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Autore: Bucky    22/08/2015    2 recensioni
Le attrazioni di Coney Island erano come se le ricordava, nonostante fossero passati decenni il tempo non aveva cambiato i colori e la vivacità delle giostre.
[Stucky]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Coney Island 2015

New York, 4.00 di mattina

Steve si svegliò di colpo, il volto contorto in uno sguardo doloroso e preoccupato. Ancora quel sogno, quelle stesse parole e quello stesso volto. Era da mesi che si alzava nel pieno della notte con il respiro corto e la fronte imperlata di sudore. C’era qualcosa che non andava. Eppure, Bucky era con lui, si erano ricongiunti dopo tanti malintesi e non c’era nessun motivo per cui Steve non dovesse essere felice. Ma quel sogno, così sadico e macabro al tempo stesso, gli diceva che qualcosa era stato evitato , qualcosa di non chiarito.

Si diresse in cucina per bere un sorso d’acqua e lasciarsi alle spalle quella brutta nottata, come era solito fare. Ma quando si voltò verso il salotto con il bicchiere tra le mani, quest’ultimo gli scivolò dalle dita andando ad infrangersi in mille pezzi sul pavimento, una sagoma scura appoggiata allo stipite della porta lo stava fissando. Bucky. Si fissarono per qualche secondo e poi Steve, per rompere quel silenzio assordante, cominciò a raccogliere i cocci e le schegge di vetro a terra evitando di tagliarsi.

“Che cosa c’è che non va?” Steve fu preso di sprovvista da quella domanda. “Va tutto bene” Cercò di sviare il discorso, non si sarebbe messo a parlare nel pieno della notte con James dei suoi problemi, anche se avrebbe tanto voluto farlo. Si alzò per gettare nel cestino i pezzi di vetro e poi si voltò verso il moro che era ancora in quella posizione di semioscurità, illuminato solo dalla falce lunare. “Ora è meglio che vada a letto e sarebbe un bene anche per te.” Terminò così la conversazione,  ma quando passò accanto al suo corpo il suo braccio venne avvolto da una stretta leggermente dolorosa e particolarmente fredda. Steve lo guardò dritto negli occhi, il volto stanco e segnato dal dolore. “Non mentirmi.” Il braccio metallico allentò leggermente la presa ma solo di poco. “Non ti sto mentendo.” Steve cercò di liberarsi ma la morsa fredda ricominciò a stringersi. “Buck, lasciami.” Si sentiva così impotente nei confronti di Bucky, non poteva ribellarsi davanti ai suoi occhi color ghiaccio. “Finché non mi dici che c’è te lo puoi scordare di tornare in camera.” Il tono del moro non provava a riscaldarsi, sempre freddo e rigido.

“Perché ti preoccupi per me? Solo pochi giorni fa non spiccicavi parola e lasciavi che il silenzio fosse il padrone di ogni conversazione.” La tensione era sempre più alta e Steve non cercava nemmeno di essere gentile.  “Sto provando a tornare come ero. Mi ricordo di come mi preoccupavo per te e sinceramente ero come se fossi tua madre.” Bucky era rimasto deluso, pensava che Steve con qualche domanda gli avrebbe riversato la sua vita addosso includendo pianti e confessioni mai dette. “Non tirare fuori mia madre!” Il tono di Steve era duro ma la voce si stava spezzando.

James lasciò la presa e si avvicinò al lavabo, riempì un bicchiere d’acqua e poi ritornò sui suoi passi per darlo a Steve. “Avevi sete, ricordi?” Accese la luce della cucina e poi si sedette sul divano continuando a fissarlo. “Sai, non devi dimostrare di essere forte, lo so che tutto questo ti grava sulle spalle ma Steve-” poche volte usava il suo nome e questo fece rabbrividire il biondo. “-io sono qui per te.” Gli occhi del biondo si fecero liquidi e mandò giù a vuoto cercando di trattenersi. “Tu sei così preoccupato per me. Bucky, io non posso…” la voce era quasi rotta dal pianto e gli occhi iniziavano a pizzicare. “Sfogati!”.

Steve si gettò tra le braccia di Bucky non pensando nemmeno alla reazione del moro e lasciando che copiose lacrime cadessero dalle sua guance per poi infrangersi sulla maglietta celeste dell’amico. “Ogni sera. Ogni dannata sera della mia vita si ripete in continuo. Io e te… tu che cadi e io che non ti prendo, il sangue, le tue urla dei filmati, i pupazzi di neve costruiti insieme macchiati dal sangue del tuo braccio e poi la gente che mi dice che è tutta colpa mia.” Sentì la mano di carne dell’altro accarezzare i suoi capelli corti e la sua voce che lo tranquillizzava. “E’ tutto okay… shhh, Steve io sono qui con te.” Il moro sussurrava parole dolci al suo orecchio mentre cercava di non pensare alle miriadi di emozioni che si creavano nel suo stomaco. Gli ritornò in mente un lontano ricordo di quando erano bambini, il biondo si dondolava lentamente su un’altalena con il capo chino verso le sue scarpe per cercare di nascondere l’occhio nero che Rick Moore gli aveva procurato dopo una litigata di merendine. Anche quella volta lo aveva consolato facendolo sfogare, aveva pianto e si chiedeva perché si meritasse tutto questo dolore. James era così protettivo con Steve, come se fosse la rosa del Piccolo Principe.

Tornò alla realtà quando sentì che Steve si era calmato. “Scusami.” Disse prima di alzarsi e allontanarsi da Bucky per reimpostare le distanze. “Non dovevo. Sei tu quello che dovrebbe sfogarsi e parlarmi dei suoi problemi non io.” Si asciugò gli occhi e poi affondò il viso nei palmi delle mani. “Non devi dimostrare niente, ognuno ha bisogno di liberarsi ogni tanto.” Il moro si alzò dal divano e si avvicinò ad una vecchia foto di loro due durante la guerra, strofinò con il pollice la cornice di legno chiaro, gli mancavano quei tempi. Se solo… ma si! “Dobbiamo andare.” Fuggì in camera per poi ricomparire con i loro giacconi e le chiavi della moto. Steve lo guardava stranito, la bocca semiaperta e il volto con un punto interrogativo. “Andare dove?” . Non ci fu risposta perché Bucky gli tirò addosso il giaccone blu scuro e poi lo tirò fuori dall’appartamento. Scesero le scale velocemente facendo a volte gli scalini, a due a due. “Bucky mi vuoi dire dove dobbiamo andare?” Steve non ricevette risposta perché il moro era già salito sulla sua Harley e aveva acceso il motore. “Sali avanti!” Quando allacciò le braccia ai suoi fianchi sentì una scarica di emozioni prolungarsi per tutta la spina dorsale e gli tornò in mente un tenero ricordo della loro adolescenza: Steve seduto sul retro della bici che si teneva a lui mentre attraversavano le vie maestre bloccate dal traffico.

Il viaggio durò circa un’ora, passarono sul ponte di Brooklyn e fiancheggiarono i vicoli bui e umidi delle sue lontane risse. “Ehi! Lì è dove sono stato pestato dal ragazzo del cinema… mentre là sono stato sbattuto malamente da quelli dell’esercito, per non dimenticare quella volta che Alley mi ha preso a cazzotti nel retro della macelleria.” Che ricordi imbarazzanti. “Okay ora smettila prima che ti pesti anche io in uno di quelli!”.

Quando arrivarono sul luogo Steve rimase a bocca aperta mentre l’insegna del luna park di Coney Island gli si rifletteva negli occhi cristallini. Come poteva Buck ricordarsi una cosa del genere? Si voltò verso James il quale si stava sfilando il casco lentamente facendo scendere le sue ciocche scure davanti alla fronte. Era così bello. “Come…” Le parole gli erano state portate via. Troppo era lo stupore. “Come me ne sono ricordato?” Sopraggiunse James. “Una notte mi sono svegliato a causa di un sogno strano, tu che vomitavi copiosamente, eri bianco cadaverico e non stavi certamente bene, la tua voce era rotta e mi ricordo che mi hai imprecato contro per tutta la strada del ritorno.” Steve rise mentre la sua mente faceva riemergere quei ricordi tanto cari. “Mi sembrava una buona idea portarti qui.” Continuò il moro mentre strisciava la suola delle scarpe avanti e indietro. “Grazie.” Steve si avvicinò a lui mentre un leggero rossore si estendeva per le guance. “Mi mancava tutto questo.” Erano così vicini che potevano quasi sentire i loro respiri, la piazzola davanti al parco era deserta essendo le cinque di mattina e nessuno sarebbe giunto in quel posto prima delle sette. Le labbra di Bucky erano così morbide, nel lontano ricordo di quel quattro luglio poteva ancora sentire la dolcezza e le farfalle nello stomaco di quel bacio. La suoneria di uno smartphone si aggiunse in quel momento ed entrambi si allontanarono velocemente. Steve prese il telefono tra le mani, il display illuminato mostrava il nome di Fury. “E ora che vorrà ?” Avvicinò il telefono al suo orecchio dopo aver premuto il tasto ‘Rispondi’.  “Qualche problema?” La mandibola leggermente contratta fece capire a Bucky che quella chiamata era più che una scocciatura. “Si, James è qui con me.” James? C’era qualcosa che non quadrava. “Proprio ora?”... “Sai che ti dico? No.” Liquidò Fury così per poi riposare lo sguardo su Bucky. “Perché ha chiesto di me?” Lo sguardo si era contratto e gli occhi si erano ridotte a due fessure. “Voleva solo chiederti informazioni sull’Hydra, lo sai che sei una fonte preziosa di prove vero?” Bucky fece un sorriso tirato e poi gli balenò in testa l’accaduto di prima. Che cosa sarebbe successo se quel telefono non avesse squillato?  Lasciò quella domanda per sé.

Erano quasi le sette di mattina, Steve aveva appena portato due caffè e due paste dello Starbucks adiacente al parco. Terminarono la loro colazione in pochi minuti come soldati in guerra e aspettarono seduti su una panchina di legno. “Un giorno devo portarti al cinema. Vedrai che ti piacerà.” Il moro si morse un labbro come se guardare un film insieme fosse qualcosa di troppo intimo. “Non lo so, potrei essere abbastanza sensibile agli effetti speciali di oggi.” Steve fu preso da un tremendo senso di dolore e di rabbia, non potevano aver ridotto così il suo amico.

Un rumore metallico attirò la loro attenzione, le porte del luna park erano aperte. Aspettarono che avviassero tutte le attrazioni e poi entrarono. Gli occhi di Bucky si focalizzarono su ogni cosa vicino a loro e il biondo notò con piacere che l’amore per lo zucchero filato, del maggiore, non era svanito. Osservò mentre il moro si gustava lo zucchero cercando di non rendere appiccicosi di circuiti del suo braccio. “Sembri un bambino Bucky.” Disse mentre rideva di gusto e scattava una foto con il telefono. Bucky si bloccò, le labbra sporche di zucchero e un po’ di quella roba tra le mani. “Che cosa hai appena fatto?” Si gettò su di lui cercando di afferrare il cellulare e lasciare che Steve fosse schiacciato dal suo peso. “Questa la stamperò e la metterò sulla testata del tuo letto.” Finalmente Steve gli mostrò la foto e Bucky non gli restò che sorridere a quell’immagine. Era vero, sembrava così infantile. “Lascia che il tuo telefono catturi questi momenti, magari un giorno ci rideremo sopra.” Si alzò per gettare il bastoncino dello zucchero filato e ritornò su suoi passi con le mani nelle tasche fissando Steve. “Da dove partiamo?” .

Le attrazioni di Coney Island erano come se le ricordava, nonostante fossero passati decenni il tempo non aveva cambiato i colori e la vivacità delle giostre. Trascorsero la giornata come quando erano ragazzini, sparandosi addosso con le pistole ad acqua e guidando i piccoli go-kart facendo scontri da capogiro. Steve si sentiva ancora un quindicenne follemente innamorato del suo migliore amico e non avrebbe cambiato atteggiamento fino alla fine della giornata, quando potevano capitargli occasioni come queste un’altra volta? “Ehi Steve!” Bucky si era fermato davanti all’ultima attrazione del parco non ancora provata. I battiti del biondo accelerarono improvvisamente, si sarebbe anche ricordato di quell’avventura su quella giostra? “Sai mi auguro che non vomiterai di nuovo.” James lo afferrò per la mano e lo trascinò verso la biglietteria, avrebbero riprovato insieme l’emozione di salire sul Cyclone. Le mani ancora intrecciate rimasero così per tutto il tempo in cui attesero in coda, lo stomaco di Steve si era attorcigliato facendogli sentire le farfalle e deglutiva a vuoto ogni volta che poteva, era così nervoso e allo stesso tempo felice di godere di quel contatto.

Quando la carrozza cominciò a salire, Steve si ricordò cosa si provasse ad essere sballottato per ben tre minuti ad una velocità più elevata del solito. La pelle cominciò a schiarirsi diventando cadaverica e gli occhi erano sbarrati. “E se questo aggeggio cadesse? Intendiamoci, è dal 1935 che è qui.” Bucky in risposta fece una piccola risata e gli toccò con la mano di carne la spalla destra. “Lo sapevo che dentro di te questa paura era rimasta intatta.” Non ci fu più nessun discorso dopo quella affermazione, poiché Steve si ritrovò a trattenere le sue urla mentre stringeva nervosamente il maniglione di acciaio, stava morendo dentro. Quell’orribile sensazione terminò quando Steve ripoggiò piede per terra, il colorito non accennava a tornare ma almeno era vivo. “Ehi è tutto okay?” James lo raggiunse poco dopo avvolgendo il suo braccio di vibranio attorno alle sue spalle. “Perché non dovrebbe esserlo.” Fece un sorriso finto per cercare di essere il più convincente possibile, diamine, quelle montagne russe lo avevano destabilizzato.

“Ho letto che questa sera faranno uno spettacolo di fuochi d’artificio. Ricordo che una volta li abbiamo visti insieme, penso per il…” “Per il mio compleanno.” Steve terminò la frase per lui. “Fu una giornata meravigliosa.” Si limitò a dire questo, il bacio poteva anche risparmiarselo, Bucky non era ancora pronto a quel tipo di ricordi. “Si, fu una bella serata.” Aggiunse il moro con occhi sognanti.

Vedere i fuochi d’artificio con il suo migliore amico accanto era ancora rimasta, una delle cose più emozionanti della sua vita. I colori rossi, verdi e gialli si riflettevano nelle loro iridi azzurrine lasciandoli a bocca aperta. Una canzone sopraggiunse alle sue orecchie, una di quelle vecchie che andava ai suoi tempi, sembrava tutto così perfetto. “Steve, dimmi la verità.” Ora la serata poteva rovinarsi da un momento all’altro. “Dimmi Bucky.” Gli occhi cristallini dell’amico lo fissavano intensamente come se esigessero di sapere quello che andava saputo. “Eravamo semplici amici?” E ora? Doveva dire la verità o semplicemente mentirgli sperando che non ritornassero su quell’argomento. “Buck lo sai anche tu, eravamo… a-amici.” Risposta poco convincente. “Steve non mentirmi!” Passarono una manciata di secondi e poi si decise. “Possiamo parlarne, ma non qui.” Si diressero verso una panchina isolata del parco e appena si sedettero Bucky cominciò a tempestarlo di domande. “Bucky calmati! Ora ne parliamo civilmente.” La voce sotto tono e seria. “E per civilmente intendi mentirmi?” Perché doveva essere così complicato?

Steve tirò un lungo sospiro. “Il quattro luglio del 1936 quando compii diciotto anni mi portasti qui, a Coney Island. Passammo tutto il pomeriggio tra le giostre, ci divertimmo tantissimo come se fossimo degli stupidi ragazzini. Quella sera ci sarebbero stati i fuochi d’artificio in onore degli Stati Uniti D’America. Eri stato così carino a portarmi in una panchina isolata a guardarli da soli.” Il soldato si irrigidì improvvisamente, quella cosa pareva piuttosto romantica per due ragazzi come loro cresciuti in quell’ambiente. “Beh, non so come sia successo ma ci siamo ritrovati a baciarci come due adolescenti, era così strano sia per me che per te, ma… cosa potevamo farci, ormai era successo.” Bucky lo interruppe facendo un gesto con la mano. “Quindi io Steve ti ho baciato?” Il biondo annuì per posare lo sguardo verso l’asfalto. “Che… che successe in seguito?” Steve era incerto sul dirgli la verità o meno, cosa poteva pensare Bucky se gli avesse detto che si erano fidanzati? “Non so se tu sia pronto a certi ricordi Bucky. Il punto è che…” “Basta!” Il moro lo ghiacciò con quella esclamazione. “Sono stufo di essere considerato debole e instabile! Lo ammetto, non sono tornato come prima e non ci tornerò mai perché quello che mi hanno fatto non si cancellerà. Ma Steve… io ho bisogno di sapere, ho visto e sentito cose peggiori.” Bucky lo guardava con occhi disperati, era visibilmente stanco di quella specie di farsa che tutti avevano instaurato con lui. “Vuoi sapere la verità?” Un attimo di attesa nella sua voce e poi cominciò. “Quando ci siamo baciati abbiamo capito che quella non era semplice amicizia, ma eravamo comunque molto spaventati, potevi essere radiato, castrato chimicamente o andare in prigione, essere omosessuali era considerata una malattia a tutti gli effetti. Mi ricordo che mi dissi che te ne fregavi di cosa pensasse la gente, l’importante era che noi fossimo felici. Quei pochi anni che abbiamo passato insieme come coppia hanno instaurato in noi un legame indistruttibile. Io Bucky ti amavo e tu… beh anche tu mi amavi molto.” Gli occhi iniziarono a pizzicare a causa delle lacrime, ma non si sarebbe messo a piangere un’altra volta. James rimase in silenzio, necessitava di analizzare tutte quelle informazioni una per volta andando a riscavare nella sua memoria fragile. Steve e lui fidanzati? Era così strano, eppure quando stava insieme a lui si sentiva bene. Steve si mordeva nervosamente il labbro inferiore rischiando di farlo sanguinare ogni volta che i denti affondavano nella carne rosea. “Buck non devi accettare tutto questo, ora puoi fare quello che vuoi.” Il moro alzò il volto dalle mattonelle grigie, incontrò i suoi occhi azzurri e fece un piccolo sorriso. “E se ti baciassi in questo momento?” Le guance di Steve si colorarono di un rosso acceso, sarebbe stato magnifico riprovare quella sensazione. “E’ passato molto tempo, io non so se sia così bravo.” Vide Bucky fare una piccola smorfia e poi avvicinarsi velocemente verso di lui. “Oh Rogers ma non dire cazzate. Entrambi abbiamo la lingua congelata da settant’anni!” Posò le sue labbra su quelle del biondo giocando il labbro inferiore e lasciando che le sue mani avvolgessero il volto del compagno. Steve in risposta, si lasciò trasportare socchiudendo gli occhi e avvolgendo le mani attorno ai fianchi di Bucky. Strinse il suo giaccone nero per farlo avvicinare più a sé come se quella fosse una richiesta di non andarsene, di restare, perché lui aveva bisogno di James, non poteva perderlo di nuovo, non quando le cose si stavano mettendo a posto.

Quando si staccarono a causa del fiato corto si guardarono in faccia per cercare risposte nei loro occhi. “E’ stato bello, molto bello.” Disse Steve mentre strofinava il pollice sulle sue labbra leggermente gonfie. James sorrise consapevole che quella serata avrebbe cambiato tutto a casa Rogers. “Anche a me. Ma ora torniamo a casa,  ho bisogno di riposare.” Il biondo si avvicinò, avvolgendo la sua mano con quella bionica di Barnes. “Si, torniamo a casa Buck.”

 

   
 
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