tempo per riflettere.

“Non temo che possiate farmi del male, no, ma c’è qualcosa in voi e nel vostro popolo che mi mette a disagio.”, confessò.

Thranduil voltò appena il capo, fissandolo con quei suoi occhi tanto brillanti da svergognare persino le fredde stelle che li sovrastavano.

“Come uno spirito della natura vi avventurate per le terre, non appartenendovi mai davvero. La vostra essenza proviene da una dimensione che non riesco ad afferrare e mi sono spesso domandato se voi siate davvero vivo. Vivo come lo sono io, come lo sono i miei figli e i miei amici.”, proseguì Bard, in modo piuttosto confuso.
“N-non fraintendetemi”, si sentì in dovere di aggiungere, “la mia non voleva essere un’offesa…”

“Quindi tu temi quel che non conosci.”, lo interruppe Thranduil, “Ciò può essere saggio, ma al tempo stesso infantile. Siamo diversi, certo, ma questo non significa che dobbiamo essere un pericolo l’uno per l’altro.”

“Non ho mai parlato di pericolo, sire, ma il fatto che siate voi a farne menzione non mi fa sentire più tranquillo.”

Thranduil mosse qualche passo, raggiungendo un punto dove il parapetto era del tutto crollato e, lieve, camminò lungo il bordo di quel baratro buio senza alcun timore.
“Un nuovo re è nato. E’ legittimo che io mi domandi se sia amico o nemico, se brillerà come una fulgida stella o se trascinerà queste terre fra le tenebre. Poco mi tange della tua natura e di quanto elfi e uomini possano essere diversi. Non mi fido né degli uni né degli altri, e ancor meno mi fido dei nani. Ogni razza porta con sé colpe inespiabili scritte col sangue nella lunga pergamena della storia. Molte di esse sono persino state bandite dalla memoria dei più per distrazione o per convenienza, ma io le serbo, Ammazzadraghi, e provo timore. La paura non è né turpe né incauta se la si ha per i giusti motivi. Non ha alcuna importanza quanto io possa apparirti esotico, se non addirittura innaturale, sono le mie intenzioni che devi intuire, così da poter anticipare le mie azioni.”
Gli si avvicinò e scosse il capo nel vedere i suoi occhi puntati al terreno.

“Non avrei mai voluto diventare re.”, confessò Bard.

“Neppure io, ma ora lo sono e anche tu. Il più grande torto che potresti fare a te stesso e al tuo popolo sarebbe scontrarti con questa condizione immutabile.”, gli sussurrò l’elfo, passandogli accanto e sfiorando la sua spalla con la propria.
Una volta alle sue spalle lo indusse bruscamente a raddrizzare la schiena e gli sollevò persino la testa, quasi costringendolo a mantenere una postura dignitosa. Gli scostò una ciocca di capelli e avvicinò le labbra al suo orecchio.
“I tempi in cui aiutavi la tua gente dall’ombra sono tramontati. Bard il Barcaiolo è morto la scorsa notte, vittima della gloria e delle gesta del re che gli ha strappato vita e libertà. Non illuderti di poterlo essere di nuovo. Quei tempi sono finiti, altri e più insidiosi pericoli pregiudicheranno il tuo passo e dovrai stare ben più attento di prima, perché basterà una sola caduta per vanificare tutto il resto.”

Bard sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Non era mai stato un uomo sensibile al fascino altrui, ma Thranduil appariva saper surclassare qualsiasi difesa che chiunque, uomo o donna, potesse erigere. Mosse appena il capo per guardarlo e lo smarrimento a cui aveva alluso all’inizio della loro conversazione lo colse di nuovo. Il viso di Thranduil era a un palmo dal suo, tanto che poteva sentire chiaramente il profumo dei suoi setosi capelli biondi. A disagio si scostò un poco, preoccupandosi che qualcuno potesse vederli.

“Non giocate con me, elfo.”, cercò di ammonirlo, ma il suo tono uscì incerto e impaurito come quello di una virginea fanciulla.

Il re sorrise ancora, distogliendo lo sguardo per poi puntarlo, vanitoso, nei suoi occhi.
“Le mie scuse. Sono stato l’emblema della rettitudine Sindar per molto a lungo, trovandola sempre limitante. In seguito, dopo la caduta del Doriath, mio padre e pochi altri decisero di unirsi agli elfi silvani. Sin da subito trovai le loro tradizioni affascinanti e le feci mie, inducendo persino mio padre a preservarle, sebbene le considerasse solo triviali superstizioni. Molti degli elfi che vivono al di là di queste terre ci considerano terribilmente lascivi, primitivi, rozzi, ma per quanto sia fermamente convinto che nessuna festa possa realmente propiziare una buona stagione, trovo che esse siano fondamentali per mantenere alto l’umore del popolo e per rafforzare le nostre unioni. Sindar e Silvani non avrebbero mai potuto convivere senza che tale commistone avvenisse. Da parte mia, mi lascerei morire di noia se fossi costretto a vivere a Lòrien o, peggio, a Gran Burrone. Ma posso comprendere che i miei modi possano risultare inopportuni.”

“Non era mia intenzione insultare le vostre usanze, ma sono un uomo semplice e di sani principi, oltre che un padre di famiglia. E se mi state consigliando di esportare tali tradizioni alla mia gente...”, Bard si interruppe quando Thranduil rise brevemente.

“Per il cielo, no! A quel punto sarebbero davvero di cattivo gusto.”, lo schernì.

“Come?”, esclamò l’uomo, sdegnato.

“Rappresenterebbero solo una scusa per soddisfare i vostri appetiti più bassi e la cosa vi sfuggirebbe di mano. Sareste violenti, animaleschi. No, non sono riti consoni alla vostra gente. Molto meglio che tu decida di restare nel cortile sicuro del tuo perbenismo. Anche perché se cominciaste ad imitarci poi potrebbero farlo anche i nani. Rabbrividisco al solo pensiero!”

“E’ forse una sorta di sfida?”, domandò Bard, sempre più confuso e a disagio.

Thranduil scosse il capo.
“Affatto. Non è altro che la più onesta delle verità, ma, se lo vorrai, potrai essere mio ospite.”

Non attese una risposta e si incamminò sulla via del ritorno, senza neanche voltarsi. Sapeva che Bard lo stava seguendo, anche se, forse, non per la sua offerta. Era evidente che volesse ancora discutere di qualcosa. Lo condusse sino alla sua tenda, dove una guardia li fece entrare scostando il lembo.

Thranduil, dopo aver riempito due coppe di vino si sedette sul suo scranno, prendendo un piccolo sorso.

“Possiamo tornare al problema principale?”, domandò Bard, incrociando le braccia al petto.

“Non ne abbiamo già discusso a sufficienza quest’oggi?”

“Lo hobbit non ci aveva ancora portato l’Arkengemma, questo cambia tutto. Adesso abbiamo davvero qualcosa con cui mercanteggiare con Scudodiquercia. Non c’è alcun bisogno di spargere del sangue.”

“Scudodiquercia..:”, ripeté Thanduil, accarezzando con la voce quel nome, “Strana, interessante creatura da un lato, folle e suicida dall’altro, mi chiedo quale sarà la sintesi delle sue contraddizioni. Ti darò la possibilità di convincerlo ad arrendersi, se credi, ma rammenta quel che sto per dirti: non lascerò che neanche una singola goccia di sangue elfico venga versata per cercare di salvare i nani dalla lama della loro stessa stupidità. Se dovessero attaccarci, li distruggeremo prima che possano oltrepassare la barriera che hanno eretto.”

Bard fece avanti e indietro lungo il tavolo con nervosismo.
“Possibile che l’idea di poter vincere una battaglia tanto impari non vi disgusti?”

L’elfo corrugò le sopracciglia.
“Se qualcuno è tanto idiota da lanciarsi sulla mia spada, che altro potrei fare?”

“Penso che catturarli sarebbe la cosa migliore per tutti, nonostante Thorin non abbia mantenuto la sua parola.”, rispose l’uomo, prima di bere il suo vino e ripulirsi la bocca con il dorso del braccio.

Thranduil si rialzò, avanzando con felina sicurezza, prima di arrestarsi di nuovo di fronte a lui.
“E chi manderesti a compiere tale impresa? Saresti pronto a lasciare orfani i tuoi figli per loro? E, se tu non lo fossi, manderesti un altro padre, un altro marito, un altro figlio a prendersi lo stesso rischio? Le asce dei nani uccidono come qualsiasi altra arma. Se questa è la via che vuoi seguire lo farai da solo, perché io non vi prenderò parte.”

Bard strinse i pugni e scosse il capo, incapace di controbattere all’efficace argomentazione dell’altro.

“Il buon cuore è una debolezza che un re non può permettersi, Ammazzadraghi. Credimi, è una condizione che conosco molto bene.”, riprese l’elfo, prima di stringergli il mento con una mano per fargli sollevare il volto, “Lascia al barcaiolo morto la gentilezza, re degli uomini. Se la serberai non ti aiuterà di fronte agli amici che ti tradiranno per strapparti una briciola del potere che detieni, né ti difenderà dagli avversari che non vorranno altro che pulire il pavimento della sala del trono col tuo sangue, né rafforzerà la tua posizione di fronte ai sovrani di altre genti che vorranno solo piegare il tuo volere ai loro appetiti.”

“Voi compreso?”, insinuò l’uomo, irrigidendosi.
Avere l’elfo così vicino era inebriante, assomigliava quasi alla sensazione di stordimento dell’inizio di un’ubriacatura.
Difficile mantenere la lucidità di fronte alla sua malia.

Thranduil si avvicinò ancora.
“Io per primo…”, gli sussurrò all’orecchio.

“E quale sarebbe tale tornaconto?”

“Non lo saprai mai, né mi vedrai arrivare, uomo.”
Questo l’elfo quasi glielo soffiò sulle labbra, ma quando Bard fu sul punto di capitolare e si fece avanti per baciarlo, forse addirittura per costringerlo su quel tavolo sino all’alba ormai prossima, si ritrovò a stringere null’altro che aria.
Smarrito si guardò attorno.

“Dove siete andato?”, esclamò, con il petto scosso dal desiderio che lo permeava.

Ma nessuna risposta gli giunse e, avvilito, ritornò verso le mura. Senza sapere cosa pensare si sedette sul parapetto, osservando il primo raggio di sole oltrepassare l’orizzonte.

Diventa un re e forse potrai avere la mia attenzione…”, sussurrò la voce dell’elfo, portata dal vento.
 
   
 
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