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Autore: misslittlesun95    21/08/2015    0 recensioni
Bruno, Mirella e Guido, ventidue, diciassette e sette anni, tre figli di una coppia torinese, mamma casalinga e papà poliziotto.
Una famiglia normale nella metà degli anni settanta, finché il padre non muore, ucciso da dei terroristi che inizialmente si pensano di matrice comunista, e la madre porta la famiglia a Roma, dove forse i pericoli sono meno.
Qui, però, la vita di Bruno si scontrerà col mondo della droga minacciando l'integrità familiare, e lasciando a Mirella il compito di educare Guido.
Se non fosse che lei ha scoperto come realmente sono andate le cose il giorno della morte del padre, e ha giurato a se stessa vendetta.
A costo di prendere a sua volta le armi, a costo di diventare anche lei una terrorista.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XVII

Il sequestro di Aldo Moro aveva cambiato tutto.
Lo aveva fatto all'interno del quarto Governo Andreotti, che aveva ricevuto la fiducia proprio il giorno del rapimento e si trovava a gestire una situazione nuova sotto ogni punto di vista; lo aveva fatto nella stessa Democrazia Cristiana, che si vedeva privata del suo Presidente oltre che in un leader di correte, un tassello di certo fondamentale per tenere insieme le mille anime del partito che da oltre trent'anni governava l'Italia.
Ancora di più, se possibile, lo aveva fatto nel Pci di Berlinguer.
I Comunisti, non un gruppo marginale nel panorama politico dell'epoca, vedevano da almeno due anni l'Onorevole Moro come il collegamento tra loro e l'approdo all'esecutivo, prima con altri e poi magari anche da soli, ma quell'attacco allo Stato, per altro operato da persone che dicevano di rifarsi alla loro stessa ideologia, rimetteva di nuovo in discussione ogni futura azione od occasione politica.
Soprattutto, però, i più sconvolti dalla situazione erano i cittadini comuni che, per quanto tristemente abituati alla striscia di sangue degli anni precedenti, si vedevano incapaci di paragonare quella vicenda a tutte le altre, come se la vita di un politico contasse più di quella di un uomo qualunque. Di certo Aldo Moro era diventato un argomento di discussione molto più interessante da quando era in mano ai terroristi, soprattutto vista l'ilare magnanimità delle Brigate Rosse nel concedere al prigioniero la possibilità di inviare lettere a colleghi e compagni di partito.
Se il povero Democristiano sperava di aprirsi tramite quello un canale per il dialogo tra i suoi e i rapitori, però, aveva completamente sbagliato, perché da parte sua la DC aveva fin dall'inizio chiuso le porta ad ogni possibilità di trattativa, pur conoscendo l'alto prezzo che avrebbero pagato a causa di quella scelta.
Non solo; per motivi incomprensibili ai più il partito di governo stava anche facendo passare il messaggio che quelle epistole avessero solo la grafia di Aldo Moro, e che quindi i pensieri espressi appartenessero ad altra mate, quella di qualcuno che glieli dettava o la sua stessa ma drogata da qualche sostanza.
Al popolo, probabilmente, di tutto quello poco importava, volevano solo che il sequestro si concludesse il più rapidamente possibile, magari in modo positivo, e che il paese tornasse a una vita normale, senza l'assurda paura che quel periodo metteva in tutti, indipendentemente dal ruolo sociale o dalla posizione politica.
Il giorno del rapimento, quel sedici di Marzo, la signora Maria era nel centro di Roma con una collega per fare acquisti.
Era una mattina di inizio primavera e diversi pensieri affollavano la mente della donna; il compleanno della figlia, che cinque giorni dopo avrebbe fatto vent'anni, e il secondo anniversario della morte di Rodolfo, che sarebbe invece caduto esattamente due settimane più tardi.
Cercava quindi di bilanciare tristezza e gioia come ormai da tempo era costretta a fare per vivere in modo normale, anche se spesso tutto crollava sotto il peso dell'ultimo dolore della sua vita, l'allontanamento del figlio Bruno.
Per questo quando verso le undici si erano fermate, lei e l'amica, ad un bar per un aperitivo e avevano scoperto della drammatica azione di via Fani si era sentita male, soprattutto alla vista dei corpi senza vita degli uomini della scorta e al pensiero delle loro famiglie, costrette a vivere una tragedia simile alla sua per colpa di qualche sedicente rivoluzionari.
Era rimasta apatica per giorni, la signora Maria; certo, aveva continuato a fare come se nulla fosse, discutendo anche un poco di quello che era accaduto, ma qualcosa dentro di lei si era rotto per la seconda volta dopo la strage, e il triste anniversario di fine mese fu molto più pesante di quello che si immaginava.
In tutta quella situazione, poi, come ogni madre italiana, la donna si sentiva obbligata a proteggere il suo figlio più piccolo, Guido, che con i suoi nove anni e mezzo era ancora un bambino, e dopo ciò che aveva già vissuto non si meritava di soffrire nuovamente per la sola colpa di essere nato in Italia nel momento sbagliato.
Ninni, che qualcosa aveva capito ma non molto, si era però intristito parecchio quando aveva visto passare in televisione le immagini dei funerali degli agenti di scorta, poiché gli avevano ricordato quelli di suo papà.
Un venerdì pomeriggio di brutto tempo, era l'inizio di Aprile, Mirella si trovava a casa a studiare, chiusa nella sua camera.
Continuava a dividersi tra lo studio, la famiglia, Maurizio e il suo terribile segreto, che in quel periodo faceva indubbiamente i conti con la situazione del paese.
Manlio aveva deciso di fermarsi un po' con le azioni, almeno finché le acque non si fossero un minimo calmate, ma non tutti i compagni si trovavano d'accordo con questa visione delle cose, e le discussioni in via Gozzi si facevano sempre più accese.
Mirella, per l'appunto, cercava di star fuori da tutto quello per concentrarsi sullo studio e le altre attività che la rendevano insospettabile.
Continuava, inoltre, ad avere i sensi di colpa per quello che faceva; anche se era l'unico modo per vendicare suo padre sapeva che prima o poi si sarebbe trovata a ferire o addirittura ad uccidere, e quel pensiero la martoriava, anche nell'eventualità che tutto finisse nel migliore dei modi.
Il peso più grande era stata la sua scelta, e da quella non poteva tornare indietro neanche smettendo immediatamente ogni attività illegale.
Quel venerdì pomeriggio, dunque, era sedut6a alla sua scrivania con il libro dell'esame che stava preparando davanti agli occhi e la testa da tutt'altra parte quando sentì un urlo provenire dalla sala della casa.
Riconobbe subito la voce di sua madre e si preoccupò molto, tanto da alzarsi di scatto con il cuore in gola e correre nell'altra stanza.
Vide subito la signora Maria muoversi frenetica intorno all'apparecchio televisivo mentre Guido, rannicchiato su una poltrona, la guardava con gli occhi tristi.
- Ma cosa è successo? Ti ho appena sentita urlare!- Domandò la ragazza ancora agitata.
- Stavo guardando la televisione ma la mamma me l'ha spenta... non volevo vedere nulla ma sono annoiato, fuori piove e non so cosa fare, uffa.- Sbuffò il bambino.
Mirella voltò lo sguardo verso la madre in cerca di risposte a quel suo comportamento; si ricordava che la televisione in casa c'era sempre stata, anche quando il canale era solo uno, ma la madre mai l'aveva spenta loro in quella maniera, neanche quando lei e Bruno erano piccoli.
Quel pomeriggio qualcosa era evidentemente diverso, lo si scorgeva negli occhi di quella donna che era sempre stata forte e che, in quel momento, pareva fuori di sé, quasi come la sera in cui aveva buttato fuori di casa il figlio maggiore.
- Puoi spiegare, mamma?- Le chiese cercando di mantenere la calma e, soprattutto, di non dire nulla che potesse alterare ancora di più l'altra.
- C'erano quelle immagini di quando hanno rapito Moro, quelle della sparatoria. Non le deve vedere, è solo un bambino.- Ripeté più volte quelle quattro parole “è solo un bambino” e Mirella, dopo un lungo respiro, chiese al fratellino di andare a giocare un poco nella sua camera e lasciarle sole.
La signora Maria iniziò a piangere e riprese a parlare – È solo un bambino, non deve vedere certe cose... è mio figlio, lo devo proteggere...-
La ragazza le si avvicinò e le prese le mani che ancora tremavano per il nervoso.
- Lo so, mamma, lo so che vuoi proteggere Guido da tutto quello che accade in Italia ultimamente, dal ricordo di come è morto papà, ma purtroppo non lo possiamo fare, e non perché siamo a rischio anche noi, ma perché lui vede, sente, sa, e per quanto sia assurdo e terribile crescerà così, come tutti i bambini della sua età, e non possiamo fare nulla per impedirlo...-
La donna scoppiò in lacrime tra le braccia della figlia, che per farle forza si obbligò a stringerla e cacciare indietro la sua voglia di piangere.
Come se i ruoli si fossero invertiti.

****


- Più fastidiosi di posti di blocco e retate ci sono solo certi compagni.- Aveva detto una sera in via Gozzi Manlio a Chiara, Iris, Samuele e Agnese, la quale nel frattempo aveva assunto il nome di battaglia di Claudia.
Il gruppo si stava avvicinando irrimediabilmente a una rottura epocale, il capo banda lo sapeva e non poteva farci nulla.
Quella storia di Moro li aveva messi in un gioco molto più grande di loro, perché benché non avessero nulla a che fare né con il sequestro né con kle BR tutta la situazione del paese, in particolare quella della sinistra extraparlamentare, li costringeva a prendere decisioni a cui non avevano mai dato peso o minimamente pensato.
Già un paio di settimane dopo il rapimento si era consumata la prima scissione con un gruppo di quattro compagni guidati da Federico, tra i quali vi era anche Giulio, e che visto il dramma che si stava consumando si era chiamato fuori dal terrorismo a qualsiasi livello.
Manlio non aveva detto nulla, la loro non era una scelta facile ed era comprensibile che qualcuno, terminato l'entusiasmo iniziale, si tirasse indietro spaventato, ma Graziano non la pensava allo stesso modo, ed era seguito da tre o quattro altri compagni che viaggiavano su posizioni simili, quelli con cui presto si sarebbero fatti i conti.
Erano infatti convinti che proprio quello, così confusionario, fosse il momento propizio per fare il salto verso il terrorismo vero e proprio, su modello delle BR, forse anche entrando nell'organizzazione di fondazione Milanese.
- A' Manlio, lassali perde', nun te fa venì il fegato amaro pe' persone simili, tanto alla fine se vedrà chi davvero farà la rivoluzione e chi invece passerà la vita a guardare il solo a scacchi.- Gli disse Samuele girandosi uno spinello.
Già, la rivoluzione, pensò Manlio. Beato quel ragazzetto che ci credeva ancora, sul serio.
Lui no, lui aveva capito che erano in guerra, e al contrario di molti pensava che la guerra non potesse contenere al suo interno una rivoluzione, e bastava vedere la Russia per capirlo.
La verità era che la guerra aveva bisogno di eserciti, gli eserciti di generali e i generali di privilegi.
E siccome i generali di certo non venivano dal proletariato una volta finita la guerra avrebbero di certo voluto mantenere il loro status impedendo quindi di fatto la fine delle differenze di classe.
No, per lui la rivoluzione era un'altra cosa, qualcosa che partiva dal basso e si sviluppava nei cuori e nelle menti delle persone prima di tutto il resto, senza necessità di capi o generali, perché la scintilla sarebbe nata nei singoli, vero, ma tutti insieme.
A quel punto la rivoluzione, spontanea e forte, sarebbe stata vittoriosa, e l'approdo al comunismo vicino, privo anche del passaggio attraverso la “dittatura del proletariato”.
Perché secondo Manlio il termine stesso dittatura implicava l'esistenza di un nemico, ma l'unico nemico era la classe borghese, e quella sarebbe stata spazzata via già dalla rivoluzione.
Però era tutto ancora molto lontano, e lui stesso sapeva che loro per primi erano ben distanti dal poter fare la rivoluzione, un po' perché gerarchicamente organizzati, e quindi non del tutto comunisti, e un po' perché, appunto, immersi in una guerra.
Il compito che gli spettava, piuttosto, era risvegliare le coscienze e preparare il terreno.
- Graziano non mi è mai piaciuto, ha sempre avuto un modo di fare esageratamente provocatorio e questo, aldilà delle scelte che potrà fare, non lo porterà mai lontano.
A meno che lontano non sia un camposanto, perché prima o poi uno più grossi di lui lo beccherà e saranno cazzi suoi.- Concluse.
- Sì, ma te l'ho detto, davvero. Forse sarebbe meglio concentrarsi su di noi e su quello che vogliamo fare quando tutto questo sarà finito, no? Se poi Graziano vole fa' er matto fatti sua, quella è la porta!-
Fu l'ultimo commento serio di Samuele per quella sera prima che la canna iniziasse a svolgere il suo lavoro di tranquillante e, come diceva Manlio, rincoglionente.

****


lo strappo avvenne davvero, e fu circa dieci giorni dopo, di nuovo di sera, quando l'indole provocatoria di Graziano, che a volte pareva un fascista per come si poneva, si scatenò contro il resto del gruppo.
- Non me ne sto con le mani in mano mentre altri si danno da fare!- Aveva sentenziato urlando dopo che Manlio aveva ribadito, ancora una volta, le sue posizioni.
- Si danno da fare? Rapendo Moro? Ma lo vedi come lo stanno trattando i suoi?! Stai a vedè che alla Dc le Biere stanno a fa' un piacere, altro che attacco finale ar core dello stato, l'attacco – de core – je viene ad Andreotti se Moro torna vivo, te lo dico io.-
- Appunto! Per questo ti sto dicendo che abbiamo una grande opportunità, perché se è vero che come dici te le BR hanno sbagliato significa che sono troppo pochi e troppo stupidi, quindi hanno bisogno de 'na mano, no?-
- E che vorresti fare? Sparare a Cossiga? Azzoppare Craxi? Rapire Berlinguere e chiedere ai rapitori de Moro di farli incontrare e faje fa' il compromesso storico dalla prigione del popolo? Finirai ar gabbio molto prima de vede' anche solo da lontano le Brigate Rosse, fidate. Non è il momento.-
Graziano, però, non ci aveva visto più nel momento stesso in cui l'altro aveva parlato di galera, perché si poteva essere di idee e posizioni diverse, si poteva vedere in modo differente la faccenda di Moro, ma era impensabile che un compagno augurasse il gabbio ad un altro.
Lo sguardo del ragazzo si riempì di rabbia.
- Sai cosa c'è, Danilo?- E lo chiamò con il nome reale di proposito. - Che io mi auguro di finicce, ar gabbio, e soprattutto me auguro de incontravvece, perché a vedevve così me pare che ben presto farete la stessa fine de Federico e i suoi, altro che attendere per agire senza rischi; voi avete paura adesso e l'avrete quando 'sta storia de Moro sarà finita.
Speriamo di vederci davvero in galere, “compagni”.-
Pronunciò l'ultima parola con sdegno, quasi a volerli insultare neanche troppo velatamente.
Poi fece segno a chi la pensava come lui di seguirlo fuori e lasciò che la porta dietro di sé sbattesse forte, forse per far risuonare bene il suo astio verso quelli che fino a qualche minuto prima erano stati suoi compagni davvero.
Nell'appartamento erano rimasti gli stessi della sera in cui avevano previsto quella scissione, e Samuele, che stranamente non aveva toccato erba per tutta la giornata, si era alzato di scatto impugnando la sua pistola appena l'ultimo dei “cagnolini” di Graziano era uscito dietro al suo padrone, ma Manlio lo aveva immediatamente fermato con un gesto rapido.
- Lascia perdere, questa volta sono io che lo dico a te.-
- È un coglione, Ma', non so proprio come abbiamo fatto ad avere avuto a che fare con una testa di cazzo del genere.-
Ma l'altro scosse la testa. - Magari fosse un coglione, ci toglierebbe un sacco di problemi. In realtà quello è una testa fina, basta guardare come si è comportato poco fa: poteva venire qui con la voglia di fare a botte, stasera, o peggio di giocare al pistolero, invece ha solo parlato, convinto di riuscire a fregarci con la retorica.
Ah, se non fosse così facinoroso e attratto dalle armi, dal sangue e dall'illegalità sarebbe un ottimo politico.- Disse amaramente.
- Sì ma adesso noi cosa facciamo?- Domandò a quel punto Claudia, la più piccola tra loro.
Manlio squadrò i compagni rimasti; erano cinque lui compreso, e le donne vincevano per tre a due.
C'erano Claudia e Chiara, entrambe, bastava guardarle, decisamente fuoriluogo ma con la necessità di una vendetta diventata ormai questione di vita o di morte, che fosse la loro o quella di altri.
C'erano Iris e Samuele, che nella rivoluzione e in un futuro migliore ci credevano davvero, forse perché, lo si sapeva, erano compagni di vita prima ancora che di lotta, e chissà, magari speravano un giorno di avere dei bambini da crescere in un mondo diverso, più bello.
E poi c'era lui, il capo.
Non si era mai visto bene per quel ruolo, e se avesse potuto scegliere non lo avrebbe fatto.
Ma non c'erano state possibilità di scelta, per lui.
Per gli altri, invece...
- Io ho deciso, rimango della mia opinione, voi potete scegliere se seguire Graziano, scappare come ha fatto Federico oppure rimanere qui ad aspettare.- Disse tranquillamente.
Tanto lo sapevano tutti; prima o poi, in un modo o nell'altro, quella storia sarebbe dovuta finire.

****

E difatti finì poche settimane dopo, nel primo pomeriggio del nove di Maggio, quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato in un bagagliaio di una macchina parcheggiata nel centro di Roma.
Mentre Bruno Vespa dava la notizia Chiara era occupata con un esame universitario, Claudia tornava da scuola e Iris e Samuele erano insieme da qualche parte, forse intenti a scambiarsi piacere a vicenda.
Solo Manlio era alla base di via Gozzi, e lì rimase tutto il giorno, perché sapeva che i compagni sarebbero andati a cercarlo per chiedergli cosa fare a quel punto, e la sua risposta fu sempre e solo una; “Sparite, non venite qui intorno, non incontratevi tra di voi e non provate ad incontrare me. Ci vediamo tra un settimana esatta, sempre qui, la sera.
Tentante di esserci, se da lì a due giorni non avrà nessuna vostra notizia capirò che avete fatto un'altra scelta.”
Esattamente sette giorni dopo, la sera del martedì, quando furono certi che non ci sarebbero stati né la rivoluzione né un golpe, si rividero.
E c'erano tutti e cinque.


Note dell'autrice


So di essere in ritardissimo, ma da gennaio ad oggi ho fatto di tutto (viaggi, esami di maturità, pubblicazione di un libro).
Inoltre l'ispirazione andava e veniva – sigh -.
Questo capitolo parla da sé, abbiamo lo svolgersi del sequestro Moro e gli effetti che questo ha su chi vive vite regolari e chi, invece, si dà al terrorismo.
Come avevo preannunciato – I think – molti dei personaggi sono spariti, e vedremo ancora Pg andare e venire, per cui i principali, credo si capisca, sono i cinque rimasti, che come ho detto verranno chiamati quasi sempre con il nome di battaglia.
Niente, io proverò a fare il possibile per non tornare tra altri sette mesi, anche perché la storia dovrebbe contare – udite udite – CINQUANTA capitoli, e non posso metterci diciassette anni a finirla XD
Io abbraccio e bacio chiunque ancora segua questo farneticante racconto e alla prossima! :D


   
 
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